HAMMERFALL
Crimson Thunder
2002 - Nuclear Blast
DONATELLO ALFANO
18/03/2015
Recensione
Göteborg, gennaio 2001; a tre mesi di distanza dal rilascio del terzo full-length Renegade gli HammerFall inaugurano un tour mondiale che dalla natia Svezia in poco più di quaranta giorni tocca tutti quegli stati che con degli incontestabili dati di vendita hanno decretato il sucesso del quintetto nel Vecchio Continente. Dopo questi show la band a marzo raggiunge il Sud America per una serie di concerti in Cile, Uruguay, Brasile e Colombia, ribadendo per l'ennesima volta una popolarità che da tempo ha oltrepassato i confini europei, con le esibizioni nei principali festival estivi come lo Sweden Rock, il Roskilde, lo Sziget e l'immancabile Wacken Open Air gli svedesi concludono trionfalmente il Renegade World Crusade ed indirizzano tutte le energie sul songwriting del quarto album. Joacim Cans contemporaneamente accetta con grande entusiasmo la proposta di William J Tsamis di ricoprire il ruolo di singer in Rising Out of the Ashes dei redivivi Warlord, ripensando alla cover di Child of the Damned inclusa nel debut Glory to the Brave ed alla collaborazione in "At the End of the Rainbow" nel secondo Legacy of Kings, la scelta del chitarrista statunitense sembra la più adatta per far risplendere un monicker storico dopo quindici anni di assenza. La deludente esperienza americana ai Wire World Studios di Michael Wagener spinge il combo ad incidere il nuovo Crimson Thunder in tre diversi studi europei; sotto la supervisione dell'esperto Charlie Bauerfeind (Blind Guardian, Helloween, Saxon e Angra) gli HammerFall nella tarda primavera del 2002 si dividono tra Olanda (Wisseloord) Germania (Twilight) e Tenerife (Mi Sueño) per registrare un lavoro che dopo le imperfezioni di Renegade deve obbligatoriamente presentare un suono in grado di esaltare l'heavy/power che fin dagli esordi ha marchiato il loro percorso artistico. La Nuclear Blast intanto basandosi sull'antipatica regola del battere il ferro finché è caldo a luglio pubblica nel doppio formato VHS/DVD The Templar Renegade Crusades, un documentario che seguendo la direzione tracciata dal precedente The First Crusade riassume la storia del gruppo dai primi mesi del 1999 al tour di supporto dell'ultimo album, ovviamente anche in questa release non mancano il solito making of ed i videoclip girati per "Renegade", "Always Will Be" e la cover del classico degli Helloween "I Want Out" in compagnia dell'amico Kai Hansen. Purtroppo ad agosto l'attesa per questo comeback passa in secondo piano a causa di un folle che in un pub di Göteborg dopo aver manifestato la sua repulsione per la musica del gruppo aggredisce violentemente Cans e la sua compagna scaraventando un biccchiere di vetro sul cantante, procurandogli delle ferite all'occhio sinistro medicate con venticinque punti di sutura. Un gesto inqualificabile generato dalla violenza più becera che Joacim anche grazie al sostegno ed all'affetto dei suoi fans riesce a lasciarsi alle spalle nonostante i segni dell'aggressione ancora ben visibili sul suo volto. Il ventotto ottobre la musica torna ad essere la grande protagonista, Crimson Thunder arriva nei negozi con una novità; a differenza dei suoi predecessori la copertina non è disegnata da Andreas Marschall ma dal californiano Samwise Didier, le differenze tra i due sono piuttosto evidenti; lo stile del primo è sempre stato un sinonimo di ricerca e cura anche nel più piccolo dettaglio, quello del secondo invece mostra un approccio fumettistico meno raffinato ed incentrato sulle caratteristiche dei personaggi raffigurati. Hector con il suo inseparabile martello ed uno scudo affronta una figura demoniaca armata di un mazzafrusto di fuoco; il blu, il rosso ed il giallo sono i colori che dominano un'immagine indubbiamente meno incisiva rispetto a quelle ammirate in passato e che si distingue soprattutto per la decisione di inserire per la prima volta il titolo dell'album sotto il nome della band.
Gli accordi affilati delle chitarre ed i rimbombanti colpi sui tom erigono il riff portante dell'opener "Riders of the Storm" (Cavalieri della Tempesta) l'ingresso all'unisono di tutti gli strumenti al quindicesimo secondo trasforma il brano in un roccioso mid-tempo capace di catapultare l'ascoltatore in uno scenario teso e battagliero. Joacim Cans appoggiandosi sulle linee elaborate dai chitarristi si destreggia attraverso dei registri canori che rispettando alcuni classici dell'ensemble passano in pochi istanti dall'epicità delle strofe all'accattivante melodia del pre-chorus, quest'ultimo prepara il terreno ad un ritornello che presentando il consueto schema del titolo intonato a pieni polmoni seguito da un controcanto più armonioso conferma la propensione del quintetto nel puntare più sulla sostanza che sulla forma, una caratteristica che ancora una volta lascia un segno indelebile in una manciata di versi semplici ed immediati. Nel break un intervento del frontman avvolto da tonalità alte ed evocative compone il preludio ad un assolo di Oscar Dronjak non particolarmente tecnico ma caratterizzato da un impeccabile appeal melodico, Stefan Elmgren entra in scena nella seconda parte accompagnando il leader in una breve armonizzazione che sfocia prima nella ripresa delle battute iniziali e successivamente nella ripetizione per quattro volte del ritornello. La produzione di Bauerfeind occupa un ruolo fondamentale all'interno dell'album; il lavoro del tedesco senza ricorrere in sovraincisioni o sterili trucchetti da studio mette in risalto un suono possente, compatto e nel quale anche il batterista Anders Johansson dopo la prova leggermente sottotono di Renegade riesce a ritagliarsi il suo meritato spazio. Il testo prendendo spunto dalla letteratura fantasy celebra l'audacia ed il valore di un gruppo di cavalieri chiamati a combattere contro delle forze malvagie e dai poteri soprannaturali; lo scopo di queste entità scese sulla Terra da una dimensione parallela è quello di impossessarsi e controllare il pianeta, nel momento cruciale della lotta i protagonisti sono pronti a tutto pur di sconfiggere il nemico, un obiettivo che deve essere raggiunto ad ogni costo perchè il destino e la rinascita del popolo è soltanto nelle loro mani. Il singolo "Hearts on Fire" (Cuori in Fiamme) in meno di quattro minuti sintetizza tutte le prerogative degli HammerFall più diretti ed adrenalinici; un riffing impetuoso sviluppato nella sua totalità con il trascorrere dei secondi dà il via ad un uptempo votato allo stile di un Heavy Metal genuino e privo di orpelli. Joacim appoggiandosi sui ritmi incalzanti costruiti da basso e batteria sfodera una encomiabile versatilità vocale, il singer guidato dal progressivo aumento dei volumi degli strumenti eleva gradualmente la sua voce toccando l'apice nella sezione bridge/refrain, la tensione esplode nel vorticoso coro "hearts on Fire, hearts on Fire, burning, burning with desire", la decisione di incentrare il brano su queste parole è il mezzo più efficace per tramutarlo in un inno del nuovo millennio ma leggendo con attenzione il testo dimostra anche di essere la componente perfetta per dare ulteriore risalto alla storia raccontata dal cantante. Le liriche descrivono il ritorno dei templari sul campo di battaglia dopo un lungo esilio; spronati dalla volontà di spodestare dal trono i sovrani/tiranni che li hanno condannati si preparano ad uno scontro senza esclusione di colpi in cui saranno gli unici trionfatori perchè il fuoco che anima i cuori di questi cavalieri ha continuato a bruciare nell'attesa di una rivincita attuata in nome della libertà. Il solo di Stefan oltre a spiccare per l'abilità con la quale fonde tecnica e melodia svolge un ruolo di ponte con una penultima parte contraddistinta dalla ripetizione per ben sedici volte del titolo, la sezione ritmica ed il roboante hearts! urlato dai cori accompagnano una scalata che sfocia in un ultimo e travolgente assalto, determinando in questo modo il tassello conclusivo di un episodio impossibile da dimenticare e destinato a scatenare un pandemonio nelle esibizioni dal vivo del quintetto. In "On the Edge of Honour" (Al limite dell’Onore) gli svedesi rileggono la struttura della vecchia "Warriors of Faith" in una forma più veloce ed aggressiva: i tratti distintivi del power/speed teutonico tornano alla ribalta in un brano che mantenendosi su ritmiche serrate e lineari presenta una lodevole dose di dinamismo. La doppia cassa di Johansson comincia a far sentire il suo peso supportando le trame elaborate dai chitarristi ed una timbrica sempre più vibrante e carismatica, la simbiosi tra questi elementi delinea un'inarrestabile corsa che tocca il punto più alto in termini di intensità in un bridge che ricorda vagamente quello di Will the Sun Rise? degli Stratovarius. Il ritornello così come era avvenuto nella nona traccia di Legacy of Kings arriva dopo la seconda strofa presentando uno schema più armonico rispetto a quelli delle tracce precedenti senza intaccare minimamente l'impatto riversato nei minuti iniziali. Sotto il profilo compositivo la maturità del gruppo emerge in pieno nella parte centrale; Elmgren esegue un assolo breve e invcisivo, Dronjak entra nella successiva armonizzazione per plasmare il trait d'union con una rapida incursione di Cans immersa in suggestioni epiche e trionfanti, un altro solo di Stefan sulla falsariga del primo e l'altisonante coro oooh... che recupera la melodia principale terminano nel classico epilogo segnato dalla ripresa della strofa e del ritornello. Liricamente il pezzo ricollegandosi a quello di "Riders of the Storm" offre una chiave di lettura alquanto personale sulla lotta tra luce e tenebre; i protagonisti definiti "angeli caduti" sono dei guerrieri resuscitati per sconfiggere i demoni che con l'inganno li hanno condotti all'inferno, sono gli unici che possono annientare queste figure maligne e liberare la Terra dalla schiavitù e dall'oscurità, la resurrezione dei soldati determinerà l'agognata vittoria del bene sul male. Gli stilemi dell'epic metal affiorano nell'imponente "Crimson Thunder" (Tuono Cremisi) attraverso una formula consolidata e dalla marcata matrice ottantiana la title track riafferma la maestria del gruppo nel forgiare delle piccole opere puntando soltanto su un incedere cadenzato e magnetico. I colpi sul rullante di Anders introducono un monolite metallico sorretto da un guitar work che nella sua linearità costituisce una valida base per un'altra eccellente interpretazione di Joacim, il cantante dai toni fieri ed enfatici dei primi versi si sposta rapidamente sulle note più alte del pre-chorus, questo crescendo canoro è architettato ad hoc per cedere la scena all'aura mistica e magniloquente di un ritornello in cui riemergono le caratteristiche di "At the End of the Rainbow" sia per le armonie che per l'utilizzo delle backing vocals, al contrario di quanto si possa pensare non si tratta di un auto-plagio, piuttosto di una prosecuzione "oscura" di uno degli highlights dell'onnipresente Legacy of Kings. Il lavoro delle sei corde tratteggia ogni passaggio del brano mostrando anche una piccola variazione melodica nell'assolo di Stefan, i virtuosismi del chitarrista evidenziano delle innegabili doti tecniche messe come sempre al servizio della canzone e confluiscono nell'ultimo pre-chorus, questo segmento cede lo spazio ad una sezione marchiata dalla fusione tra le corde del basso di Magnus Rosén e la voce di Cans intenta a ripetere le parole "follow the signs of the crimson thunder..." il tutto coadiuvato da un lieve effetto eco in sottofondo. Chitarre e batteria riprendono il loro posto per firmare la chiusura di un racconto perennemente in bilico tra fantasia e realtà; il tuono del titolo simboleggia l'irruzione di un manipolo di soldati arrivati per combattere al fianco di un popolo oppresso ed indicare la strada per trionfare in una battaglia che si preannuncia lunga e difficoltosa. I soldati esternano la forza e la temerarietà scolpite nelle loro anime utilizzando alcune frasi riconducibili all'immaginario fantasy come noi siamo le stelle nel cielo, noi raduniamo venti in modo che tu possa volare, noi siamo la luce mentre stai dormendo, con questo proclama trionfante sono pronti ad intraprendere l'ennesimo conflitto. "Lore of the Arcane" (Dottrina dell'Arcano) è un intermezzo strumentale di un minuto e ventisette secondi composto esclusivamente dalla riproduzione di un ossessivo coro simil-gregoriano sovrapposto ad una melodia tastieristica dall'atmosfera buia ed enigmatica; ascoltandolo attentamente si ha la netta sensazione di essere al cospetto di un estratto preso dalla colonna sonora di un ipotetico kolossal d'avventura, la tensione crescente trasmessa da questo accostamento non è così lontana da quelle presenti nelle grandi produzioni hollywoodiane e svela un nuovo volto di Oscar come compositore, in un primo momento può sembrare una divagazione un tantino fuori contesto all'interno dell'album ma basta ascoltare l'intro della successiva "Trailblazers" (Pionieri) per comprendere la ragione della suo inserimento. Il fraseggio introduttivo amplifica la linea del brano precedente per costruire l'input ad un riffing quadrato, prorompente e capace di incarnare la vera essenza del metal. Chitarre e sezione ritmica avanzano di pari passo elaborando un continuo susseguirsi di accelerazioni e rallentamenti profondamente influenzati dalle leggendarie cavalcate degli Iron Maiden; i tempi sostenuti imperversano nelle strofe dando la possibilità a Cans di sciorinare una delle migliori performance della sua carriera, la voce del frontman seguendo le evoluzioni ritmiche degli strumenti si lancia in quelle tonalità acute e vibranti che hanno contribuito in maniera determinante al successo degli HammerFall, curiosamente l'apogeo di questa scorribanda viene raggiunto nel bridge, merito anche di una doppia cassa inserita con disinvoltura nel frammento più veloce del pezzo. Un fragoroso colpo sui tom simile al rumore di un tuono apre la strada all'incedere cadenzato di un refrain tanto schietto quanto accattivante, lo schema come da copione viene ripetuto due volte sviluppandosi successivamente nel ritmo frenetico di una sezione centrale segnata dall'unione tra l'ottimo assolo di Elmgren, una rapida armonizzazione e da una digressione del cantante rivestita da un mood dalle tinte epiche e solenni, alla resa dei conti in soli quarantacinque secondi il quintetto crea un valore aggiunto ad una storia che decanta le lodi di un esercito intrepido ed invincibile. Al termine di un lungo viaggio i pionieri vengono condotti dal richiamo del tuono in un luogo devastato dalla ferocia del nemico; i venti autunnali ed i fiumi rosso sangue rappresentano i presagi di una nuova battaglia, combattono fianco a fianco con coraggio ed irruenza rimandando gli avversari nelle loro tombe, tuttavia la missione dei protagonisti sembra non essere ancora finita, il ritorno della malvagità è un incubo ricorrente ma questo pericolo non spaventa dei guerrieri dotati del potere di creare il proprio destino. Un'anima colma di passione e romanticismo avvolge la ballad "Dreams Come True" (I Sogni diventano Realtà) gli svedesi per la prima volta compongono un lento acustico privo di basso e batteria; il successo ottenuto da "Always Will Be" probabilmente avrà influito su questa decisione, parlare di mossa studiata a tavolino è eccessivo ma qualche dubbio può anche essere giustificato. Un delicato giro armonico disegnato dalle chitarre costituisce l'incipit per una interpretazione canora avvolta da toni profondi e intimi, Cans guidato da un lieve arpeggio nelle strofe punta tutto sulla sensibilità per esprimere una dichiarazione d'amore rivolta ad una donna che con il suo affetto è riuscita a riportare la luce nel cuore di un uomo reduce da un periodo buio e apparentemente senza via d'uscita. Il violoncello dell'ospite Boris Matchin è il vero copratogonista della track accompagnando dall'inizio alla fine la spirale emotiva del cantante, l'impostazione di quest'ultimo diventa più alta e veemente nell'accoppiata bridge/ritornello, la sovrapposizione delle voci ricopre un aspetto basilare nel sottolineare le riflessioni dell'uomo; si perde nello sguardo della donna e i baci ricevuti avvalorano il pensiero che sarà per sempre al suo fianco, i giorni difficili e l'oscurità che hanno segnato gran parte della sua vita sono un brutto ricordo, adesso è consapevole che l'amore può trasformare i sogni in realtà. Dronjak nell'assolo modifica la componente melodica eseguendo una sequenza di note riconducibile ad una trasognata sinfonia unplugged, questa peculiarità delinea una piacevole variazione ad un pezzo formalmente ineccepibile ma un po' lontano dagli standard mostrati nel recente passato da ballads come "I Believe", "Remember Yesterday" e la stessa "Always Will Be". Dopo l'assenza su Renegade gli HammerFall celebrano nuovamente gli anni ottanta con la cover di "Angel of Mercy" (Angelo della Misericordia) degli statunitensi Chastain, una scelta coraggiosa considerando l'atmosfera cupa e opprimente della quinta traccia di Ruler of the Wasteland (autentico masterpiece pubblicato nel 1986 dalla Shrapnel Records). Gli svedesi come era prevedibile propongono una versione piuttosto fedele all'originale aggiungendo o rimuovendo solo qualche piccolo particolare; un arpeggio sinistro disegna l'introduzione ad una prova di Joacim dall'approccio oscuro e nervoso, il timbro del cantante rimane saldamente ancorato alle coordinate che caratterizzano il sound del suo gruppo e compete ad armi pari con quello ruvido e iper-aggressivo della collega Leather Leone reinterpretando con trasporto ogni verso fino alla straordinaria apertura melodica di un refrain che ancora oggi risplende per la sua incisività ed il suo ardore. L'arpeggio iniziale nella seconda strofa si trasforma in un granitico riff frapposto all'andamento cadenzato dettato dalla sezione ritmica, la voce proseguendo sulla stessa impostazione del primo minuto lega impeto e melodia toccando l'apice nel monito esternato nel refrain, in cui si chiede all'angelo di far ascendere l'uomo, di portarlo via con sè; queste frasi riassumono la richiesta ad un inquietante giudice/giustiziere apparso per porre fine all'esistenza di un individuo che ha vissuto ingannando il prossimo per degli squallidi interessi personali, l'incontro con il suo carnefice non gli darà scampo impedendo così la realizzazione di un altro piano diabolico. Il pezzo cambia pelle nel break con una struttura ai confini del progressive metal; Stefan su ritmi più articolati alterna con mestiere i fraseggi e gli assoli firmati da David T. Chastain anche se ad onor del vero nell'unico segmento veloce i virtuosismi dello shredder di Atlanta vengono eliminati in toto, il motivo di questa esclusione presumibilmente va ricercato nella volontà del quintetto di creare una linea di continuità con le altre tracce dell'album ed esaminato in quest'ottica sembra la decisione più indicata. Strofa e refrain tornano a far capolino per tratteggiare gli ultimi istanti di vita della vittima raffigurati attraverso il ticchettio di un orologio, l'angelo della misericordia ha decretato il suo destino e niente e nessuno potrà cambiarlo. In "The Unforgiving Blade" (La Spada che non Perdona) il combo riprende a marciare sui territori di un mid-tempo immediato ed anthemico; la traccia è introdotta da un riff-rama tagliente ma che non brilla per originalità (sembra un medley rallentato tra 22 Acacia Avenue degli Iron Maiden e Paradise degli Stratovarius, con la seconda tra l'altro già pesantemente influenzata dal classico della vergine di ferro). L'ugola di Cans all'ottavo secondo modifica la direzione stilistica del brano sfruttando tonalità grintose ed evocative. Rosén e Johansson rinforzano l'ascesa del singer privilegiando l'impatto alla tecnica; nell'impenetrabile muro sonoro innalzato dai musicisti le melodie si incastrano con decisione rasentando livelli di perfezione nella trascinante armonia del pre-chorus. Il passaggio più arioso del brano termina nei potenti intrecci vocali elaborati nel ritornello, l'assordante falling scagliato dal coro accentua poche frasi che rispettando i dettami del metal degli Eighties riescono nella difficile impresa di risultare personali ed ispirate. Nel minuto centrale voce e batteria incattiviscono la struttura alternandosi in un fulmineo stacco ritmico seguito da un cambio melodico sviluppato in una trentina di secondi dal solo di Elmgren, il reinserimento del pre-chorus e del ritornello marchia un finale ad una velocità più sostenuta incentrata su una doppia cassa in grado di offrire un apporto significativo a tre minuti e quaranta secondi di puro e incontaminato Heavy Metal. Il testo è un atto d'accusa nei confronti di una persona che ha deluso le aspettative e tradito la fiducia delle persone che credevano ciecamente in lui; anche se non è specificato è naturale identificare in questa figura quella di un re che con il suo comportamento deplorevole sta mandando in rovina il mondo intero, soltanto la spada di un vendicatore risorto da un'epoca leggendaria può fermare lo lo scempio perpetrato dal sovrano. La strumentale "In Memoriam" rappresenta una parentesi al di fuori del concept degli HammerFall; la traccia infatti è un tributo dedicato al compianto Chuck Schuldiner (R.I.P.) il ruolo di opening act nel tour statunitense dei Death del 1998 oltre ad essere stata un'esperienza decisamente importante sancì la nascita di una vera amicizia tra la band e Chuck. Stefan per ricordare i momenti passati insieme scrive un lento costantemente in bilico tra emotività e dolore per la scomparsa di un musicista ineguagliabile portato via dalle mani del destino troppo presto. Le corde del guitar player fin dalle prime battute guidano il pezzo con una linea melodica delicata e commovente, questa sfumatura nella prima parte si estende in una esecuzione nella quale è una toccante epicità a prendere il sopravvento, il basso ed un tappeto tastieristico appena accennato formano un sottofondo suggestivo nel mosaico costruito dal chitarrista e dopo pochi istanti lo trasportano ad una seconda parte più energica. La chitarra ritmica e la batteria entrano al sessantasettesimo secondo limitandosi ad una funzione di accompagnamento per un secondo intervento di Elmgren che continua sullo stesso percorso tracciato nell'intro ma aumentato leggermente nei volumi. L'assolo a metà brano mette in luce dei toni più profondi e struggenti, rimarcando così il senso di vuoto causato dalla perdita di un artista che per gli svedesi è stato contemporaneamente un maestro ed un amico. La ripresa della melodia principale si protrae per oltre un minuto in fade-out donando all'epilogo un'aura talmente solenne ed ipnotica da arrivare a sfiorare le corde dell'anima, degna conclusione per un tributo sentito, appassionato e che arriva direttamente dal cuore. La band imprime il sigillo finale dell'album con l'avvincente e combattiva "Hero's Return" (Il Ritorno dell’Eroe) la riproduzione di una sezione d'archi apre la track rivelando immediatamente la melodia portante; dopo trenta secondi il quintetto dà fuoco alle polveri con un uptempo in grado di spezzare quella sottilissima linea che divide power e classic metal. Gli elementi cardine dei due generi convivono magistralmente per tutta la durata del pezzo e spronano il combo ad una prova corale nella quale ogni componente riesce ad esprimersi al massimo delle sue potenzialità. Nelle strofe Joacim presenta la consueta interpretazione divisa tra vigore e armonia; sorretto da uno dei riff più aggressivi composti da Dronjak il cantante intensifica il timbro nel bridge per confluire nel poderoso acuto intonato in un ritornello epico, ridondante ed amplificato al secondo giro da un consistente uso delle backing vocals. L'ensemble senza spostarsi di una virgola dalle ritmiche sostenute ascoltate finora continua a sorprendere anche nella parte centrale; una magnifica variazione melodica prende forma nel fraseggio e negli assoli degli axemen, quando tutto sembra essere giunto al termine il coro oooh... e la voce di Cans si fondono per reinterpretare le linee plasmate dalle chitarre. Bridge e ritornello riacquistano una posizione predominante nell'epilogo lasciando però il compito di chiudere definitivamente il brano ad un clavicembalo inserito per far riecheggiare in fade-out queste penetranti note in una veste più malinconica ed introspettiva. Le liriche descrivono la voglia di reagire di un popolo schiacciato dalla paura e dall'oscurità che attanagliano la loro terra, nel momento in cui anche l'ultimo barlume di speranza sembra un'utopia un eroe invocato dalle loro preghiere li incoraggia a battersi contro il nemico con rabbia e onore per poter sperare in un futuro migliore. Il coraggio ed il fervore del protagonista vengono sottolineati dalle frasi "behold, the might of the hammer, elliptical bolts of fire/there’s nowhere to run, nowhere to hide, you’re down to the wire" ("guarda la potenza del martello rotondeggiante, ellittici lampi di fuoco/non c’è posto dove scappare o nascondersi, sei ai tuoi ultimi istanti") sono sufficienti queste parole per identificare nell'eroe la mascotte Hector.
Crimson Thunder è un lavoro che riporta gli HammerFall direttamente nel gotha dell'heavy/power mondiale; il gruppo attraverso un lotto di brani dal potenziale piuttosto elevato ha compiuto dei significativi passi in avanti senza tradire lo spirito degli esordi, paragonato all'album precedente il platter si attesta ad un gradino superiore sotto ogni punto di vista, a cominciare dalla maturità acquisita nel songwriting da Dronjak e Cans dopo la fine della lunga collaborazione con Jesper Strömblad. Escludendo "In Memoriam" (scritta da Elmgren) e ovviamente "Angel of Mercy" le tracce del disco denotano l'inclinazione dei leader nell'elaborare delle strutture più dinamiche e ricercate in modo da evidenziare le numerose sfumature presenti nei quarantasette minuti di durata del full-length. I momenti poco ispirati o legati in maniera fin troppo evidente ad alcuni pezzi del passato che ogni tanto spuntavano su Renegade sono stati eliminati a favore di un sound che fondamentalmente è sempre quello con cui la band è riuscita ad imporsi nel sovraffollato panorama metal dei Nineties riletto però in un'ottica al passo coi tempi e caratterizzato da una personalità che mossa dopo mossa diventa sempre più consistente. La title track, "On the Edge of Honour", "Trailblazers" e "Hero's Return" sono gli esempi più rappresentativi del nuovo percorso intrapreso dall'ensemble ma non sono gli unici episodi degni di nota dell'album, il lavoro analizzato nel suo insieme non presenta nessun punto debole, ogni brano possiede svariati motivi di interesse non solo per chi segue il quintetto dai tempi dell'indimenticabile Glory to the Brave ma anche per chi è convinto che nello stile degli svedesi oramai non si può andare oltre il concetto di quella ripetitività che nel corso degli anni si è trasformata in un'arma a doppio taglio per decine e decine di gruppi. Gli HammerFall tirando le somme con Crimson Thunder confermano la loro posizione tra i maggiori esponenti di un genere che dopo i fasti della seconda metà degli anni novanta sta tentando con molta fatica di risalire la china, parlare di "rinascita" è fuori luogo. Diversi fattori inducono a pensare che il periodo di transizione cominciato nel 2000 è destinato a protrarsi ancora a lungo ma gli svedesi per nulla intimoriti da questa prospettiva continuano a realizzare delle opere sulle quali si può scommettere a occhi chiusi per il futuro dell'Heavy Metal, in fondo non ci vuole molto per rendersene conto, basta seguire i segnali del tuono cremisi...
1) Riders of the Storm
2) Hearts on Fire
3) On the Edge of Honour
4) Crimson Thunder
5) Lore of the Arcane
6) Trailblazers
7) Dreams Come True
8) Angel of Mercy
9) The Unforgiving Blade
10) In Memoriam
11) Hero's Return