HAMMERFALL
Glory to the Brave
1997 - Nuclear Blast
DONATELLO ALFANO
02/10/2014
Recensione
Göteborg 1993; terminata l'esperienza con i deathsters Ceremonial Oath il chitarrista Oscar Dronjak animato da una spiccata versatilità avvia un nuovo progetto contraddistinto da un sound legato alle forme più classiche del metal, un progetto chiamato HammerFall. In un lasso di tempo relativamente breve il musicista delinea la prima line-up reclutando in primis l'amico Jesper Strömblad (batteria, altro ex Ceremonial Oath e fondatore degli In Flames) e successivamente i membri dei Dark Tranquillity Mikael Stanne (voce) e Niklas Sundin (chitarra) l'arrivo di Johan Larsson (basso) completa una formazione che dopo pochi mesi registra degli importanti avvicendamenti con Glenn Ljungström e Fredrik Larsson chiamati a sostituire rispettivamente Niklas e Johan. Il punto di svolta arriva nella primavera del 1996 grazie alla partecipazione al contest Rockslaget; con gli inediti "Steel Meets Steel", "Unchained" e la cover di Breaking The Law dei Judas Priest la band raggiunge meritatamente le semifinali del concorso ma alla vigilia di quest'ultime Mikael dà forfait. Oscar senza perdersi d'animo trova immediatamente un sostituto in Joacim Cans, nonostante un'ottima esibizione il quintetto non passa il turno ma l'ingresso del singer dei Lost Horizon si trasforma in una mossa decisiva per il prosieguo della carriera degli HammerFall. Dronjak fermamente convinto delle potenzialità di quello che in principio era solo un side-project oltre a dedicarsi insieme a Strömblad e Cans al songwriting delle tracce del primo full-length invia una registrazione delle semifinali del Rockslaget alla Vic Records, la label olandese mette sotto contratto il combo e nel novembre del '96 gli offre l'opportunità di varcare la porta dello Studio Fredman, gli svedesi sotto la supervisione di Fredrik Nordström impiegano soltanto sedici giorni per incidere l'eccezionale Glory to The Brave. Jesper è ancora un componente degli HammerFall ma durante le registrazioni tutte le parti di batteria sono affidate a Patrik Räfling, la collaborazione con il nuovo drummer è il primo segnale dello split tra il leader degli In Flames (seguito da Glenn) ed il resto del gruppo, giunge così dopo Joacim e Patrik il momento dell'ingresso di un altro ex Lost Horizon; il chitarrista Stefan Elmgren (presente come ospite nell'album). Nel frattempo nei primi mesi del 1997 Markus Staiger della Nuclear Blast spinto dal desiderio di ampliare il raggio d'azione della sua etichetta e mostrando la consueta abilità nello scovare nomi destinati ad un grande successo acquista dalla Vic Records i diritti per pubblicare Glory to the Brave. Il ventisette giugno l'album invade gli scaffali dei maggiori record stores europei presentandosi con una copertina firmata da Andreas Marschall (artista noto ed apprezzato nella scena metal per gli artwork creati per Blind Guardian, Grave Digger, Running Wild e Kreator). La mascotte del gruppo, un guerriero di nome Hector avvolto in una pesante armatura da cui si intravedono soltanto gli occhi, dopo aver attraversato un bosco tetro e dominato da un inquietante cielo rosso fuoco ha appena raggiunto il primo obiettivo; la conquista del castello situato alle sue spalle. In pochi mesi questa immagine è diventata una metafora perfetta per descrivere l'esordio discografico degli svedesi...
Un impetuoso riff seguito dalle rimbombanti rullate di Patrik introduce l'opener "The Dragon Lies Bleeding" (Il Drago Giace Sanguinante); Joacim entra in scena al nono secondo con un acuto caratterizzato da un "we ride" in grado di sintetizzare efficacemente il concept lirico degli HammerFall. Il five-piece parte in quarta lanciandosi in un episodio ispirato dal power/speed ottantiano, il frontman imperversa nelle strofe e nel pre-chorus con delle linee vocali alte ed evocative che riportano alla mente quelle della monumentale "Rising Force" di Yngwie Malmsteen, lo schema viene ripetuto due volte per poi confluire in un avvincente ritornello. Nella parte centrale l'epicità prende il sopravvento, la sezione ritmica rallenta leggermente l'andamento ponendo in risalto una performance canora ricca di impeto. Le chitarre muovendosi tra fraseggi, armonizzazioni ed un assolo tanto breve quanto rappresentativo in pochi istanti riportano il brano sulle coordinate tracciate nei primi minuti, seguendo una formula consolidata il finale è marchiato dalla ripresa dell'accoppiata strofa/ritornello. Le liriche prendendo spunto dall'epoca delle crociate raccontano l'impresa di un gruppo di impavidi cavalieri; circondati dall'oscurità sono pronti a combattere fino alla morte per proteggere il loro Signore facendosi forza l'uno con l'altro ("vieni attraverso la terra promessa, chiudi gli occhi, io prenderò la tua mano/andremo attraverso il fiume di acciaio, quando il drago giace sanguinante") dopo una cruenta battaglia in cui nessuno viene risparmiato l'esercito torna a casa con l'agognata conquista del potere e della gloria La successiva "The Metal Age" (L’età del Metallo) come si evince dal titolo recupera i tratti distintivi degli albori del genere; la band prosegue la sua corsa con un up tempo guidato da un riffing equamente diviso tra potenza ed oscurità, Cans seguendo le melodie plasmate dai chitarristi sfodera un'interpretazione energica e vibrante raggiungendo ancora una volta l'apice nell'immediato refrain. Un breve intermezzo cadenzato ed un paio di assoli orientati più sull'impatto che sulla tecnica disegnano nei minuti centrali uno scenario teso e combattivo, una produzione compatta e dalla marcata impronta live accentua questa peculiarità sottolineando il contributo di Nordström in cabina di regia. Il protagonista della storia dopo aver affrontato un lungo viaggio si ritrova in una terra buia e desolata, passata la notte scopre un mondo nuovo in cui gli viene offerto rifugio e la possibilita di trovare il coraggio neccessario per combattere una guerra che si preannuncia cruenta ed inarrestabile ("è arrivato il momento, deve essere fatto/lascia che si scateni la potenza dalla forza interiore, che inizi la guerra/finita la notte arriva la brillante l’età del metallo"). La traccia/simbolo "HammerFall" in cinque minuti e quarantacinque secondi racchiude una serie di elementi riconducibili al miglior power metal teutonico; gli svedesi puntano nuovamente sulla velocità componendo una cavalcata che fonde con maestria armonia ed irruenza; echi dei Gamma Ray più furiosi affiorano nel ritmo serrato dettato da basso e batteria (la doppia cassa è letteralmente incontenibile). Joacim sfruttando questa base porta la sua voce su tonalità sempre più alte, il cantante in una manciata di battute passa dai versi iniziali ad un bridge che prepara il terreno ad un ritornello epico, trionfante ed impossibile da dimenticare. L'operato di Oscar e Glenn è sempre in primo piano ma sotto l'aspetto puramente tecnico i due guitar players danno il massimo nel break strumentale, una rapida successione di fraseggi e solos oltre a confermare le qualità della coppia rivelano una marcata devozione nei confronti dei maestri Dave Murray e Adrian Smith. L'ensemble nella penultima parte riprende la struttura originaria per poi trasformarla in un epilogo cadenzato e contraddistinto dalla presenza di un imponente coro che accompagna in maniera solenne le ultime frasi di Cans. Il testo ancora una volta ruota attorno al tema della battaglia; un guerriero prima di partire per l'ennesimo conflitto si rivolge a delle entità superiori (chiamate Dei del Metallo) per affrontare senza nessun tipo di paura il proprio nemico, il consiglio degli Dei è quello di seguire il cuore e di ascoltare la voce della saggezza insita nell'animo di ogni combattente ("just follow your heart, don't listen to the crowd, the wisdom, the voice is calling from inside/the time long forgotten will soon come again/prepare for the meeting, the Gods of Metal reign"). Gli svedesi mostrano un lato intimo e malinconico nella ballad "I Believe" (Io Credo); l'unione tra sonorità unplugged ed elettriche crea una linea melodica talmente penetrante da toccare le corde dell'anima. Il singer accompagnato dalla chitarra acustica segue questa scia emotiva destreggiandosi nelle strofe su registri più bassi rispetto a quelli delle tracce precedenti, i suoni elettrici e l'efficace apporto delle tastiere intensificano un refrain che per intensità e appeal melodico rievoca lo stile del rock svedese degli Eighties (con gli eterni rivali Europe e Treat in prima fila). Elmgren per la prima volta nella storia del gruppo sale in cattedra con l'esecuzione di un assolo in bilico tra pathos ed emotività, rimarcando in una toccante sequenza di note i pensieri ed il dolore del protagonista della storia; la scomparsa della persona amata lo tormenta incessantemente, i momenti felici sono diventati soltanto dei ricordi lontani e quando piove a dirotto il dolore diventa insostenibile. Un'ulteriore conferma dell'attitudine true degli HammerFall arriva con una travolgente cover di "Child of the Damned" (Figlio dei Dannati) dei californiani Warlord; ad eccezione dei brevi intro e outro di tastiere presenti nell'originale, gli svedesi propongono una versione che ricalca fedelmente la struttura del brano tratto dallo storico EP del 1983 "Deliver Us". Partendo da quel memorabile riff che nel corso degli anni ha ispirato decine di gruppi (basti pensare a "Lionheart" dei Grave Digger) il quintetto irrompe con la stessa forza e lo stesso alone di oscurità riversati dalla band di William J Tsamis. Joacim adotta un approccio più pulito rispetto a quello teso e ruvido di Damien King I ma la rabbia sprigionata dal cantante è paragonabile a quella del suo illustre collega, naturalmente è obbligatorio evidenziare anche un guitar work che rispettando in pieno i dettami del genere ha lasciato un segno indelebile nella storia dell'heavy metal. I versi descrivono l'irruzione di una figura diabolica e spietata, la sua missione è quella di diffondere un messaggio alquanto esplicito a tutti gli esseri umani: "tradisci gli obiettivi della tua vita, il tuo senso e l’ambizione/non significa niente per te, dopo tutto è superstizione!" La frase tratta dal Paradiso Perduto di John Milton "è meglio comandare all’inferno che servire in paradiso" conclude una discesa nelle tenebre dalla quale sembra impossibile salvarsi. Una possente sovrapposizione delle chitarre in fade-in dà il via all'anthemica "Steel Meets Steel" (L’acciaio incontra l’acciaio) la band appoggiandosi sulle trame costruite da Dronjak e Ljungström sviluppa un eccellente punto di incontro tra la scena britannica e quella tedesca, l'ombra dei giganti Judas Priest e Accept è percepibile in ogni frammento della traccia; l'influenza dei primi è predominante nelle armonie che avvolgono le strofe, quella dei secondi emerge con tutta la sua furia in un chorus rapido ed iper-aggressivo. I tempi nella sezione centrale diventano più articolati; il lavoro degli axemen pur non essendo particolarmente tecnico domina la scena grazie ad una rilevante dose di inventiva e accompagna Cans in una progressione ritmica che sfocia nell'ultimo ed implacabile assalto. Il testo celebra il ruolo dei templari durante la prima crociata, un breve riassunto delinea le tappe cruciali della guerra indetta da Papa Urbano II nel 1095; i versi si soffermano sul temperamento e sul valore di questi cavalieri, una lunga serie di battaglie combattute a colpi di spada li conduce nel 1099 all'assalto e alla conquista della Terra Santa ("noi, i templari, siamo sopravvissuti per l'onore e l’orgoglio, e la benedizione della spada/la ricerca della guerra, per sempre cantata, al suono dell’acciaio che incontra l’acciaio"). In "Stone Cold" (Pietra Fredda) gli svedesi modificano in parte i loro schemi compositivi eseguendo un up tempo dagli evidenti rimandi al class metal degli anni ottanta; un intreccio ritmico/solista di chitarre in una cinquantina di secondi prepara il terreno ad una struttura governata da un drumming lineare e da una prova di Cans poliedrica e costantemente votata alla melodia, peculiarità rintracciabile in particolar modo nel trascinante acuto presente nel ritornello. Sorprende la decisione di eseguire una parte strumentale incentrata esclusivamente su un riffing quadrato ed aggressivo, questa parentesi insolita è seguita da un'improvvisazione inserita con lo scopo di creare uno dei momenti di maggior coinvolgimento nelle esibizioni dal vivo attraverso la riproduzione di un pubblico rumoroso ed euforico che costituisce il sottofondo ad una roboante ripetizione del titolo. Come ben sappiamo non si tratta di una novità (personalmente ho scoperto questo effetto nel 1985 con Heavy Metal Is The Law degli Helloween) ma nel contesto di una traccia con le caratteristiche sopraelencate rappresenta un valore aggiunto ed un mezzo in grado di trasportare l'ascoltatore nella dimensione più congeniale per una metal band. Il protagonista della trama è un soldato che in una disperata lotta per la sopravvivenza continua a battersi nelle strade che una volta erano la sua casa, i giorni d'oro sono finiti ed in mezzo alle rovine intravede dei bambini che pregando cercano riparo dall'orrore che avvolge l'intero paesaggio, durante i combattimenti continua a domandarsi se è ancora un uomo o è diventato solamente una macchina da guerra ("stone cold, man or machine?/stone cold, the end of our dream"). "Unchained" (Scatenato) presenta una significativa fusione tra due stili differenti scolpiti nel DNA degli HammerFall; nei primi minuti il combo riprende a marciare sui tempi sostenuti tipici del power rivestendoli con una serie di melodie immediate ed accattivanti, Joacim in questo frangente conferma le sue straordinarie doti canore guidando i compagni con un piglio da autentico leader. Il basso di Fredrik nella parte centrale trasforma il brano in un granitico mid tempo, la componente tecnica riemerge nei vorticosi fraseggi eseguiti dai chitarristi, l'aura epica e combattiva riversata dal frontman aumenta la tensione a dismisura e crea l'input ideale per un epilogo all'insegna della velocità. Le liriche narrano la storia di un Re spodestato dal trono ed imprigionato brutalmente con delle catene, un manipolo di soldati arriva per salvarlo da una prigionia destinata a durare in eterno. Spronato dallo spirito di fratellanza dei suoi uomini il sovrano partecipa alla battaglia per riconquistare orgogliosamente il suo regno ("i fratelli d’armi stanno combattendo stasera, le forze dell’acciaio si incontrano di nuovo/nati nel fuoco, guardiamo il cielo/il potere del metallo scatenato"). La chiusura dell'album è affidata alla commovente title track, gli svedesi terminano il loro viaggio firmando in oltre sette minuti di durata una delle ballad più emozionanti e profonde composte negli anni novanta sia sotto il profilo musicale che sotto quello lirico; le note di un pianoforte seguite dalla chitarra solista introducono un crescendo emotivo governato da una prova di Cans colma di trasporto e drammaticità (il brano è dedicato a suo nonno, deceduto prima delle registrazioni del platter). I delicati arpeggi delle strofe cedono progressivamente lo spazio ai toni più duri degli strumenti elettrici creando il preludio ad un refrain dotato di una sensibilità ed un trasporto con pochi eguali. Le armonizzazioni del break puntando sul pathos creato dalle melodie portanti si rivelano particolarmente efficaci nell'elaborare il trait d'union con l'ultima strofa ed un maestoso finale caratterizzato da una lunga ripetizione del ritornello in fade-out. Il testo esprime un sentito tributo ad un eroe scomparso; un paesaggio ricoperto dalla neve è il luogo dove emerge tutto il dolore degli uomini che hanno combattuto al suo fianco ma le imprese compiute manterranno vivo per sempre il ricordo di un guerriero intrepido e leggendario ("niente sulla terra vive per sempre ma nessuna delle tue azioni è stata vana/nel profondo dei nostri cuori vivrai ancora, sei andato nella casa dei coraggiosi").
L'importanza di Glory to the Brave nella scena metal dei Nineties può essere idividuata sotto vari aspetti: seguendo meticolosamente i trademark dei dei loro idoli gli HammerFall hanno contribuito in maniera fondamentale all'espansione ed alla popolarità di una nuova ondata heavy/power che seppur breve ha avuto il grande merito di far risplendere il genere in un periodo in cui molti lo ritenevano incapace di tornare agli antichi splendori. La band potendo contare su una massiccia dose di determinazione e su un lotto di tracce immediate, incisive e soprattutto coinvolgenti ha ottenuto dei risultati straordinari saltando a pié pari quella spasmodica ricerca dell'originalità che per alcuni nomi storici dell'universo hard & heavy si è trasformata in un tunnel apparentemente senza via d'uscita. In poco più di un anno tutti gli obiettivi che Dronjak e soci si erano prefissati al termine di quel fatidico Rockslaget sono stati raggiunti decretando così un nuovo moniker ed un debut album da inserire obbligatoriamente nelle posizioni più alte delle classifiche del 1997 (tra l'altro con la concorrenza a dir poco agguerrita di Somewhere Out in Space dei Gamma Ray e Visions degli Stratovarius). Ovviamente in questo trionfo non sono mancate le critiche; per qualche detrattore con scarse doti da profeta gli HammerFall erano soltanto un "fenonemeno passeggero destinato a sparire nel giro di pochi anni" ma come tutti sanno la carriera degli svedesi è andata avanti in una direzione diametralmente opposta.
1) The Dragon Lies Bleeding
2) The Metal Age
3) HammerFall
4) I Believe
5) Child of the Damned
6) Steel Meets Steel
7) Stone Cold
8) Unchained
9) Glory to the Brave