GODFLESH

Songs Of Love And Hate

1996 - Earache Records

A CURA DI
DAVIDE PAPPALARDO
28/06/2018
TEMPO DI LETTURA:
7,5

Introduzione Recensione

Prosegue il nostro viaggio nella discografia dei paladini britannici del metal industriale più monolitico, ma negli anni anche più sperimentale e aperto a contaminazioni, ovvero i Godflesh. Il progetto di Justin K Broadrick e G.C Green è un vero e proprio emblema per gli amanti dei suoni più corrosivi e pachidermici, iniziatori di un crossover stilistico che verrà ripreso negli anni da diversi progetti e scene, tra il nu metal e lo sludge americano, senza però mai essere davvero eguagliato; grazie alla mente onnivora dei due inglesi, la loro musica ha sempre seguito allo stesso tempo una linea coerente e un'evoluzione continua, caratteristica che li ha portati dagli albori dell'omonimo EP e del primo album "Streetcleaner", monolitici e grevi, alle incursioni elettroniche di dischi quali "Pure" e "Selfless". Quella che sulla carta è una musica inumana e fredda, ha mostrato invece anche melodie malinconiche e atmosfere ariose, mettendo in campo il mondo unico che i Nostri riescono ad evocare nei solchi dei loro dischi. Siamo nel 1996, anno di "Songs Of Love And Hate - Canzoni Di Amore E Di Odio", lavoro decisamente importante per la loro discografia, sia grazie alle novità in esso contenute, sia grazie alla sua influenza su quanto verrà poi fatto in futuro dal duo. Il sempre irrequieto Broadrick si sente insoddisfatto dal solito suono meccanico usato dai Godflesh, per quanto marchio di fabbrica del progetto, da sempre caratterizzato dall'uso della drum machine; non a caso i suoi vari progetti paralleli, tra cui Curse Of The Golden Vampire e Techno Animal, si erano concentrati su ritmiche sincopate ispirate alla musica hip-hop e al dub. Ecco quindi che viene deciso di aggiungere alla formazione un batterista in carne ed ossa, chiamando in causa Bryan Mantia, percussionista americano che in passato aveva collaborato, tra gli altri, con i Primus. Inoltre, si decide in generale di dare più spazio a strutture "tradizionali" vicine tanto al rock e al metal, quanto ai suoni urbani legati al genere prima menzionato tra le influenze delle "scappatelle musicali" di Broadrick, ovvero l'hip-hop più vario e sperimentale, lontano da qualsiasi derivazione gangsta o grossolana; il risultato è probabilmente il disco più accessibile fino ad ora dei Godflesh, diretto anche se comunque duro e aggressivo, capace di fornire momenti avvincenti anche a chi normalmente non segue la band e il tipo di suono da essa proposto. La rivista Alternative Press parlerà di una fusione tra i suoni dei Black Sabbath e i ritmi del Wu-Tang Clan per descrivere quanto qui sentito, e dato che di sicuro i primi sono tra gli ispiratori di Broadrick, e i secondi non gli sono certo alieni, la definizione calza perfettamente. Suoni grevi e monolitici di chitarra si accompagnano perfettamente alla batteria umana, disegnando comunque paesaggi musicali caustici che mantengono l'abrasività e la visione tetra tipica dei Nostri, espressa anche nei testi che, ancora una volta, ci mostrano un mondo fatto di lotta, dolore, dubbi, rimorso ed emozioni negative, ma anche di esortazioni a rimanere se stessi e non cedere, mantenendosi puliti e distanti da quel mondo visto come ostile ed ipocrita. Lotte interiori molto reali per il musicista inglese, che coinvolgeranno sempre di più la sua persona, anche a discapito della band stessa. In retrospettiva, Broadrick vedrà questo dsico come l'inizio della "perdita di direzione" da parte della band, sconfinando in temi a suo dire fin troppo personali e lontani, sia musicalmente, sia tematicamente, da quella fredda disumanizzazione che era stata al centro della loro musica, ossessiva e greve. In realtà il pubblico gradisce molto, ma il musicista inglese non è mai stato particolarmente attratto dalle lusinghe del mercato, più interessato, invece, al suo personale sentire artistico; inoltre le radici industrial metal incominciano ad essere sostituite da altri elementi, e la versione remix del disco, "Love And Hate In Dub", introdurrà elementi dub e hip-hop ancora più marcati, aprendo la strada per altre sperimentazioni che verranno.

Wake

"Wake - Sveglia" parte con un ritmo meccanico fatto di colpi duri e cimbali cadenzati, presto raggiunto da un suono di chitarra secco e ruggente, promulgato in taglienti loop circolari. Ecco che si aggiungono anche i toni aspri del cantato, che propongono un testo molto astratto che sembra indicare, tramite metafore e paragoni, la lotta alla chiusura mentale e alle costrizioni, denunciando la propria diversità rispetto agli altri. Nessuno ha ragione se tutti hanno torto, e non possiamo vedere il bianco se non possiamo vedere il nero, siamo solo un "guscio vuoto", un "teschio senza nulla". I versi vengono ripetuti due volte per ognuno, con una foga urbana che viene poi completata da sequenze dissonanti e colpi duri, creando un'atmosfera dura e acida, che mette subito in chiaro le cose riguardo alla natura del lavoro qui affrontato. La coda frantumante si va quindi a disperdere in un fraseggio secco, che instaura di nuovo i passaggi iniziali dal galoppo caustico: la nostra battaglia è persa, non c'è altro modo, siamo trattenuti, dobbiamo svegliarci, e anche se rimaniamo tenuti dietro, staremo svegli nella mente che distrugge mentre il corpo dorme. Vengono raggiunte le cacofonie già incontrate, con toni altisonanti che mettono in musica il trambusto emotivo e mentale espresso egregiamente dalla musica corrosiva e disorientante, un connubio di batteria senza perdono e chitarre rocciose. All'improvviso un effetto spaventoso annuncia assoli notturni ed inquietanti, scolpiti da colpi stridenti e tendenze psichedeliche pachidermiche. Si libra quindi di seguito l'ormai familiare motivo portante, che ripete i primissimi versi con la stessa veemenza esistenziale, ripresentando tutti i modi da noi ben conosciuti. Il gran finale vede quindi un'ultima emanazione dei toni lisergici e dilatati, collimando con una digressione.

Sterile Prophet

"Sterile Prophet - Profeta Sterile" si annuncia con un suono greve e distorto, presto sostituito da un riffing roccioso e compulsivo, scandito da colpi duri ed ossessivi di batteria. Un groove rock, ma decisamente minimale e distorto, si libra nell'etere, unito alle vocals con eco di Broadrick, creando un'atmosfera sonora melliflua e disorientante. Si presenta qui un breve testo, ancora una volta molto criptico, che sembra far riferimento all'idea di un profeta, di un messia che in questo mondo pieno di dolore sembra irreale. Non dobbiamo usarlo, se non possiamo sentirlo, e non possiamo esserlo, se non lo vediamo. I motivi ossessivi di chitarra, batteria e basso greve si ripetono con un mantra strisciante che non lascia spazio al respiro, un'agonia sonora che da perfetto completamento alle parole del Nostro: in un mondo pieno di dolore riusciamo a malapena a dire il suo nome, per nulla convinti della sua esistenza o del suo ruolo di salvatore. La chitarra si apre a falcate corrosive, mentre la ritmica rimane impostata su un treno a media velocità che non accenta a fermarsi; il brano si mostra come giocato su pochi elementi ripetuti ad oltranza. Ecco però che dopo una cesura dilatata, s'instaurano giochi di chitarra dissonante, dilatati da colpi di batteria, cimbali cadenzati e scosse di basso. Il motivo ottenuto è ipnotico, e ci trascina con sé verso un bel groove drammatico dall'atmosfera sempre tesa, sul quale Broadrick grida i suoi ultimi versi ripetendo semplicemente la parola "perdonare". Una serie di riff dal gusto decisamente metal, nervosi e ripetuti, da una coda granitica, poi coadiuvata per l'ennesima volta da un drumming che per quanto umano, risulta sempre freddo e devastante, per quanto dalle dinamiche ritmiche più elaborate e varie. Effetti ambientali s'innalzano in sottofondo,completando il finale potente e ben strutturato del brano, che degenera in una mitragliata marziale nei suoi ultimi istanti.

Circle of Shit

"Circle Of Shit - Circolo Della Merda" parla di un mondo indifferente e freddo, dove la propria identità è un problema, e dove bisogna rifiutare se stessi conformandosi all'esterno. Ecco che una ritmica sincopata dal gusto hip hop si accompagna a suoni estranianti, facendo perdurare l'atmosfera acida e lisergica che permea tutto il disco; chitarre pachidermiche e dilatate si uniscono all'impianto sonoro, preparando la strada per i ruggiti caustici di Broadrick: dimentichiamo noi stessi senza rispettarci, ci rigettiamo. Suoni squillanti di natura elettronica sottintendono il tutto, e non è difficile pensare al fatto che l'influenza dei Godflesh nei confronti del crossover e del nu-metal sia qui palese, con una serie di groove acidi e suoni grevi che hanno fatto la fortuna dei due generi gemelli. Chitarre notturne e strutture ritmiche serrate completano il quadro, dandoci la cifra di un andamento lento ma claustrofobico, un panzer che avanza ripetendo quando appena visto, comprese le parole amare del cantante, con un sapore ossessivo e senza fronzoli, un loop che ci dà l'idea di una mente ormai invasa da un unico pensiero che si ripete ad oltranza. Largo quindi ancora ad effetti squillanti e sequenze di chitarra e bassi grevi, scolpiti da colpi secchi di batteria, e sottolineati da drammi urbani: quest'ultimi prendono forza grazie ad effetti dub che li rendono ancora più dissonanti. Il passo da marcia corazzata continua, così come i ruggiti del Nostro e tutto l'armamentario sonoro. Ci sentiamo deboli, non siamo nulla, ci sentiamo posseduti, come se fossimo nulla,rimaniamo giù sentendoci deboli, facendo ridere chi ci opprime. Non riusciamo a vedere noi stessi, ma solo ciò che esiste all'esterno di noi: si continua con toni ancora più cacofonici e taglienti, raggiungendo binari alternative poi dilatati in suoni di chitarra in feedback, i quali mettono fine al nostro viaggio sonoro.

Hunter

"Hunter - Cacciatore" ci dà una rappresentazione claustrofobica e terribile dell'esistenza, un inferno dove non si può fuggire da noi stessi, predatori della nostra stessa persona, toccando anche aspetti più generali e concreti come il ruolo dell'uomo nella distruzione del pianeta. Una marcia dub introduce il pezzo, seguita da un bel riffing rock con suoni di batteria ripetuti; la sequenza si ferma momentaneamente con una cesura, riprendendo poi con un basso tagliente e greve. Broadrick si palesa con un tono aggressivo, ma sommesso, quasi sospirando la sua lezione, scolpita dai passi ritmati e dai loop delle chitarre: abbiamo paura per la nostra stessa sopravvivenza, non possiamo combattere contro quello che siamo. Ora i toni si fanno più aggressivi e ruggenti, mentre il comparto sonoro rimane ancorato alle sue ossessioni concentriche. Continuiamo a fuggire da noi stessi, ma non c'è fuga dal nostro inferno personale. La paura è un predatore che vive dentro tutti, e non possiamo fare altro che essere i cacciatori, perché l'uomo è nato come distruttore. Non ci sono cambiamenti in vista per quanto riguarda la musica, mentre questa volta è la voce di Broadrick ad assumere toni diversi, narrando con toni disprezzanti le ultime parole inedite, prima di riprendere in modo più gridato quanto precedentemente già sentito. Dal punto di vista del songwriting abbiamo forse l'episodio meno elaborato in termini testuali, ma non mancano ora alcune chitarre più dilatate, collimanti con uno stop dissonante, presto comunque seguito da cimbali e loop di chitarra. Si ricrea sostanzialmente il motivo iniziale, sul quale il cantante ripete le sue parole caustiche e piene di rabbia. Un mantra ripetuto, che ipnotizza l'ascoltatore portandolo verso nuove aperture severe e frastornanti, contornate da marce pachidermiche tipiche dei Nostri. Largo per l'ennesima volta al ritornello altisonante e greve, sottolineato da arrangiamenti squillanti: esso va a disintegrasi nel finale con un feedback unito ad un ultimo verso.

Gift From Heaven

"Gift From Heaven - Regalo Dai Cieli" parte con un suono ambient celestiale ed onirico, che ben si collega al titolo della canzone, presto unito ad un feedback di chitarra in sottofondo. Un passo dai clap ritmati crea una struttura semi-ritmica, portandoci verso l'introduzione di un riffing secco e strisciante, vero inizio della canzone, la quale parla di contraddizioni interne espresse tramite concetti e parole contrapposti, una lotta tra amore e odio, speranza e disperazione,niente e tutto. Il suo passo urbano viene potenziato da colpi duri di batteria, mentre Broadrick è a malapena udibile tra le chitarre dissonanti mentre sospira le sue parole con tedio: dichiara di non essere nulla, ma di essere anche amore e odio, di ridare il suo amore, e di amare il suo odio, in una serie di giochi di parole che sin da subito illustrano la natura non lineare e non esplicita del testo. Il passo si mantiene pachidermico nella sua marcia serrata e lenta, giocata su batteria e chitarre stridenti. Si ripetono le parole di poco prima, mentre poi un nuovo effetto celestiale annuncia riff ruggenti e suoni squillanti,seguito dal solito passo pesante: il Nostro ora grida di essere vuoto, ma anche speranzoso, di poter vedere e di essere pieno di paura, di essere nulla, ma di sentirsi come se fosse tutto, di essere vuoto e pieno di terrore. Le scosse sonore accompagnano il tutto, con strutture ora segnate da raffiche di chitarra rocciose e passi striduli, in un clima bellico sommesso, ma possente, dal gusto opprimente e claustrofobico, ma allo stesso tempo anche ritmato. Si crea dunque una lunga coda che ripete i suoi modi e sequenze ad oltranza, portandoci con sé verso aperture più dilatate fatte di chitarre notturne e arpeggi dalla melodia squillante ed evocativa, sorprendendoci con un cambio di registro che comunque non mette fine alla struttura essenzialmente minimale ed ossessiva. Raggiungiamo quindi una psichedelica che potremmo definire cosmica, sulla quale la parola "vuoto" viene ripetuta prima gridata, e poi sospirata in modo stanco; la chiusura viene quindi affidata ad assoli dissonanti che si perdono in synth sci-fi.

Amoral

"Amoral - Amorale" ci narra del mondo, o meglio del sistema di cose in cui la mancanza di morale viene premiata, coprendo i tutto con falsi taboo e regole fatte per conformare il prossimo in modo tale da poterlo sfruttare. Un effetto noise dagli strali in levare ci porta ad un movimento di chitarra greve, unito a suoni drammatici e dissonanti; in sottofondo batterai e cimbali creano l'ossatura ritmica sulla quale si adagiano i suoni felpati. Una cesura ritmata instaura poi un gioco di loop fumosi e drumming sincopato, seguito da un Broadrick che inveisce con forza e furia: noi corrompiamo, schiavizziamo, imponiamo dei taboo che perseguitano fino alla tomba; l'occasione è ottima per notare come lo stile vocale del Nostro abbia largamente influenzato le parti più aggressive di quello usato da Burton C. Bell nei Fear Factory, ricordandolo non poco in questa sequenza. Sarcastico, ci chiede di renderlo come noi, in modo tale che si conformi alla massa, che diventi come il nostro codice morale. Continua la marcia combattiva,scolpita da cimbali e colpi duri di batteria, mentre poi si aprono passaggi dal basso greve e dalle chitarre dilatate in effetti squillanti prima, giri ruggenti dopo: noi distorciamo e distruggiamo, possediamo e mentiamo, facciamo in modo che gli altri seguano, perché sono pecore che hanno bisogno di credere. Intanto cacofonie sonore e parti astrali si uniscono, ma dopo una breve cesura è il primo elemento a dominare, tra suoni stridenti ripetuti, colpi di batteria pesanti e chitarre grevi e distorte. L'effetto è lisergico, dandoci una coda finale che degenera in un suono dilatato che ci porta con sé verso l'oblio, lasciando solo lo spettro di alcuni secondi di feedback.

Angel Domain

"Angel Domain - Regno Dell'Angelo" viene introdotta da un fraseggio secco e greve, dall'animo malinconico, costellato di colpi di bacchetta dilatati e chitarre notturne arpeggiate, una struttura sulla quale Broadrick ci parla del sentirsi inadeguati e deboli, al contrario degli altri che sembrano non avere dubbi ed essere sempre sicuri, come se avessero un angelo guida con loro. I suoi toni rimangono calmi e parlati, mentre ci dice che tutte le sue paure cercano un luogo dove nascondersi,sepolte dentro in profondità. All'improvviso un riffing marziale prende piede, espandendosi con la sua marcia elettrica perentoria e rocciosa, scolpita da rullanti cadenzati di batteria. Si crea così un bel momento rock sul quale ora i toni si fanno più ruggenti e gridati: è facile per gli altri, con la pelle dura e forte, i quali vedono solo quello che vogliono. Torna quindi il motivo circolare di chitarra, trascinante e deciso, sempre in compagnia di un drumming duro, sul quale abbiamo anche bordate sulle quali Broadrick derisorio parla di un angelo accanto a questa gente, una sorta di protezione celeste data dall'ignoranza. E' facile per loro, non potrebbero mai essere così deboli, ogni cosa per loro sembra così bella, come se avessero un angelo custode. Ecco nuovi passi rocciosi, poi aperti da colpi duri e riff granitici: conosciamo di seguito aperture ariose piene di epicità, un bel movimento con melodie dissonanti, interrotto da una cesura greve, pronta a riprendere dopo una lunga sequenza il galoppo potente iniziale. Tutte le nostre paure cercano dove nascondersi, e ci prenderanno con il tempo, nonostante il fantomatico angelo che sta vicino a noi. Intanto continuano le sequenze ormai familiari, con una struttura basata su lasciate e riprese, dal gusto metal deciso e calibrato su chitarre ora rocciose, ora aperte in motivi alternative di ottima fattura, tipici del periodo qui affrontato. Ed è su queste note che il brano si ferma all'improvviso, mettendo fine al suo galoppo.

Kingdom Come

"Kingdom Come - Venga Il Tuo Regno" è un brano che tratta in modo polemico e derisorio il tema della religione, vista come controllo e mezzo per ingannare l'uomo, uno strumento del potere tra i tanti, usato per uniformare le menti creando false paure e dogmi. Un suono greve in levare si ripete ad oltranza, spezzandosi poi con sotto una ritmica urbana serpeggiante: ecco quindi motivi hip hop disorientanti e acidi, sui quali proseguono i loop di chitarra. Broadrick si manifesta con una voce sussurrata e malevola, parlandoci di come ci darà spazio mentre lo incateniamo,di come non ci lascerà andare, mentre lo facciamo cadere, di come vedrà la nostra via mentre lo evitiamo, si arrenderà, così che potremo camminargli sopra. Parti stridenti delineano il passo lento e sospeso della traccia, mentre le vocals si mantengono appena percettibili, ma cariche di un veleno che vuole colpire. Giochi sempre grevi si ripetono tra colpi cadenzati di batteria, dandoci una cesura tutto tranne che tranquilla, dall'alto livello di cacofonia sonora, mentre la ritmica si mantiene strisciante, ma decisa, contornata da suoni diafani. Si ripetono di seguito i modi e le parole già incontrate, in un mantra lento, ma ossessivo, destinato a portarci con sé verso nuove manifestazioni serrate e dall'accordatura bassa, mentre la voce di Broadrick conosce filtri dub in riverbero. Ora i suoni si dilatano con un feedback squillante che si protrae tra i colpi secchi, accompagnato poi da una batteria cadenzata, al quale prende poi posto sulla scena con i giri perentori e distorti di chitarra; chiuderà gli occhi, in modo tale che potremo cucirli, avrà comunque fede, altrimenti lo crocifiggeremo, perché pensa che se riuscirà a credere, noi crederemo in lui in cambio. In tutto questo il cantato si fa sempre più spettrale, mentre le cacofonie altisonanti proseguono fino alla coda, lasciata ad un feedback sul quale si levano le ultime parole, e di seguito una sequenza urbana sincopata sulla quale si ripetono versi fantasmagorici e bordate di chitarra, trascinandoci con sé ad oltranza. Ecco quindi il finale con suoni dilatati e stridenti, e una batteria che va a scemare fino all'oblio.

Time, Death And Wastefulness

"Time, Death And Wastefulness - Il Tempo, La Morte, E Lo Spreco" si palesa con dei colpi su piatto cadenzati, sospesi su un suono evocativo presto accompagnato da arpeggi squillanti e grevi passaggi di basso, con uno scenario completato da versi solenni di Broadrcik. Ecco che all'improvviso passiamo ad un riffing roccioso con colpi duri di batteria, i quali instaurano una marcia metal violata da passaggi dissonanti dove il cantante esprime con vocals in riverbero un senso di disaffezione e disprezzo verso i rapporti umani e la realtà, fatta di falsità e mancanza di senso, tanto da corrompere anche noi stessi, portandoci a non provare più nulla di reale. Egli si chiede quante bugie possono essere usate dalle persone mentre fingono di avere emozioni, mentre le sue declamazioni sottili vengono quasi del tutto coperte dal comparto sonoro duro e disorientante, dalle atmosfere acide dal gusto quasi crossover. Tutto ciò che importa, alla fine, è il tempo: ecco che ora le chitarre accompagnano le sue parole, quasi a volerne sottolineare l'importanza, con riff taglienti e distorti, i quali spingono in avanti la lenta composizione, contornati sempre da un drumming umano sospeso, ma decisamente presente e sentito .Dobbiamo essere quello che siamo e fregarcene, ruggisce il Nostro, mentre la musica prende potenza, pur trattenendo la velocità. Seguono passaggi di chitarra esaltanti e contrassegnati da parti squillanti, poi sostituiti dai movimenti iniziali, sempre con cantato evocativo e sommesso: lui ci deluderà, e noi lo sappiamo che lo farà, è sempre e solo un idiota. Il mantra malsano conosce le evoluzioni già incontrate, con impennate e ruggiti vocali pieni di foga e potenza rabbiosa, in un gioco di chitarra e ritmica ben congegnato e dal suono secco. Andiamo ad infrangerci contro una cesura con fraseggi dissonanti, poi aperta dai riff circolari stridenti e distorti. Montanti metal si susseguono, seguiti quindi dal cantato a cantilena e dalle esplosioni ora con una ritmica ancora più dura e incisiva, vera ossatura per la musica sempre più aliena e disorientante, la quale va a generare una coda in feedback. Un basso greve crea un fraseggio strisciante con versi evocativi, che prosegue fino alla chiusura improvvisa segnata da un altro feedback, dilungato e squillante.

Frail

"Frail - Fragile" tratta della fragilità, ma intesa in senso molto più ampio di quello che si può intendere: non una semplice debolezza emotiva, bensì anche qualcosa che con il tempo crea scudi e mura come forma di difesa verso il mondo. Un suono di chitarre squillante in levare ci accoglie, poi sostituito da falcate di chitarra maestose e marziali accompagnate da cimbali cadenzati, creando una melodia distorta ed epica sulla quale prende piede un motivo di batteria dai rullanti dinamici. Broadrick interviene con un cantato umano, ma filtrato da effetti in riverbero, dicendoci che dobbiamo rendere conto solo a noi stessi e a nessun altro, dietro ai nostri occhi e dentro la nostra testa. Fraseggi evocativi creano cesure dal gusto rock, mostrandoci un lato intimo dei Godflesh non del tutto inedito, ma che in futuro avrà ancora più spazio in ballad dal gusto post-rock/shoegaze che qui trovano un antecedente. Il passo si mantiene lento e fumoso, mentre di seguito riprende il motivo precedente tra loop circolari, colpi di batteria ripetitiva e vocals sempre ariose: dobbiamo andare in profondità dentro di noi, ma non verso l'esterno, egli proverà, anche se forse invano. Riecco le evoluzioni emotive dai bei passaggi rocciosi, mentre un motivo sognante si sospende poi su cimbali cadenzati e rullanti ritmici, prendendo velocità in un galoppo sentito e carico di atmosfera. Un'ennesima cesura ci riporta sui binari del ritornello iniziale, dove Broadrick ripete la sua triste lezione con una stanca leggiadria che in realtà esprime tutto tranne che allegria. Riecco quindi giri sognanti ed impennate malinconiche molto anni novanta, dalle linee alt-rock chiare e ripetute. Un fraseggio melodico apre una sessione ariosa, poi commutata nel familiare galoppo con rullanti di batteria e chitarre diafane, ma distorte. Il cantato si dà a vocalizzi eterei, narrandoci di come non ha mai osservato nella vergogna, e nemmeno invano, esortandoci a non cambiare mai, a rimanere sempre gli stessi. La musica quasi in corrispondenza alle parole raggiunge un climax emotivo in levare, dove i toni da evocazione si ripetono fino alla sessione finale con chitarre minimali e voce protagonista, poi sospesa nell'etere fino alla chiusura con feedback.

Almost Heaven

"Almost Heaven - Quasi Il Paradiso" ha un testo che parla, a dispetto del titolo del brano, di un'esistenza tutto tranne che idilliaca, dove soffochiamo pieni di ansia e senza avere coscienza di noi, incapaci di essere qualcosa perché non ci hanno mai insegnato ad esserlo. Suoni diafani e acidi si spandono nell'aria, mentre una ritmica urbana si protrae tra pulsioni dilatate e rullanti cadenzati, generando un corso segnato da fraseggi di basso. Ecco quindi riff ruggenti e dissonanti, ripetuti in loop poi interrotti dalle vocals severe, ma umane, di Broadrick. Egli chiede di fargli sapere chi è, perché non ne è sicuro, vuole sapere cosa è rimasto, perché non sa nemmeno se ora è qui. L'atmosfera rimane decisamente aliena e psichedelica, anche quando partono dei montanti fumosi con parti cantate quasi eteree che ripetono i versi di poco prima. Riecco di seguito le trame iniziali, tra suoni corrosivi e vocals sommesse e striscianti: il Nostro chiede di poter respirare perché, per ora, conosce solo il soffocare, ma non sa farlo da solo, non saprebbe nemmeno come, non gli è mai stato insegnato, e per questo adesso sente di essere nulla. Riecco quindi i ritornelli ariosi con suoni alienanti e dilatati, mantenendo l'impianto lisergico del brano. Seguono montanti disturbanti, sospesi su batterie cadenzati e suoni stridenti, con una composizione che dopo il terzo minuto si abbandona ad assoli spettrali dilungati in arie funeree, sempre sottintese da parti di basso sferraglianti e suoni sempre più squillanti ed elaborati. Rallentamenti vari segnano il passo del pezzo, ormai prodigato in giochi ritmici ed ambientazioni decisamente hip-hop. Una lunga sequenza strumentale ci porta con sé, segnata da climi notturni e drumming sincopato, mentre le corde basse si fermano, lasciando posto ad un ultimo feedback spettrale che si perde nell'etere. Una chiusura minimale sia nel suono, sia nelle parole, che ben racchiude la natura stessa del disco, spesso senza facili catarsi.

Conclusioni

Un disco che rinnova il suono dei Godflesh, ma ne mantiene la natura pachidermica, nichilista e sperimentale, anche se i suoi stessi autori lo vedranno come l'inizio di un allontanamento dalla vera natura del suono del progetto. Spesso l'arte migliore nasce dai conflitti interiori, e di sicuro Broadrick incomincia ad essere in lotta con se stesso, tra la fedeltà che sente verso la creatura sua e dell'amico Green, e il bisogno, quasi inconscio, di esprimersi in maniera più personale integrando anche i suoni da lui esplorati con i suoi progetti paralleli. La scelta di un drummer umano era qualcosa di rivoluzionario per i Nostri, dato che, da sempre, proprio la drum machine aveva assolutamente caratterizzato e fatto la fortuna del suono della band, sinonimo di paesaggi claustrofobici ed industriali. Questo però, come visto in sede di analisi dei brani, non si è tradotto in un tradizionale disco rock, bensì in un lavoro sempre alieno e disorientante, semmai dalle dinamiche ritmiche più elaborate e varie, ma non certo un tradimento verso l'immagine e il messaggio dei Godflesh, sempre grigio e rischiarato da ben poca luce. In molti gradiscono, e l'impianto ancora più vicino al metal "tradizionale" fa guadagnare punti anche agli occhi di chi non amava molto l'industrial metal dei Nostri, e in generale il disco viene visto dalla stampa come un'evoluzione positiva che dona un lavoro diretto, ma allo stesso tempo dalle diverse facce. È difficile spiegare come mai, nonostante questa riconoscenza, i dubbi di Broadrick cresceranno sempre più nel tempo. Di sicuro un fattore da tener conto è quello per il quale nella sua testa, all'epoca, i Godflesh non erano un gruppo metal, genere da cui spesso nelle interviste prendeva le distanze anche a causa dell'immagine per lui da macho e/o infantile spesso associata al genere, sentendosi più vicino all'area alternative. Inoltre, la sua idea era sempre stata quella di rappresentare un suono disumano, minimale e distaccato, idea che però nel tempo si stava sempre più incrinando per sua stessa azione, in un dissidio umano ed artistico che in futuro sarebbe esploso indissolubilmente. Per ora, ci troviamo semplicemente di fronte a un disco che fonde un impianto urbano e acido con chitarre capaci sia di abrasioni dissonanti, sia di malinconie melodiche ed aperture ariose, sorretto da un batterista abile e capace di creare un'ossatura degna degli altri elementi. Molti pezzi usano momenti urbani vicini all'hip-jop più "nobile", genere molto gradito a Broadrick, e non mancano similitudini con il movimento nu metal allora nascente, e largamente influenzato proprio dai Nostri. Inoltre incominciano a farsi più presenti anche ballad vicine a suoni più umani ed evocativi, in futuro ancora più presenti, fino allo sfociare nel progetto Jesu. Insomma, come spesso succede, i semi di quanto verrà sono già presenti, anche se in forma embrionale e a volte inconsapevole. E, scavando ancora più in profondità, capiamo che quanto qui sentito non è nato dal nulla, e nemmeno solo dagli interessi paralleli di Broadrick: infatti il precedente "Selfless", per quanto legato ancora ad una drum machine fredda ed ossessiva, aveva mostrato l'apertura verso territori meno claustrofobici e verso l'uso di riff più vicini al metal e al rock classico. Qui il collante usato era un'elettronica a tratti fredda, a tratti umana, capace di creare episodi più "aperti", ma ancorati certamente alla natura acustica del gruppo. Insomma, un tassello necessario per capire quanto fin'ora ascoltato, e non a caso la prossima tappa nel nostro viaggio a ritroso verso le radici della band che più di ogni altra al mondo ha definito il concetto di industrial metal, ma anche di variazione sul tema rispetto ad esso.

1) Wake
2) Sterile Prophet
3) Circle of Shit
4) Hunter
5) Gift From Heaven
6) Amoral
7) Angel Domain
8) Kingdom Come
9) Time, Death And Wastefulness
10) Frail
11) Almost Heaven
correlati