HAMMERFALL
Renegade
2000 - Nuclear Blast
DONATELLO ALFANO
13/02/2015
Recensione
Il 1999 comincia in maniera trionfale per gli HammerFall; il successo di "Glory to the Brave" e "Legacy of Kings" permette agli svedesi di intraprendere un nuovo giro intorno al mondo prima con quattro esibizioni in Giappone e successivamente per venticinque concerti in compagnia degli Edguy in quelle nazioni che non erano state toccate nella prima parte del tour europeo di supporto al secondo album. Nonostante un virus influenzale che costringe il chitarrista Stefan Elmgren ad esibirsi in alcuni di questi palchi in condizioni piuttosto precarie, il combo porta a termine tutti gli impegni tagliando così un altro traguardo in un'inarrestabile ascesa verso l'Olimpo del panorama heavy/power mondiale. Il quintetto ad aprile vola in Sud America per altri cinque indimenticabili show che riaffermano il livello di popolarità raggiunto, al ritorno da questo minitour come un fulmine a ciel sereno arriva lo split tra il batterista Patrik Räfling ed il resto della band; dovendo trovare immediatamente un sostituto per i festival programmati da tempo il bassista Magnus Rosén recluta l'amico Anders Johansson in modo da poter partecipare ad eventi irrinunciabili come il Gods of Metal ed il Wacken Open Air. Nelle sei esibizioni estive l'intesa con l'ex drummer di Yngwie Malmsteen, Silver Mountain e Keegan è talmente forte da farlo entrare in pianta stabile nel gruppo, nel frattempo la Nuclear Blast sempre più convinta di aver trovato la gallina dalle uova d'oro immette sul mercato due nuove releases; la prima è una VHS dal titolo "The First Crusade", una sorta di riassunto della carriera degli HammerFall arricchito da alcuni estratti dal vivo, i due videoclip realizzati per la title track di "Glory to the Brave" e qualche momento da tramandare ai posteri, in primis la nomination nella categoria miglior band hard rock ai Grammy Awards svedesi. La seconda è un EP composto da un'entusiasmante cover di "I Want Out" degli Helloween registrata con l'amico e nume tutelare Kai Hansen, "At the End of the Rainbow" (brano presente su "Legacy of Kings") ed un'altra cover che a differenza di quelle incise finora (tutte rigorosamente degli Eighties) rappresenta un piacevole salto negli anni settanta: "Man on the Silver Mountain" dei Rainbow. Negli ultimi mesi dell'anno Oscar Dronjak (chitarra) e Joacim Cans (voce) completano il processo di songwriting del terzo full-length, coinvolgendo come sempre l'ex Jesper Strömblad ma curiosamente la firma del leader degli In Flames questa volta compare soltanto in metà dei brani inclusi nella tracklist, è il primo ed importante segnale di un allontanamento che con il passare del tempo diventerà definitivo. Ad aprile del 2000 gli HammerFall raggiungono gli Stati Uniti per entrare ai Wire World Studios di Nashville e guidati dal celebre produttore Michael Wagener in otto settimane registrano l'attesissimo Renegade. L'etichetta di Markus Staiger ad agosto pubblica un singolo che oltre alla title track dell'album ancora una volta include due cover provenienti dai gloriosi anni ottanta: "Run with the Devil" degli Heavy Load e "Head over Heels" degli Accept. Il nove ottobre Renegade compie la sua irruzione presentandosi con la terza copertina disegnata da Andreas Marschall; il castello conquistato da Hector nell'immagine di "Legacy of Kings" è stato assalito e dato alle fiamme dal nemico, il guerriero in sella al suo cavallo e brandendo l'inseparabile martello torna sul campo di battaglia per affrontare uno scontro destinato a durare in eterno... Seguendo la linea tracciata dal secondo lavoro, logo della band e titolo vengono messi in evidenza da un giallo dorato forse un tantino ridondante ma perfetto nel rimarcare l'attitudine degli svedesi.
"Templars of Steel" (Templari dell’Acciaio) fin dalle battute iniziali si presenta come un'opener anomala rispetto a quelle precedenti; il suono ossessivo e avveniristico delle tastiere coadiuvato dai colpi sui tom costituisce il sottofondo al riffing portante, quest'ultimo si sviluppa completamente con il trascorrere dei secondi creando l'input ideale per un roccioso mid tempo avvolto da un'atmosfera epica ed oscura. L'ingresso all'unisono degli strumenti al settantesimo secondo purtroppo rivela un lavoro carente in fase di produzione; il primo a pagarne le conseguenze è proprio Anders, il suono della sua batteria è messo in secondo piano e si ha la netta sensazione di ascoltare un processo di missaggio non perfettamente riuscito dalla versione demo a quella definitiva, probabilmente gli HammerFall volevano ottenere un sound più diretto e dall'impronta live ma l'ingombrante presenza del producer tedesco alla resa dei conti ha penalizzato l'intento originario. Joacim appoggiandosi sulle melodie delle chitarre offre una prova ricca di impeto ed epicità, il frontman partendo da una timbrica evocativa sfiora le note più alte in un pre-chorus e in un ritornello contraddistinti da quelle backing vocals che oltre ad accentuare le interpretazioni del cantante da tempo rappresentano un valore aggiunto nelle composizioni del quintetto. Oscar e Stefan nel break riaffermano la straordinaria alchimia mostrata su "Legacy of Kings" dividendosi in un assolo indirizzato più sul feeling che sulla tecnica per poi confluire nel consueto coro oh, oh, oh... che riprende il ritornello in una chiave più tesa e cupa, ovviamente non si tratta di una novità (anche per gli stessi HammerFall, basti pensare a "Heeding the Call") ma questa caratteristica è la più indicata per ricondurre il brano sui sentieri delineati nei primi minuti. Il testo come si evince dal titolo esprime l'ennesimo tributo nei confronti dei cavalieri templari; guidati dalla voce di un'entità soprannaturale i soldati si ritrovano fianco a fianco per cominciare una nuova lotta in nome della libertà, spronati dal conseuto ed impareggiabile spirito di fratellanza possono attuare una rivoluzione violenta ma estremamente necessaria. La successiva "Keep the Flame Burning" (Mantieni la Fiamma Accesa) si muove attraverso una struttura fortemente influenzata dalle origini del power metal e recupera in parte lo spirito di alcuni pezzi presenti nell'album di debutto; governata da un riff tanto essenziale quanto incisivo la traccia sfruttando un incedere veloce e lineare pone in evidenza un'altra encomiabile performance di Cans. L'ex Lost Horizon con un atteggiamento da leader incontrastato trascina i suoi compagni in un turbinio diviso in egual misura tra impatto ed armonia, l'accoppiata strofe/bridge spicca per l'enfasi con cui prepara il terreno ad un refrain che rispettando accuratamente i dettami del genere si eleva per un gusto melodico superiore alla media ed in grado di trasformare una manciata di frasi in un anthem impossibile da dimenticare. Un breve intermezzo marchiato da un paio di acuti del cantante forma il preludio a quello che personalmente ritengo uno dei migliori assoli incisi da Elmgren; l'operato del chitarrista è suddiviso in due parti di grande effetto caratterizzate da una serie di virtuosismi mai fini a se stessi sovrapposti ad un intervento di Dronjak orientato maggiormente alla melodia, anche in questo caso ci troviamo di fronte ad uno schema conosciuto da decenni ma gli svedesi grazie all'esperienza acquisita riescono nell'impresa di non risultare scontati o impersonali. Il refrain come da copione domina la scena nell'epilogo scrivendo la parola fine su un testo che ricollegandosi a quello del brano di apertura celebra il coraggio di un manipolo di nobili cavalieri arruolati per combattere e vincere nella prima crociata (avvenimento già trattato in "Steel Meets Steel"). Le liriche si soffermano principalmente sull'indole di questi uomini; sono pronti a morire con onore piuttosto che fuggire e vivere vergognosamente, il futuro di un intero popolo è nelle loro mani e la fiamma scolpita in eterno nei loro cuori li condurrà trionfalmente alla sospirata vittoria. L'inconfondibile rombo del motore di una Harley Davidson introduce "Renegade" (Rinnegato) il rumore dello storico marchio statunitense associato al titolo richiamano inevitabilmente alla memoria il telefilm omonimo degli anni novanta ed infatti leggendo il testo si può individuare più di un riferimento al noto cacciatore di taglie interpretato da Lorenzo Lamas. La struttura della title track non si discosta più di tanto da quella del brano precedente; utilizzando ritmiche sostenute il five-piece realizza un episodio immediato governato da un continuo susseguirsi di riffs e fraseggi incentrati sulle forme più classiche del metal. Magnus comincia a ritagliarsi uno spazio da coprotagonista, ispirandosi dalla sopracitata "I Want Out" le corde del bassista si incastrano con decisione sui versi di Joacim, la scorribanda del singer passa rapidamente dai toni combattivi delle strofe al timbro più armonioso di un bridge marchiato da un'efficace sovrapposizione delle voci arrivando ad un ritornello che nella sua semplicità racchiude gran parte di quegli elementi capaci di creare uno dei momenti di maggior coinvolgimento nelle esibizioni live del gruppo. Nella parte centrale un breve intervento dall'impostazione epic termina in un solo di Stefan che pur non presentando particolari spunti tecnici ricopre un ruolo basilare nell'amplificare le linee melodiche che avvolgono la traccia. Il rombo della Harley torna a far capolino nei secondi finali quasi a voler simboleggiare l'interminabile corsa del protagonista della storia; dopo aver perso la libertà e la donna che amava è diventato un fuorilegge sprezzante del pericolo e a bordo della sua motocicletta viaggia di notte per catturare le sue vittime. Non avendo più nessun tipo di emozione o sentimento continua a cacciare come un serpente feroce quelle che lui considera soltanto delle prede da aggiungere ad una lunga lista di persone che dopo averlo incontrato non hanno avuto nessuna via di scampo. Nella frenetica "Living in Victory" (Vivere nella Vittoria) gli HammerFall esplorano nuovamente i territori del power tedesco strizzando in parte l'occhio all'ondata della seconda metà degli anni novanta (tra i principali artefici di questo movimento un posto d'onore spetta anche ai compagni di tour Edguy). Il riff introduttivo non brilla per originalità; gli accordi utilizzati ricalcano in maniera così marcata quelli di "Dreamland" da farlo sembrare un outtake recuperato dalla versione originale della quarta traccia di "Legacy of Kings". Basso e batteria riscattano ampiamente questa sensazione di "già sentito" innalzando un muro sonoro guidato da una doppia cassa più incisiva rispetto a quanto ascoltato finora, Cans utilizza la base forgiata dai musicisti per elevare il tono della sua voce, versatilità e potenza viaggiano di pari passo nelle corde del cantante arrivando a lasciare un segno profondo nel travolgente refrain. Il rallentamento presente nel break con un'armonizzazione di Dronjak e Elmgren rilegge in una chiave più cadenzata le armonie del refrain, i due imperversano anche nella parte successiva tornando a viaggiare su tempi sostenuti e lanciandosi in una serie di assoli che denotano una perizia strumentale ed un approccio melodico di pura matrice maideniana, ribadendo a chiare lettere l'influenza esercitata da Dave Murray e Adrian Smith nella loro formazione artistica. Nonostante il titolo altisonante le parole descrivono le riflessioni dei sovrani di un regno che sta crollando inesorabilmente sotto i colpi del nemico; l'epoca in cui erano i dominatori è soltanto un ricordo lontano, tutto quello che li circonda si sta trasformando in ruggine ed argilla. L'assalto è devastante e pur opponendo resistenza sembra che non ci sia nessun modo per fermare quest'opera di distruzione ("sta per scadere il tuo tempo/più in alto ti arrampichi, più in basso cadrai/e perderai di vista tutto"). Tuttavia c'è ancora una piccola speranza di salvezza ma per fare in modo che ciò avvenga bisogna ritrovare quella forza interiore che anima i guerrieri più coraggiosi. Il lato più struggente del quintetto affiora nell'intensa ballad "Always Will Be" (Sarà per Sempre) l'incipit delineato dall'unione tra chitarre elettriche e acustiche già sperimentata in "I Believe" tratteggia una delle introduzioni più toccanti e passionali composte dalla band; dopo questi ventotto secondi ricchi di pathos le sonorità unplugged prendono il sopravvento per supportare al meglio la performance di Joacim. Il cantante mantenendosi su registri intimi e delicati punta tutto sull'emotività riversata da una serie di melodie che accarezzano le corde dell'anima, la riproduzione di un violoncello nel bridge enfatizza il crescendo canoro del frontman e lo conduce alla leggiadria di un ritornello nel quale riemerge lo stile del rock svedese degli Eighties. La sezione ritmica entra in scena nella seconda strofa e con un andamento lineare dona ulteriore risalto al dolore del protagonista per la fine di una storia d'amore che credeva interminabile; il distacco dalla persona che continua ad amare gli sta lacerando il cuore e riflette su quanto sia stata importante la figura di questa donna nella sua esistenza. Rimasto solo nel silenzio della notte non riesce a rassegnarsi, per lui è stata il vento che gli ha insegnato a volare e l'angelo che l'ha trasformato in un uomo libero. Cans nella breve sezione centrale eleva leggermente la sua voce per manifestare la volontà di non lasciarsi sopraffare dallo sconforto, nonostante continui a ripetere "mi manchi, nel mio cuore tu sei l’unica" comincia a pensare che dopo il buio arriva sempre la luce. La scelta di scrivere l'epilogo con un semplice coro nah-nah-nah... che richiama il ritornello può sembrare un segmento un po' stucchevole e votato al pop ma nel contesto di un mood malinconico e commovente come quello mostrato da "Always Will Be" si inserirsce con naturalezza senza intaccare il valore di una traccia che paradossalmente trova un punto di forza anche nella produzione di Wagener. In "The Way of the Warrior" (La Via del Guerriero) tornano alla ribalta i tratti distintivi di un epic metal anthemico ed immediato; la band muovendosi su tempi medi costruisce una marcia dettata da un drumming quadrato ed incalzante. Anders dall'alto della sua esperienza erige una solida base per un guitar work che rispettando in toto gli stilemi del genere riesce a distinguersi per il modo con cui alterna riffs e fraseggi, anche le tonalità pulite di Joacim rimangono ancorate ad uno stile classico ed incontaminato, riaffermando l'inclinazione dei cinque nel rispettare la tradizione del sound che ha contrassegnato fin dagli esordi la loro carriera. I controcanti presenti nel chorus si sovrappongono alla voce di Joacim creando un effetto eco, questa particolarità esalta il temperamento ardimentoso e combattivo dei protagonisti del testo; alla vigilia di una nuova crociata i guerrieri si riuniscono per prepararsi ad una battaglia segnata da un abbondante numero di vittime. Affrontando i nemici con la convinzione di essere i più forti possono realizzare il sogno di far trionfare la lealtà e vivere nella gloria, anche i pochi sopravvissuti all'acciaio delle loro spade saranno costretti ad arrendersi ad un predominio invulnerabile. Il break è composto da più parti; dopo un valido assolo di Stefan, un fraseggio vagamente folk oriented tratteggia l'intro e l'outro per un'altra esortazione del cantante dalla quale fuoriesce un atteggiamento riconducibile ai migliori Manowar ("i santi e i peccatori così brillanti in battaglia, mentre le forze dell’acciaio si uniranno/la via del guerriero, il richiamo della sua vita, deve portare tutti noi verso la luce"). Il binomio strofa/chorus ricompare nel finale per tracciare l'ultimo tassello di un episodio che pur non presentando grandi innovazioni sotto il profilo stilistico risulta trascinante e degno di nota. Un tappeto tastieristico ed una suggestiva armonizzazione elaborata dalla chitarra disegnano la melodia portante di "Destined for Glory" (Destinato alla Gloria); al venticinquesimo secondo basso e batteria irrompono per trasformare il brano in un vorticoso up tempo debitore dei mai troppo lodati anni ottanta. Un intervento solista di Stefan sintetizza le armonie che rivestono l'ossatura del brano e contemporaneamente forma il ponte ad un'interpretazione del singer dominata dall'eclettismo e dalla grinta che hanno segnato diversi highligths dei primi album. Il cantante nella sua impetuosa corsa raggiunge l'apice in termini di intensità nel bridge e nel ritornello, quest'ultimo sottolinea l'abilità del combo nell'indirizzarsi sulla ricerca di quelle melodie indispensabili per scolpire nella mente dei versi apparentemente semplici ma dotati di un appeal irresistibile. Lo schema viene ripetuto due volte per poi rivelare a metà traccia una sezione più articolata; chitarre e voce spostandosi da ritmi cadenzati ad altri più veloci per un minuto e mezzo creano una dimensione dai tratti epici e battaglieri marchiati da due digressioni di Cans particolarmente ispirate. Il destinato del titolo è un guerriero abbandonato dai suoi compagni durante l'ultima missione perchè ritenuto morto, circondato dal male di un territorio nemico decide di tornare a combattere contando esclusivamente sulle proprie forze. Le parole del padre "non perdere la fede, lascia che la tua voce sia udita" lo spronano a battersi tenacemente; combattendo con il cuore conquisterà la gloria ma se dovesse affrontare gli avversari senza onore sarà destinato alla caduta. Anche se il nome non viene mai pronunciato è naturale identificare nella figura del protagonista la mascotte Hector, da questo punto di vista la frase "il suo martello nacque come una forza magica" è alquanto rappresentativa. "The Champion" (Il Campione) mostra una leggera flessione nel songwriting; nulla di grave, siamo sempre al cospetto di una formula al 100% HammerFall anche se in questo caso è macchiata da qualche piccola pecca nella struttura compositiva. Il riffing avanza su una sequenza di accordi già ascoltati decine di volte e nei quali si percepisce in maniera evidente l'ombra dei maestri Judas Priest. Un andamento veloce basato su una doppia cassa martellante supporta le tonalità sempre più alte di Joacim, il frontman nelle strofe sfodera le sue indiscutibili doti canore dimostrando di poter competere ad armi pari con i colleghi più quotati (considerando l'anno in cui è uscito Renegade uno dei primi nomi che viene in mente è quello di Timo Kotipelto degli Stratovarius). Il refrain pur evocando una dimensione epica e combattiva non convince in pieno, il coro oh, oh, oh che introduce i versi stempera la tensione mostrata nelle prime battute e ad un ascolto approfondito dà quasi l'impressione di essere un frammento recuperato da qualche brano escluso dal platter. L'unica variazione emerge nel break; un rallentamento di trenta secondi modifica la struttura sia sotto l'aspetto vocale che sotto quello strumentale, gli assoli degli axemen oltre a ricondurre il pezzo sui sentieri più veloci e intransigenti del metal si distinguono per una valida esecuzione tecnico/melodica, nella sua rapidità questa sfumatura insieme alla performance di Cans costituisce il punto più elevato di un episodio che definire riempitivo è fuori luogo ma indubbiamente non può neanche essere annoverato tra le prove migliori dell'ensemble. Il testo sembra il riassunto della sceneggiatura di un ipotetico film d'avventura; una donna condannata al rogo attende il momento dell'uccisione, soltanto un uomo potrà salvarla da un verdetto ingiusto. Un cavaliere (chiamato campione) accorre in suo aiuto e lottando con onore cerca di liberarla dalle fiamme che cominciano ad avvolgere il suo corpo, il coraggio e la forza del protagonista però non bastano a cambiare il destino della donna, il fuoco è implacabile e pone fine all'esistenza di una vittima innocente. Gli svedesi per la prima volta nella loro storia firmano una parentesi completamente strumentale con "Raise the Hammer" (Alza il Martello), i colpi veloci e rimbobanti della batteria danno il via ad una cavalcalta governata dal lavoro delle sei corde; gli autori Oscar e Stefan lanciandosi in una girandola di fraseggi, riffs e armonizzazioni realizzano un interessante compendio delle principali fonti di ispirazione. Gli onnipresenti Iron Maiden insieme a Helloween, Gamma Ray e Yngwie Malmsteen compongono le fondamenta delle trame plasmate dai chitarristi e la scelta di mettere da parte quei virtuosismi autocelebrativi che in alcuni casi appesantiscono l'ossatura di uno strumentale è da elogiare ampiamente. Elmgren al secondo minuto propone un cambio melodico che grazie anche all'apporto in sottofondo delle tastiere ricrea uno scenario notturno e avventuroso legato alla fantastica immagine di copertina. Questa progressione dopo trentacinque secondi confluisce nella ripresa della parte iniziale concludendo un intermezzo inserito sostanzialmente per donare un'ulteriore dose di dinamismo all'album, esaminando sotto quest'ottica la track si può affermare che l'obiettivo è stato centrato in pieno. La chiusura del platter è affidata alla rocciosa "A Legend Reborn" (Una Leggenda Rinata) l'avvio in un primo momento può trarre in inganno; l'armonia eseguita dalla chitarra acustica possiede tutte le caratteristiche dell'intro di una ballad ma in realtà questo giro armonico inaugura una linea che si estende in una forma più energica e tesa per tutta la durata del brano. Gli strumenti elettrici entrano in scena al quindicesimo secondo innalzando un mid tempo dall'attitudine orgogliosamente epic, Cans guidato dal riffing costruito dai guitar players e senza eccedere in toni troppo alti si destreggia su un'impostazione votata soprattutto all'enfasi, rispolverando così lo stile di alcuni classici della band (con "Stone Cold" e "Let the Hammer Fall" in prima fila). Il singer accentua il tono nel pre-chorus e nel ritornello per dare maggiore risalto ad una melodia che affonda le sue radici nel modus operandi della prima metà degli Eighties ma sempre rivisitato con quel pizzico di personalità che ha contribuito a differenziare gli HammerFall dalla massa di gruppi heavy/power nati tra la fine degli anni novanta ed il nuovo millennio. Il break proseguendo sui tempi cadenzati scanditi dalla sezione ritmica presenta una breve variazione con un assolo di cinquanta secondi ad opera di Elmgren; il chitarrista privilegiando la componente melodica alla velocità di esecuzione crea un valevole trait d'union con la ripetizione del ritornello e riprendendo l'armonia acustica disegnata nell'incipit firma l'epilogo di una storia che fonde la letteratura fantasy alle imprese dei templari. Il ritorno da un'epoca gloriosa di questi guerrieri coincide con l'inizio di una battaglia nella quale combatteranno al fianco di un popolo definito nascente resistenza; con la forza e la tenacia che hanno sempre caratterizzato le loro azioni indicano ai nuovi compagni la via per conquistare una libertà attesa da troppo tempo, il patto sancito tra i cavalieri ed il popolo è più di una semplice alleanza, è un giuramento che è stato fatto per diffondere la parola di una leggenda rinata.
Il terzo full-length è risaputo rappresenta un punto di svolta per qualsiasi band sulla faccia della terra; anche gli HammerFall con Renegade non sono sfuggiti a questa regola realizzando un lavoro che mantiene una marcata linea di continuità con le prerogative del recente passato però rivela anche dei piccoli ma significativi cambiamenti. La decisione di inserire una sola ballad, il primo strumentale e l'assenza di una cover degli anni ottanta denotano la volontà di staccarsi dalle caratteristiche che già dal secondo disco per alcuni detrattori erano diventate il mezzo preferito per attaccare il quintetto, queste scelte contribuiscono a smentire tutti quelli che con troppa superficialità li accusavano di essere soltanto un gruppo manovrato dalle incoerenti imposizioni del music business. Inoltre sotto il profilo compositivo Dronjak e Cans dimostrano di poter continuare il cammino inaugurato dall'esordio anche senza l'apporto di Strömblad; "Templars of Steel", "Destined for Glory" e "A Legend Reborn" oltre ad avvalorare questa tesi sono i segnali di una maturità nelle vesti di songwriters in costante crescita. Nei quarantesi minuti di durata del platter ad onor del vero si può riscontrare qualche passaggio poco ispirato o riconducibile ad alcuni brani dei suoi predeccesori ma questo aspetto non sminuisce il valore di un disco che esaminato nella sua totalità si attesta su livelli medio-alti. A costo di sembrare ripetitivi occorre rimarcare che l'unica nota dolente è costituita da una produzione alquanto lontana dagli standard qualitativi di "Glory to the Brave" e "Legacy of Kings" (registrati rispettivamente in sedici e quaranta giorni) il bilanciamento dei suoni purtroppo non rende giustizia all'operato del combo mostrando delle lacune che con qualche accorgimento in più si potevano evitare, è difficile credere che il responsabile di tutto questo è l'uomo che ha curato numerosi capolavori del panorama hard & heavy mondiale, tirando le somme i risultati ottenuti da un collega più giovane come Fredrik Nordström erano di ben altro spessore. Al di là di un incidente di percorso capitato anche ai nomi più celebri dell'universo metallico gli svedesi proseguono imperterriti per la loro strada rimanendo legati ad un genere che al termine di una seconda età dell'oro deve necessariamente affidarsi alle mani di quegli artisti capaci di portarlo avanti con credibilità e determinazione, gli HammerFall in virtù di una posizione di rilievo conquistata con grandi sacrifici e con una totale devozione alla causa del metal continuano a testa alta questa "missione artistica" senza mostrare il minimo cenno di resa.
1) Templars of Steel
2) Keep the Flame Burning
3) Renegade
4) Living in Victory
5) Always Will Be
6) The Way of the Warrior
7) Destined for Glory
8) The Champion
9) Raise the Hammer
10) A Legend Reborn