GODFLESH

Godflesh

1988 - Swordfish

A CURA DI
DAVIDE PAPPALARDO
05/02/2019
TEMPO DI LETTURA:
7,5

Introduzione Recensione

Siamo arrivati alle radici del nostro viaggio nella discografia dei Godflesh, la band inglese che ha dato il via alla rivoluzione del metal alternativo tra fine anni ottanta e inizio novanta, presentando al mondo un suono dove chitarre ad accordatura bassa, distorsioni, dissonanze e ritmi meccanici, creano una perfetta colonna sonora per l'alienazione post-industriale e per il malessere dell'uomo moderno. Abbiamo analizzato la loro lunga parabola artistica, partendo dai lavori più recenti nati durante la loro seconda fase di carriera ("Post Self", "A World Lit Only By Fire", "Decline & Fall") passando poi invece alla loro prima fase, vagliando prima le varie mutazioni avvenute negli anni, tra gli elementi rock di "Hymns", la drum 'n' bass e lo shoegaze di "Us And Them", l'hip hop nervoso di "Songs Of Love And Hate", e l'elettronica e le aperture più controllate di "Selfless", poi i primissimi lavori contenenti l'essenza dei Nostri, ovvero l'industriale "Pure", la raccolta dai toni cibernetici "Slavestate" ed il magnus opus "Streetcleaner", primo album della band, e probabilmente emanazione più riuscita del loro ideale estetico e sonoro, quella fusione tra industrial, metal, post-punk, doom, alternative che ha creato molti epigoni, ma che non ha veri eguali. Siamo arrivati così alla nostra analisi del EP "Godflesh - Carne Divina", del 1988, primissima manifestazione del duo composto da Justin Broadrick e G.C Green, qui ancora privi del supporto di Paul Neville, presente invece a partire dal disco successivo. Siamo in un anno particolare, importantissimo per l'introduzione di elementi industriali ed elettronici in campo metal, rivoluzione che esploderà pienamente nella prima metà del decennio successivo, ma che qui trova le sue radici, nonché alcuni dei lavori migliori nati da quella che allora sembrava una fusione totalmente improbabile e contraddittoria. I Ministry incominciano ad introdurre loop di chitarre campionate e suoni di basso ipnotico, come dimostrato dal seminale "The Land Of Rape And Honey", i tedeschi KMFDM perfezionano la loro fusione di rock, techno, dub con "Don't Blow Your Top" e il loro membro fondatore Raymond Watts (PIG), introduce al mondo la sua istrionica e totalmente imprevedibile fusioni di new wave , heavy metal, EBM, suoni orchestrali, humor nero e cinismo inglese, con il debutto " A Poke In The Eye... With A Sharp Stick. Molti sono in realtà i lavori che potremmo nominare, e tutti diversi tra loro, mostrando sin da subito come l'etichetta industrial metal in realtà indichi sperimentazioni tra le più disparate; quello che è sicuro, è il fermento di quel periodo, al quale a modo loro partecipano anche i Godflesh, pronti a segnare una pagina importante per i futuri sviluppi di diversi generi. Nati dalle ceneri dei precedenti Fall Of Because, un gruppo post-punk sperimentale, i due musicisti sviluppano qui una visione musicale più dura, largamente ispirata agli ascolti di Broadrick, musicista ed ascoltatore dalla mente incredibilmente aperta per il periodo. Egli infatti è cresciuto ascoltando hip-hop, metal, musica noise (da lui prodotta sin dalla giovanissima età come Final), post-punk e musica industriale, sviluppando una concezione della musica metal slegata da ritornelli, assoli, suoni facili, dedicandosi invece ad aspetti spesso trascurati, ma sui quali invece i Nostri fonderanno la loro carriera: accordature basse, riff pachidermici e distorti, ritmiche ossessive (tra i primi ad usare la drum machine al posto di un batterista fisico), ed una certa atmosfera lisergica, giocata su riverberi. La lezione dei Black Sabbath, Killing Joke, Throbbing Gristle, Swans, Sonic Youth e Discharge, viene rielaborata, filtrata, mutata in qualcosa di totalmente inedito, pronto ad esplodere entro il breve in un suono che galvanizzerà il pubblico estremo più aperto e alla ricerca di qualcosa di nuovo. Ad onor del vero, ancora questo EP presenta una sorta di "lavori in corso" dove viene affinato quanto imparato grazie alle esperienze del duo (in particolare, Broadrick vanta la partecipazione come chitarrista sul primo lato di "Scum" dei Napalm Death, cantando nel pezzo "Polluted Minds" e scrivendo parte dei testi, e anche la presenza come batterista nella band post punk/industrial Head Of David, che ha pubblicato il brano "Dog Day Sunrise", in futuro ripreso dai Fear Factory in "Demanufacture"). Un suono quindi ancora non perfezionato, un banco di prova dove una sorta di doom metal meccanico domina un mondo sonoro dove vocals più umane rispetto a quello che verrà, di districano tra ritmi quadrati e riff roboanti. Molti elementi sono già qui, manca solo quel "quid" che renderà davvero unico il suono dei Nostri, quell'aggressione disumana, ma allo stesso tempo terribilmente onirica e, a tratti, malinconica che troverà vera espressione a partire da "Streetcleaner". Detto questo, le otto tracce qui presenti (due aggiunte nella ristampa del 1990 per l'etichetta Earache Records) sorprendono positivamente, anche se probabilmente la maggior parte degli ascoltatori saranno venute a contatto con esse tramite la successiva ristampa, quando già i Godflesh si erano fatti conoscere grazie al prima citato album. Un metal minimale con un suono di drum machine molto basico, ed alcune parentesi più sperimentali, dove quindi le due anime sono ben presenti, ma in qualche modo non ancora saldate tra loro.

Avalance Master Song

"Avalance Master Song - Canzone Principale Della Valanga" tratta nel suo testo di un senso di disgusto e lontananza dal mondo, osservando le persone ed il loro essere morte dentro, circondate da menzogne. Un rullante in loop, accompagnato da picchiettii ripetuti, introduce la canzone, presto dominata da un basso greve e strisciante, contornato da piatti cadenzati e suoni di chitarra non meno baritonali e distorti. Fraseggi stridenti si aggiungono alla trama sonora, instaurando un passo dal groove decadente; Broadrick s'innesta tra gli strumenti con la sua voce altisonante e declamatoria, ma ancora umana nella sua aggressività. Egli deride il nostro essere orgogliosi della nostra povertà (probabilmente in senso più spirituale/morale che economico), constatando come nulla cambi mai, in un mondo dove divoriamo la nostra stessa pelle consumandoci, e dove le nostre anime non sono mai esistite. Una visione estremamente negativa resa chiara sin da subito, un forte contrasto con la realtà ed il mondo, con una società dove tutto ha perso la vera importanza, e dove non c'è più una ragione o un vero scopo. Intanto la musica serpeggia tra riff lenti e dilatati, supportati da effetti dissonanti e ritmiche pachidermiche, in un mantra ossessivo e senza tregua, incanalando una visione spietata che non offre catarsi. Seguiamo l'onda della musica, tra atmosfere acide che anticipano il post-metal più lisergico, ed andamenti doom; è interessante notare come lo stile dei Godflesh conosca qui una gestazione in stato embrionale, in una terra di mezzo dove riconosciamo ancora una maggiore aderenza a certi connotati metal "classici", ma allo stesso tempo anche certi aspetti (l'uso di dissonanze e distorsioni, i loop ipnotici, la mancanza di facili ritornelli o strutture immediate) che da li a poco esploderanno prepotentemente nella musica dei Nostri. Chitarre stridule tagliano l'etere, mentre la drum machine prosegue con i suoi movimenti ciclici. Il cantante torna con le sue declamazioni spietate, questa volta maledicendo noi ed il nostro mondo, rovinato sempre dalle menzogne, aggiungendo con ironia come egli potrebbe sopportare a lungo il dolore, ma non il sapore amaro che rimane in bocca. Una visione sempre negativa dei rapporti umani e del prossimo, dove solo il più amaro sarcasmo rimane come arma di difesa, che però non può dare pace. La musica trasmette perfettamente il messaggio, creando un'atmosfera corrosiva ed asfissiante, dove giri dalle impennate minime, appena accennate, si uniscono a dissonanze quasi sinfoniche, le quali proseguono fino alla chiusura improvvisa, segnata da suoni distorti.

Veins

"Veins - Vene" offre un testo dove tutta la sofferenza e la fragilità percepite dal narratore salgono a galla, totalmente prosciugato dagli altri, per i quali si è sempre prostrato. Una serie di piatti cadenzati annunciano l'inizio del brano, seguiti da suoni grevi di basso e colpi ritmici dal gusto marziale. Si crea così un loop avvincente, alternato da andamenti più dilatati, sul quale Broadrick palesa le sue vocals piene di riverbero e dal gusto diafano e rarefatto; egli descrive come si sia ridotto ad essere freddo e vulnerabile, dopo essersi spinto troppo oltre, un vero peccato. Un impianto tematico chiaro, che segue il filo dell'album e della band, questa volta però diretto verso un'auto-analisi grigia e senza speranza, ponderando gli effetti della realtà esterna sul suo essere e mondo interiore. Ecco che la drum machine, quasi a voler sottolineare l'impeto narrativo, riprende con gli attacchi ritmici in una struttura semplice, ma dall'effetto dirompente. Troviamo qui l'ennesima manifestazione delle prime fasi dei Nostri, in un suono ancora non delineato e duro come quello che verrà, ma con allo stesso tempo un songwriting che mette in chiaro la natura asciutta e belligerante della band. Accordature basse e colpi ripetuti creano una tempesta che prosegue a lungo, prima della ripresa dei riff distorti coadiuvati dalla voce spettrale del cantante: egli stringe i denti mentre ha le lacrime agli occhi, ridotto ad essere sulle ginocchia per gli altri, constatando come la verità coincida sempre con il dolore. L'unione tra elementi duri e suoni lisergici crea un'atmosfera nervosa ed evocativa, sottintendendo quella sorta di "epicità nella sconfitta" che spesso caratterizzerà il suono dei Nostri. Dissonanze stridenti s'inseriscono nella trama sonora, dando un'identità musicale al dissidio interiore espresso nel brano, la quale trova un climax tematico nelle ultime parole, dove finalmente si accusa gli altri di essere dei succhia sangue, piccoli nelle loro ombre, capaci solo di prosciugarci, lasciando una fredda carcassa rattrappita. Una musica minacciosa ed aliena per descrivere una realtà percepita proprio come tale, un mondo ostile dove il prossimo è un elemento negativo e di distruzione. Le bordate grevi ed i cimbali serpeggianti ci guidano verso nuove esplosioni dettate dai colpi ossessivi, mentre le dissonanze taglienti si ripropongono in un percorso malevolo che si conclude con un feedback dilungato, epitaffio di un viaggio sonoro non certo all'insegna del piacere, il quale va a confondersi con l'inizio del brano successivo.

Godhead

"Godhead - Testa Divina" sembra trattare tramite parole astratte di una relazione finita e del dolore che consegue, perché in un mondo dove nulla ha senso, sembrava essere l'unica cosa davvero importante. Ecco che il finale del brano precedente viene qui ripreso, sormontato da colpi cadenzati di batteria in una sequenza ripetuta ad oltranza, sulla quale troviamo anche climi gotici e sinistri, in un'atmosfera solenne dove brevi impennate e rallentamenti s'intervallano. Broadrick interviene con la sua voce eterea e nebbiosa, evocando molti elementi post-punk, ma in un contesto nuovo dove suoni ancora più grevi ricamano una trama sonora monolitica ed imponente. Per pulirci la faccia da tutto lo schifo raccolto durante la nostra esistenza, abbiamo dato dei fiori, come ultimo atto per cercare di non perdere quello che inevitabilmente stiamo perdendo, e che probabilmente è sempre stato perduto, senza che ce ne rendessimo conto. I suoni distorti ed oscuri amplificano il senso di vuoto dato dalle parole, aggiungendo suoni di corni e tamburi, presentando ancora brevi aumenti di velocità che durano poco, lasciando poi subito spazio al movimento dominante e serpeggiante e costellato da cimbali. Il cantato prosegue con la sua nichilistica lezione, sprofondando in riflessioni cupe e confessioni dettate dalla lucidità di quando ormai le cose sono accadute. Anche se abbiamo detto che non c'è nulla e che siamo morti, questa cosa è contagiosa, una lacrima di Dio. Astrazioni dipingono quindi una sorta di flusso di coscienza, tecnica questa usata ampiamente durante la prima fase della carriera dei Nostri, caratterizzata da pezzi dove le parole sono più espressioni di emozioni e stati d'animo, piuttosto che ragionamenti compiuti. I passi grevi ed i baritoni apocalittici si ripresentano, in un mantra pesante e pachidermico, dove accordature basse e suoni stridenti vengono cesellate da una ritmica dilatata ed ipnotica. Il gusto per il loop si fa presente, anche se ancora non abbiamo quella vera e propria meccanicità che verrà da li a breve. I modi del doom vengono filtrati tramite un songwriting scarno ed essenziale, preparando il terreno per le prossime evoluzioni della band, e del metal alternativo in toto. Non abbiamo più alcun diritto, ci dice il cantante, ci sono fin troppi pensieri, ma sappiamo che ci abbiamo provato per noi, per l'altra persona, e per tutto il nostro amore. Parole di un'amarezza supportata dai soliti suoni lenti e senza tregua, dove chitarre spremute ed effetti squillanti implementano un'atmosfera sospesa e severa, evocando il mondo interiore del rammarico; la conclusione improvvisa vede un feedback che si perde nell'etere, come un pensiero che va sfumandosi senza soluzioni di continuità o di risoluzione.

Spinebender

"Spinebender - Piega Colonna Vertebrale" ci narra di un fantomatico spezza-ossa, un'entità metaforica che probabilmente rappresenta le difficoltà della vita e la durezza della società, tutte cose dalle quali vogliamo stare lontani ed essere lasciati in pace. Un suono dilatato e distorto introduce il brano, presto però sostituito da chitarre sgraziate e squillanti, dal groove alieno, sulle quali s'innestano ritmiche monolitiche. Un'atmosfera dai tratti stoner riempie l'etere con la sua minimale imponenza, creando un substrato perfetto per le vocals di Broadrick, sgolate e piene di riverbero, quasi una versione mutante di quanto fatto a suo tempo dai Killing Joke. Egli declama la viisone dello spezza ossa, che ritiene essere stato graziato, un essere che ha un aureola fatta di mosche, e che sente in bocca il sapore della carne. Una visione grottesca e dai tratti quasi horror, una metafora che si lega egregiamente ai motivi musicali lisergici e acidi qui presentati. Le lezioni del post-rock e del post-punk più mutanti, tra i già citati Killing Joke e i Swans, convergono in un suono asfissiante, ma in qualche modo trascinante. Proseguono i motivi striscianti, in un loop perpetrato fino al raggiungimento di rallentamenti riflessivi, sui quali si distendono piatti cadenzati e colpi distribuiti. Si riprende più energia grazie alla drum machine più cadenzata, ma il suono rimane sempre stridente ed ossessivo. Il cantante riprende con le sue descrizioni, questa volta però immedesimandosi in prima persona: chiede di essere definito come colui che striscia, vantandosi ironicamente di come questa sia una delle sue capacità, e di come la vera parte difficile non sia questa; ma non ha molta voglia di discutere ulteriormente e chiede di essere lasciato in pace, dimostrando un malessere interiore che è alla abse della narrativa dei Nostri. Il mondo tematico dei Godflesh è fatto di un mondo interiore malformato, riflesso di una realtà esterna altrettanto orribile e contorta, sfogo per Broadrick che riversa in maniera asettica e fredda i suoi demoni interiori. Demoni trascinati musicalmente dalle chitarre squillanti e dai colpi senza tregua della drum machine, in un groove malevolo che di seguito si distende su spazi apocalittici. La conclusione vede una marcia militante ripetuta con potenza, in un incedere che va a scontrarsi contro feedback in levare e suoni stridenti, ricreando per l'ennesima volta quel caos psichedelico che è espressione di uno mentale ed interiore.

Weak Flesh

"Weak Flesh - Carne Debole" tratta di un senso di controllo e debolezza, di un mondo dove il pericolo è imminente, rappresentato da un potere asfissiante che può strozzarci in qualsiasi momento. Una serie di cimbali ripetuti introduce il nostro viaggio, intervallati da piatti disposti nella composizione in una struttura cadenzata; ecco che un suono roccioso e combattivo, unito a suoni squillanti di natura industriale, ci conduce verso un galoppo violento e ritmato. Alternanze tra attacchi ed atmosfere tetre dall'animo lisergico scolpiscono paesaggi sonori severi ed evocativi, in un'atmosfera presto potenziata dalle vocals crudeli e rabbiose di Broadrick. Egli ci narra di come gli uomini forti rimangono in piedi, non accettando di subire alcun abuso da parte del potere, tenendosi lontano dalle strade ed osservando tutti con livelli di vera e propria paranoia. La tensione controllata viene perfettamente espressa tramite i suoni grevi e taglienti, sottolineati nel loro lento incedere dai colpi ripetuti, in uno scenario da thriller che trova la sua apoteosi in una nuova serie di falcate pestate e distorte. Un vero e proprio rilascio di energia che ci ricorda i Ministry più punk e diretti, in un tripudio di colpi potenti. Si continua con i movimenti malevoli e striscianti, sempre in un'atmosfera diafana e disorientante, perfetta base per il cantato pieno di effetti del Nostro, qui un cyborg che porta a pieno compimento quella fusione sonora uomo-macchina che spesso è alla base dei primi album della band. Non dobbiamo farci ingannare da una falsa sensazione di sicurezza, in realtà siamo deboli e le mani si stringono intorno alle nostre gole, senza lasciarci via di scampo. Una sensazione di pressione che viene tramutata dalle parole, in una musica pesante e satura, fatta di fraseggi rocciosi e drum machine imperante, pronta a darsi a galoppi possenti con riff striduli. Una cesura distorta crea un clima preparatorio, presentando poi una serie di bordate dal forte impatto. Seguono giochi ritmici e di chitarra, qui ora spremuta in una serie di passaggi insolitamente tecnici, coadiuvati da effetti industriali, in un unione tra suoni metal tradizionali e sperimentazioni che portano il marchio di fabbrica dei Godflesh. Si prosegue a lungo su queste coordinate, raggiungendo un finale fatto di attacchi rocciosi e dispersioni nell'etere.

Ice Nerveshatter

"Ice Nerveshatter - Spezza nervi Di Ghiaccio" parla tramite rappresentazioni criptiche ed astratte di un senso di debolezza, bisogno, e di abbandono, in una sconfitta esistenziale che provoca pensieri di suicidio e di rivalsa. Un suono greve di basso, sormontato da colpi secchi di drum machine, avanza con un passo monolitico e distorto, guidandoci verso improvvisi attacchi di chitarra altrettanto fumosi e linee notturne. Riff robusti completano i tutto, preparando il terreno per le vocals ariose e, possiamo osare dire, passionali di Broadrick: sorgiamo senza un viso, nudi, appartenendo a qualcun altro, mentre moriamo, bisognosi dell'altra persona per sentire che abbiamo un'identità. L'impianto sonoro si mantiene nervoso e pachidermico, dando un perfetto supporto al testo onirico e al cantato perso tra le nebbie musicali, caratterizzato da punte emotive ben calibrate. Largo a suoni stridenti ed esercizi di chitarra squillanti, i quali prevedono assoli dal gusto più classico, ma totalmente torturati nella loro emanazione, ma di seguito si ripresentano riff rocciosi. Riprende la narrazione quasi disperata ora, la quale descrive il nostro essere come morto, intrappolati in un eterno sogno, in cui ora fuoriesce un senso di rivalsa ben descritto dal nostro ordinare di inchinarsi, ripetuto con veemenza. La rabbia che sale non esplode musicalmente, trovando breve sfogo in attacchi ritmici, subito però sostituiti dai soliti passi striscianti: la verità è che ci sentiamo sconfitti, e non ci rimane che andarcene, ma la contraddizione ormai ci possiede, e un attimo dopo cambiamo idea, decidendo di rimanere per vedere cosa succederà. I toni distorti e disturbanti della traccia rincontrano gli andamenti da marcia granitica, fermandosi però questa volta con una cesura segnata da un fraseggio distorto e cimbali ripetuti, sulla quale si staglia la voce di Broadrick, ariosa e declamatoria. Egli ripete la sua lezione, quasi come uno sfogo, fantasticando si far vedere a chi ci ha fatto del male che stiamo sanguinando a morte, un ultimo infantile gesto di vendetta. Ora chitarre squillanti sottintendono i suoi versi gridati in cui disperato chiede se la persona che ci ha abbandonato sente il nostro dolore e quello che ha lasciato indietro, in una coda cacofonica che ci porta verso una sorta di falso finale. Infatti, quasi subito, parte una sequenza industriale fatta di suoni da fabbrica e riff ultra-distorti, in un esercizio meccanico che conclude sia il brano, sia la versione originale dell'EP.

Wounds

"Wounds - Ferite" è una riproposizione della traccia "Wound" presente sull'album "Streetcleaner", qui remixata sotto nuova veste. Cimbali e piatti introducono il pezzo, proseguendo in solitario in una sequenza ritmica sulla quale compaiono rullanti di drum machine, prima distribuiti, e poi più frequenti, in una marcia industriale dal gusto elettronico. L'atmosfera è quella di un brano electro/EBM di fine anni ottanta, molto vicina agli esperimenti intrapresi da Al Jourgensen nell'album dei Ministry "Twitch". Ci allontaniamo quindi di molto dal mondo solito del duo inglese e dagli elementi, in parte, metal che lo caratterizzano, dandoci la cifra di una traccia che anticipa quell'interesse di Broadrick verso la techno e la sperimentazione elettronica che ritroveremo nell'EP "Slavestate", nei vari progetti paralleli di metà anni novanta, e in tempi recenti nell'avventura a nome Jk Flesh che lo sta portando ad essere un dj conosciuto negli ambienti techno-industrial europei. Loop squillanti fanno la loro comparsa, ma sono i riff ripetuti e la drum machine ritmica i padroni della scena, in un galoppo ossessivo che ci fa immaginare mondi desolati fatti solo di rovine e fabbriche automatizzate che non hanno mai smesso di funzionare. L'unione di questi elemnti è il segreto per un songwriting minimale, ma dal pieno effetto sull'ascoltatore, caratterizzato da quel quid "funky" tipico dell'electro-industrial anni ottanta, tra Front Line Assembly e Cabaret Voltaire. Compaiono le grida del cantante, qui ridotte ad un ennesimo strumento usato per rafforzare l'atmosfera nervosa e potente della traccia, mentre di seguito le vocals conoscono anche passaggi più umani ed evocativi. Ma l'impianto sonoro a farsi ancora più serrato e violento, tra vere e proprie mitragliate e suoni distorti che graffiano l'etere, sottolineati da oscuri suoni in sottofondo. L'amore dei Nostri verso la scuola industriale trova qui pieno sfogo in un episodio che mette da parte il lato più umano, dando le chiavi del regno a loop stridenti, batterie impazzite, e vari tipi di manipolazioni della materia sonora. Giochi sospesi di ritmi caratterizzano l'evoluzione dell'episodio, sconvolti da accenni improvvisi a corde basse e grevi, mentre una cacofonia imponente ci assalta, tra grida in riverbero, mitragliate, cimbali veloci e colpi duri. L'attacco perdura a lungo, trascinandoci in modo ipnotico in una ripetizione continua che investe l'ascoltatore, e che ripropone con fare drammatico le esplosioni già incontrate in un credendo continuo. Frasi ripetute come un mantra, cacofonie industriali, marce serrate, portano la lunghezza della traccia oltre i dieci minuti. Una reinterpretazione che mette in luce il lato più industriale dei Nostri, totalmente in linea con il secondo pezzo bonus che segue questo brano.

Streetcleaner 2

"Streetcleaner 2 - Spazzino 2" è una nuova versione della traccia omonima del primo full length dei Godflesh, totalmente stravolta rispetto all'originale. Seguendo infatti la linea del pezzo precedente, vengono qui riscoperte le radici industriali dei Nostri, spingendo in questo caso il piede ancora di più sull'elemento ostico. Troviamo qui infatti trame tra il dark ambient e il drone, immergendoci totalmente in un mondo sonoro allora conosciuto da pochi, e le cose assolutamente più estreme disponibili per gli ascoltatori dell'epoca. Un dialogo campionato si muove quindi tra suoni dissonanti e stridenti, una sorta di sinfonia caotica e votata alla cacofonia, la quale sale d'intensità come in un film dell'orrore, creando picchi di tensione che tengono l'ascoltatore incollato durante il loop continuo. Tratti da field-recordings vanno ad alternarsi con la linea continua, creando onde di rumore che si alzano e abbassano, mentre il dialogo prosegue imperterrito. Ecco che abrasioni industriali introduco distorsioni dal gusto dark ambient, portandoci in mente autori come Lustmord e la loro oscurità cosmica; ma all'improvviso un riffing meccanico e pieno di riverbero compare sulla scena, facendosi sempre più presente e martellante. Esso va a scontrarsi contro una nuova serie di muri cacofonici, dal gusto addirittura power electronics, sui quali Broadrick grida con furia parole sdoppiate in una vcoe robotica e umana contemporaneamente. Si passa ora alla scuola industriale di nomi quali i Test Dept., con l'uso di campionamenti vari di suoni da fabbrica, tra fischi, getti, meccanismi, grida lontane. Un immaginario sonoro greve e grigio, che mette in gioco le radici più industriali del duo come in ben altre poche occasioni è successo, mettendo da parte anche qui l'impianto propriamente metal, in nome dello sperimentalismo di stampo britannico più forsennato. Non si tratta di una normale traccia con evoluzioni, ritornelli, o facili catarsi: qui il gusto per l'ossessione è all'ordine del giorno, mettendo davanti a suoni ostici, probabilmente tra i più estremi dell'epoca, molti ascoltatori ancora ignari difronte ad un mondo rimasto per diversi anni underground e alla portata di pochi. Molto più che un semplice remix, si ottiene qui qualcosa di totalmente nuovo, e decisamente ben più inquietante.

Conclusioni

Un EP che funge da punto di partenza per la carriera del duo britannico, prima espressione della loro particolare, ed allora unica, visione dove metal, tratti sperimentali post-punk, e industrial s'incontrano in un'estetica e suono che appartengono allo stesso tempo a tutte queste categorie, e a nessuna. Rispetto alla caustica e nichilistica ferocia del magnum opus "Streetcleaner", troviamo qui ancora spesso una base legata alla tradizione, anche se il tutto viene già filtrato dal gusto dei Nostri per le accordature basse ed i suoni distorti, nonché dall'utilizzo di ritmiche artificiali, dal gusto marziale e duro. Il 1988 segna un anno estremamente importante per il così detto metal industriale, genere del quale i Godflesh sono tra i padrini, tra quest'opera, l'album "The Land Of Rape And Honey" dei Ministry, e il disco "Don't Blow Your Top" dei tedeschi KMFDM. Si tratta di dischi che mostrano aspetti, spesso anche estremamente diversi, di quel genere che da li a poco scoppierà nell'underground americano, conquistando la prima metà degli anni novanta. L'idea di "musica rock fatta con le macchine" diventa sempre più diffusa, una nuova frontiera per convogliare il desiderio di un suono mutante capace di suonare feroce e nuovo allo stesso tempo, un taglio con il passato in chiave punk (non dimentichiamo che tra i primi ad utilizzare sintetizzatori e drum machine in musica troviamo band "synth-punk" quali i Suicide) capace a legarsi tanto a visioni distopiche in chiave cyberpunk e sci-fi, quando alla dura realtà urbana fatta di nichilismo, depressione, e negatività esistenziale. Nel caso della band inglese, il discorso si mantiene terribilmente concreto ed introspettivo, un costante viaggio nelle paranoie, ossessioni, paure di Broadrick, che va ben aldilà di qualsiasi semplice vezzo estetico. Si gettano qui anche le basi tematiche per tutta una scuola di pensiero che investirà il post-rock/metal e il così detto nu-metal, dove vengono messe da parte fantasie macho, satanismi vari, o draghi e castelli (non a caso, tutti elementi del metal classico apertamente disprezzati dal cantante durante le prime interviste alla band) in favore di cristi esistenziali e cupe riflessioni, le stesse che porteranno alla ribalta il grunge. Un'espressione dello Zeitgeist dell'epoca, di una generazione che stava per uscire dalla guerra fredda, ma senza trovare un mondo migliore, priva di grandi ideali a cui attaccarsi, e pronta ad abbandonarsi all'autodistruzione più spinta, quale che sia il mezzo per raggiungerla tra sesso, droga, e musica. Anche in questo contesto, i Godflesh rimangono un caso unico e mai pienamente imitato: qualsiasi accenno autoreferenziale o dramma da rockstar viene evitato, e la sguardo impietoso di Broadrick si estende su tutto, dall'esterno a se stesso, mantenendo sempre quel freddo e meccanico disprezzo, capace di dare anche una forma concettuale all'idea di fusione tra uomo e cemento. Le estreme conseguenze del mondo post-industriale, delle città grigie dove s'innalzano i fumi delle ciminiere, dove i rapporti umani diventano come componenti da assemblare in una fabbrica secondo regole di produzione, vengono veicolate in un suono che vuole essere sgradevole, ma che risulta allo stesso tempo ammaliante grazie all'abilità degli autori, veri e propri maestri nell'intersecare minime variazioni capaci di portare avanti trame monotone, ma mai noiose. Certo, nulla nasce dal nulla, e l'ombra di nomi quali gli Swans o i Killing Joke è largamente percepibile da chi conosce queste band, ma il fatto che stia nascendo qui un nuovo punto di partenza, è indiscutibile. Pubblicato inizialmente in chiave indipendente tramite la propria etichetta Swordfish, il lavoro incontra i favori di pubblico e critica, permettendo ai Nostri di firmare per la Earache Records; da qui un percorso in salire che vedrà l'uscita di lavori importantissimi tanto per la carriera della band, quanto per l'evoluzione del metal alternativo, anche se la band non incontrerà mai il successo commerciale di altri epigoni e rappresentanti, i quali daranno una versione più digeribile di quanto da loro proposto. L'inizio insomma di una carriera che abbiamo esplorato a ritroso, partendo dall'ultimo disco "Post-Self", passando per vari passaggi storici, tra il primo epitaffio della band, il finale della loro prima fase a nome "Hymns", forse prima e unica concessione commerciale nella carriera del gruppo, l'elettronico "Us And Them", il primo segnale di tratti più rock "Selfless", o il monolito industriale "Pure". Una carriera fatta di dischi capaci di mutare, anche considerevolmente, un tema di fondo unico che è rimasto lo stesso nel tempo, mantenendo quindi coerenza, senza però clonarsi all'infinito. Non senza lotte e tumulti: il tormentato Broadrick, come abbiamo avuto modo di vedere, è stato spesso il suo critico più grande, scisso in maniera dolorosa tra un'ideale di coerenza verso la sua creatura, e un bisogno incontrollabile di sperimentare e toccare nuovi orizzonti. Anche questo, ha reso la musica dei Godflesh uno spaccato esistenziale che ha dell'unico, per ironia della sorte una delle manifestazioni più umane e sincere della disumanizzazione costante della società e dell'individuo, il grido disperato dell'uomo, impotente, depresso, distrutto, tramite la carcassa robotica che ha sostituto il suo corpo.

1) Avalance Master Song
2) Veins
3) Godhead
4) Spinebender
5) Weak Flesh
6) Ice Nerveshatter
7) Wounds
8) Streetcleaner 2
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