GODFLESH
New Flesh In Dub Vol 1
2021 - Avalanche Recordings
DAVIDE PAPPALARDO
10/11/2021
Introduzione Recensione
Riprende la nostra analisi della discografia dei britannici Godflesh, ovvero il duo industrial metal composto da Justin Broadrick e G.C Green pioniere tanto del suddetto genere, quanto del metal alternativo anni '90 in senso più ampio. Riprende con un episodio particolare uscito recentemente in digitale, ovvero la compilation di remix "New Flesh In Dub Vol 1" uscita come sempre per l'etichetta Avalanche Recordings di proprietà di Broadrick stesso; vengono qui raccolti vari remix in chiave dub usciti su EP e versioni speciali degli album usciti dopo il ritorno del duo sulle scene nel 2014. Parliamo quindi di lavori come "Decline & Fall", "A World Lit Only By Fire" e "Post Self". Remix che seguono dunque l'amore dimostrato da tempo da parte dei Godflesh verso suoni lenti e saturi di riverberi ed echi, usati per creare versioni ancora più alienanti e distorte dei loro brani. Inoltre la carriera di Broadrick vede anche vari progetti paralleli dedicati al genere o comunque con anche elementi dub, come Curse Of The Golden Vampire, Techno Animal o JK Flesh. Una raccolta insomma non sorprendente per chi conosce la band e la mente dietro di essa, sia per il tema dominante, sia per il materiale qui contenuto: si tratta come detto di tracce già apparse in altre uscita, con la sola eccezione dei due brani conclusivi "Your Nature Your Nurture" e "Gateway" composti durante la creazione del precedente "Post Self", ma rimasti inediti fino a ora. Due tracce che comunque mantengono una certa ariosità e atmosfera distorta molto in linea con i remix, inoltre la prima ha molti elementi in comune con la già edita "Mortality Sorrow", e che hanno molto della natura delle B-side. Insomma, l'uscita in sé è qualcosa di riservato a chi già conosce la band e vuole avere tutto quanto da questa prodotto, sensazione fortificata dalla natura digitale dell'album che fa pensare a un'operazione fatta anche per cercare di rientrare almeno in parte dalle perdite economiche dovute alla mancanza prolungata di live a causa della situazione globale; cerchiamo però di cogliere l'occasione per ricordare i trascorsi della band e i motivi dietro allo spirito di uscite di tale genere che uniscono il loro suono a tratti più elettronici e dilatati. Nati dalle ceneri dei Fall Of Because, band che già presentava elementi di derivazione post-punk, noise e sperimentali, i Godflesh spingono il piede sulla pesantezza monolitica del suono creando una commistione di metal e musica industriale che negli anni conoscerà vari livelli di sperimentazione con l'elettronica, pur conservando sempre un certo nucleo minimale e abrasivo. Dopo dischi quali "Streetcleaner", "Pure", "Selfless" e svariati EP, i Nostri pubblicano il disco "Songs of Love and Hate" dove stupiscono con l'uso di una batteria umana e di elementi hip-hop in bella vista, suoni che avevano sempre influenzato le ritmiche del progetto, ma non così esplicitamente. Nonostante una maggiore accessibilità nel risultato finale, il disco non viene accolto bene da parte di pubblico e critica, e lo stesso Broadrick lo valuterà in futuro come un passo falso. Quasi a volersi scusare, o ribadire la natura della band, esce quindi l'album di remix "Love And Hate In Dub" dove i pezzi vengono trasformati con suoni breakbeat, dub, hip-hop diventando più ostici, acidi ed estranianti. Nell'immediato futuro troveremo ulteriori sperimentazioni nel disco "Us And Them" dove tornano suoni breakbeat, ma dove troviamo anche elementi drum 'n' bass e shoegaze che ampliano ulteriormente la musica dei nostri. All'epoca tutto questo creerà una forte crisi nel tormentato Broadrick, diviso tra esigenze sperimentali e una sorta di fedeltà verso la natura originale del progetto, crisi che insieme all'impossibilità di Green di portare avanti i suoi progetti di vita e il gruppo farà sciogliere i Godflesh dopo il disco "Hymns". Con il ritorno e la seconda vita dei Nostri tali dilemmi sembrano essere stati superati portando a una conciliazione, forse dovuta anche al relativo successo dei progetti Jesu e JK Flesh con cui Broardrick può rispettivamente esplorare suoni plumbei e intimi, così come quelli elettronici e ossessivi. Ecco quindi che con l'uscita qui recensita ritroviamo quello stesso spirito, ma in un contesto diverso dove la band non ha nulla da provare e dove il suo pubblico è ben abituato a questo tipo di operazioni.
Playing With Fire (Dub)
"Playing With Fire (Dub)" nasce da un bisogno di esprimere un senso di segregazione e rabbia repressa, di una visione della società come una prigione senza via di scampo, qualcosa di opprimente dove vengono imposti valori e sentimenti vuoti, fatti d'ipocrisia e falsità. Se nella versione originale trovavamo ritmi lenti e da effetti industriali uniti a riff di chitarra dal sapore quasi rock, qui troviamo una certa rilevanza di basso e batteria pesantemente modificati con echi e riverberi, concentrazione sull'ossatura del pezzo. Compare una chitarra filtrata sotto la quale percepiamo distorsioni industriali, qui ancora più incisiva e meccanica, così come la drum machine, mentre le vocals diventano eteree e spettrali, relegate allo sfondo sonoro. Il movimento ritmico domina il tutto, e dopo il verso ruggente di Broadrick sono il basso e la batteria a creare una sorta di anti-ritornello, un fantasma di quanto succede nella versione originale del brano. Tutto si mantiene oltre modo alienante, mantenendo un'impostazione acida e confusa; si ritorna alle sequenze minimali, così come alle implosioni sommesse che prendono il posto delle esplosioni sonore che caratterizzano il pezzo. Una chitarra macilente domina poi l'etere insieme alla ritmica ossessiva, pronta a suoni cavernosi dai loop abrasivi. Batteria e voce tornano al centro dell'attenzione, conducendoci in paesaggi inquietanti e fumosi: inevitabile l'ennesima implosione nebbiosa, così come nuovi montanti pieni di riverbero. Un esperimento sonoro che sicuramente interesserà i cultori dei suoni più distorti ed ossessivi, destinato nella conclusione ad abbandonarsi a suoni gracchianti e riff di chitarra distorti e rocciosi, mutuati nel finale in fraseggi spettrali; per molti altri sarà un'aggiunta un po' fine a se stessa, ed effettivamente poco aggiunge alla qualità del lavoro, ma allo stesso tempo non la inficia, confermandosi come un bonus che va vissuto ed interpretato come tale.
Ringer (Dub)
"Ringer (Dub)" tratta del controllo di pensiero, dell'essere imprigionati nelle convenzioni sociali, e di coloro che dominano le nostre esistenze, degli ordini che ci danno tramite le consuetudini e le regole. Un pezzo caratterizzato da una musica monolitica e possente aperta da un disturbo in crescendo, una specie di roboante rumore di vento sconvolto poi da montanti imperanti e distorsioni di chitarra; una marcia granitica che avanza pachidermica, scolpita da un incedere senza tregua. Le vocals di Broadrick diventano sgraziate, perse in echi e dilatate, privare della loro funzione normale e rese strumenti al pari di batteria, basso e chitarra: quest'ultima esplode in un riffing ruggente, sorretto da una drum machine pestata. Ritorniamo quindi su andamenti persi in riverberi e movimenti da carrarmato, pachidermici e pronti a lasciare spazio all'improvviso a giri circolari abrasivi, potenziati da colpi sempre pestati. Un piatto segna il passaggio al basso greve unito ad echi vocali, concedendoci una pausa prima della ripresa dei percorsi ritmici, alternati con gli stop in modo tale da ricreare un'atmosfera nervosa e pesante, ma allo stesso tempo dilatata ed eterea. Raggiungiamo così un' anti- melodia di sottofondo fredda ed incalzante, supporto della strumentazione roboante, ormai familiare. E' tempo quindi per una marcia possente, unita a piatti pestati e loop corrosivi, fermata da effetti vari e dai cori in riverbero del Nostro; asperità di chitarra e movimenti quasi tribali completano il quadro, trascinandoci in una digressione prolungata, completamento dell'ossessione sonora. Il finale vede ancora esplosioni di piatti, zittite poi da una chitarra ribassata sulla quale torna la lenta marcia greve. Un esaltante parata sonora, fatta di distorsioni e suoni rocciosi, che implode in parentesi dai muri noise e dalle batterie ipnotiche: la firma finale è data da una digressione in solitario, persa poi nell'etere.
Shut Me Down (Version)
"Shut Me Down (Version)" presenta una riproposizione decisamente elettronica del brano, tra strati elettronici e loop dove il tutto viene ricondotto a batteria, effetti squillanti, e riff secchi e minimali, mentre le vocals di Broadrick rimangono aggressive, ma in qualche modo più umane. Egli ci parla di uno stato di prossima esplosione, di una mancanza di controllo che porta al desiderio di morte, pur di fuggire da tale circostanza, e di come non dobbiamo prendere nulla da coloro che vogliono la nostra anima. Trame sincopate e suoni dissonanti vanno a posizionarsi quindi su un songwriting basilare, dove vengono portati alla luce tutti gli elementi ritmici del pezzo, regalandoci anche cesure urbane vicine ad un sapore hip-hop, ma sempre dalla tensione alta. Riff ossessivi e movimenti squillanti saturano il suono, mantenendo la linea seguita sin dagli inizi, e tornano pause dominate dalla drum machine pestata e dallo scratching reiterato. Il risultato è una sequenza ipnotica, destinata ad accompagnarsi a linee di basso in momenti di raccoglimento dove si sperimenta anche con gli effetti sulla voce del cantante. Ritroviamo i loop iniziali, dissonanti ed alienanti, così come i piatti cadenzati e le pulsioni potenti e concentrate, questo fino alla conclusione improvvisa. Notiamo come qui i giochi di chitarra e gli arpeggi notturni della versione originale vengano sostituite da soluzioni ben più ritmiche e graffianti, giocando su distorsioni e loop alieni.
New Dark Ages (Dub)
"New Dark Ages (Dub)" offre come da titolo una riproposizione dove dominano i suoni di basso e la batteria, arricchite da suoni cosmici e riverberi che creano un'atmosfera eterea e spettrale. Si parla qui di un'età oscura dove preghiamo di non trovarci, mostrandoci in termini astratti ed interpretabili una realtà amara dove non abbiamo controllo di nulla, e dove la nostra esistenza è sempre in pericolo. Sequenze ritmiche seguono una strada fatta di movimenti meccanici, destinata a conduci verso grida piene di echi, un rumore roboante che ci investe, salvo poi scomparire per ridare spazio alla strumentazione, che conosce anche effetti "sotterranei", così come scariche ad accordatura bassa che ricordano scosse elettriche improvvise, e che mantengono l'elemento caotico qui ben presente. Ecco la riproposizione delle vocals dai filtri in riverbero, così come dei riff grevi e disorientanti, in un'atmosfera lisergica dove tutto è immerso in strati sonori; seguono sequenze minimali con basso e drum machine dilatata, accompagnate poi da chitarre caotiche e piatti cadenzati, in un gioco sonoro dove la melodia del brano iniziale diventa ben più scheletrica ed asservita a manipolazioni sonore portate avanti anche in strali cosmici e nuove marce meccaniche. Il finale vede una coda rarefatta di pochi secondi, conclusione "ambient" per una riproposizione sperimentale dal grande effetto.
Imperator (Version Dub)
"Imperator (Version Dub)" offre immagini di perdizione e sconfitta, contrastando con il nome del brano, dove abbiamo fallito nel raggiunge qualcosa e ci ritroviamo in un mondo senza luce e speranza. La traccia si apre con un riffing distorto unito a strati di synth e passi serpeggianti, raggiunto da un drumming quasi tribale, e di seguito da arpeggi notturni ed ossessivi. Troviamo poi un bel montante dal suono dissonante, condito da giri rocciosi e loop reiterati. Ancora una volta le vocals vengono riempite di filtri, mentre in sottofondo la strumentazione minimale prosegue nella sua marcia, aprendosi a sessioni squillanti, mentre la ritmica si mantiene strisciate; distorsioni spinte dominano l'etere, rendendo il tutto ancora più disorientante ed evocativo, tenendo in sottofondo le melodie, e in primo piano batteria e strumenti a corda. Sequenze meccaniche ci portano con loro, ossessionandoci, mentre di seguito prende posto la sola batteria con voce, regalandoci un momento quasi rituale, sormontato da un'atmosfera malvagia promulgata anche durante la ripresa dell'andamento più diretto. Feedback astrali continuano in sottofondo, prendendo poi il controllo nel in un falso finale, aperto invece a nuovi momenti ritmici che generano un mantra pluviale dove spettri sonori e parti concise si uniscono in un'atmosfera suadente, ma sinistra. Un fraseggio spettrale, sovrapposto a feedback stridenti, prosegue, ma ecco che all'improvviso un drone elettronico copre il tutto, ridando spazio alla ritmica e agli effetti in sottofondo. Una lunga marcia quindi, che ci porta verso una serie di pulsioni destinate a muoversi tra suoni stridenti, consegnandoci una conclusione firmata da un effetto finale.
Parasite (Alternative)
"Parasite (Alternative)" è una declamazione contro certe persone e i loro comportamenti, individui che agiscono come parassiti, sfruttando il prossimo e succhiandogli energie ed emozioni. Una reinterpretazione in chiave caotica e minimale del brano originale dai connotati più secchi e severi. Essa parte con un brusio tagliente in loop, presto unito a colpi potenti ed oscurità in sottofondo, poi sostituite da chitarre cadenzate e squillanti. La produzione non offre qui il groove della versione definitiva, dandoci invece una sequenza scarna dove i ruggiti di Broadrick hanno ancora più rilevanza, messi in primo piano tra le raffiche di chitarra e le dissonanze in loop che seguono poco dopo, qui ancora più estraniante. La sensazione è quella di un demo dallo spirito ancora meno edulcorato e dall'impatto destante, una versione che qualcuno potrebbe preferire a quella definitiva, e che di sicuro ha una sua presenza e ragione di esistere. I riff circolari proseguono con il loro gusto marziale, accompagnati da fraseggi atonali, conducendoci verso il ponte fatto di bordate grevi, suoni inquietanti, e ritmica cadenzata. Ecco che l'enfasi sale grazie a piatti concitati, mentre di seguito giochi di riff potenti dal gusto death e colpi potenti di batteria si alternano. Il cantato ritrova posto tra gli elementi sonori, mentre si ripetono le evoluzioni ormai familiari, ritrovando sia passaggi scolpiti, sia digressioni grevi e sospese; il finale vede un'ultima cavalcata dai ritmi incalzanti e dalle striature ripetute, firmata da una digressione in solitario.
In Your Shadow (JK Flesh Reshape)
"In Your Shadow (JK Flesh Reshape)"è espressione di qualcosa di orribile (la nostra ombra? Il nostro lato oscuro?) che non attende altro che divorarci, rinfacciandoci i nostri errori e bassezze. Un remix eseguito a nome del progetto techno-industrial/dub di Broadrick JK Flesh dove dominano effetti tribali dal gusto primitivo. Una ritmica notturna va ad instaurarsi tra connotati minimali ed ossessioni da dancefloor alternativo; le vocals disumane dell'originale acquisiscono qui una valenza più musicale, pur rimanendo totalmente lontane da qualsiasi comprensione. Ora la struttura si fa ancora più incalzante, e non è per nulla difficile immaginare il passaggio del pezzo in un luogo come il famoso Berghain di Berlino, tra trame suadenti ed oscure, e suoni compulsivi che si fanno man mano sempre più violenti grazie ad una drum machine distorta che ricorda sferzate di frusta; ad essa si aggiungono snare ripetuti, ma subito dopo andiamo a finire in un loop evocativo, sul quale strisciano movimenti di base elettronica. Ritorniamo quindi ai suoni iniziali del remix, pulsanti e ora sconfinanti in un effetto ovattato da vinile, con l'inconfondibile brusio della puntina sul solco, sul quale prosegue l'andamento: si va quindi a chiudere il tutto, mettendo fine ad un interessante rivisitazione che si dimostra essere quella più funzionale tra le tre presenti, trasformando il pezzo in un numero da pista oscura. I legami tra Broadrick e il mondo techno cementificato tramite una serie di EP e album a nome JK Flesh, vengono a galla, ma naturalmente seguendo una linea sempre sperimentale insita nel Nostro e in tutto ciò che tocca.
Your Nature Your Nurture
"Your Nature Your Nurture" è uno dei due inediti contenuti nella raccolta, derivati dalle sessioni di registrazione del disco "Post Self", ma poi non inseriti nel suddetto disco. Nel caso specifico in realtà troviamo diverse somiglianze con la traccia "Mortality Sorrow", tanto da farci pensare che si tratti di una sua versione iniziale poi scartata. Suoni grevi e distorti si ripetono in bordate intermittenti, raggiunte da colpi secchi e battiti cadenzati. Asperità lontane, diafane e sinistre, creano un'atmosfera da incubo, completata da cimbali serpeggianti e vocals sinistre che sembrano venire dall'aldilà; è impossibile decifrare esattamente cosa esse dicano, ma non è impossibile immaginare temi di conflitto tra il proprio essere e le imposizioni esistenziali della società, temi da sempre presenti nella discografia dei Nostri. Qui è il suono volutamente sgraziato, ostico, pieno di suggestioni ostili a convogliare un messaggio freddo e metallico. Nuove cesure distorte creano oceani evocativi dove s'instaurano piatti cadenzati e nuovi fantasmi sonori. L'elemento ritmico la fa da padrone, mantenendo la coerenza con l'estetica della raccolta e la sua natura dub; ecco quindi chitarre ridotte a versi stridenti in sottofondo, testimoni di una marcia maligna che prosegue con ossessione. Si ripropongono le alternanze precedenti in una struttura minimale e giocata sulla ripetizione ipnotica, pronta a collimare con muri di suoni che creano un clima quasi orchestrale nelle loro dissonanze, poi consumate in un fraseggio distorto e malinconico, che suona come una melodia violata e ridotta allo stato di uno spettro.
Gateway
"Gateway" è il secondo inedito contenuto nella raccolta, questa volta un episodio che richiama le tendenze più shoegaze e psichedeliche dei monolitici Godflesh, anche se non mancano elementi pesanti e distorti, come da loro abitudine. Anche in questo caso non abbiamo un testo ufficiale, e le vocals che compaiono sono filtrate e di difficile comprensione, lasciando libera interpretazione legata più all'emotività, che alla percezione da parte della ragione. Una chitarra ruggente e distorta introduce un tema portante che presto si converte in un trotto fatto di giri taglienti e colpi cadenzati di drum machine raggiunta dai soliti cimbali striscianti. Broadrick s'introduce con vocals umane, ma piene di riverberi, rese come qualcosa di lontano e spettrale, condannate a ripetere nei venti i loro versi. Esse completano perfettamente l'atmosfera estraniante del disco, convogliata anche dall'ossessione delle ripetizioni; all'improvviso la ritmica si fa ancora più allarmante e serrata, in una sorta di doppia cassa sulla quale martelli si battono, lasciando poi posto a dissonanze psichedeliche che sembrano urla. Si ripetono quindi i movimenti precedenti, in un mantra destinato a collimare sempre nell'attacco di batteria seguito da versi come in una danza di guerra. Un galoppo esaltante segue con le sue bordate incalzanti, creando una sessione più movimentata che ci trascina con sé prima di infrangersi contro nuove mura fatte di chitarre sottolineati da giri di basso greve. Si riparte quindi dall'inizio, rincontrando per l'ennesima volta una struttura ossessiva e minimale che unisce suggestioni sinistre e robuste bordate ad accordatura bassa, lasciando solo nella conclusione i suoni spettrali in solitario, requiem arioso per la traccia e per il lavoro tutto.
Conclusioni
In definitiva, "New Flesh In Dub Vol 1" è una raccolta riservata solo a chi vuole avere qualsiasi uscita dei Godflesh e non certo a chi si avvicina alla band per la prima volta, o a chi è interessato ai loro album principali e non sente il bisogno di seguire ogni loro deriva. Non perché si difetti in qualità, i remix hanno una loro specifica natura e carattere, e se si è interessati a certe sonorità non sono mai inutili, ma semplicemente perché un buon ottanta per cento della musica qui contenuta era già presente in altre uscite, siano esse EP o edizioni speciali per il mercato giapponese, e le due b-side inedite non aggiungono molto al discorso affrontato e sinceramente svelano la loro natura di tracce "di troppo" che comportano un interesse più legato al processo di stesura delle tracce per un album, che a una loro intrinseca originalità. Come ricordato nell'introduzione, il concetto di remix non è per nulla nuovo per i Nostri, e già in passato è stato composto un album intero dove veniva data tramite di essi una nuova visione a tracce già uscite in precedenza, così come già dai primi EP della band sono comparse reinterpretazioni e revisioni. E' interessante notare il legame tra la band, e soprattutto Broadrick, e la così detta musica dub. Un legame che non è inedito nella musica industrial e nei suoi derivati. Negli anni ottanta e novanta realtà come i KMFDM o i Ministry erano solite pubblicare singoli, EP o anche tracce bonus negli album legate a questo genere, che insieme all'elemento "funk" era molto presente nelle uscite di etichette come la storica Wax Trax Records. Ma cos'è esattamente la dub, e come è nata? In realtà in un contesto diverso, ma che ha anticipato molte delle tendenze della musica elettronica. Nata tra fine anni sessanta e inizio settanta come un derivato della musica reggae, la dub aveva una funzione pratica dove tramite i remix strumentali di tracce originariamente cantate si creavano brani pronti per la pista dove il pubblico poteva cantare liberamente sulle basi. Si metteva inoltre in rilevanza la parte ritmica e si applicavano riverberi ed echi, creando quindi qualcosa di nuovo dove alcune parti venivano riprese come singoli clip tramite il metodo del "dubbing", ovvero la sovra-incisione. Si trattava delle prima avvisaglie di quella che diventerà la pratica di manipolazione da parte dei DJ, tanto cara alla techno e musica dance, quanto al hip-hop e suoi derivati, tutte realtà collaterali al suono dei Godflesh, non a caso. Inoltre in Inghilterra il genere aveva influenzato gruppi punk come The Clash e post-punk come i Bauhaus, P.I.L e Killing Joke, entrando nel mondo sotterraneo e anche nelle discoteche. In America troviamo anche qui commistioni con il punk nei Bad Brains e più avanti nei Rancid e NOFX, e i remix dub compariranno in svariati singoli e dischi tra anni ottanta e novanta. Con queste premesse, e considerando soprattutto il forte legame tra Broadrick, Green e il post-punk, la musica hip-hop e l'elettronica britannica, non è difficile capire il perché di questo legame con il dub, genere che si sposa perfettamente con le aspirazioni minimali e giocate su riverberi e distorsioni, care ai nostri. Un legame quindi scritto sia nella storia personale dei due artisti, sia nel DNA della musica alternativa inglese dalla quale deriva il substrato industriale caratteristico dei Nostri. La raccolta quindi sancisce per l'ennesima volta questo elemento importante della loro discografia, cogliendo l'occasione di fare un po' il punto della situazione, considerando anche che essa è stata concepita come un accompagnamento per il boxset "Long Live the New Flesh" contenente tutte le uscite della band dal 2014 in poi, compresi anche i remix e i due inediti qui recensiti. Se tutto questo deve essere visto come un epitaffio, o semplicemente come un sunto, sarà il tempo a dircelo, al momento Broadrick sembrerebbe impegnato con il progetto JK Flesh che ha riscontrato un certo successo in campo techno-industrial, portandolo a collaborazioni importanti con nomi come Prurient e Orphx; in ogni caso ci rimane una discografia mastodontica dove anche questi remix hanno una loro collocazione e fanno parte del repertorio del monolitco duo di Birmingham.
2) Ringer (Dub)
3) Shut Me Down (Version)
4) New Dark Ages (Dub)
5) Imperator (Version Dub)
6) Parasite (Alternative)
7) In Your Shadow (JK Flesh Reshape)
8) Your Nature Your Nurture
9) Gateway