GODFLESH
Crush My Soul
1995 - Earache Records
DAVIDE PAPPALARDO
19/05/2019
Introduzione Recensione
Rieccoci a parlare dei Godflesh. I pionieri britannici del industrial metal costituiti dal duo Justin Broadrick e G.C Green, tra i rappresentanti più importanti delle pagine alternative del genere da noi amato. Stiamo sempre analizzando i così detti episodi "minori" della loro discografia, e siamo sempre nel 1995, anno di uscita del singolo "Xnoybis"; ecco infatti che qualche mese prima di quest'ultimo, vede la luce il primo singolo tratto dall'album "Selfless" del 1994, ovvero il qui recensito "Crush My Soul - Schiaccia La Mia Anima", un brano che mostra un'altra faccia del disco, offrendo il suo aspetto più schiacciante e legato alla natura corrosiva e pachidermica della band. Se infatti ora i Nostri avevano accolto alcune tendenze più umane ed ariose, sviluppate più ampiamente nei lavori futuri, il loro lato più pesante ed asfissiante non era scomparso, per quanto strutturato secondo una chiave più vicina al rock. La drum machine marziale e le distorsioni stridenti non sono un lontano ricordo, come il brano principale che da il titolo al singolo dimostra, e gli andamenti meccanici supportati da un'elettronica ostile, ora anche più presente, sono parte integrante del songwriting. Se il già citato "Xnoybis" esprimeva il lato più trascendente e spirituale presente nel disco, qui torna invece la critica caustica al legame tra potere e religione, vista come un mezzo materiale di oppressione. Di conseguenza, anche i suoni si adattano al tema, basandosi su un'ossessione ritmica schiaccia-ossa, ossessiva e dai tratti industriali. Oltre al brano principale, troviamo anche un remix in chiave dub e un remix molto lungo e sperimentale di "Xnoybis" che verrà usato anche nel singolo dedicato ad esso. Una divagazione sul tema quindi, che offre ulteriori aspetti della band, e di quel disco che doveva essere il loro "sbocco commerciale"; invece la Columbia Records, a fronte di "sole" cento ottantamila copie, decide di abbandonare molto presto la band, la quale capirà che la sua strada sarà parallela, ma mai del tutto inerente, al così detto mondo "mainstream" del rock e del metal. La natura dei Godflesh non è fatta per essere chiusa in definizioni preconfezionate, che siano quella di puro sperimentalismo ostico, o di musica commerciale, cosa che durante la loro storia li metterà agli antipodi con tutti, anche loro stessi. Qualcosa questo, che trova le sue radici nella storia stessa del gruppo: nati dalle ceneri dei Fall Of Because, i Godflesh sconvolsero il mondo del metal alternativo con "Streetcleaner" del 1989, un disco dove la perfetta sintesi tra estetica e suono industrial e metal diede luce ad un ibrido, allora, inedito e violento, perfetta rappresentazione della realtà alienante della società post-industriale. Qualcosa di pachidermico, asfissiante, disumano, capace di portare alle estreme conseguenze la lezione del doom, del grind, dell'industrial, del post-punk più grigio e sperimentale, creando un suono difficilmente inquadrabile, ma che in poco tempo divenne simbolo della band, rispettata tanto dal pubblico metal più estremo, quanto da quello punk ed alternativo. In realtà ogni opera dei Nostri conoscerà una diversa elaborazione di queste coordinate, pur conservando di base una coerenza che permetterà loro di mantenere un'identità ben definita. Ecco quindi ad inizio anni novanta esempi di suono sempre claustrofobici, ma in qualche modo più umani, come il singolo "Cold World", o addirittura sperimentazioni con synth e motivi "techno" nel EP "Slavestate", arrivando al secondo disco "Pure", il quale mostrava un mondo sonoro ancora più glaciale, ma allo stesso tempo più malinconico nella sua fredda rabbia meccanica. Il successivo EP "Merciless" amplificava questi aspetti, dandoci tra i migliori esempi di sempre del suono dei Nostri, smussando gli angli senza in alcun modo snaturare l'essenza della band. In realtà quindi, un'analisi ragionata ci porta a concludere che come sempre nulla nasce dal nulla, ed in realtà "Selfless" non è un tentativo commerciale dell'ultima ora (a maggior ragione alla luce de presunto "fallimento" del disco per le major), bensì un tassello di un'evoluzione continua e coerente con la visione musicale di Broadrick. Quest'ultimo infatti può essere definito il prototipo dell'ascoltatore moderno, abituato a vivere in contemporanea diversi generi filtrandoli sotto una lente mutante, capace di sintetizzare il tutto in qualcosa di altamente unico. Caratteristiche queste non certo comuni all'epoca, dovute ad una natura onnivora cresciuta con Black Sabbath, Throbbing Gristle, Killing Joke, Joy Division, il grind, il noise, e quant'altro di pesante e corrosivo aveva da offrire il suono inglese; natura che si mostrerà sempre più nel tempo, sia negli sviluppi della band stessa, sia nei progetti paralleli portati avanti in contemporanea. In tutto questo, però, si farà strada anche un altra sua faccia: la sua eterna contraddizione nel voler sperimentare ed allo stesso tempo essere coerente con quello che i Godflesh rappresentano, nonché le mille nevrosi di un animo fragile e prono al collasso. Tutti aspetti che si rispecchieranno nel suono unico della band, sintesi di queste contraddizioni, un cyborg che vorrebbe essere il meno umano possibile, ma che finisce invece per rappresentare all'ennesima potenza un marasma esistenziale ed una malinconia che potremmo definire "umani, troppo umani". Il singolo qui analizzato ci mostra il lato più meccanico e freddo di questo suono, dandoci un legame con il passato prima accennato.
Crush My Soul
"Crush My Soul - Schiaccia La Mia Anima" tratta di temi legati alla religione ed al potere, collegando le due cose e portando in campo anche il vuoto esistenziale che spinge le persone verso questi elementi. Un rumore caotico di matrice noise si insinua subito nelle nostre orecchie con il suo incedere pesante, presto raggiunto da passi grevi ad accordatura bassa; ecco che si va così a creare un riffing meccanico dove i colpi di chitarra dialogano in un botta e risposta con i suoni elettronici, delineando un cyborg sonoro sferragliante ed ipnotico. Brevissime digressioni squillanti delineano il passo del movimento pachidermico, mentre Broadrick si aggiunge con la sua voce declamante e ruggente: egli chiede di essere ingoiato per intero, e di fargli imparare, perché non abbiamo bisogno di lui, dobbiamo solo schiacciare la sua anima. Intanto la drum machine prende più velocità con i suoi rullanti, ed un fraseggio stridente e notturno sottolinea la composizione ad intermittenza, creando un gioco di risposte con i battiti senza pietà. Si configura già uno degli episodi migliori del disco, capace di convogliare nel suo suono martoriante ed ossessivo il messaggio del testo, qui esplicato con qualche parola in più, ma sempre minimale, come da tradizione per i Nostri. La rigidità dei dogmi diventa una rigidità ritmica che non conosce sosta o quiete: ed è su queste note che ritorna il cantato, gridato con una forza dettata dalla disperazione, dal bisogno di doversi liberare. Ci si chiede come si possa vedere la speranza, quando non vediamo mai la luce, poiché siamo vuoti dentro. Parole semplici, ma che denunciano la vana illusione offerta dalla religione, incapace di colmare davvero i vuoti che abbiamo dentro. Come per reiterare la cosa, la musica tira dritto decisa, aprendosi però a nuovi fraseggi severi e colpi veloci, in una struttura tanto lineare, quanto ammaliante. Troviamo però una leggera variazione, che ci conferma come il songwriting minimale adottato dai Nostri sia dovuto ad una scelta artistica ben ponderata, e non alla pigrizia; s'inseriscono brevissimi momenti dissonanti, che ci consegnano un ulteriore contrappunto, in un'orchestrazione stridente di ottima fattura. Un'atmosfera quindi estraniante, che configura un mondo duro e fatto di dominazione, come ricordato dalle parole di Broadrick, che riprende con le sue grida sentite. Ecco quindi i passi familiari con sessioni stridenti e colpi sintetici massacranti, in un gioco d'incastri che ormai conosciamo bene. Si prosegue su questa linea, facendoci trasportare fino ad una coda fatta di suoni baritonali e ruggenti, che collimano con una conclusione dove, come all'inizio, in effetti noise e colpi sincopati. Si conclude così la traccia, non a caso uno dei pezzi migliori presenti nell'album "Selfless" , capace di dare una forma con più "groove" al primo suono dei Godflesh, quello più industriale e belligerante, ma allo stesso tempo più freddo e monolitico.
Crush My Soul (Ultramix)
"Crush My Soul (Ultramix)" è il remix della traccia principale, sempre legato ai temi della religione ed al potere. Una ritmica sommersa di natura dub ci introduce al pezzo, portandosi verso un riffing meccanico e sottolineato da elementi quasi tribali, sul quale si delineano le vocals filtrate di Broadrick. Egli chiede di essere ingoiato per intero, e di fargli imparare ad obbedire, perché non abbiamo bisogno di lui, dobbiamo solo schiacciare la sua anima. Parte una bella sequenza fatta da montanti squillanti, una versione ancora più dilatata del riffing portante della versione principale della traccia. Qui la velocità della drum machine è minore, dando meno visibilità al gioco di botta e risposta con la chitarra. La rigidità dei dogmi viene in questo caso rappresentata più dall'ossessiva monotonia delle chitarre, pesantemente filtrate dai riverberi. Ritorna poi il cantato, dove ci si chiede come si possa vedere la speranza, quando non vediamo mai la luce, poiché siamo vuoti dentro. Parole semplici, ma che denunciano la vana illusione offerta dalla religione, incapace di colmare davvero i vuoti che abbiamo dentro. Come per reiterare la cosa, la musica tira dritto decisa, in una struttura lineare. Notiamo però una leggera variazione, che ci conferma come il songwriting minimale adottato dai Nostri sia dovuto ad una scelta artistica ben ponderata, e non alla pigrizia; s'inseriscono brevissimi momenti squillanti, che ci consegnano una marcia stridente e volutamente sgraziata. Un'atmosfera quindi estraniante, che configura un mondo duro e fatto di dominazione. Broadrick riprende con le sue grida sature di riverbero, ridotte a suoni persi nella nebbia, seguite da giochi squillanti di chitarra, ridotta ora ad uno strumento spremuto e totalmente dissonante, configurato in una serie di loop sottolineati dalla ritmica secca e dal sapore sempre quasi tribale. I suoni sono dilatati, ed incontrano inedite cesure dai suoni elettronici, che portano il brano su lidi ben diversi rispetto alla versione originale. S'intersecano i passi grevi e nuovi effetti stridenti, in una sequenza dal sapore futuristico ed ipnotico. L'amore di Broadrick per l'elettronica più acida ed estraniante trova pieno sfogo, dando senso al termine remix usato per questa riproposizione. Fraseggi ripetuti ad oltranza e giochi ritmici sincopati dominano ora la traccia, che si appresta a raggiungere una lunghezza di quasi un quarto d'ora. Troviamo asperità industriali, con colpi come d'acciaio, intervallata da drone ossessivi e dai campionamenti delle vocals del cantante; un certo gusto contratto s'impossessa della canzone, dandoci un movimento spezzato, quasi evocando una macchina mal-funzionante. Ed è su questa linea che si prosegue, introducendo nella metà finale ulteriori suoni elettronici e ritmiche sincopate, evocando territori da club lisergici ed ipnotici. Si chiude così la traccia, accompagnata da effetti siderali.
Xnoybis (Psychofuckdub)
"Xnoybis (Psychofuckdub)" è un remix del brano Xnoybis, sempre tratto da "Selfless", lungo ben più di diciassette minuti, non a caso definito da Broadrick come la cosa più sperimentale mai fatta dalla band. Un suono greve e pieno di filtri viene prolungato in loop, prima che ritmiche in riverbero si aggiungano in una sequenza meccanica ed ossessiva. Suoni di chitarra distorti si aggiungono, completando un mantra sul quale si stagliano parti del cantato, tagliate ed incollate in un ritornello isolato dal suo contesto originario. La natura del remix qui è palese, confermando già tratti dub votati ad una certa componente psichedelica e lisergica. Suoni taglienti creano una trama ritmica metallica e dai tratti industriali, mentre effetti da studio creano corsi sonori dalle atmosfere disorientanti. L'uso pesante del riverbero ci da una nebbia sonora, dove compaiono anche micro-sequenze sapientemente utilizzate nel contesto del brano, architettando passaggi striscianti sottolineati dai giri di basso e dal cantato arioso di Broadrick, sempre pieno di effetti che lo rendono una componente della musica. Il passo è sempre felpato, invigorito però da improvvisi suoni sferraglianti e profondi, dalla natura squillante ed ipnotica, che ci portano verso derive strumentali dove l'uso di piatti e batteria viene frammentato in composizioni interne. Seguiamo quindi il loop, che prosegue in una scia psicotropa, dove si aggiungono suoni liquidi dalla natura sintetica. Si va quindi ad instaurare una natura ancora più lontana dall'originale, questa volta votata a giochi ambient molto particolari e ad effetti di synth dal gusto retro e cosmico, riportandoci in mente la musica elettronica degli anni settanta e nomi quali Tangerine Dream e Klaus Schulze. Un mantra elettronico crea un corridoio sereno estasiante ed evocativo, che ci immerge in un'altra dimensione fatta di suoni e colori ripetuti. Le parole del cantante riguardo al remix diventano sempre più vere, in uno sperimentalismo dalle coordinate inedite per i Godflesh, che tocca tratti dell'elettronica esplorati sotto altri nomi, ma mai così presenti nel suono dei Nostri. La lunga sequenza prosegue, andando poi a perdersi in un suono intermittente che dopo il dodicesimo minuto e mezzo viene sovrastato da ulteriori effetti ritmici grevi e lontani. Una sorta di sinfonia noise, ma sommessa, prende piede, un nuovo tratto con distorsioni e riverberi che fa da contraltare alle sequenze precedenti. Un continuo cambio di caratteristiche, in un lungo viaggio che presenta diverse stazioni sonore"; ora è come se fossimo in una galleria, su un treno che passa su rotaie arrugginite. Esso va a perdersi tra suoni che potremmo definire dark ambient, dai drone funesti e statici, parte finale del lunghissimo remix. Un'esperienza unica e totalizzante, una reinterpretazione che man mano si allontana sempre più dall'originale, portandoci in mondi inediti.
Conclusioni
Un singolo che presenta una traccia portante del disco "Selfless", e che funge da gemello per il poco successivo "Xnoybis", creando una sorta di dualismo che mette in luce le due anime principali dell'album. Tanto più umana ed arioso uno, quanto più meccanico, feroce, ossessivo l'altro, portando in gioco riff grevi, dissonanze, passi pachidermici, cantato altisonante ed aggressivo. Un momento di evoluzione del loro suono, che sta raggiungendo uno spartiacque con il periodo iniziale, votato alla fusione più dura e disumana tra musica industriale e metal, si prepara qui al passaggio verso quello successivo, più aperto a momenti umani e malinconie post-rock, per quanto sempre caustico e permeato da una sorta di cappa esistenziale grigia ed opprimente. Una sorta di ibridazione ancora in atto e molto istintiva, che quindi presenta confini poco delineati e che si fondono tra di loro; appare invece decisamente cosciente l'amore di Broadrick verso certe derive elettroniche, ben presentato dai remix qui inseriti. Attivo con progetti quali Techno Animal, The Curse Of The Golden Vampire, e JK Flesh, il Nostro trova proprio in queste occasioni spazio per inserire questi elementi nel suono dei Godflesh, trovando una libertà di sperimentazione e rielaborazione che va ben oltre i confini del metal. La componente dub diventa un pretesto per fare da contraltare all'uso più parsimonioso dell'elettronica nei dischi principali, andando a creare lunghi brani che partono spesso da una base modificata delle versioni originali, sfociando poi in viaggi psichedelici dalle cesure avventurose. Insomma, si incominciano ad intravedere molte esigenze compositive che, volente o nolente, e anche a discapito delle intenzioni di Broadrick stesso, in futuro troveranno sempre più spazio nelle composizioni del duo, portando ad una serie di lavori che rielaboreranno il suono tipico della band verso altri lidi paralleli, tra le influenze urbane di "Songs Of Love And Hate", alla drum 'n' bass e allo shoegaze di "Us And Them", fino alle inflessioni più hard rock di "Hymns". I semi di tutto questo, sebbene ancora acerbi, si trovano proprio qui, tanto nelle coordinate più aperte, dai groove rock, dei brani originali, quanto nei remix prima menzionati. Il cantato inizia ad essere più sicuro anche nell'uso della voce naturale, senza però abbandonare del tutto l'uso del suo stile più robotico e rabbioso, e l'armatura di cemento incomincia a far intravedere delle falle, dalle quali viene fuori l'umano che c'è dentro, l'uomo post-moderno che vive e soffre in una civiltà dove i sentimenti vengono spesso repressi, e dove si prova frustrazione e senso di prigionia, sia interna, che esterna. Ma, come dimostrato da "Crush My Soul", rimane anche la ferocia post-industriale che fa da perno per le tematiche e l'estetica sonora dei Nostri, in un suono che sa sempre essere minimale e sferragliante, supportato da synth evocativi e dalla drum machine che avanza senza pietà ed incertezza. Questa natura mutante e mutevole, fuori controllo, ma allo stesso tempo inserita in un quadro in qualche modo coerente, sarà la fortuna e la condanna dei Godflesh. Infatti porterà all' abbandono da parte della Columbia, dettato da interessi ed aspettative meramente commerciali, e dovuto all' incapacità da parte della cultura mainstream di catalogare o sfruttare i Nostri. Non ci sono appigli veramente facili infatti per entrare in sintonia con il loro suono, ed anche i momenti più umani ed ariosi, vengono accompagnati da strutture granitiche ed ossessive, avulse al ritornello classico o ad un songwriting dalle soluzioni lineari. La musica della band viene giocata su variazioni minime, ma estremamente importanti, collocate con fare certosine in un oceano sonoro dove un orecchio meno attento, o non abituato, sentirebbe una monotonia senza arte ne parte. Questa essenza apolide, questo non sapersi, e non volersi, collocare in nessuna categoria sonora, neanche nel industrial metal anni novanta, che già stava diventando una formula consolidata dalla natura ben più vivace e di presa sul pubblico, sarà sempre la forza e la condanna della band, spesso poco capita dal business musicale, dal pubblico, ed addirittura da loro stessi.
2) Crush My Soul (Ultramix)
3) Xnoybis (Psychofuckdub)