GODFLESH

F.O.D (Fuck of Death)

2013 - Decibel

A CURA DI
DAVIDE PAPPALARDO
20/04/2019
TEMPO DI LETTURA:
7,5

Introduzione Recensione

Andiamo oggi a trattare una release molto particolare e rara della discografia dei Godflesh, la band britannica figlia di Justin K. Broadrick e G.C. Green e capostipite del industrial metal, oltre che del post-metal e dell'alternative dalle derive crossover. Si tratta infatti del singolo "F.O.D (Fuck of Death)" uscito nel 2013 come parte della serie di flexi disc della famosa rivista americana Decibel, dedita alla musica metal nella sua interezza; esso è stata la primissima testimonianza su formato fisico del ritorno sulle scene dei Nostri, già annunciato nel 2010 da una data live durante l' Hellfest Summer Open Air, e nel 2011 durante la riproposizione dal vivo dell'album storico "Streecleaner" durante il Roadburn. Una scelta interessante, essendo una cover della band thrash/death canadese Slaughter, per molti un gruppo di culto, lontano dai suoni meccanici e pachidermici solito del gruppo, e anche dalle tematiche minimali, intime, e spesso depressive dei Godflesh. Occorre fare un riassunto della situazione: nel 1982 il bassista Green fonda insieme al chitarrista Paul Neville (in futuro collaboratore dei due sia in studio, sia e soprattutto in sede live) i Fall Of Because, band influenzata dal post punk, ma con derive decisamente più noise e sperimentali, supportata da una drum machine. In contemporanea Broadrick già dall'età di tredici anni stava portando avanti suoni dark ambient sotto nome Final, ed ecco che nel 1983 egli incontrò gli altri due tramite il loro amico Diarmuid Dalton (più avanti negli anni collaboratore di Broadrick nel progetto post rock Jesu), aggiungendosi alla band come batterista e seconda voce. Il progetto andrà avanti negli anni pubblicando alcuni pezzi, mentre nel frattempo Broadrick diventerà membro dei Napalm Death suonando come chitarrista sul primo lato di "Scum" pubblicato nel 1987, cantando nel pezzo "Polluted Minds" e scrivendo parte dei testi. Ecco però che il passaggio proprio di Broadrick come batterista nella band post punk/industrial Head Of David (autrice del brano "Dog Day Sunrise" in futuro ripreso dai Fear Factory in "Demanufacture") segnò la fine dei Fall Of Because, ma non della sua collaborazione con Green; solo sei mesi dopo infatti i due uniranno le proprie forze, ed ecco che i Godflesh prenderanno forma, con Broadrick come chitarrista e cantante, Green come bassista, mentre la ritmica verrà affidata alla drum machine. Passeranno gli anni, caratterizzati da dischi storici come "Streetcleaner", "Pure" e "Selfless", sperimentazioni elettroniche di stampo drum'n'bass in "Us And Them" e l'uso di batteristi umani in "Songs of Love and Hate" e "Hymns", mentre Broadrick nel frattempo esplorerà con una miriade di side project mondi diversi dello spettro musicale, dall'hip hop mutante di Techno Animal ed Ice, al dub di Curse of the Golden Vampire in compagnia di Alec Empire degli Atari Teenage Riot. Nel 2001, dopo il disco "Hymns", caratterizzato da suoni decisamente più hard rock e metal tradizionali, e pesantemente influenzato da ingerenze di etichetta, la band si scioglie, con un Broadrick interessato a seguire altri mondi musicali con Jesu e JK Flesh, ed un Green invece concentrato sugli studi e sul rapporto con la sua ragazza. Ecco quindi che circa dieci anni dopo i Nostri, ora con una diversa maturità ed esperienza musicale, si riuniscono esibendosi dal vivo, con la sorpresa di molti, decidendo poi di tornare in studio con nuovi lavori. "F.O.D (Fuck of Death)" è quindi la "testa d'ariete", il singolo che rompe il silenzio a livello di pubblicazioni inedite, una cover scelta a causa dell'amore comune dei due artefici nei confronti della band canadese, a sua volta dovuto alle influenze che gli svizzeri Celtic Frost, altro amore di Broadrick, hanno avuto sulla band. Naturalmente, questa versione porta il tutto nella dimensione dei Godflesh, tra drum machine marcianti e meccaniche, suoni di basso grevi, chitarre dissonanti, e la voce disumana di Broadrick, piena di riverberi e distorta.

F.O.D (Fuck of Death

"F.O.D (Fuck of Death)" è la protagonista del singolo, cover del brano dei canadesi Slaughter presente nel loro album di debutto "Strappado" del 1987. Si tratta in origine di un brano thrash dalle componenti molto vicine al death, non a caso i canadesi sono considerati una band death/tharsh tra i pionieri del primo, dalla musica distorta, ossessiva e dalle vocals cavernose, largamente influenzate dallo stile dei Celtic Frost caratterizzato da loop di chitarra e soluzioni rocciose e non convenzionali per l'epoca, come l'uso di assoli dissonanti; la seconda parte del pezzo vede impennate thrash che non hanno però velleità tecniche, mantenendo il tutto diretto e brutale. Un episodio dalla struttura lineare e diretta, ma coinvolgente per qualsiasi amante del genere, soprattutto nelle sue emanazioni più estreme. Siamo in un periodo, la fine degli anni ottanta, durante il quale il metal estremo si stava ancora definendo proprio grazie alle influenze punk, dark, industriali, sperimentali, classiche, che stavano iniziando a farsi presenti, portando dal thrash alla nascita del death, e poi on seguito del black, del grind, e tutte le diverse diramazioni. Una ricerca dell'estremo, e del macabro, non solo musicale, ma anche tematica: ecco infatti che il testo, in modo molto poco velato, tratta della necrofilia, anticipando il gusto del death per tutto ciò che riguarda la morte e i lati di essa a cui normalmente non si vuole pensare, perversioni comprese. La descrizione dei segni della putrefazione e della violazione del cadavere di una donna si uniscono in descrizioni fredde ed impassibili, che non fanno trapelare un giudizio morale o una condanna di quanto illustrato, non lasciando quindi un appiglio o scusante per l'ascoltatore. Non è difficile capire come all'epoca questo tipo di produzioni avessero fatto storcere la bocca tanto ai benpensanti già scioccati dal heavy metal tradizionale, quanto ai puristi legati alle prime emanazioni del metal caratterizzate da un escapismo macho oppure fantasy, non certo da perversioni sessuali e descrizioni da film splatter. E' chiaro come un certo divario stia nascendo, cambiando sempre di più la definizione di estremo e cerando il campo per quello che oggi viene definito tale in campo musicale. Alla luce di tutto questo, è interessante vedere una band come i Godflesh, forieri di un'ulteriore cambiamento ed evoluzione in seno al genere, reinterpretare questo pezzo secondo la propria estetica e gusto, rendendolo qualcosa di proprio e personale. Rispetto a dove avevano concluso, ovvero il suono più "tradizionale" ed umano di "Hymns", si nota subito una ripresa di certe soluzioni fredde e distaccate dei loro primissimi lavori, ma con una componente groove più forte, la quale caratterizzerà anche i dischi futuri a venire della nuova produzione del duo. Ecco che un riffing secco e greve introduce la cover, presto accompagnato da colpi imponenti di batteria, ripetuti con fredda precisione meccanica e delineati da piatti cadenzati distribuiti durante il percorso. Raggiungiamo quindi la partenza vera e propria, data da un basso distorto e dai tipici colpi frustanti dei Nostri, riportandoci ai suoni di "Streetcleaner" e "Pure", esprimendo una chiara volontà di riagganciarsi al spossato, mettendo da parte le ultime derive usate prima dello scioglimento e ricercando l'essenza più pura della band. Si crea così un groove ipnotico, sul quale interviene il growl distorto e cavernoso, di Broadrick, anch'esso decisamente legato ai primi anni della band, privo di aspetti melodici o sentimentali, espressione di una meccanica disumanizzazione. Grazie a questi elementi, la descrizione di quanto in atto nel testo, diventa ancora più alienante e raggelante: se prima era un maniaco a farla, ora è un cyborg crudele e senza alcuna remore. Nelle profondità della terra, i una bara, la morte prevale su tutto, e le budella che marciscono lentamente attendono, un cadavere nudo che è pronto per la monta, mentre apriamo la bocca e scendiamo, pronti per il suo sesso. Una narrazione che non lascia spazio all'ambiguità o all'interpretazione, la palese cronaca di un atto di necrofilia dove non si risparmiano particolari sulla condizione del cadavere, che anzi probabilmente eccita chi sta compiendo la cosa, in un malsano connubio di desiderio e morte. La musica prosegue indifferente e punitiva, caratterizzata da un loop tagliente fatto di soluzioni minimali, tra drum machine marcianti e giri arrugginiti di basso, mentre ogni tanto le chitarre si lasciano andare a suoni striduli, come una lenta locomotiva che sterza. Il ruggito infernale del cantante torna con la sua macabra testimonianza: il corpo è bianco e viscido, freddo come il ghiaccio, esso è l'oggetto della scopata della morte e basterà, mentre seppelliamo la nostra faccia nel suo puzzo di morte e baciamo le sue labbra ormai prive di respiro. Nuove descrizioni di sesso ed elementi di morte sempre più esplicite, in una volontà assoluta di toccare argomenti tabù e proibiti, con uno spirito ribelle derivato dal punk, ma qui apportato al macabro e al perverso, in uno spingersi oltre che continuerà nel tempo portando agli eccessi del pornogrind e del brutal death. Il loop sonoro ci accompagna fedelmente, aprendosi ad assoli alieni dal sapore spettrale, striduli come in un'orchestrazione dell'oltretomba. Ecco che superato il secondo minuto, la composizione prende più velocità (riprendendo la variazione dell'originale, ma in misura diversa) grazie a dei rullanti di drum machine più concitati, seguiti da una doppia cassa mitragliante, mentre nuovi suoni stridenti raggiungono un climax atonale. Una volta esaurito il tutto, abbiamo una cesura con un fraseggio roccioso delineato da colpi ritmati; esso prepara il campo per la ripresa della marcia principale, pachidermica e brutale, e per il ritorno della voce di Broadrick. Prosciughiamo il sangue rimasto dal collo del cadavere, in una deviazione sempre più spinta e dagli aspetti anche necrofagi, spingendoci sempre più nel macabro durante la notte dominata da un verso che sembra l'ululato di una strega, e dal battito delle ali dei pipistrelli, versi che sembrano quelli di un gatto che urla dall'inferno. Metafore horror per descrivere i versi emessi durante l'orribile atto, forse unico momento di "versione poetica" in un testo dominato da descrizioni dirette e senza molti fronzoli. La canzone continua, ora nella sua parte finale, con una nuova impennata dalla cavalcata a media velocità di drum machine e riff, destinata a concludersi all'improvviso mettendo fine a tutto. Un brano quindi che si basa su elementi che ogni amante della band, soprattutto della prima ora, conosce bene, ma come detto con un certo sottinteso groove che si ritroverà anche nel futuro EP "Decline&Fall" e nell'album "A World Lit Only By Fire".

Conclusioni

Un singolo che rimane quindi come prima testimonianza sonora, escludendo il live del 2011 e i concerti tenuti, della seconda parte della carriera del duo inglese, una rinascita che riprende e reinterpreta la loro prima ora, sotto una luce diversa dovuta ad un'altra epoca, e alla diversa personalità ed esperienza dei suoi protagonisti. Certo, "F.O.D (Fuck of Death)" non è sicuramente la loro ora migliore, un brano abbastanza lineare e legato alla struttura dell'originale, qui reinterpretato con tutta una serie di suoni ed elementi tipici dei Godlesh classici, tra bassi pachidermici, suoni stridenti, vocals pesantemente trattate, e suoni in loop ossessivo, ma di sicuro mette in chiaro le cose su quelle che sono le intenzioni della band. Esse si faranno sempre più palesi nel tempo, grazie alle varie uscite che seguiranno, e che mostreranno come, dimenticate le incursioni acustiche, e anche quelle con derive drum 'n' bass o hip hop degli ultimi anni della loro prima fase, ora saranno groove ipnotici ed elementi che potremmo definire post-rock a riempire l'ossatura meccanica e greve dei loro brani. Il risultato sarà qualcosa allo stesso tempo di violento, catchy e a tratti ancora malinconico, dove la disumanizzazione simbolo della band verrà mantenuta, ma allo stesso tempo vi sarà una chiave umana che di contrasto renderà ancora più efficacemente il dissidio interiore e la lotta contro una vita sempre più alienante. Dei Godflesh del nuovo millennio quindi, pronti a riprendere la loro narrazione della società post-industriale in un mondo che ha allo stesso tempo molte differenze e somiglianze con gli anni in cui la loro avventura è partita, tra il cambiamento dovuto ad internet e alla globalizzazione, e il clima politico teso e segnato sempre più da derive autoritarie e conservatrici; l'alienazione dell'individuo da loro decantata è ora una realtà quotidiana e che coinvolge tutti sempre di più, nell'assurdo paradosso di un mondo sempre più connesso, ma allo stesso tempo privo di rapporti umani reali e saldi, in un consumismo che tocca anche le persone e non più solo gli oggetti. Drum machine, riff rocciosi, passaggi grevi e corrosivi come leitmotif di strutture pienamente industriali, descrizioni di un mondo grigio e urbano, disturbato da onde di emotività aggressiva, perfettamente delineata da anti-melodie, fraseggi, momenti incalzanti. Ogni dubbio su un'eventuale ragione commerciale dietro al ritorno della band viene quindi negato, presentando anzi una versione decisamente con meno compromessi rispetto alle uscite di fine anni novanta ed inizio duemila, anche se mitigate dall'età dei Nostri e dalla diversa esigenza espressiva. Pubblico e critica riconoscono tutto questo, così come la critica, accogliendo il ritorno favorevolmente, tra vecchi fan ed una nuova generazione che riscopre uno dei mostri sacri del industrial metal, messi a contatto con una versione della band che non è ostica come in passato, ma nemmeno commerciale, capace di mantenere sperimentalismo e godibilità d'ascolto, qualcosa che in pochissimi riescono a raggiungere pienamente senza perdere da una parte, o dall'altra. Nel concreto del caso qui analizzato, abbiamo un primo esperimento in studio, fatto più con il piacere di una composizione di prova, un tributo ad una band apprezzata, senza il peso di un album e di una scaletta dove inserirlo. Un testo lontano dallo stile dei nostri, si freddo e disumano, ma scevro di volontà macabre o perverse (aspetti in gioventù criticati da Broadrick, che ci teneva a distanziarsi dalla concezione imperante di metal) inserito in un contesto musicale invece consono alla band, ma molto minimale, una sorta di ossatura dalla quale i Nostri ripartiranno sempre più nel tempo.

1) F.O.D (Fuck of Death
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