GODFLESH
Us And Them
1999 - Earache Records
DAVIDE PAPPALARDO
07/05/2018
Introduzione Recensione
Prosegue il nostro viaggio nella lunga discografia dei britannici Godflesh, ovvero i musicisti inglesi Justin K. Broadrick e G.C Green, creatori e paladini del così detto industrial metal. Il loro suono ha sempre avuto nelle sue basi un'essenza pachidermica, spesso doom, dalle chitarre grevi e distorte, unite ad una drum machine fredda ed ossessiva, e ad atmosfere grigie che sanno di fumo e cemento; partendo da queste caratteristiche, esso ha però assunto connotati diversi nei vari album grazie all'inventiva dei Nostri e alla capacità di coniugare di volta in volta diverse influenze a questa ossatura, riuscendo abilmente a non snaturarsi, senza però ripetere all'infinito la stessa formula. Ecco quindi il succedersi di dischi come "Streetcleaner" e "Pure", caratterizzati da trame pesanti unite, saltuariamente, a malinconiche sensazioni elettroniche, l'EP "Slavestate", dai connotati cibernetici più marcati e l'album "Selfless", dagli elementi più rock; lavori che hanno fatto la storia del gruppo. Arriviamo così al 1999, anno di "Us And Them - Noi E Loro", disco che dividerà il pubblico e gli stessi Godflesh, ripudiato dopo poco tempo da un Broadrick insicuro nei riguardi della direzione da lui intrapresa. Se infatti già i precedenti lavori avevano aperto il suono dei Nostri verso alcuni elementi più "umani" e anche verso influenze elettroniche più vivaci, è con questo disco che gli interessi paralleli dell'artista britannico in campi elettronici quali il dub, la drum 'n' bass, e l' hip-hop più urbano, fino ad ora sviluppati tramite progetti paralleli come Curse Of The Golden Vampire, trovano pieno spazio nel suono del progetto. Le chitarre sono sempre presenti, ma varie parti dei pezzi danno spazio a ritmiche sincopate dai beat ben presenti e a strutture veloci, mettendo da parte i toni grevi e lenti che invece in passato sono stati un fondamento del suono dei Godflesh. Una sperimentazione che si allontanerà quindi sempre di più dal conosciuto, e in parte dalla natura con la quale era iniziata l'esplorazione del connubio tra suono industrial e metal, il quale, forse, incomincia ormai a stancare Broadrick, da sempre aperto a molti suoni e curioso; s'intravede nella storia di questo disco la personalità complessa ed esigente del Nostro, severo nel suo giudizio e diviso tra l'aspirazione verso il nuovo, e una sorta di senso del dovere verso l'identità della sua band principale. In realtà definire semplicemente questo episodio come "l'album dance dei Godflesh" sarebbe non solo riduttivo, ma terribilmente sbagliato. Abbiamo sì tracce dove il piede sull'acceleratore è spinto, ma anche episodi dove connotati post-rock e shoegaze evocativi prendono il sopravvento, anticipando il corso che il gruppo prenderà da li a poco, e soprattutto l'esperienza di Broadrick con Jesu. Ascoltato nel suo complesso, e fuori da ogni pregiudizio, "Us And Them" si conferma come un lavoro solido, non certo il migliore nella discografia del duo, ma nemmeno la pecora nera che si vorrebbe far credere. Continua qui inoltre la fase finale del primo periodo della band, caratterizzata da dischi dove in vari modi vengono messi in discussione i capisaldi del progetto, cercando di rinnovarlo: iniziata con "Songs Of Love An Hate", primo disco con una batteria umana e marcati elementi hip-hop, attraverserà questo album, e porterà al suono minimale e "rock" di "Hymns", il quale metterà fine alla carriera del progetto per più di dieci anni. Conflitti personali, indecisioni, un Green sempre meno contento della direzione presa dalla band e dal fatto che, nonostante fossero dei padri fondatori citati come influenze da gruppi nati dopo, ma con maggior successo commerciale, il gruppo si ritrovasse ancora ad aprire i concerti altrui, e poi un Broadrick sempre più legato ad altri progetti, destinato ad una crisi nervosa che porterà gravi conseguenze nella sua vita, e anche a svolte significative: saranno questi i tasselli di un finale all'epoca inevitabile. In tutto questo, "Us And Them" rimane come una testimonianza della personalità e dell'identità mutante dei Godflesh, a volte nemmeno sotto il controllo dei suoi due componenti, un po' come due scrittori che vengono dominati dalla storia che creano, e che li porta in luoghi narrativi diversi rispetto a quelli prospettati.
I, Me, Mine
"I, Me, Mine - Io, Me, Mio" tratta, nel suo testo, dell'egoismo umano e del dispotismo, in una chiave che può essere sia interpretata a livello personale, sia nel macro in chiave sociale e politica, esprimendo un mondo dove la personalità altrui viene annichilita in nome del proprio vantaggio e potere personale. Ecco un suono sommesso e rimbombante che sale d'intensità, intersecandosi con delle ritmiche elettroniche chiaramente drum 'n' bass, le quali emergono dal silenzio; si va ad instaurare così un gioco di drum machine e bassi grevi, generando una tensione sonora vivace e dal gusto futuristico. Broadrick viene introdotto da un cantato aggressivo, espressione del testo, filtrato tramite effetti vocali cavernosi: Lui, se stesso, ciò che è suo: ecco gli unici pensieri in testa, vengono seguiti i segni, portandoci a prendere ciò di cui abbiamo bisogno. Ci viene data forza, ma è necessario non osare ribellarsi a questo, perché gli altri per noi non esistono. Intanto l'impianto sonoro continua sulla sua direzione, privo dell'intervento di momenti metal; non è difficile immaginare lo shock di chi all'epoca si aspettava un tipico disco dei Godflesh dominato da chitarre grevi e movimenti lenti, trovandosi invece investito da questa scarica tecnologica ad alta velocità. Lo strumento a corda non è però di certo bandito, e non a caso arpeggi diafani fanno da cesura, ampliando l'atmosfera oscura del pezzo ed offrendo una pausa dall'assalto ritmico, che però non cessa mai in sottofondo. Riecco quindi la sequenza di bordate futuristiche, che ci ricordano le sperimentazioni in tal senso di un altro gruppo industrial metal britannico, ovvero i Cubanate; gli altri stanno irti a schiena dritta, ma ci siamo solo noi, siamo noi il mondo degli altri, e non c'è altro oltre noi. Ancora una volta vocals e turbinii elettronici diventano tutt'uno, sostituendo il ruolo dei riff di chitarra, mentre la batteria è un continuo movimento di drum machine derivato dai suoni più acidi ed urbani. Ordiniamo di ascoltarci, perché abbiamo sempre ragione, mentre gli altri hanno sempre torto. Ritornano le pause dalle chitarre distanti ed oniriche, mentre gli andamenti drum 'n' bass proseguono, infrangendosi poi contro una pausa dub dove suoni stridenti si librano sulle strutture urgenti e sincopate. Seguono giochi di ritmica e bassi ripetuti, in una sessione trascinante che poi si traduce in una riproposizione dei modi già intravisti durante la durata del brano. Ritroviamo quindi le parole e le alternanze ormai familiari, senza un calo di tensione. Arriviamo in questo modo al quarto minuto e ventitré, dove le cose tornano a farsi sommesse come all'inizio, tra ritmi sotterranei e digressioni lisergiche, e non ci sorprende la ripresa degli effetti stridenti e disorientanti, pronti a portarci con loro nel finale, lasciato in mano ad un loop drammatico, ripetuto ad oltranza mentre si perde nell'etere.
Us And Them
"Us And Them - Noi E Loro" sembra continuare i temi sul rapporto umano tra gli individui, sempre in un'ottica negativa dove la volontà di imporre la propria visione ha il sopravvento su tutto; non è difficile vedere anche un riferimento al fanatismo religioso e alla guerra, soluzione violenta purtroppo spesso adottata nello scontro tra culture e fedi diverse. Il brano viene introdotto da un loop in levare, presto sostituito da un riffing filtrato distorto e roboante, il quale sale d'intensità prendendo le forme di un suono sempre più stridente, infine tradotto in una marcia militaresca, completata da piatti cadenzati e bordate severe dal gusto metal. Su questa parata marziale si leva la voce piena di eco di Broadrick, imperativa nei suoi modi e toni, ma in qualche modo anche evocativa grazie ai filtri applicati: è tutto ciò che c'è, ci dice, semplicemente noi e gli altri, non c'è un'altra via, noi o loro. La musica prosegue drammatica e decisiva, lenta nel suo incidere, mentre un ritornello ben strutturato viene basato su distorsioni vocali unite a frustate elettroniche, mettendo in mostra il songwriting forse un po' minimale, ma decisamente dal polso duro, qui apportato. Arriviamo cosi ad una pausa improvvisa, segnata dai colpi secchi ticchettanti, sospesi sul silenzio che altrimenti dominerebbe il tutto. Ma la cosa è destinata a durare poco, in quanto rientrano in scena i toni dittatoriali, giocati su scariche di chitarra e vocals distanti: devono arrendersi, oppure distruggere tutto, arrendersi, o fare in modo che il resto si adagi, è una questione di noi o loro, devono capirlo ed arrendersi a noi. Ancora una volta il ritornello aggressivo si libera in ruggenti asperità sottolineate dai riff dalle raffiche grevi, e dai piatti martellanti. Ora la cacofonia arricchisce le bordate con fraseggi dissonanti, dandoci una bella sequenza interrotta da una cesura dove chitarre battagliere in loop e digressioni drammatiche ci preparano alla ripresa della marcia combattiva: è una dolce alleanza, quella con il loro signore, ma in realtà tutto quello che consociamo, è la via della spada, ovvero la violenza. Ed ecco che, non a caso, il suono si fa ancora più brutale e rabbioso, ripetendo i suoi modi con distorsioni vocali; ma all'improvviso una nuova cesura ci porta verso chitarre più squillanti, poi aperte a ritmi sincopati ben strutturati e sottolineati da arie spettrali formulate tramite chitarre filtrate, poi dilungate in loop astrali, mentre il drumming ossessivo prosegue con la sua essenza meccanica. Un fraseggio notturno rimane insieme ai giri ripetuti, alienando poi una conclusione lasciata agli arpeggi in qualche modo disturbanti e volutamente sgraziati.
Endgames
"Endgames - Fine Dei Giochi" ci consegna una visione tetra, un mondo dove non esiste amore o identità, dove l'anima e il corpo sono merci di scambio per il denaro, dove il potere vale sopra ogni cosa, e dove la fede è spesso un palliativo per continuare a credere che le cose siano diverse, per non impazzire. Troviamo suoni sommessi in salita, sottolineati da un loop disturbante, e inseguito sviluppati in movimenti hip hop sincopati da giungla urbana. Si dipanano quindi bassi graffianti e ritmi jungle, sui quali Broadrick si esprime tramite ringhi rabbiosi dal sicuro effetto; egli chiede che sia presa a sua anima, il suo corpo, qualsiasi cosa, in modo tale che il suo interlocutore posso fare soldi, in quanto tutto riguarda a lui, chiede di essere abbattuto, che la sua purezza venga violata, in nome della sicurezza altrui. Suoni convessi e stridenti fanno da cesura, instaurando un'atmosfera lisergica e greve, poi sostituita dai ritmi meccanici iniziali, sempre sottintesi da un loop distorto; riprende poi il cantato dal mantra furioso, sempre ringhiato tra i denti, esprimendo una rabbia controllata, ma decisamente pronta ad esplodere. Non può dare, può solo prendere, e non può amare, bensì solo odiare, tutto ciò in cui crede è falso, ma continua a far credere lo stesso, in modo tale da mantenere la propria sanità mentale. Proseguono le alternanze alienanti, ancora una volta delineate da suoni stridenti e ritmiche sincopate, ora lanciate in galoppi urbani vivaci e decisi, che proseguono in una lunga sessione. Essi si vanno così a scontrare contro rallentamenti industriali, dalla natura più distorta e quasi tribale, sempre più filtrati e secchi; all'improvviso riprende il motivo di inizio brano, riprendendo tutti gli elementi già incontrati, e riproponendone gli sviluppi. La natura nervosa della traccia ancora una vota viene usata per sviluppare battiti intrecciati, uniti a suoni sempre più dissonanti ed acidi di chitarra. Ed è proprio su quest'ultimi, strizzati totalmente, che va a chiudersi questo episodio, dominato da un'atmosfera che potremmo definire quasi psichedelica.
Witchhunt
"Witchhunt - Caccia Alle Streghe" tratta della persecuzione contro il diverso, chi non si adatta alle regole prestabilite, o sempliciste non è compatibile con una visione del mondo preimpostata e dalla quale non si può deviare. Un effetto rimbombante apre il pezzo, proseguendo in una sorta di marcia militante, presto completata da battiti metallici cadenzati, e da loop di chitarra ribassata dal sapore crossover, un mantra drammatico ripetuto ad oltranza mentre le grida anarchiche di Broadrick s'inseriscono nel tessuto sonoro come un fulmine a ciel sereno: non esiste altra scelta, c'è solo una via, e se non lo si accetta, l'unica soluzione è la guerra, chi si oppone brucerà, e il debole verrà schiacciato, fino a che tutti bruceranno. I ritmi si fanno ancora più pressanti e vicini tra di loro, mentre le chitarre sono ancora più distorte e rumorose, presentandoci una serie di alternanze sulle quali il cantato ritorna con un ritornello non meno feroce rispetto al resto, pieno di echi e filtri vocali; si tratta di una caccia alle streghe, una caccia alla feccia. Il brano può essere visto come una versione ben più malvagia e decisa dei suoni nu metal, reinterpretati e rivisiti sotto la lente greve dei Godflesh, capaci di tradurre il tutto in una visione da ciminiera stagliata contro un cielo grigio pieno di fumi. Fare il giusto o lo sbagliato poco cambia o importa, distruggiamo quello che vogliamo, e soprattutto ciò che non comprendiamo, ed è inutile che gli altri scappino spaventati, bruceranno comunque. La musica si mantiene ossessiva, aperta ora a digressioni drammatiche giocate su ritmi secchi e chitarre baritonali; ecco una cesura dalle punte stridenti, un'ennesima marcia da guerra dove dissonanze di chitarra e ritmi duri vanno ad unirsi. All'improvviso si rallenta con un basso greve, sul quale si organizzano suoni trattenuti; essa prepara la ripresa del movimento iniziale dai riff graffianti, ancora una volta poi lanciato in ritornelli bellici rabbiosi ed urbani. Largo quindi ancora alle pause dalla drum machine battagliera e dalle urla filtrate, così come alle raffiche distorte e ai fraseggi dilatanti. Un loop fumoso e cimbali ossessivi vanno a prendere controllo della traccia, portandola con loro verso l'oblio improvviso. Un finale brusco per una canzone compulsiva dove i modi del metal di fine anni novanta vengono piegati ai bisogni del gruppo inglese, dopotutto ispiratore di gran parte dei motivi sonori usati proprio in quest'ultimo.
Whose Truth Is Your Truth
"Whose Truth Is Your Truth - Quale Verità E' La Tua Verità" mette in discussione il concetto di fede e di realtà, andando contro alla convinzione che spesso domina la vita delle persone, e sfidando la falsa sicurezza che porta al fanatismo e all'ottusità. Si parte con dello screech dal sapore hip hop, il quale instaura un'atmosfera acida e sottintesa da ritmi spezzati, poi sostituita da fraseggi ripetuti e cimbali cadenzati. Una tematica sonora urbana, sulla quale Broadrick introduce vocals non aggressive, ma sature di echi; chi è il nostro salvatore, ci chiede, e chi è che ci massacrerà? Oltre la percezione, vi è l'inganno. Ecco che si ripropongono i movimenti iniziali, sempre caratterizzati da sonorità sincopate e suoni stridenti, confermando un episodio largamente influenzato dal suono rap e hip hop, dove le chitarre invece hanno una natura che potremmo quasi definire "funk", con tutti i dovuti distinguo del caso, e mantenendo il fatto che difficilmente si possano associare i Godflesh ad un suono allegro. Arpeggi dissonanti, drum machine sincopata e asperità varie compongono il substrato sonoro, muovendosi tra passi di basso grevi . Ritorna il cantato quasi soave, monotono e controllato, dove ora il Nostro ci dice di credere in qualcosa e morire per nulla, prendiamo tutto quello che possiamo, ma non basta mai. Riprende, non molto sorprendentemente, la sequela di suoni urbani sincopati e dissonanze di chitarra, questa volta condotte fino ad una cesura fatta di bordate di basso ed effetti elettronici come di xilofono, ripetuti in una sessione psichedelica dal grande impatto. Si torna di seguito ai momenti più lenti e dilatati, mentre un suono di chitarra in levare si sviluppa per qualche secondo, riportandoci verso la parte finale del cantato. Di chi è la nostra verità? Chi ha le risposte? Fino a quando possiamo andare indietro? Dato che non riusciamo ad andare avanti? Finite le domande, ritornano i giri combattivi ed irregolari, e ritroviamo ancora la sequenza lisergica con bordate da corazzata, ripetuta nei suoi suoni liquidi, e questa volta raggiunta dallo screech in una sinfonia di cemento, sottolineata da una dissonanza finale che chiude così il brano.
Defiled
"Defiled - Violato"parla dell'effetto del mondo su di noi, di come ci faccia sentire violati dentro e deboli, uccidendoci dentro mentre gli altri ci dicono che non abbiamo una visione realistica delle cose, lasciandoci solo il freddo dentro e il terrore. Eco che un ritmo spezzato s'innalza su un suono onirico e misterioso, creando un'atmosfera acida che prosegue per alcuni secondi, prima dell'aggiunta di vocals totalmente rielaborate sotto forma di versi distorti, inseriti con gusto dub tra le dissonanze urbane che portano avanti la ritmica serrata; saremo violati, nel mondo altrui siamo solo ingenui, come dei bambini perduti. Le parole vengono ripetute con ossessione sulla base musicale nervosa, usando i modi del hip hop in un contesto duro ed allucinato, che mantiene le qualità crossover già intraviste nell'album. Anche i modi del cantato sono in rima, duri ed aspri tanto quanto la loro nera lezione: ora non sembriamo così forti, e ci chiediamo se le nostre idee siano reali o illusioni, non abbiamo ne ragione ne torto, possiamo provare solo la stessa vecchia merda, mentre veniamo elevati e poi distrutti, fino a che gli altri avranno finito con noi. La musica è un mantra unico senza pause, un insieme di passi striduli e dissonanti, e anche le parti vocali sono una tirata unica senza pausa o ritornello, lanciate in un monologo dai toni inumani. Ci ritroviamo ad essere coloro che vengono definiti fuori dalla realtà, e prima ci insegnano le cose, poi le usano per ucciderci, e in tutto questo sentiamo solo freddo. Vedono che siamo qui, e l'unica cosa che ci hanno insegnato è a avere paura. Ora una cesura si presenta con una marcia lenta fatta di ritmi meccanici, violati da baritoni dilatati, mentre di seguito si ripresentano i suoni iniziali, allucinati come sempre. Riprende quindi il mantra dall'inizio, ripresentando i modi urbani del pezzo, così come le incursioni dissonanti e stridenti, mentre collimiamo ancora con la pausa dal movimento massiccio fatto di drum machine marciante e ritmi duri, aperta a mitragliate elettroniche e stridenti bassi graffianti. L'impianto sonoro sarà per tutto il corso quello di un hip hop malato e lisergico, immerso in suoni grevi e distorti; il songwriting è minimale, ripresentando ad oltranza i suoi modi ed offrendo cambiamenti solo nelle cesure da sogno acido, che ritroviamo per l'ennesima volta con raffiche serrate e baritoni distorti. Si passa ad andamento minimali con campionamenti sempre più sommessi ed effettuati, offrendoci una coda tecnologica che va all'improvviso a concludere il brano.
Bittersweet
"Bittersweet - Agrodolce" è l'espressione di sensazioni contrastanti, forse una rappresentazione dello stato esistenziale di Broadrick, sempre più confuso e indeciso riguardo alla propria vita. Viene rappresentata sia l'impotenza del sentirsi invisibili, sia il desiderio dir rivalsa, in una mancanza di senso e ragione. Un fraseggio ruggente sale d'intensità, andando poi a creare un loop roccioso sul quale picchettano i colpi di piatto, seguiti da una batteria cadenzata e robusta. Otteniamo così un andamento monolitico e lento, che ci riporta al suono più classico dei Nostri; dopo una cesura che rallenta ancora di più i toni, vengono introdotte le vocals ariose del cantante, che esprime con toni quasi sacrali la sua lezione: è invisibile, e nemmeno viene visto da noi, ma è anche divisibile, e sarà quello che vorrà essere, mentre nemmeno lo sentiremo con le orecchie, ma lo percepiremo, in altri modi. Non esiste una ragione, un modo giusto di fare le cose. Intanto la musica prosegue sul suo corso ossessivo e scolpito dalla ritmica, andando a sfociare nelle ultime parole sulla linea di chitarre dissonanti e parti cantate piene di amara realizzazione. Dopo una pausa si riprende con la galoppata iniziale, riproponendo i suoi modi divisi tra strada dritta e aperture più evocative, ma sempre piene di tensione. Le costruzioni di chitarra squillanti s'intervallano con pause di raccoglimento, pronte a rilasciare la loro energia in nuovi andamenti monolitici, dal gusto quasi minimale e sempre basati sul solco diviso tra tempi striscianti e tempi medi con piatti ossessivi e rullanti meccanici, riempiti da giri dissonanti di chitarra. Andiamo ad infrangerci contro dei fraseggi distorti ed ariosi, delineati da bordate grevi, convogliando un impatto emotivo pronto a liberarsi in una sessione quasi tribale, spessa nel suo suono strutturato da ritmiche coinvolgenti e strati sintetici, coniugato a chitarre evocative che confermano un episodio molto vicino alla natura più rock dei Godflesh. Ecco che all'improvviso un ultimo fraseggio sgraziato mette fine al nostro viaggio, portando al canzone alla sua conclusione. Un brano basato sulla ripetizione dei suoi movimenti ed andamenti, dalla natura intima e ariosa, ma che mette in piazza le dissonanze care ai Nostri.
Nail
"Nail - Chiodo" parla dei rapporti di potere che dominano il mondo, dell'indebolire gli altri per essere più forti e prevalere, imponendo la propria visione e stabilendo in modo totalizzante la realtà alla quale tutti devono aderire. Un suono distorto di chitarra ed effetti elettronici si avvicina sempre di più, trasformandosi poi in un riffing ronzante dalle note altisonanti. Ritmi urbani, suoni acidi dal sapore hip hop e vocals aggressive prendono quindi il loro posto, portandoci allo sperimentalismo urbano che domina gran parte del disco; Broadrick esprime con versi graffianti e rauchi il testo, parlandoci di come viene tenuto incatenato, in modo tale che non si possa muovere, di come gli togliamo la luce, in modo tale che non possa vedere, di come lo manteniamo debole di spirito, in modo tale da sentirci forti, e di come gli togliamo l'aria, così che non possa respirare. In tutto questo la musica si mantiene minacciosa e caotica, aggiungendo anche chitarre in loop taglienti come motoseghe; dopo una cesura squillante dalle arie crossover si crea un gioco ritmico di batteria che ci porta in una dimensione marziale per qualche secondo, prima della ripresa dell'andamento che convoglia tutta la frustrazione esistenziale legale al testo del brano: lo demoliamo perché ci fa crescere a noi, giocando il nostro gioco con le nostre regole, e facciamo in modo che veda la ragione tramite i nostri occhi, facendogli capire i suoi sbagli, perché noi abbiamo sempre ragione. I toni aspri del comparto sonoro vano ora a declinare in una cesura sommessa, ma presto raggiunta da un fraseggio in levare, ripetuto poi in giri uniti a cimbali da guerra e dissonanze squillanti distribuite sul percorso. Piatti urgenti completano il clima nervoso, mentre chitarre disorientanti fanno poi la loro comparsa in un'atmosfera allucinante che richiama certo nu metal; Broadrcik torna con la sua rabbia ringhiante, perfettamente supportato dalle ossessioni sonore della strumentazione e dalla ritmica che ci spinge verso un'ennesima cesura, pronta a costituire la marcia ormai familiare, ricca di suoni dissonanti ed abrasioni varie, un marcia che ci porta con se fino alla conclusione improvvisa della canzone.
Descent
"Descent - Discesa" tratta di un'auto-analisi impietosa da parte di Broadrick, espressa tramite passi dal senso non perfettamente compiuto, ma che da una parte convogliano un giudizio negativo verso se stessi, dall'altra verso il prossimo, o meglio verso il suo ruolo nella nostra esistenza. Un movimento greve dalla natura urbana si delinea con i suoi passi rimbombanti, giocati su una ritmica pesante e dal loop ossessivo, richiamando ancora una volta in mente il metal alternativo di fine anni novanta, ma sempre in un' accezione legata più alle radici del genere, che vedono appunto i Godflesh tra i suoi padrini fondatori. Chitarre dissonanti a cornamusa reiterano il concetto, ed è impossibile non pensare ai Korn più lisergici, mentre Broadrick introduce il suo cantato calmo, ma in qualche modo perfetto per l'atmosfera acida qui generata: non vi è desiderio, ne aria da respirare, nessun desiderio, o bisogno di fremere, lui è solo un bambino, come è sempre stato. Ha bisogno di giustificare in modo di poter sopravvivere, e quello che vuole è ciò che gli altri ottengono, ma ancora per il momento non è nemmeno degli altri, e non è nemmeno ancora morto. La musica si mantiene squillanti e dalle noti dissonanti, pronta ad aprirsi a sessioni dai cimbali e dai bassi cadenzati, completate da loop taglienti di chitarre ad accordatura bassa che evocano sirene da guerra mantenendo alta la tensione del brano. Il cantato filtrato ci da un'interpretazione spettrale, coniugata ai giri di chitarra sempre più disorientanti, pronti ad aprirsi a parti corrosive piene di distorsione. Ecco ora delle bordate combattive, con riffing mitragliante e colpi duri di drum machine, un mantra belligerante dilungato da parti squillanti e corde graffianti, prolungata per diversi secondi. Si passa di seguito ad un suono notturni, più sommesso e quasi trip hop, sul quale ancora una volta si stagliano le vocals del Nostro, poi raggiunte da asperità di chitarra. Andiamo a terminare in un gioco fatto di cimbali pulsanti e loop di chitarra sgraziata, e non ci sorprende il ritorno della marcia robusta fatta di battiti marziali, qui allungata con i suoi dissonanti fino alla conclusione improvvisa, che mette la parola fine al tutto.
Control Freak
"Control Freak - Ossessionato Dal Controllo" parla dei rapporti di potere e sottomissione, con una chiara vena sociale polemica nei confronti della struttura politica e delle regole della società, in cui si cerca di avere monopolio su ogni aspetto della vita altrui. Un basso greve e sferragliante crea un movimento arrugginito, sul quale si stagliano vocalizzi armonici in un bel gioco di contrasti sonori; si alternano i due movimenti in un impianto sonico raggiunto da effetti stridenti, poi aperti da colpi duri di drum machine e piatti cadenzati. L'andamento prende sempre più energia, andando così a sfociare in una galoppata nervosa piena di suoni taglienti e battiti elettronici sincopati, capaci di unire un'aria tecnologica con il vecchio suono dei Nostri. Ed è così che giri in loop di chitarra e vocals rauche trovano alleanza, partendo in un trotto sparato: il narratore scaverà a fondo, si nasconderà, renderà la notte giorno mentre dichiara di non volerci controllare. Il cantato è spezzato e pieno di eco, andando a combaciare con il movimento non regolare della strumentazione, consegnandoci una struttura altamente nevrotica; gli altri vogliono controllarci, in un gioco di sottomissione molto facile da fare, se si gioca secondo le proprie regole. Il caos raggiunto è evidente, andando a toccare livelli noise non certo alieni ai Nostri, confermando uno dei momenti più caustici e duri di tutto il disco. Ora abbiamo una cesura fatta di marce ossessive fraseggi dal gusto sludge, distorti e dall'atmosfera acida, portati avanti fino all'esplosione fatta di ritmiche pestate e suoni grevi e dissonanti di strumento a corda. Riprende il cantato, sempre aggressivo e filtrato, mentre la musica mantiene i propri toni di certo non rassicuranti, espressione della rabbia contenuta nel testo disilluso verso la realtà e i suoi meccanismi. Si ripropone lo stop con rullanti meccanici e chitarre evocative e piene di abrasività; sorprendentemente esso va a confluire con suoni sognanti dal gusto psichedelico, delineati da bordate ad accordatura bassa. Si unisce quindi la ritmica ormai familiare, dandoci un mantra estraniante, curiosamente "spirituale", sensazione ampliata dal ritorno delle vocals soavi iniziali. Un canto di guerra con un andamento trascinante e lento, perdurante fino alla chiusura lasciata ad un loop che ripropone i suoni ammalianti e lisergici fino alla conclusione in dissolvenza.
The Internal
"The Internal - L'interiore" tratta di sentimenti di desolazione, mancanza di pace e nichilismo, una sensazione di gelo interiore dove l'innocenza è perduta in un modo in cui non rimane nulla di valore a cui attaccarsi. Un arpeggio solenne e delicato, pieno di arie evocative e malinconia, si fa strada con le sue note sottolineate da cimbali cadenzati, dandoci una sessione shoegaze che mette in chiaro la natura ben più intima e controllata del pezzo, "ballad" del disco che anticipa le evoluzioni future del suono di Broadrick, in particolare la sua esperienza con Jesu. Ora un riffing controllato si districa insieme alle vocals ariose e piene di eco del Nostro, perfetto completamento per la musica emozionale qui orchestrata da pochi elementi sapientemente usati. La nostra pace è a pezzi, ma non possiamo aspettarci altro dalla vita, dato che in verità noi non siamo nulla, parole desolanti che contrastano con la falsa armonia espressa dalla musica, dandoci l'idea di una resa interiore dove non si ha più nemmeno la forza di essere arrabbiati. Intanto l'intensità della musica aumenta grazie a chitarre delineate da parti squillanti, passi ritmici delicati, e fraseggi sognanti, sui quali belle melodie vocali trovano completamente posto. Ecco che arriva un inverno interiore, nel quale l'innocenza dimentica tutto: un'immagine fredda e senza alcuna speranza, un paesaggio interiore grigio dove rimane solo il freddo di chi non ha più nessun desiderio o illusione. La marcia evocativa non conosce requie, portandoci con sé verso nuove melodie altisonanti, ripetute con un gusto che non può non fare effetto sull'ascoltatore, mentre Broadrick ripete ispirato i suoi versi. Troviamo una cesura ritmica dal passo felpato, completata da un riffing categorico, un crescendo epico che sfocia in un passaggio più greve, sottolineato da suoni pesanti come macigni e andamenti cadenzati, una processione che svela i sentimenti ben più oscuri convogliati in precedenza dalle parole. Il loop ottenuto prosegue ad oltranza, inesorabile nel suo movimento pachidermico, andando però a confluire in un ulteriore rallentamento fatto di arpeggi e colpi cadenzati, lasciando poi spazio a duna digressione più caotica. Ed è su queste note che si va a chiudere questo pezzo atipico, che porta i Godflesh verso lidi ben diversi rispetto alle trame urbane che dominano il resto dell'opera.
Live To Lose
"Live To Lose - Vivere Per Perdere" non ha un testo pubblicato, per volontà dei Godflesh stessi, mantenendo così un'identità intima che possiamo comunque intuire come legata ad una visione negativa e pessimistica dell'esistenza non certo inedita per il duo inglese, e soprattutto per Broadrick. Dopo alcuni piatti cadenzati prende piede un bel fraseggio graffiante, ma melodico, sottolineato da passaggi squillanti, e presto raggiunto da una batteria serpeggiante. Ecco che il cantante s'introduce con vocals non aggressive, ma comunque pesantemente filtrate da effetti, rendendo anche il tentativo della comprensione ad orecchio difficile. La struttura del pezzo è pesantemente indebitata verso il rock indie ed alternativo di fine anni novanta, e non sarebbe per nulla esagerato fare paragoni con la scena emo dell'epoca (parliamo quindi di band quali i Weezer), ma neanche con quella shoegaze meno rumorista e più sentimentale. La musica si dipana con un movimento contratto, declinato da cimbali e da lasciate e riprese di chitarra, conservando così in questo modo qualcosa di "meccanico". Il loop emozionale prosegue, raggiungendo poi un climax dato da falcate di chitarre contornate dai soliti cimbali; si riprende poi con il movimento iniziale, sempre caratterizzato da suoni altisonanti e dai tratti emotivi marcati. Insomma, si conferma una conclusione per il disco che lascia spazio al lato più umano dei Nostri, come già anticipato dal pezzo precedente a questo, andando a contrastare con il clima altrimenti urbano e a tratti futuristico rappresentato da altre tracce presenti nell'opera. Si arriva in questo modo ad un altro climax pieno di onde trascinanti, poi dilungate in un fraseggio dai loop ripetuti nelle loro linee melodiche. All'improvviso, superato il terzo minuto e venti, troviamo il passaggio a suoni ben più acustici, uniti a piatti cadenzati e cimbali sparsi, creando un'atmosfera sognante e armoniosa, poi violata da riff ruggenti, ma melodici, in una sequenza ben strutturata, capace di regalare forti emozioni. Tornano le vocals trattate del cantante, in un finale protratto a lungo, dove l'atmosfera grandiosa cresce sempre di più, andando però a terminare con una digressione greve che mette fine tanto alla canzone, quanto al lavoro qui analizzato.
Conclusioni
Un disco che rappresenta un momento particolare della carriera e del suono dei Godflesh, un tentativo di ricreare l'identità dei Nostri filtrandola tramite gli interessi paralleli di Broadrick, consegnandoci un'opera capace di coniugare atmosfere urbane grevi, ritmi cibernetici sincopati e nervosi, e momenti di malinconia esistenziale elegiaca. Nonostante l'opinione negativa degli autori, ed in particolare quella del cantante, nei confronti dell'album, si può dire che l'operazione è riuscita. "Us And Them" non è privo di alcune imperfezioni, in primis la ripetitività di alcune soluzioni adottate nei brani più influenzati da trame hip hop e drum 'n' bass, ma di sicuro non si tratta della catastrofe che all'epoca anche alcuni fan avevano prospettato. Di sicuro ha sofferto molto delle aspettative nei confronti del nome Godflesh, e dell'idea che dovesse rappresentare un mondo privo di umanità e facili emozioni; in realtà un ascoltatore attento e familiare con la carriera della formazione britannica, dovrebbe sapere che questi elementi sono sempre stati presenti sotto la superficie minimale e dura del suono dei Nostri, anche nei primi, feroci lavori. Semplicemente, ora Broadrick si è sentito più consapevole nello sperimentare ed aprirsi, salvo poi fare marcia indietro a causa del suo carattere perennemente in conflitto con se stesso e con le decisioni prese, un perfezionismo vicino a quello storico di Trent Reznor, e dalle simili conseguenze ai limiti della nevrosi. E non mancano in ogni caso i tratti salienti del suono classico dei Godflesh, anzi essi sono più presenti qui rispetto al disco successivo "Hymns": la drum machine sa essere anche monolitica e pesante, le chitarre ad accordatura bassa non sono scomparse, così come le linee di basso sferraglianti , e le vocals ora ruggenti e inumane, ora ariose e sentite. L'elettronica è stato un elemento portante in passaggi di dischi come "Pure" e "Selfless", o a maggior ragione nello storico EP "Slavestate" che toccava anche elementi techno ed electro-industrial, e quindi non deve assolutamente sorprenderci la sua presenza. Quello che semmai può far smarrire il fan della prima ora, è l'urgenza cinetica, la velocità ritmica di certe tracce, lontana dai passi pachidermici dei primi lavori, benché, lo ripetiamo, quest'ultimi siano tutto fuorché banditi dal disco. Siamo ancora sull'orlo della fine del mondo pre-internet, o meglio di quello antecedente alla sua diffusione a livello globale, dove anche nel caso di band sperimentali come i Godflesh, l'idea di una band e del suo suono era molto più "incisa nella pietra"; lo shock quindi era più alla portata di mano per l'ascoltatore, non consapevole di cosa avrebbe incontrato. Rivisitato oggi il disco suona invece come un passo importante e perfettamente integrato nell'evoluzione seguita dal gruppo nel tempo e sopratutto nei dischi di fine anni novanta: in realtà le sue sperimentazioni elettroniche di natura drum 'n' bass, hip hop, jungle e brakbeat sono figlie del disco di remix "Love And Hate In Dub", mentre le due tracce finali dagli elementi shoegaze e post punk anticipano il corso futuro intrapreso da Broadrick con Jesu, e alcuni groove e suoni crossover torneranno nel lavoro successivo. Dopotutto, nel 2015 lo stesso poli-strumentista inglese riconoscerà il suo giudizio eccessivamente duro verso l'opera, influenzato dal suo stato esistenziale dell'epoca, riconoscendone anche i meriti oltre ai pur presenti difetti. Ed è così che ci viene consegnato l'ennesimo tassello nella mappatura del suono dei Nostri, un continuo banco di prova dove il familiare e il nuovo si uniscono, grazie ad una coesione dovuta al permanente nichilismo tematico e sonoro, permutato da dissonanze, suoni grevi, atmosfere dense e caotiche temprate da armonie malinconiche. Il nostro viaggio quindi prosegue, portandoci a quel "Songs Of Love And Hate" che contiene alcuni semi qui germogliati, ma in un contesto leggermente diverso; in particolare sarà il primo, e al momento unico, album dei Godflesh ad avere una controparte remixata. Qui troviamo una batteria umana grazie all'apporto di Bryan Mantia e un suono meno meccanico e più legato al metal tradizionale, con un formato canzone spesso diretto e abbastanza inedito, per i Nostri. Insomma, come sempre ogni disco della band è un mondo a sé, tassello in un mosaico che ha definito, stravolto, sovvertito le regole del metal alternativo seguendo una strada unica e che non può essere artificialmente riprodotta, piena espressione dei gusti, mutamenti, instabilità dei due componenti principali, in modo particolare di quel Broadrick che è sempre stato diviso contemporaneamente tra mille mondi musicali, anticipando l'ascoltatore moderno che si muove con facilità tra generi diversi grazie alla facile accessibilità offerta dai mezzi di oggi.
2) Us And Them
3) Endgames
4) Witchhunt
5) Whose Truth Is Your Truth
6) Defiled
7) Bittersweet
8) Nail
9) Descent
10) Control Freak
11) The Internal
12) Live To Lose