GODFLESH
Love And Hate In Dub
1997 - Earache Records
DAVIDE PAPPALARDO
06/04/2019
Introduzione
Riprende la nostra disamina sui Godflesh, il duo inglese che ha negli anni creato una delle pagine più importanti della storia del metal alternativo, soprattutto di matrice industriale. Si tratta in questo caso di una "strada parallela", in quanto torniamo nel periodo successivo alla pubblicazione del disco "Songs Of Love And Hate" del 1996. Quest'ultimo è un'opera particolare, dove per la prima volta Justin K Broadrick e G.C Green usano una batteria umana grazie all'intervento del batterista Bryan Mantia; il risultato è un lavoro particolare dove strutture più tradizionali di matrice rock e metal si coniugano con forti influenze hip-hop ed urbane, consegnandoci quello che probabilmente è stato all'epoca il loro disco più accessibile. Un elemento presente, ma in misura minore, è quello del dub, musica molto amata da Broadrick e da lui sviluppata in progetti paralleli quali The Curse Of The Golden Vampire e più avanti sotto il moniker JK Flesh prima della svolta più techno. Ecco quindi che il mai contento Broadrick in poco tempo riflette sulla natura dell'album, trovandosi insoddisfatto e ritenendolo troppo piatto; in futuro vedrà proprio qui il punto di "decadenza" della band, in cui si è iniziato a perdere quel distacco inumano che in precedenza garantiva anche nei momenti più emotivi quella componente industriale che è stata per anni il marchio di fabbrica dei Godflesh. Il Nostro elabora quindi l'idea di un remix album in cui vorrebbe coinvolgere una serie di produttori di punta della scena hip-hop anni '90, cosa però quest'ultima che non si realizzerà a causa delle limitazioni economiche dell'etichetta Earache e della band. Si ripiegherà quindi su remix fatti in casa, ovvero portati avanti proprio dalla band, nei quali dub, breakbeat ed hip-hop prendono il sopravvento sulle chitarre, creando uno dei momenti più sperimentali nella storia della band, ovvero il qui recensito "Love And Hate In Dub - Amore Ed Odio In Dub". Nonostante la natura molto meno convenzionale e distante dagli elementi rock e metal presenti nel disco di origine, l'album viene apprezzato da pubblico e critica, anche più di quello precedente, che invece aveva ricevuto un'accoglienza spesso tiepida dalla stampa. Ora il tutto si fa più greve ed acido, tra loop ossessivi e campionamenti come quello usato in "Circle of Shit (To the Point Dub)" contenente la voce del rapper attivista KRS-One, e anche distorsioni graffianti e dilatate. Le chitarre sopravvivono come campionamenti totalmente stravolti e lontani da ogni logica tradizionale, mentre è la ritmica sincopata a farla da padrona, insieme ai loop di basso, contornati da effetti disorientanti ed atmosfere lisergiche. Chi ha seguito i corsi paralleli di Broasrick non deve essere rimasto molto sorpreso, ma per gli altri all'epoca il disco deve essere stato un'esperienza molto particolare, e forse per qualcuno scioccante. L'apertura di mente e l'ibridazione musicale non erano diffuse come oggi, e gli artisti spesso dovevano fare molta attenzione quando volevano sconfinare in altri generi diversi da quello solitamente proposto. C'è da dire che i Godflesh sono sempre stati di base un gruppo dalla natura altamente sperimentale e mutante, e quindi in teoria la cosa non dovrebbe troppo sorprendere, ma un conto è il loro crossover industriale che ha conquistato gli amanti del metal più oppressivo e pachidermico, un altro queste infiltrazioni in generi apparentemente distanti da quella natura meccanica (ma che in realtà hanno da sempre influenzato il substrato musicale da cui sono partiti i Nostri. In ogni caso, l'operazione ha successo, gettando le basi per altri esperimenti futuri, in particolare il disco "Us And Them", i quali però saranno visti meno benevolmente sia dal pubblico, sia dagli autori stessi. Una fase quindi caratterizzata da crisi d'identità da parte dei due musicisti, e in particolare di un Broadrick sempre più scisso tra la sua voglia di sperimentare e la sua devozione al progetto, che porterà inevitabilmente allo scioglimento della band e al lungo hiatus durato diversi anni.
Circle of Shit (To the Point Dub)
In Circle of Shit (To the Point Dub) un classico intro hip-hop ci accoglie con i suoi ritmi spezzati e loop ripetuti, raggiungendo poi suoni di basso grevi e l'aggiunta di ulteriori movimenti sincopati. Il risultato è una marcia ossessiva e strisciante, dai climi urbani estranianti, sulla quale troviamo anche frammenti della voce di Broadrick, ridotta ad uno strumento come gli altri. Si palesa la natura particolare dell'album, lontana da quanto normalmente siamo abituati da parte dei Nostri, ma alla fine nemmeno così aliena, se ripensiamo al loro amore per le strutture monolitiche e per certi elementi sonori non propriamente tipici del metal. La velocità non accenna ad aumentare, ma l'intensità cresce grazie ad un maggior rumore da parte della strumentazione, la quale viene ricoperta di riverberi in pieno stile dub. Ci troviamo quindi in un mantra corrosivo, un suono mutante che si avvicina molto al crossover, ma che lo immerge in un impianto saturo e nervoso; salta all'orecchio la capacità dei Godflesh di attenersi a certe modalità sonore, e di anticipare anche certi fenomeni, riuscendo però anche a suonare come inconfondibili. Pensiamo a certi fenomeni musicali quali i Cypress Hill e i Body Count di Ice T, sicuramente tra gli ascolti di Broadrick, e in generale a quel clima di commistione che poi è esploso nel fenomeno new metal. Ecco, qui il duo ci fornisce la sua visione dela cosa, naturalmente concentrata sugli aspetti più ostici e non di sicuro di facile presa sul pubblico più mainstream. Snare e colpi di batteria diventano cingolati che proseguono nel loro andamento macilente, mentre nella seconda metà incontriamo certe cesure dilatate dalla natura lisergica, quasi onirica, che ci rimandano ad una forma più particolare di quanto in contemporanea stavano facendo nomi quali i Korn. Ecco quindi una serie di suoni sospesi e di effetti misteriosi, che ci portano fino alla conclusione di questa particolare reinterpretazione.
Wake (Break Mix)
Wake (Break Mix) parte con una serie di chitarre dissonanti e colpi serrati, instaurando una sorta di allarme da guerra, contornato da effetti taglienti: ecco che la batteria si fa ancora più presente, mentre un silenzio improvviso anticipa un attacco fatto delle vocals distorte di Broadrick e di movimenti mitraglianti, consegnandoci una visione ancora più aggressiva dei suoni urbani e delle influenze dub che dominano il disco. Il testo molto astratto sembra indicare, tramite metafore e paragoni, la lotta alla chiusura mentale e alle costrizioni, denunciando la propria diversità rispetto agli altri. Nessuno ha ragione se tutti hanno torto, e non possiamo vedere il bianco se non possiamo vedere il nero,siamo solo un guscio vuoto, un teschio senza nulla. I climi acidi e i colpi continui mantengono un'atmosfera marziale, mentre troviamo di seguito un percorso fatto di loop di basso graffianti e rullanti decisi, sul quale il cantato prosegue con i suoi modi feroci. La voce incalza,raccontandoci come La nostra battaglia sia persa, non c'è altro modo,siamo trattenuti, dobbiamo svegliarci, e anche se rimaniamo tenuti dietro, staremo svegli nella mente che distrugge mentre il corpo dorme. Fraseggi disorientanti, fatti di accordi sgraziati, si uniscono ai giochi ritmici sincopati, regalandoci paesaggi intensi sui quali a tratti si stagliano effetti notturni, ipnotizzando l'ascoltatore con i loro continui cambi. Ritornano quindi le vocals acide del cantante, qui tradotte in un attacco pieno di fiele, perfetto completamento del massacro sonoro in atto. La materia primaria del pezzo viene ripresa e manipolata, concentrandosi sulla drum machine ed usando il resto della strumentazione come pennelli sula tela; ecco quindi anche riff macilenti e suoni squillanti, mentre la ritmica si concede alternanze di pause di silenzio e rumore, portandoci con sé verso la conclusione del remix.
Almost Heaven (Closer Mix)
Almost Heaven (Closer Mix) ci sorprende, dopo un'apertura onirica dai tratti quasi orchestrali, con suoni etnici fatti di bei movimenti serpeggianti ed effetti squillanti, presto raggiunti da colpi secchi di batteria, e sottolineati da un basso delicato. Superato il minuto, Broadrick interviene con una voce resa ancora più bassa dalle manipolazioni in studio; parla, a dispetto del titolo del brano,di un'esistenza tutto tranne che idilliaca, dove soffochiamo pieni di ansia e senza avere coscienza di noi, incapaci di essere qualcosa, perché non ci hanno mai insegnato ad esserlo. L'andamento risulta sospeso,molto anni '90 nei sui suoni acidi e disorientanti, qui insolitamente distesi e pacati. Lunghe parti strumentali propongono sporadici suoni di basso ed effetti squillanti, in un impianto sonoro molto sperimentale per i Nostri. Il testo prosegue, mentre il cantante chiede di poter respirare, poiché per ora conosce solo il soffocare, non sa farlo da solo, non saprebbe nemmeno come, non gli è mai stato insegnato, e per questo sente di essere nulla ora. L'atmosfera si fa più satura, tra loop di chitarra distorta, momenti acidi, e in generale un riverbero che rende il tutto più greve e rimbombante. I fraseggi si muovono tra riff che funzionano come tuoni, offrendo tempeste coadiuvate da una ritmica cadenzata; ecco che troviamo anche bellissimi effetti spettrali, i quali creano un'onda malinconica ed evocativa, perfettamente collocata tra i movimenti striscianti. Essa prosegue ancora, donandoci un esempio della ripresa di certi stilemi da parte dei Godflesh, qui liberi di sperimentare certi aspetti normalmente più controllati nel loro suono. Scale alte e dispersioni fanno da protagoniste, mentre il finale vede un feedback che si perde nell'etere.
Gift from Heaven (Breakbeat)
Gift from Heaven (Breakbeat) una serie di ritmi spezzati e sincopati, dati da snare ossessivi e drum machine in loop sui quali si organizzano climi urbani e riff grevi e distorti. Un'atmosfera acida e nervosa caratterizza il tutto, mentre le vocals feroci di Broadrick si riducono in una ripetizione ossessiva di parole. Linee minacciose di synth fanno da collante per la marcia ossessiva del brano, dove le variazioni vengono lasciate alla ritmica; ecco all'improvviso un attacco fatto di chitarra ad accordatura bassa, fumosa e graffiante, contornata da alcuni squilli astrali che aggiungono elementi quasi onirici. Ma è la struttura secca e schematica a farla da padrona, arricchita da una batteria dai ritmi spezzati e da suoni ultra-distorti e grevi; non manca però una sorta di groove macilento, facendo suonare il tutto come un motore rotto che non parte. Il gusto per la scuola industriale trova qui una diversa applicazione, ma coerente con le radici ostiche della band, e anche con il suo piglio per la frammentazione, filtrazione, e revisione di elementi metal, qui ridotti a scaglie corrosive gettate in una centrifuga dove tutto vede una produzione votata al riverbero e al suono congestionato. La faccia più sperimentale dei Godflesh, allo stesso tempi motivo della natura unica della band, anche del motivo per il quale il mainstream, pur affascinato, non è mai riuscito a comprendere ed accettare la visione cannibale e mutante del duo, e soprattutto di un Broadrick refrattario ai confini e alle etichette di genere. Un passaggio anche filologicamente importante, che vede l'esplorazione di territori nuovi, senza però perdere di vista quella natura disturbante e greve tipica dei Nostri.
Frail (Now Broken)
Frail (Now Broken) si mette in mostra con un bel fraseggio, pesantemente però modificato con effetti che lo fanno muovere in modo dinamico, interrotto da un verso di Broadric, introduzione di una sequenza dai movimenti contratti, sorretta da un basso roccioso e greve, contornato da piatti combattivi e suoni striduli di chitarra. Un'ennesima atmosfera acida ci accompagna quindi, mentre incontriamo altri giochi di manipolazione, e fraseggi che ricordano quasi certo prog più ostico e tecnico. Una cacofonia che richiama il noise rock, nella quale non mancano falcate dall'incedere serrato, alternate da nuovi tecnicismi vibranti. L'originale viene totalmente mutilata e ricomposta, scegliendo qui di usare il dub per acuire i lati più sperimentali della parte rock del suono dei Godflesh. Il songwriting è giocato su pause e riprese, nonché su parti sincopate e loop senza tregua, in una natura strumentale che mette da parte qualsiasi messaggio, dando invece sfogo al dissidio interiore che deriva dall'essere a pezzi, risultato di una fragilità iniziale. Con l'evolvere del pezzo, i suoni di basso diventano ancora più protagonisti, con le loro galoppate arricchite da suoni dissonanti e dalla batteria serpeggiante, non dandoci scampo fino al raggiungimento di una coda finale ben strutturata. Qui una sorta di danza di guerra domina alcuni secondi, lasciando poi spazio a digressioni che chiudono il brano. Una traccia che rispecchia pienamente l'intento del disco, un banco di lavoro e sperimentazione sul quale Broadrick ha piena libertà, sfogando la sua passione per i suoni più sincopati ed acidi, saturi di riverberi e dai tempi contratti.
Sterile Prophet (Version)
Sterile Prophet (Version) parte con effetti industriali, presto sormontati da un movimento greve e da ritmi vivaci, sui quali si dispongono le vocals imperanti di Broadrick, intento a delineare l'idea di un profeta, di un messia che in questo mondo pieno di dolore sembra irreale. Non dobbiamo usarlo, se non possiamo sentirlo, e non possiamo esserlo, se non lo vediamo. I fraseggi contratti e i piatti non hanno sosta, andando a scontrarsi con groove a motosega, creati da chitarre in loop, e suoni più corrosivi e rallentati, in un brano che predilige l'uso di chitarre distorte come una sorta di coltelli arrugginiti che tagliano e ri-assemblano. L'uso del riverbero rende ancora una volta tutto più cacofonico e pieno, congegnandoci un effetto fumoso e disorientante. In un mondo pieno di dolore riusciamo a malapena a dire il suo nome, ci narra il cantato, non siamo per nulla convinti della sua esistenza o del suo ruolo di salvatore. La confusione esistenziale, il dubbio, prendono perfettamente forma nel suono prima menzionato, dando una versione del pezzo che possiamo affermare essere ancora più incisiva di quella originale; rispetto ad altre interpretazioni, rimangono tratti più evidenti della versione base, ma con suoni decisamente più duri e ricomposti. Ecco che dopo alcuni secondi di cesura, incontriamo una cavalcata da tregenda, intensa e potente, giocata su suoni ossessivi e ritmiche serratissime. Un verso in riverbero del cantante chiude questa parte, dando spazio a fraseggi secchi e colpi convulsivi, in un'atmosfera martellante. Riecco i riff meccanici di chitarra e il cantato distante, mentre effetti vari si stagliano in sottofondo. Una natura mutante che corrode il rock dell'originale, dandoci una visione più sintetica e minimale, ma non priva di grande effetto.
Almost Heaven (Helldub
Almost Heaven (Helldub) presenta una nuova versione di "Almost Heaven", questa volta ben più ostica e legata a trame industriali e breakbeat. Ecco quindi una serie di suoni da fabbrica, sorretti da ritmi decisamente spezzati e fraseggi distanti e sinistri, in una dimensione sonora distopica che fa da sfondo per battaglie ritmiche cacofoniche e ripetute, esplosioni che vanno poi a scontrarsi con improvvisi osasi di calma, le quali però durano per poco. L'esperienza dei The Curse Of The Golden Vampire e dei Techno Animal è sicuramente non ignorabile mentre ascoltiamo questo pezzo, contenente non poche similitudini con quanto fatto da Broadrick con questi gruppi. Siamo nella seconda metà degli anni '90, quando la novità del suono digital hardcore e degli Atari Teenage Riot guidati da Alec Empire (non a caso presente nel primo progetto menzionato) suona come qualcosa di nuovo e veramente fresco, capace di dare una nuova visione e forma alo spirito punk degli albori. Dunque, il brano originale diventa qui una battaglia sonora tra suoni spezzati ed atmosfere da film horror, mentre un loop di basso prosegue imperterrito il suo movimento in sottofondo, scandito dai cimbali ossessivi. Raggiungiamo su questo corso suoni ancora più devastanti di matrice industriale, i quali evocano inferni moderni fatti di paesaggi grigi, ciminiere, e continui suoni di macchine in movimento, suoni contratti e 2sbagliati", che ci consegnano un sinistro fascino. Non scompaiono comunque i tratti più tradizionali, legati al basso, relegato però al ruolo di un continuo rumore che sopravvive in sottofondo, mentre le estraniazioni principali hanno gioco libero. La conclusione vede una digressione oscura, consegnata presto al limbo.
Kingdom Come (Version)
Kingdom Come (Version) ci accoglie con una batteria dagli effetti dub, picchiettante ed accompagnata presto da un basso movimentato nei suoi pizzichi, e dalla voce sospirata di Broadrick. Egli tratta in modo polemico e derisorio il tema della religione, vista come controllo e mezzo per ingannare l'uomo, uno strumento del potere tra i tanti, usato per uniformare le menti creando false paure e dogmi. La musica prosegue strisciate, mentre strati di loop squillanti si stagliano all'orizzonte, creando un senso di ansia ed oppressione, ed ecco che riff dai baritoni alti creano suoni drammatici e distanti. Il cantato presenta un protagonista che ci parla di come ci darà spazio mentre lo incateniamo,di come non ci lascerà andare, mentre lo facciamo cadere, di come vedrà la nostra via mentre lo evitiamo, si arrenderà, così che potremo camminargli sopra. La natura del pezzo è quella di un dub lento e pachidermico, dove improvvise incursioni di basso pieno di riverberi, si unisce a ritmiche secche e vocals inquietanti nel loro continuo sospiro. Ora il cantate ci parla di come egli chiuderà gli occhi, in modo tale che potremo cucirli, avrà comunque fede, altrimenti lo crocifiggeremo, perché pensa che se riuscirà a credere, noi crederemo in lui in cambio. I baritoni apocalittici si Fernando improvvisamente, diventando segnali ad intermittenza, presto raggiunti da colpi grevi di basso e da loop severi, regalandoci una dimensione doom estraniante e dilatata. Qui l'originale diventa qualcosa di non così distante, ma dai tratti più misteriosi, dove la maggiore calma, si fa foriera di attacchi improvvisi ancora più caotici. L'andamento serpeggiante ci conduce verso cesure fatte di suoni disturbanti e manipolazioni vocali, seguite da asperità industriali. L'intensità conosce un crescendo costante, che accompagna la ripetizione ossessiva degli stessi versi da parte di Broadrick. Ora giochi ritmici ed improvvisi cori non ci danno l tempo di riprenderci dalla sorpresa, concludendo all'improvviso il brano
Time, Death and Wastefulness (In Dub)
Time, Death and Wastefulness (In Dub) viene introdotta da cori quasi angelici, una sorta di canto gregoriano che sembra voler fare riferimento alla solennità del titolo; ecco all'improvviso una serie di bordate ultra distorte, intervallate dai cori prima menzionati e da fraseggi statici,in un andamento conturbante, sotto il quale percepiamo a malapena le parti vocali, pronte ad esplodere in urla rabbiose. Il cantante esprime un senso di disaffezione e disprezzo verso i rapporti umani e la realtà, fatta di falsità e mancanza di significato, tanto da corrompere anche noi stessi, portandoci a non provare più nulla di reale: egli si chiede quante bugie possono essere usate dalle persone mentre fingono di avere emozioni. Il moto emotivo viene quindi ampiamente espresso dalle saturazioni di riverberi e distorsioni, in un suono totalmente cacofonico ed ossessivo, fatto di accordature ribassate e colpi devastanti, lenti e monolitici. Fantasmi di chitarre diventano suoni stridenti, mentre la voce prosegue nel suo mantra pieno di rabbia, andando improvvisamente a spegnersi dopo il terzo minuto in una digressione che ci inganna con un falso finale; ecco infatti subito una ripresa della ritmica roboante e del basso granitico, sfondo per lamenti pieni di pathos. Una cesura più tranquilla raccoglie energia per un'ennesima esplosione assassina, sempre più serrata e dai connotati rumoristici, una vera e propria manifestazione della rabbia espressa dal cantato. Segue la ripresa dei versi iniziali, qui sottolineati dai suoni dilatati di basso e dai piatti cadenzati, in un mantra che sale d'intensità in un crescendo strisciante, raggiungendo però non un climax distruttivo, bensì mantenendo a lungo una tensione sospesa che va a disperdersi in un lungo feedback finale.
Sterile Prophet (In Dub)
Sterile Prophet (In Dub) vede una nuova versione di "Steril Prophet", la quale incomincia con la solita atmosfera ambientale, scolpita poi da suoni che sembrano terremoti, saturi di riverbero, così come le vocals di Broadrick. Il movimento devastante s'interrompe ad intervalli, offrendo una marcia monolitica coadiuvata da riff grevi e da effetti astrali. Ruggiti e colpi duri sono quindi protagonisti di una versione pachidermica, che mantiene fede al nome del remix, mettendo mano agli effetti di riverbero, in modo tale da trasformare il tutto in qualcosa di più potente, ingombrante, e "di più grande della vita", come direbbero gli inglesi. I riff di chitarra diventano scosse elettriche, il basso un dinosauro che emette un verso sordo in lontananza, salvo poi ruggire con furia, mentre la batteria si configura come qualcosa di totalmente infernale, un battito atavico e allo stesso tempo inumano, una fabbrica della morte che non trova quiete. Qui il profeta diventa messaggero di un suono ossessivo, dove solo le pause improvvise di qualche secondo scandiscono l'alternanza del passo da panzer seguito. Il songwriting è volutamente ripetitivo, dandoci un senso di oppressione che raggiunge livelli psichedelici a causa dell'effetto delle distorsioni, mentre nella seconda metà avvengono esperimenti ritmici che ci mostrano l'opera al mixdeck da parte dei nostri. Trova ancora una volta espressione un mondo pieno di dolore stordente, nel quale non possiamo credere alle false promesse di un messia che non può salvarci, sterile quindi, in una disperazione che diventa un incedere continuo, un paesaggio sonoro grigio e senza alcuna speranza. L'uso dell'elettronica e delle manipolazioni in studio, non è occasione per elementi danzerecci facilmente appetibili, bensì uno strumento tramite il quale creare un suono ancora più ostico e che mette alla prova l'ascoltatore non avvezzo al lato più cacofonico dei Nostri.
Domain
Domain è una nuova versione di "Angel Domain", qui resa in realtà in una variante non drammaticamente diversa, bensì semplicemente più dilatata e greve. Il pezzo viene introdotto da una batteria cadenzata, sulla quale si percepisce lo spettro del fraseggio presente nell'originale, raggiunto da un suono greve e roboante, e dalla voce di Broadrick, pronto a parlarci del sentirsi inadeguati e deboli, al contrario degli altri che sembrano non avere dubbi ed essere sempre sicuri, come se avessero un angelo guida con loro. Sopravvivono i suoni più delicati, inseriti però insieme a chitarre più distorte e sature, grazie al solito uso dei riverberi. Al contrario della versione originale, non abbiamo qui cavalcate improvvise, mantenendo il tutto monolitico, ance nelle aperture più ariose con suoni vibranti; questo però solo fino al superamento del secondo minuto, quando prende piede un galoppo più concitato, ma comunque sempre controllati. La ritmica va quindi ad adagiarsi di nuovo su lidi distesi, mentre torna il riffing roboante, insieme alla voce ipnotica del cantante che ripete con ossessione come nelle sue paure, cerca un luogo in cui nascondersi, in cui seppellirsi. Ritroviamo un crescendo serpeggiante, fatto di climi sonori sempre grevi grazie ai riverberi, giocato sulle ripetizioni sia vocali, sia sonore, in un'atmosfera lisergica che prevede una nuova cavalcata distorta, in un galoppo rallentato che consegna una versione inumana del pezzo, mentre la batteria prende velocità in una doppia cassa che è qui sferragliante, pronta a perdersi in una dissolvenza che mette fine al remix. Come detto, non abbiamo una revisione che trasforma completamente il pezzo, ma che decide di concentrarsi su certi momenti, tagliando fuori altri e generando un loop dove con ossessione si applicano filtri dub che grazie al riverbero rendono il tutto più onirico ed estraniante. Una soluzione minimale che ben si adatta allo stile adottato.
Gift from Heaven (Heavenly)
Gift from Heaven (Heavenly) è l'ultimo remix, ulteriore revisione del pezzo "Gift from Heaven"; ecco che un suono lontano e statico si leva in sottofondo, sorprendendoci e disattendendo la nostra idea di qualsiasi assalto improvviso. La trama ambient prosegue a lungo, salendo d'intensità molto lentamente, svelandosi pian piano. Superato il minuto e trenta compaiono suoni stridenti, dandoci un'atmosfera sinistra, a discapito del nome del brano, toccando territori dark ambient assolutamente minimali e sperimentali totalmente lontani dall'originale, e in generale da quanto proposto dal duo. Drone da film horror si palesano a fasi alterne, incrementando il senso di mistero e tensione creato dal brano. Ecco ora anche suoni grevi improvvisi, un basso reso in chiave distorta ed industriale, come il ruggito sordo di una macchina che ha preso vita. Il tutto si mantiene distante e cupo, presentando non un assalto, bensì un continuo giocare con la preda, reiterato in suoni ipnotici. Dopo il quarto minuto e trenta, nuovi effetti statici dominano la scena, mentre sentiamo vocals distanti, come voci di spettri che ci chiamano dall'oltretomba; è chiaro che non c'è nulla di angelico qui, anzi la tensione si mantiene palpabile, in un gioco di attesa che raggiunge suoni totalmente manipolati e distanti. La materia dub diventa qui occasione per una completa trasformazione dell'originale, resa un insieme evocativo di frammenti tradotti sotto una nuova luce. Quelli che prima erano suoni di chitarra diventano quindi effetti distanti, come suoni improvvisi nella notte, pieni di riverberi che li fanno percepire lontani da noi. I suoni sono dilatati, pieni ora di qualità quasi cosmiche e meno inquietanti, ma non certo emotive o facilmente inquadrabili. Il loop prosegue fino alla conclusione,segnata da ulteriori effetti spettrali. Il remix più alieno di tutto l'album, prende e cambia del tutto i connotati sonori della canzone, consegnandoci un episodio dark ambient fatto di sospensioni ed accenni, più qualcosa per una colonna sonora di un film horror, piuttosto che il brano di un normale disco.
Conclusioni
Un remix album che rielabora il disco di riferimento, dandoci versioni decisamente più sperimentali, cacofoniche, violente dei brani di riferimento, uno dei rarissimi casi in cui non solo un'operazione del genere funziona, ma supera anche l'originale, rinvigorendone i suono e dando carta bianca agli autori. Inoltre, abbiamo qui una fotografia di quel periodo, sia inteso come fase nella carriera dei Godflesh, sia di quegli anni in generale. Per quanto riguarda i Nostri, denotiamo quella crisi d'identità che è stata in realtà foriera di interessanti lavori, spesso però non graditi dai fan della primissimi ora, da parte della critica, e dai due musicisti stessi, ma anche la causa dello scioglimento del progetto con il finire del millennio. E' chiaro che le restrizioni che si è auto-imposto incominciano a stare strette a Broadrick, sempre meno interessato al metal e più orientato verso suoni elettronici ed elementi di chitarra più languidi e di matrice emotiva, nonostante il suo ideale di fedeltà verso il progetto e l'idea da cui era nato, ovvero un suono slegato da emozioni umane, manifestazione della disumanizzazione post-industriale. Green è presente, ma sta intraprendendo altre strade nella vita, e con il tempo si sente sempre più frustrato per i fatto che altri raggiungono i successo commerciale partendo proprio da quanto creato da loro. Tutto questo concorre ad un suono mellifluo e contraddittorio, che si muove tra aperture verso altri generi e cambi di rotta. La seconda metà degli anni novanta vede una forte ibridazione, segnata dall'esplosione del fenomeno nu-metal, estrema conseguenza dell'alternative metal e del crossover americani di qualche anno prima, e dalla ricerca di ritmiche sincopate, bassi distorti, ed atmosfere aliene nell'elettronica, tra IDM, breakbeat, dub. Se l'album di riferimento introduceva un batterista umano, dando un suono più rock/metal di stampo tradizionale, qui l'uso di riverberi, ritmi spezzati, distorsioni, loop, campionamenti, mette in gioco tutti quegli elementi non inediti nel suono dei Godflesh, ma qui messi in rilevanza come non mai. L'hip-hop e certa elettronica hanno sempre influenzato la band, unita però a chitarre pachidermiche altrettanto protagoniste del suono, mentre qui esse vengono sezionate, modificate, in funzione delle strutture elettroniche. Curiosamente, proprio questo remix album incontra un maggior favore da parte di critica e pubblico, forse a causa proprio dello Zeitgeist prima menzionato e della popolarità di certe soluzioni. E' però anche vero che l'album originale aveva elementi vicini al genere; forse è la natura del remix album a fa gradire con una mente più aperta certe sperimentazioni senza legarle mentalmente all'eterodossia della band. Di sicuro, Broadrick non si adagia sugli allori, ne trova quiete, pronto con il successivo "Us And Them" a spingere il piede sia sull'elemento elettronico, sia su quello "shoegaze" ed emotivo, ottenendo un'opera ancora più divisiva, che lui stesso rinnegherà. Siamo in dirittura di arrivo, sulle soglie di una crisi che vedrà l'uscita di quel "Hymns" che accontenterà la major offrendo un suono più hard rock e metal, non a caso l'album preferito da molte persone non particolarmente amanti dei primi lavori dei Nostri, e che sarà il segnale finale dell'esaurimento della carica primigenia dei Godflesh. Come sappiamo, non si tratterà di un addio eterno, ma di un lunghissimo hiatus che terminerà in tempi recenti, con la ripresa di un nuovo corso che riprende e rielabora sotto nuova luce il primo suono del duo.
2) Circle of Shit (To the Point Dub)
3) Wake (Break Mix)
4) Almost Heaven (Closer Mix)
5) Gift from Heaven (Breakbeat)
6) Frail (Now Broken)
7) Sterile Prophet (Version)
8) Almost Heaven (Helldub
9) Kingdom Come (Version)
10) Time, Death and Wastefulness (In Dub)
11) Sterile Prophet (In Dub)
12) Domain
13) Gift from Heaven (Heavenly)