GODFLESH
Xnoybis
1995 - Columbia Records
DAVIDE PAPPALARDO
28/04/2019
Introduzione Recensione
Il nostro viaggio nella discografia dei Godflesh, ovvero Justin Broadrick e G.C Green, pionieri britannici del industrial metal, continua, andando ad analizzare episodi "minori", ma ugualmente significativi per la storia del duo. Torniamo nel 1995, un anno dopo la pubblicazione del disco "Selfless", il quale aveva portato il progetto verso alcune tendenze che verranno sviluppate più ampiamente nei lavori futuri. il loro suono pesante ed asfissiante si stava sempre più aprendo a motivi che potremmo definire rock, abbracciando strutture più libere e formati vicini alla tradizione. Rimaneva comunque una certa pesantezza supportata da un'elettronica caustica e minimale, accentuata oltremodo da una drum machine glaciale e da chitarre ad accordatura bassissima. All'epoca, comunque, l'album ebbe un certo effetto, anche perché si trattava della loro prima uscita tramite una major, ovvero la Columbia, risultando nel maggior numero di vendite fino ad ora ottenute; un risultato però questo che, a fronte di "sole" cento ottantamila copie, non diede soddisfazione alla nuova label, la quale abbandonò molto presto la band, ma non prima di pubblicare il singolo qui recensito, dedicato ad uno dei pezzi principali del disco, ovvero "Xnoybis", e ad alcune varianti e remix di quest'ultimo. Un brano che, secondo Broadrick in persona, incarna perfettamente il disco, in quanto ne rappresenta i temi di trascendenza spirituale, elemento tematico portante. Una fuga dai dolori della vita, dai ricordi, cercando qualcosa di oltre, di più grande della miseria umana quotidiana; anche nei temi quindi, inizia a farsi strada un elemento più umano ed organico, una disperazione onesta che cerca anche possibili speranze, per quanto destinate ad essere disattese. Anche musicalmente, la canzone da una buona sintesi del percorso intrapreso dai Godflesh, presentando sempre la presenza di fredde drum machine ossessive, ed accostandole ad un riff di chitarra minimale ed armonico, ma anche ad un suono di piano allora abbastanza inedito per la band. Un fase quindi di passaggio, che già incominciava ad allontanare alcuni puristi della prima ora, indignati dalla maggiore melodia e dalle tendenze più ragionate, e anche dalla produzione più pulita, presenti nell'opera, ma che aveva fatto in modo che il gruppo incominciasse ad essere conosciuto anche da un pubblico più vasto e legato al alternative e al post-metal. Per capire però le vere radici di questa situazione, dobbiamo un attimo tornare indietro e ripensare alla carriera del duo finora; nati dalle ceneri dei Fall Of Because, i Godflesh sconvolsero il mondo del metal alternativo con "Streetcleaner" del 1989, un disco dove la perfetta sintesi tra estetica e suono industrial e metal diede luce ad un ibrido, allora, inedito e violento, perfetta rappresentazione della realtà alienante della società post-industriale. Qualcosa di pachidermico, asfissiante, disumano, capace di portare alle estreme conseguenze la lezione del doom, del grind, dell'industrial, del post-punk più grigio e sperimentale, creando un suono difficilmente inquadrabile, ma che in poco tempo divenne simbolo della band, rispettata tanto dal pubblico metal più estremo, quanto da quello punk ed alternativo. In realtà ogni opera dei Nostri conoscerà una diversa elaborazione di queste coordinate, pur conservando di base una coerenza che permetterà loro di mantenere un'identità ben definita. Ecco quindi ad inizio anni novanta esempi di suono sempre claustrofobici, ma in qualche modo più umani, come il singolo "Cold World", o addirittura sperimentazioni con synth e motivi "techno" nel EP "Slavestate", arrivando al secondo disco "Pure", il quale mostrava un mondo sonoro ancora più glaciale, ma allo stesso tempo più malinconico nella sua fredda rabbia meccanica. Il successivo EP "Merciless" amplificava questi aspetti, dandoci tra i migliori esempi di sempre del suono dei Nostri, smussando gli angli senza in alcun modo snaturare l'essenza della band. In realtà quindi, un'analisi ragionata ci porta a concludere che come sempre nulla nasce dal nulla, ed in realtà "Selfless" non è un tentativo commerciale dell'ultima ora (a maggior ragione alla luce de presunto "fallimento" del disco per le major), bensì un tassello di un'evoluzione continua e coerente con la visione musicale di Broadrick. Quest'ultimo infatti può essere definito il prototipo dell'ascoltatore moderno, abituato a vivere in contemporanea diversi generi filtrandoli sotto una lente mutante, capace di sintetizzare il tutto in qualcosa di altamente unico. Caratteristiche queste non certo comuni all'epoca, dovute ad una natura onnivora cresciuta con Black Sabbath, Throbbing Gristle, Killing Joke, Joy Division, il grind, il noise, e quant'altro di pesante e corrosivo aveva da offrire il suono inglese; natura che si mostrerà sempre più nel tempo, sia negli sviluppi della band stessa, sia nei progetti paralleli portati avanti in contemporanea. In tutto questo, però, si farà strada anche un altra sua faccia: la sua eterna contraddizione nel voler sperimentare ed allo stesso tempo essere coerente con quello che i Godflesh rappresentano, nonché le mille nevrosi di un animo fragile e prono al collasso. Tutti aspetti che si rispecchieranno nel suono unico della band, sintesi di queste contraddizioni, un cyborg che vorrebbe essere il meno umano possibile, ma che finisce invece per rappresentare all'ennesima potenza un marasma esistenziale ed una malinconia che potremmo definire "umani, troppo umani". Il singolo presenta molti di questi elementi, confermandosi come una scelta ponderata come ultimo lascito dell'album, prima di passare ad un'era diversa con ancora altri cambiamenti ed esperimenti, che faranno ulteriormente evolvere il suono del duo.
Xnoybis (Edit)
"Xnoybis (Edit)" non è altro che una versione leggermente più corta della traccia principale, una leggera modifica effettuata per creare una versione più vicina agli standard radiofonici, portando il tempo totale da quasi sei minuti, a quattro minuti e ventisei. Dopo un effetto sintetico in levare, un suono di chitarra squillante annuncia un trotto incalzante, fatto di riff martellanti bilanciati da suoni squillanti che ne delineano l'andamento. Broadrick interviene con ruggiti epici, enunciando le sue parole con sentito vigore, scandendo il tutto seguendo il movimento musicale con grande effetto. Egli ha visto così tanto che i suoi occhi bruciano, e non può fare altro che alzare le braccia verso il cielo, sentendosi come nessun altro al mondo. La marcia ossessiva prosegue con i suoi modi, mentre la voce del cantante assume anche connotati ariosi, regalando una melodia vocale inedita per i Godflesh. Ecco che si ritornano all'andamento meccanico, sovrastato dai ruggiti di Broadrick, che ripete le poche parole che compongono il testo ad oltranza. Il passaggio da vocals ruggenti ad altre filtrate ed ariose svela il tema ben più delle parole in sé, semplici pretesti: un'unione di rabbia e desiderio di elevazione, tra meccanico ed umano, che è da sempre il fondo tematico dei Nostri, qui esplicitato ben oltre la freddezza disumana dei primi lavori. L'elemento umano inizia a dimenarsi tra le pareti d'acciaio della struttura minimale del brano, e la musica sembra alienarsi, consapevolmente o meno, proprio a questo. I trotti sferraglianti proseguono decisi, passiamo anche ad un' accelerazione accennata, proseguendo però quasi subito con momenti dilatati dove intervengono suoni di piano delicati. Riecco poi il motivo portante, dove il cantato si ripresenta con i suoi modi ammalianti e le sue note ariose accompagnano un ennesimo montante di chitarra, destinato ancora a scontrarsi con suoni desolati e melodie minimali dall'effetto spettrale. E' su queste note che va a spegnersi il brano, nel quale s'infiltrano dosi di alternative anni novanta, nonché chitarre più ariose e vocals più umane. Rimane comunque una certa tendenza astratta per i testi, non espressioni compiute, ma accenni e declamazioni che preferiscono dare immagini mentali, piuttosto che discorsi.
Xynobis (Clubdub)
"Xynobis (Clubdub)" è un remix della canzone, una revisione in chiave puramente dub del pezzo. Un suono secco ci introduce ad un riffing in loop e dal passo felpato, pieno di riverberi, e segnato da una ritmica cadenzata. Esa prosegue a lungo, prima che anche Broadrick si presenti con vocals altrettanto trattate ed ariose, delineando sempre un testo che parla del peso delle emozioni e dei ricordi, che bruciano la nostra mente e ci fa sentire stanchi e carichi di un senso di disperazione, tale da farci cercare qualcosa di elevato per fuggire da tutto questo. Egli Ha visto così tanto che i suoi occhi bruciano, e non può fare altro che alzare le braccia verso il cielo, sentendosi come nessun altro al mondo. Il passo lento e sospeso prosegue, monotono e molto sintetico nella sua natura minimale basata su una batteria ripetuta ad oltranza, e suoni saturi di effetti, tra cui un basso assolutamente distorto e graffiante. Viene ripetuto il testo, molto breve ed astratto, sempre legato ad andamenti sospesi e dilatati, dal sapore lisergico. Mentre interviene poi il suono di basso greve, ora accompagnato da chitarre distorte e taglienti, coadiuvate da suoni squillanti; la rabbia dell'originale viene qui sostituita da un'atmosfera satura, e anche nei momenti in cui la voce del cantante si fa più graffiante, il tutto rimane immerso in uno strano tepore, come un filtro che ci fa vivere il tutto in lontananza. Ritroviamo quindi i passi monolitici e dilatati, sui quali si staglia il cantato di Broadrick, così come le ormai familiari parti di basso grevi e sferraglianti, ed un fraseggio tenue che fa da sottofondo al tutto. Mondi acidi vengono evocati dal movimento strisciante e controllato, mentre suoni meccanici si ripetono in un mantra pronto a perdersi nella nebbia sonora, lasciando sempre più posto a strani suoni elettronici, prima di raggiungere l'oblio. Un remix che a dispetto del nome, ha ben poco di ballabile, risoluzione in chiave lisergica della versione originale del pezzo, dove vengono tagliati tutti gli attacchi feroci e le esplosioni, sottraendo volutamente energia dal pezzo, per ironia della sorte uno dei più energici e vivaci del disco da cui è tratto.
Xnoybis (Psychofuckdub)
"Xnoybis (Psychofuckdub)" è un altro remix del pezzo, questa volta lungo più di diciassette minuti, e non a caso esso è stato definito da Broadrick come la cosa più sperimentale mai fatta dalla band. Un suono greve e pieno di filtri viene prolungato in loop, prima che ritmiche in riverbero si aggiungano in una sequenza meccanica ed ossessiva. Suoni di chitarra distorti si aggiungono, completando un mantra sul quale si stagliano parti del cantato di Broadrick, tagliate ed incollate in un ritornello isolato dal suo contesto originario. La natura del remix qui è palese, confermando già tratti dub votati ad una certa componente psichedelica e lisergica. Suoni taglienti creano una trama ritmica metallica e dai tratti industriali, mentre effetti da studio creano corsi sonori dalle atmosfere disorientanti. L'uso pesante del riverbero ci da una nebbia sonora, dove compaiono anche micro-sequenze sapientemente utilizzate nel contesto del brano, architettando passaggi striscianti sottolineati dai giri di basso e dal cantato arioso di Broadrick, sempre pieno di effetti che lo rendono una componente della musica. Il passo è sempre felpato, invigorito però da improvvisi suoni sferraglianti e profondi, dalla natura squillante ed ipnotica, che ci portano verso derive strumentali dove l'uso di piatti e batteria viene frammentato in composizioni interne. Seguiamo quindi il loop, che prosegue in una scia psicotropa, dove si aggiungono suoni liquidi dalla natura sintetica. Si va quindi ad instaurare una natura ancora più lontana dall'originale, questa volta votata a giochi ambient molto particolari e ad effetti di synth dal gusto retro e cosmico, riportandoci in mente la musica elettronica degli anni settanta e nomi quali Tangerine Dream e Klaus Schulze. Un mantra elettronico crea un corridoio sereno estasiante ed evocativo, che ci immerge in un'altra dimensione fatta di suoni e colori ripetuti. Le parole di Broadrick riguardo al remix diventano sempre più vere, in uno sperimentalismo dalle coordinate inedite per i Godflesh, che tocca tratti dell'elettronica esplorati sotto altri nomi, ma mai così presenti nel suono dei Nostri. La lunga sequenza prosegue, andando poi a perdersi in un suono intermittente che dopo il dodicesimo minuto e mezzo viene sovrastato da ulteriori effetti ritmici grevi e lontani. Una sorta di sinfonia noise, ma sommessa, prende piede, un nuovo tratto con distorsioni e riverberi che fa da contraltare alle sequenze precedenti. Un continuo cambio di caratteristiche, in un lungo viaggio che presenta diverse stazioni sonore"; ora è come se fossimo in una galleria, su un treno che passa su rotaie arrugginite. Esso va a perdersi tra suoni che potremmo definire dark ambient, dai drone funesti e statici, parte finale del lunghissimo remix. Un'esperienza unica e totalizzante, una reinterpretazione che man mano si allontana sempre più dall'originale, portandoci in mondi inediti. Probabilmente, il vero pezzo forte di questo singolo, non a caso già usato nell'altro singolo preso da "Selfless", ovvero "Crush My Soul", sempre del 1995.
Xnoybis
In "Xnoybis" Il brano sembra parlare, con i suoi pochi versi, del peso delle emozioni e dei ricordi, che bruciano la nostra mente e ci fa sentire stanchi e carichi di un senso di disperazione, tale da farci cercare qualcosa di elevato per fuggire da tutto questo. Dopo alcuni secondi di silenzio un suono di chitarra squillante annuncia un trotto incalzante, fatto di riff martellanti bilanciati da suoni squillanti che ne delineano l'andamento. Broadrick interviene con ruggiti epici, enunciando le sue parole con sentito vigore, ma sempre filtrato da un'aria alienante, e scandendo il tutto seguendo il movimento musicale. Ha visto così tanto che i suoi occhi bruciano, e non può fare altro che alzare le braccia verso il cielo, sentendosi come nessun altro al mondo. La marcia ossessiva prosegue con i suoi modi, mentre la voce del cantante assume anche connotati ariosi, regalando una melodia vocale inedita per quelli che erano stati, fino ad allora, i Godflesh, marcando già i primi segnali di cambiamento. Ecco che le chitarre si lanciano in una cavalcata più decisa e libera, regalando anche allo strumento a corda espressioni più emotive, ma presto si ritornano all'andamento meccanico, sovrastato dai ruggiti di Broadrick, che ripete le poche parole che compongono il testo ad oltranza. Il passaggio da vocals ruggenti ad altre filtrate ed ariose svela il tema ben più delle parole in sé, semplici pretesti: un'unione di rabbia e desiderio di elevazione, tra meccanico ed umano, che è da sempre il fondo tematico dei Nostri, qui esplicitato ben oltre la freddezza disumana dei primi lavori. L'elemento umano inizia a dimenarsi tra le pareti d'acciaio della struttura minimale del brano, e la musica sembra alienarsi, consapevolmente o meno, proprio a questo. I trotti sferraglianti proseguono decisi, passando ancora una volta a corse più sentite e dalle melodie dissonanti, proseguendo di seguito con passaggi sospesi e dilatati, sui quali si organizzano giochi ritmici di rullanti cadenzati, tra i quali s'insinuano melodie liquide. Riecco gli attacchi spavaldi, in un'impostazione che ha un che di epico e declamatorio, anche questo elemento nuovo per i Nostri; il cantato si ripresenta con i suoi modi ammalianti, e le sue note ariose accompagnano un ennesimo montante di chitarra, destinato ancora a scontrarsi con suoni desolati e melodie minimali dall'effetto spettrale. La linea ritmica prosegue sui loop di chitarra, in una sequenza ipnotica che fa del minimalismo strutturale un'arma a proprio vantaggio. Ed è sulle note accennate che va a spegnersi il brano, nel quale s'infiltrano qui dosi di alternative anni novanta, nonché chitarre più ariose e vocals più umane. Rimane comunque una certa tendenza astratta per i testi, non espressioni compiute, ma accenni e declamazioni che preferiscono dare immagini mentali, piuttosto che discorsi. Ma, come prima detto, quello che non dicono le parole, dicono i modi con i quali vengono dette: il "personaggio" tenuto da Broadrick nel primo disco, un essere disumano fatto di cemento ed odio, aveva già incominciato a perdere la propria armatura nei lavori successivi, ma è qui che il Nostro osa momenti apertamente rilassati, anche se accompagnati da contrasti più aggressivi e ruggenti. Nonostante quindi il peso delle parole, troviamo un maggior vigore ed un'energia inediti, ed in generale strutture che possono interessare anche chi trova troppo ostico il sound della band.
Conclusioni
Un singolo che presenta diverse reiterazioni del pezzo a cui è dedicato, presentando motivo d'interesse tanto per la già detta natura del pezzo originale, molto rappresentativa del disco da cui proviene, sia per i remix qui contenuti, manifestazione di una certa volontà sperimentale che prenderà più avanti molto piede nella musica dei Nostri. Un momento di evoluzione del loro suono, uno spartiacque tra il periodo iniziale, votato alla fusione più dura e disumana tra musica industriale e metal, e quello successivo, più aperto a momenti umani e malinconie post-rock, per quanto sempre caustico e permeato da una sorta di cappa esistenziale grigia ed opprimente, e anche verso derive elettroniche legate agli interessi paralleli di Broadrick, attivo con progetti come Techno Animal, The Curse Of The Golden Vampire, e JK Flesh . le strutture più aperte e i groove più rock presenti nei singoli ed EP precedenti, vengono qui elaborate in una chiave ancora più melodica, offrendo anche un cantato a tratti più arioso, dove il cantante si sente più sicuro verso la sua voce naturale, senza però abbandonare del tutto l'uso del suo stile più robotico e rabbioso. L'armatura di cemento incomincia a far intravedere delle falle, dalle quali viene fuori l'umano che c'è dentro, l'uomo post-moderno che vive e soffre in una civiltà dove i sentimenti vengono spesso repressi, e dove si prova frustrazione e senso di prigionia, sia interna, che esterna. Il suono dei Godflesh rimane comunque minimale e sferragliante, ma si aggiungono un uso sapiente dei synth, e momenti catartici che richiamano i tratti più evocativi ed emotivi del post-rock e del doom, ripescando dagli ascolti ed influenze da sempre care alla band, ma in precedenza meno riconoscibili, tra le bordate di cemento e pece offerte dai primissimi disco. Nei remix troviamo la componente dub molto apprezzata da Broadrick e da lui esplorata nelle collaborazioni prima citate e anche in altri contesti, facendo un po' da contraltare all'uso limitato dell'elettronica, usata in supporto a momenti specifici, che era avvenuto in "Selfless". Ritornando al brano principale, notiamo come l'elemento più ostico dei Nostri, ora diventa una sorta di accrescimento nei confronti delle melodie spigolose e per i giochi ritmici che spesso s'incontrano durante l'ascolto, e se in precedenza il basso di Green era figlio del metal più greve, adesso trova punti di contatto anche con l'alternative anni novanta e con passaggi post-rock, ma senza sconfinare ancora in un pieno abbraccio di questi generi. Siamo in un periodo di passaggio,non dovuto ad una decisione presa a tavolino, bensì ad un evoluzione sintomatica che spesso sorprenderà i due musicisti per primi, soprattutto Broadrick, quasi autori guidati dalla loro musica verso territori che loro stessi non avevano pensato o messo in conto. L' abbandono da parte della Columbia, dettato da interessi ed aspettative meramente commerciali, non è il simbolo di un fallimento, bensì di un'incapacità da parte della cultura mainstream di catalogare o sfruttare i Godflesh, elemento da sempre di fascino e repulsione. Non ci sono appigli veramente facili infatti per entrare in sintonia con il loro suono, ed anche i momenti più umani ed ariosi, vengono accompagnati da strutture granitiche ed ossessive, avulse al ritornello classico o ad un songwriting dalle soluzioni lineari. La musica della band viene giocata su variazioni minime, ma estremamente importanti, collocate con fare certosine in un oceano sonoro dove un orecchio meno attento, o non abituato, sentirebbe una monotonia senza arte ne parte. Questa essenza apolide, questo non sapersi, e non volersi, collocare in nessuna categoria sonora, neanche nel industrial metal anni novanta, che già stava diventando una formula consolidata dalla natura ben più vivace e di presa sul pubblico, sarà sempre la forza e la condanna della band, spesso poco capita dal business musicale, dal pubblico, ed addirittura da loro stessi. Intanto, vengono gettate le basi per il suono futuro della band, che vedrà anche incursioni hip hop, drum 'n' bass, ed un avvicinamento al metal più umano e classico, seguendo anche l'evoluzione del gusto di un Broadrick onnivoro ed impegnato in mille progetti musicali.
2) Xynobis (Clubdub)
3) Xnoybis (Psychofuckdub)
4) Xnoybis