FINNTROLL
Ur Jordens Djup
2007 - Spinefarm Records

ALISSA PRODI
06/04/2018











Introduzione Recensione
Aria di cambiamenti in casa Finntroll. Un tifone che soffiava decisamente forte, in quel 2006 così carico di sorprese e capovolgimenti di prospettiva. Avevamo lasciato i nostri ormai definitivamente rinati, reduci da un disco - Nattfödd - che di fatto aveva rilanciato il loro nome dopo tutta una serie di terribili vicissitudini. La morte di Somnium (tragica fatalità o suicidio?), il tumore di Katla... i troll avevano reagito con fervore ed orgoglio, riuscendo laddove molti prima di loro avevano fallito: ribattere alle avversità colpo dopo colpo, pugno dopo pugno. Prendere le botte e ridarle prontamente indietro, sino a pubblicare un disco per certi versi epico e coraggioso. Tutto questo sino alla nuova "tegola" che di fatto cadde in testa ai mostri finnici, ritrovatisi dall'oggi al domani senza un cantante. Non furono ben chiari i motivi che allontanarono Wilska dal resto della compagine; litigi abbastanza pesanti dovuti a divergenze musicali e personali apparentemente insormontabili, stando a ciò che tutt'oggi comunicano le fonti più o meno ufficiali. Un ottimo elemento, il buon Tapio, sia a livello di voce che di songwriting. Perderlo fu un duro colpo, non possiamo certo negarlo. Eppure, i Finntroll non vollero far troppo un dramma, rimboccandosi le maniche, partendo immediatamente alla ricerca di un sostituto. Il volto nuovo, l'ugola che avrebbe colmato il vuoto lasciato da Wilska, fu dunque trovata nella figura di Vreth, al secolo Mathias Lillmans. Chissà lui, per quanto sarebbe rimasto? Ad ogni modo, la chimica fu quella giusta: il nuovo vocalist ben si calò nella dimensione Folk/Black che il gruppo decise di intraprendere, questa volta mettendo meno in evidenza l'epicità delle melodie, cercando di "tornare al passato". Il risultato di questa operazione, "Ur Jordens Djup", fu dunque un prodotto molto più simile agli esordi dei Finntroll che al loro recente trascorso. Un album che coraggiosamente decise ancora una volta di mischiare le carte in tavola, stupendo gli ascoltatori, presentandogli dinnanzi agli occhi un qualcosa che potesse (forse) spiazzare, disorientare in qualche modo. Da troppi considerato un disco di transizione e nulla più (dopo tutto, "Ur..." precede di poco quel che sarebbe stato il capolavoro della "seconda era", l'immenso "Nifelvind"), ingiustamente si tende a relegare questo capitolo discografico in un angolo buio, non donandogli quel che dovrebbe necessariamente essere la giusta considerazione. Primo motivo per il quale "Ur..." meriterebbe la promozione, il "ritorno" in pompa magna di Katla; non certo come cantante, bensì come songwriter e "concept artist". Intuizioni ed idee ben sviluppate dal Nostro, il quale decise di dare un taglio netto ad un topic (la lotta fra Troll e cristiani) il quale stava ormai pericolosamente divenendo trito e ritrito. Una componente guerresca che dunque si ritrova a venir messa in secondo piano, in favore di una narrazione più mitologica, introspettiva, storica se vogliamo. Esatto, storica: proprio perché grande fonte di ispirazione per Katla fu proprio la Kalevala, poema epico ottocentesco scritto dal filologo Elias Lönnrot; il quale, raggruppando un considerevole numero di miti e canzoni popolari, riuscì a donare alla Finlandia uno splendido quanto esauriente spaccato circa le proprie, nobilissimi radici pre-cristiane. Esattamente come accadde con l'Edda Poetica / in prosa, la Kalevala si ritrovò dunque ad influenzare l'immaginario di decine e decine di artisti, Katla in primis. Il quale, per l'appunto, decise di valorizzare quanto imparato nelle sue febbrili ed attente letture, dando alla musica dei "suoi" Finntroll quel tocco di classe e di storicità in più. Fu sempre lui, inoltre, a suggerire un approccio musicale più "cupo", maggiormente aggressivo, limitando gli inserti eccessivamente magniloquenti o comunque troppo pomposi. Un accorgimento che non dispiacque certo a Tundra e Trollhorn, autori principali di tutte le musiche: il duo si calò perfettamente nelle visioni artistiche dell'amico, cercando di mettere in pratica i suoi suggerimenti al meglio possibile. Eccoci dunque immersi in un'atmosfera molto più pesante che in Nattfödd, ove a farla da padroni sono storie riguardanti certo i Troll, ma in generale tutte le antiche genti finniche. Casta sacerdotale, sciamani, streghe... figure e saghe sepolte dalle sabbie del tempo ma in questa circostanza più che mai attuali. Un gigante sapiente, risvegliato da una band che per l'ennesima volta si ritrova a doversi confrontare con tutta una serie di stravolgimenti e vicissitudini. Anche stavolta, una vera e propria sfida: starà al nostro orecchio giudicare il nuovo "nuovo" corso dei Finntroll, ancora impegnati a dimostrare alla scena mondiale quanto le avversità non siano poi così terribili, se solo si riuscisse ad avere la forza di guardarle sempre dall'alto. Partiamo or dunque alla scoperta di miti e leggende finlandesi, viaggiando fra i solchi e le liriche di questo "Ur Jordens Djup".

Gryning
Ad accoglierci subitamente è la strumentale "Gryning (Alba)", un brano introduttivo dalla durata comunque cospicua. Si comincia instaurando un'atmosfera a metà fra l'oscuro e l'inquietante: rumori di cavalli intenti a battere sentieri bui, ruscelli che scorrono in lontananza: a far da contorno, la musica fiabesca dipinta dal combo finlandese, il quale sembra proprio divertirsi nel "canzonare" determinati stilemi, quasi catapultandoci all'interno di una storia dei fratelli Grimm. Boschi ammantati di nebbia, case di streghe, gnomi e nani, troll sotto i ponti... ingredienti ben miscelati affinché lo svolgimento del "c'era una volta..." possa dipanarsi nel migliore dei modi. Un climax perpetuo ci accompagna sino alla metà del brano, quando a prendere piede è una cadenza in diretta antitesi con quanto abbiamo ascoltato in precedenza. Baldanza ed epicità la fanno da padroni, la musica espressa ora dai Finntroll sembra più vicina ad una particolare marcia cavalleresca che al sottofondo di una fiaba. Ecco che tutto cambia nuovamente: si ritorna nel bosco fatato, salvo poi virare nuovamente verso note più eroiche e ferrose. Così sino alla fine del brano: i cori posti alla base del motivo divengono un ulteriore arricchimento, il climax sta per raggiungere il suo definitivo apice.

Sang
Il tutto si sfoga nella successiva "Sang (Canzone)", la quale appare sin da subito più mordace e grezza di quanto avevamo udito nel disco precedente. Basso in bella mostra e riffing tirato, una sorta di Black n Roll reso comunque molto più accattivante di quanto il genere preveda. La voce di Vreth, acida ed urticante, prende immediatamente possesso della scena; un'ugola perfettamente a suo agio in un contesto maggiormente crudele e privo di fronzoli, non scordiamoci dopotutto le origini Death del nuovo vocalist. L'amalgama procede su binari quindi più diretti, spogli ed essenziali: persino Trollhorn sembra volersi mettere "da parte", sempre presentando le proprie melodie folk ma mai risultando invasivo o preponderante, limitandosi signorilmente all'instaurazione di un background melodico tuttavia succube delle chitarre, molto più presenti ed importanti. Arrivati a metà del brano, il tutto diviene più cadenzato, adottando ritmi ipnotici ed ossessivi. Un battere semplice sul quale la metrica di Vreth ben si staglia, mentre le tastiere di Trollhorn riescono finalmente a dare al tutto un tocco più sofferto ed epicheggiante, rimandando persino ai Dimmu Borgir del periodo "Stormblast". Il Corno vuole ritagliarsi il suo spazio, ben riuscendoci, non volendo comunque snaturare troppo l'ambiente. Gli slanci tastieristici sono infatti al totale servizio di un comparto Symphonic Black, espresso meravigliosamente nel finale del brano, concitato ed aspro. Per quel che riguarda il liricismo generale, siamo dinnanzi al primo vero cambiamento - in tal senso - operato dai Finntroll: abbiamo infatti a che fare con un testo molto poetico, quasi "nostalgico" nella sua composizione. Niente più lotte o comunque bagni di sangue, niente più eserciti glorificati come "distruttori del cattolicesimo". Tutt'altro, i Nostri sembrano far riferimento a tempi antichi ed arcani, tempi in cui la società non era certo giunta ai moderni ed odierni suoi sviluppi. Tempi dimenticati dai più, sepolti dalle sabbie del tempo e per questo tutti da riscoprire nonché studiare, far propri, interiorizzare. Il fascino di millenni e secoli fa, anni in cui il culto e la magia erano affare quotidiano e non "superstizioni" o comunque storielle di poco conto. L'antica stirpe dei troll ed in generale le antichi genti norrene. Questo l'incipit, una "canzone" per l'appunto circa il passato indimenticabile ma troppo spesso dimenticato.

Korpens Saga
Proseguiamo con "Korpens Saga (Il racconto del corvo)", aperta da un interessante slancio più totalmente Folkloristico: due voci ed un canto di gola, una melodia di sapore popolare, cori evocativi e sciamanici. Questo l'incipit, finché il duo chitarristico non giunge a ricamare i "soliti" riff pesanti e spediti, facendo in modo che la componente metallica prenda il sopravvento. Tuttavia, c'è da sottolineare quanto la presenza di Trollhorn sia comunque più massiccia rispetto al brano precedente: il tastierista decide di darci dentro, facendo in modo che il sound non risulti troppo cupo e che possa dunque beneficiare di slanci per così dire "eroici". Certo il tutto continua ad essere aggressivo alla maniera di "Midnattens...", eppure questo brano si configura come un perfetto ponte d'oro fra il passato ed il recente "nuovo corso" della band finlandese. Fra grezzo e ricercato, fra manesco ed eroico, i Finntroll decidono di compendiare in un solo brano tutte le loro anime, dando vita ad un pezzo certo dalla durata non propriamente importante ma comunque decisamente bello da ascoltare, colmo di situazioni interessanti. Anche questa volta, il testo è ben più "profondo" ed articolato di quanto visto in precedenza; un po' alla maniera di Quorthon nel periodo più esplicitamente "viking" del sempiterno progetto Bathory, i troll finnici buttano un occhio sulla sofferenza patita dalle loro antiche genti, quella sofferenza nata e sviluppatasi esattamente quando il cristianesimo stava radicandosi nelle terre del nord, a suon di violenza e soprusi. Parallelismo non certo assurdo, in quanto proprio il titolo del brano non fa altro che rimandare al "narratore" presente sul finale di "One Rode to Asa Bay", il "corvo della saggezza". Anche in questo caso è un corvo a parlare, animale sacro, simbolo del grande padre Odino. Un racconto colmo di amarezza e tristezza, fatto di morte e distruzione, atti scellerati compiuti nel nome della "runa che nessuno conosceva", metafora indicante il simbolo della croce. Fratelli giacenti accanto ai corpi senza vita dei loro cari, orfani, gloriosi eroi caduti in battaglia. Una rabbia umida di lacrime e gonfia di rammarico si solleva nel cielo, lasciando che i troll possano sfogarsi liberamente, giurando vendetta per l'orribile sorte piombata sulle loro teste.

Nedgang
Arriva il turno di "Nedgang (Discesa)", aperta dai pesantissimi riff di Skrymer e Routa resi abbastanza tronfi e pomposi dall'ottimo lavoro di Trollhorn. Sembra nuovamente di trovarsi al cospetto di un disco dichiaratamente Symphonic Black, ma ecco che poco dopo si raggiunge uno status di apparente "calma": tutto tace, un sottofondo atmosferico ed assai inquietante, ricco di pathos, rende l'aria sulfurea, oscura. Una voce impostata e potente declama alcuni versi, questo sino alla nuova "esplosione" che di lì a poco decide di deflagrare in tutta la sua magnificenza. Il richiamo ai Dimmu Borgir diviene più palese che mai, anche lo stesso Vreth decide di "parodiare" il cantato di Shagrath, mentre riffing work e tastiere debbono la totalità della loro esistenza al modus operandi della Fortezza Oscura. Echi di "Death Cult Armageddon" risuonano in maniera imperiale, se non fosse uscito poco dopo potremmo addirittura parlare di un quasi plagio a situazioni presenti nel discusso "In Sorte Diaboli". Un pezzo che forse cade troppo nella citazione, andando leggermente a snaturare la vera anima dei Finntroll. Le tastiere semplicemente "esagerano", abbandonando velleità Folk in favore di un qualcosa di più sinfonico, esasperando gli stilemi del periodo post "Midnattens... / Jaktens...". Insomma, forse un salto troppo esagerato, compiuto in maniera noncurante: i Nostri possono e debbono dare di più, dal punto di vista della personalità. Il testo risolleva gli animi e ci mette dinnanzi ad una delle storie centrali di tutte le saghe nordiche: il sacrificio di Odino. Citando l'Edda Poetica: "Lo so io, fui appeso al tronco sferzato dal vento per nove intere notti, ferito di lancia e consegnato a Odino, io stesso a me stesso, su quell'albero che nessuno sa dove dalle radici s'innalzi"; un sacrificio che il grande padre con un solo occhio decise di compiere per apprendere i segreti delle rune e della divinazione, per giungere mediante ascesi ad una conoscenza totale del mondo e della vita. Il tronco a cui si fa riferimento è ovviamente il frassino sacro, l'Yggdrasill, l'albero del mondo.

Ur Djupet
Ci avviciniamo alla conclusione della prima metà con "Ur Djupet (Dal Profondo)", brano aperto dal risuonare stanco di corni presto sormontato da una melodia Folk malinconica e particolare. Le chitarre giungono prepotenti a farsi ascoltare, re instaurando il regime Symphonic Black già udito in precedenza. Si preferisce proseguire in maniera non troppo veloce o sferzante, mantenendo una certa cadenza. Il tutto continua a suonare troppo simile all'operato dei Dimmu Borgir, fortunatamente Trollhorn decide di giocare con i suoi synth in maniera particolarissima, creando melodie sui generis, improvvisando e donando ad un contesto musicalmente oscuro degli improvvisi lampi di luce. Fra folk ed eroismo, il musicista tesse trame dallo spirito romantico e battagliero, le quali esplodono totalmente verso la metà del brano; un vero e proprio trionfo, una vera e propria consacrazione di quel che è ed è sempre stato il lato più "battagliero" ed epico del gruppo finlandese. Esattamente poco dopo questa grande dimostrazione di personalità si ha un ritorno al folkeggiante acustico, in cui udiamo guiri e legnetti intenti a scandire un ritmo danzereccio. Ritorna la strumentazione elettrica subito dopo, stagliandosi su quel ritmo ma presto tirando di nuovo in causa stilemi più Black che altro. I tamburi rullano clamorosamente e tutta la band si lascia andare agli impeti guerreschi di un Trollhorn magistrale. Ci avviamo verso la fine di un brano decisamente superiore al precedente, ben più articolato e personale (nonostante si continui ad indugiare di quando in quando in territori noti). Testualmente parlando abbiamo forse un altro racconto tratto dalla mitologia norrena, riguardante l'impresa di Hermóðr e la sua conseguente discesa agli inferi. Questo, almeno, quel che si potrebbe eventualmente carpire da un testo molto enigmatico e particolare. Si parla senza dubbio di una discesa verso "le profondità" e l'incontro con la "signora" di tal luogo; la quale, come tutti sappiamo, è riconducibile ad Hel, figlia di Loki e della gigantessa Angrboða. La figura di Hel è assai enigmatica: in origine era considerata la dea della madre terra, benevola e gentile, in grado di piegare con la sua forza fame e malattie, sfamando e curando gli uomini. In seguito divenne malvagia e dall'aspetto orribile, capace di portare morte e malattie in qualsiasi luogo dimorasse o visitasse. Si parla comunque di un incontro con una dea antica, un incontro mediante il quale il protagonista acquisisce la vera conoscenza, solo dopo aver compiuto un viaggio arduo, scavando ed imparando, andando appunto oltre la superficie. Ci spostiamo così dall'idea originale, in quanto il viaggio di Hermóðr venne compiuto affinché Baldr venisse salvato dalla morte.

Slagbröder
Metà del lavoro raggiunta con "Slagbröder (Fratelli di Guerra)", aperta da una bella e fuggevole melodia tastieristica, di gusto estremamente Folk, presto raggiunta da un inquietante scampanellio. Il tutto sembrerebbe addirittura fiabesco (con tanto di voci in stile "vecchia strega"!), se non fosse per la presenza di chitarroni ben massicci in seguito destinati a divenire veri e propri protagonisti del tutto. Benché l'atmosfera diventi Black a livelli disumani, Trollhorn continua a farsi notare con questi giochi "fiabeschi", finché alla metà del brano non veniamo sopraffatti da una strana sezione in clean, assai particolare ed atmosferica. Il brano sembrerebbe finire dopo due minuti e mezzo, ma un'altra sorpresa è in agguato: una piccola parentesi calma e melodicamente eroica ed ecco i Finntroll donarsi ad un frangente viking folk, di seguito letteralmente distrutto da un blast beat furioso e da riff pesantissimi, maleducati e maneschi. Si picchia a più non posso per poi rientrare su binari più mitigati verso il finale, in cui i synth di Trollhorn fanno soffiare in maniera delicata e zanzarosa un'intera sezione di flauti. Si chiude in maniera violenta e diretta un brano incredibilmente variegato e particolare, in grado di spiazzare non poco. Contrariamente, il testo non presenta originalità o indugia ancora nella narrazione di antiche storie e leggende. Abbiamo delle liriche in puro stile Finntroll, fatte di baldanza guerresca ed inviti alle armi. Dopo tanta pena e sofferenza, gli antichi guerrieri del Nord sono pronti ad imbracciare le loro armi, decidendo di dar battaglia a chiunque osi mettersi dinnanzi al loro cammino. Scudi e lance sono pronti, le armature resisteranno a qualsiasi impeto. Stretti in falange, i guerrieri sfideranno la sorte, ascoltando l'antico richiamo. Dovranno lottare per i fratelli caduti, per l'onore della propria stirpe, per il proprio sangue. Dovranno decidere se a contar di più sia la loro vita o la voglia di sacrificarsi per il proprio lignaggio, una domanda la cui risposta ci sembra - anche alla luce di tutti gli altri testi - pressoché ovvia e scontata.

En Mäktig Här
Settima traccia del lotto, "En Mäktig Här (Un'orda possente)" ci presenta immediatamente il folklore nel suo stato più puro ed incontaminato: a ritmo di humppa e strumenti tipici veniamo infatti introdotti all'interno della traccia, la quale si presenta almeno in questo inizio come una parentesi fra le più acustiche dell'intera tracklist. Anche con l'innesto degli strumenti elettrici, il tutto non cambia; l'humppa continua a dominare, facendo in modo che gli strumenti seguano i suoi dettami e non viceversa. Si giunge, verso la metà del brano, ad una parentesi quasi "medievaleggiante", presto soppiantata da un ritorno alla pesantezza elettrica, la quale domina per buona parte di questa porzione di brano, salvo lasciare poi il posto alla componente folk, la quale impone di nuovo tempi, leggi e velocità da seguire. Il tutto è assai sostenuto pur non sfociando mai in nessuna corsa sfrenata, di quando in quando Trollhorn sembra donarsi a melodie vagamente "western" nel loro palesarsi, il tutto a servizio di un brano molto bello e coinvolgente, forse il più "popolare" presente in questo disco. Sembriamo poi trovarci dinnanzi, per ciò che riguarda le liriche, alla naturale evoluzione del contenuto già presente nella precedente track. Si parla di un'orda di guerrieri, di una forte compagine di cavalieri pronti a dar guerra al proprio nemico: scudi pesanti e lame affilate, il sangue scorre nelle vene di questi bellicosi troll, prontissimi a confrontarsi con qualsiasi tipo di rivale od avversario. Non avranno pietà, la loro forza è direttamente infusa loro dagli antichi Dei, dalla loro terra. Combatteranno per il loro retaggio, difenderanno la loro storia da chiunque volesse cancellarla o modificarla per proprio tornaconto. La forza dell'orda non conosce eguali: l'esercito più forte mai creato nella storia.

Ormhäxan
Traccia numero otto, "Ormhäxan (La strega serpente)" viene aperta da veloci e scalpitanti rullate di batteria. Ben presto le asce si presentano in tutta la loro potenza e prepotenza, ricamando riff aggressivi e sostenuti; fino ad ora, Trollhorn risulta stranamente messo in un angolo. Anche quando il tastierista esce allo scoperto, notiamo come ancora una volta i Finntroll vogliano dare più importanza alle corde che alla sezione tastiere, la quale può riservarsi uno spazio finalmente importante solo dopo un minuto e trenta dall'inizio. Melodie interessanti ed al solito mai banali disegnano la componente folkloristica di questo brano, il quale sembra venir fuori direttamente da "Midnattens...", facendo quasi la figura dell'outtake di lusso. Un pezzo dai ritmi concitati ed incalzanti, decisamente in grado di coinvolgere ed esaltare, nonostante non aggiunga nulla di nuovo a quanto i Nostri abbiano già fatto o detto. Verso il terzo minuto abbiamo un capovolgimento improvviso: tutto si calma, lasciando il posto ad un ritmo blando. Si sfocia quasi nell'acustico, almeno finché Vreth si ripresenti trascinando con sé la coppia di chitarre. Ritmi semplici, un battere quasi ossessivo, prima che si decida di correre di nuovo, a velocità notevoli. Si sfocia verso un finale in cui chitarra solista e tastiera recitano entrambe le stesse parti, seguendosi a vicenda nel dipingere una melodia portante, chiudendo un'altra valida track. La quale, per altro, si fregia di un racconto a metà fra l'orrore ed il popolare, avente come protagonista una strana creatura: una strega simile a Medusa, la ben nota gorgone della mitologia greca. Trovandoci dinnanzi ad un brano in svedese scritto da finlandesi, è assai improbabile che la protagonista sia proprio la serpentocrinuta mostruosità. Eppure, la donna sembra avere la testa circondata da rettili striscianti, i quali attaccano a seconda degli ordini. Una maga sperduta nei boschi, intenta a preparare pozioni magiche, talvolta benevole talvolta velenose, mortali. E' nel secondo caso che si imbatte lo sventurato protagonista, il quale si ritrova succube della strega: ella è riuscita a soggiogarlo, drenando tutto il suo sangue, lasciandolo privo di liquidi. Decisa a berlo e ad aggiungerlo ai suoi magici intrugli, non può far altro che notare divertita quanto il suo ospite sia ormai ridotto ad uno straccio, collassato a terra, morente.

Maktens Spira
Ci avviciniamo alla conclusione con il sopraggiungere di "Maktens Spira (Lo scettro del potere)", brano aperto da uno scacciapensieri unito a melodie folk di grande dinamismo e vivacità. Inizio acustico che successivamente "degenera" in uno sfoggio di aggressività e potenza, con le chitarre sempre sul pezzo e le eroiche melodie di Trollhorn a ricamare un refrain pressoché perfetto nel suo dipanarsi. Una grandissima prova di linearità e schiettezza, per un brano dalla durata esigua eppure incredibilmente diretto e potente. Ben bilanciata la componente Black con quella Folk: si decide, come ormai abbiamo ampiamente capito, di dare maggior spazio al "classicismo" che a stralci di humppa... anche se, verso il minuto 1:50, si torna a "frenare" in favore di un'atmosfera acustica e popolaresca, di seguito soppiantata da un ritorno all'aggressività. C'è spazio addirittura per un accenno di assolo verso il minuto 2:40, salvo poi riprendere a correre senza interruzioni. Black ed Humppa creano quindi il connubio perfetto, invitandoci sia a danzare in cerchio che a pogare, esaltati da cotanta magnificenza espressa in note. Fra i pezzi più riusciti di tutta la tracklist, su questo saremo tutti concordi. Il testo narra di un'altra leggenda - avventura avente per protagonista un eroe solitario, il quale ha deciso di intraprendere un lungo viaggio per partire alla ricerca di un tesoro più unico che raro: lo scettro del potere, custodito da un antico guerriero in una grotta, praticamente sperduta, situata ai confini del mondo. Dopo mille peripezie e fatiche, il nostro riesce (nella terra dei ghiacci e delle nevi perenni) a trovare la spelonca, facendo conoscenza dell'eroe. Un saggio guerriero il quale decide di donargli lo scettro, di conseguenza la sua forza e la sua conoscenza. Animato da questa incredibile esperienza, il protagonista si rende conto di quanti tesori siano celati nell'arma: la potenza degli antichi Dei scorre nel suo sangue, colmando il suo cuore e la sua anima di una forza trascendentale, impossibile da comprendere per un semplice mortale.

Under tva runor
Penultimo pezzo, "Under tva runor (Sotto due rune)" viene aperto da ritualistici tamburi scalpitanti, i quali decidono di mantenere in seguito un ritmo sempre compatto e sacrale, sorreggendo riff particolarmente Black. Il clima è molto atmosferico, quasi non si voglia più indugiare nel danzereccio folkloristico: melodie eteree e cariche di sciamanico trasporto ricamano l'ispirato lavoro chitarristico, addirittura udiamo un bel contrapporsi di voci aggressive ed in clean, quasi si stesse recitando un passo dell'Edda. Minuto 1:50, a dominare è il soffio del vento; una chitarra acustica accompagna Vreth in una recitazione sempre sacerdotale e particolarmente misteriosa, ispirata da chissà che fremito ritualistico. In antitesi con quanto abbiamo appena udito, improvvisamente i Finntroll accelerano a più non posso, decidendo di far male sul serio, partendo in quarta e correndo all'impazzata, a più non posso, distruggendo ogni tipo di barriera ed esitazione. Si corre e si picchia, la tastiera decide di palesarsi solo il minimo indispensabile, lasciando che siano le chitarre e la batteria a farla da padroni. Solo verso l'abbondante metà del terzo minuto Trollhorn decide di ricomparire, innestando eroismo e sacralità grazie ai suoi tasti. I ritmi rallentano, la sofferta prestazione di Vreth rende il tutto ancora più epico; il tutto si indirizza verso una magniloquenza incredibilmente ben gestita, sfumando sino alla conclusione, dominata dal verso di un gufo e dal vento che spira. E' necessario alzarsi in piedi ed applaudire, i Finntroll hanno davvero confezionato un piccolo capolavoro all'interno di una tracklist non sempre costante. Come il titolo suggerisce, parliamo di rune: rune i cui segreti vogliono essere appresi da un protagonista misterioso, che proprio come Odin decide di sacrificarsi pur di apprendere ogni tipo di mistero ad esse collegato. Il viaggio sarà lungo, e la componente materiale di quest'ultimo solamente un semplice "antipasto". Nulla è lo sforzo fisico da compiere, se paragonato a quello che sarà lo sforzo di matrice spirituale. Ancora una volta torna la figura della strega serpente, questa volta intesa però come messaggera o incarnazione stessa della madre terra. Sarà grazie al suo intercedere che il segreto di quelle rune potrà vedere la luce nel cuore dei prescelti che dimostreranno di poterselo e di saperselo meritare.

Kvällning / Trollvisan
Chiudiamo questo bel viaggio con la strumentale "Kvällning (Verso il tramonto)", intermezzo folkloristico ed acustico di breve durata. Una melodia incredibilmente sognante, eterea, quasi commovente. Sembra proprio che i Finntroll abbiano deciso di riservare in questa piccola parentesi tutto l'amore per le proprie terre d'origine, quasi dipinte dai delicati suoni di chitarra e strumenti tipici. Laghi, montagne immense, il bianco candido della neve. Mari impetuosi solcati da drakkar, foreste rigogliose, splendenti d'ogni colore primaverile... passeggiamo a tempo record lungo tutta la Scandinavia, assaporandone la magia, gustando ogni particolare di quei luoghi d'incanto, misteriosi quanto affascinanti. La bellezza di questo momento è più unica che rara, nulla potrebbe spezzare tale incantesimo, distogliendoci dal sogno. Nulla... tranne "Trollvisan (Lo scherzo al Troll)". Una ghost track posta alla fine estrema di questa bellissima strumentale, capace con il suo incedere quasi comico di distoglierci dall'incanto precedente. Sembra quasi di udire i nani de "Lo Hobbit" cimentarsi in uno dei loro canti più simpatici e baldanzosi ("...questo Bilbo lo detesta!", per intenderci), proprio perché i Finntroll cantano in coro ebbri di vino e birra, accompagnandosi semplicemente con qualche tamburello, uno zufolo ed un kazoo. Il testo? Semplicissimo: un troll si chiede dove siano il suo alcool ed i suoi funghi, cercandoli furiosi per tutta la grotta. Poco distanti dalla sua abitazione scorge dei cattolici, intenti a bearsi della rapina appena effettuata. Proprio lui, sventurato distratto, si è visto sottrarre sotto il naso le sue preziose provviste. Urge una vendetta: il gigantesco essere esce allo scoperto furioso ed arrabbiato, raggiungendo il gruppo di ladri. Dopo averli massacrati rade al suolo la loro chiesa, distruggendola da cima a fondo. Che dire... i Finntroll sono davvero pieni di sorprese!

Conclusioni
Divertita e nemmen poco dalla sorpresa finale (i Finntroll sono pur sempre loro, nel bene e nel male... non si smentiscono mai!), posso ammettere il fatto che, senza timore di smentita, questo disco meriti il dispendio di molte più parole che normalmente si dovrebbero ad un album per così dire di "transizione". Proprio perché "Ur Jordens Djup" è un disco per certi versi molto particolare, portatore di pregi quanto di difetti; in entrambi i casi, direi, piuttosto evidenti. Comincio comunque dall'elenco di ciò che mi ha piacevolmente colpita, dagli elementi comunque "nuovi" e particolari, quelli che hanno rotto con il passato pur essendo il nostro platter un chiaro richiamo a determinate sonorità già ampiamente vagliate nel corso degli esordi. Andiamo per gradi: l'innesto di Vreth è senza dubbio vincente, un frontman di tutto rispetto qui chiamato ad essere quanto più "freddo" e "Black" possibile, in linea con i dettami musicali fortemente sottolineati in ogni traccia. Diverso da Katla (meno "sguaiato" se vogliamo) e diverso da Wilska (quest'ultimo più selvaggio e dalla voce cavernosa, quasi fosse davvero un troll), il buon Mathias risulta l'uomo giusto al posto giusto, senza alcun dubbio. Conosciamo l'intento alla base di "Ur...", rendere la musica dei Finntroll più diretta e meno pomposa; ecco, proprio l'arrivo di un vocalist come Vreth ha donato ad ogni canzone l'apporto definitivo, rendendo questo disco sicuramente più apprezzabile dai "puristi" del genere, insomma meno mainstream o comunque meno assimilabile da chi, invece, era forse alla ricerca di un qualcosa di più semplice e godereccio. Chiariamoci, la componente Folk non viene certo allontanata o peggio eliminata; solamente, con un vocalist del genere, il passaggio di consegne e lo slancio verso un qualcosa di più cupo e meno evidente era quasi obbligatorio. Il frontman funziona, poco da dire, la sua prova al microfono è eccellente. Ancora una volta, i Nostri riescono a reinventarsi, non soccombendo sotto i colpi della sorte ma anzi ribattendo colpo su colpo, senza arrendersi mai. Menzione d'onore anche per i testi scritti dal redivivo Katla, interessantissimi, pieni di dettagli storico-mitologici da far leccare i baffi ad un qualsiasi amante delle saghe nordiche, del folklore e delle antiche tradizioni d'una terra ancor oggi avvolta da un fascino misterioso ed indecifrabile. Non abbiamo più risse contro i cristiani o banchetti luculliani, al contrario: testi affascinanti e tal volta sfuggenti, di difficile interpretazione, proprio come una certa tradizione Black impone. Elemento di novità che non possiamo certo trascurare, ai fini di una corretta interpretazione di "Ur...", venendo chiamati a collocarlo nell'ideale segmento tracciato dall'intera discografia dei Finntroll. Giungono in coda le dolenti note: quel che proprio non mi è piaciuto riguarda l'eccessivo citazionismo presente in alcune tracce, alcune volte palesemente ispirate (senza la minima reticenza) ad esperienze che proprio in quegli anni mietevano successi su successi. Il caso delle somiglianze con uno stile à la Dimmu Borgir non è da considerarsi un qualcosa di sorprendente, dopo tutto: sembra proprio che i finnici siano andati a riprendere a piene mani da quel determinato repertorio, volendone imitare alcuni passaggi. In troppi casi, eccessivamente smaccati. Tanto più se pensiamo alla voglia dei troll di ritornare ai propri esordi, riproponendo un sound che sì, farà la gioia degli amanti di "Midnattens"... una gioia comunque momentanea, quasi un ripasso di quel che fu, se vogliamo. Vocalist nuovo, volontà di cambiare tematiche liriche... c'erano tutti gli ingredienti affinché "Ur..." risultasse il pilastro di un nuovo e coraggioso corso, come fu per "Nattfödd". Quel che invece stringiamo fra le mani è un platter alcune volte un po' debole e troppo "scontato", salvato fortunatamente dalle enormi capacità di Trollhorn di cambiare volto ad un brano, giocando con melodie tradizionali, epiche ed eroiche. Il salvatore dei Finntroll è lui, e se anche non foste della mia idea, sicuramente riconoscereste in lui l'autentico e puro master mind del combo finnico. Fu vera gloria? Ai posteri l'ardua sentenza! Mi sento di promuovere "Ur..." solo a metà, nell'attesa dei più nuove e succulente novità in casa Finntroll.

2) Sang
3) Korpens Saga
4) Nedgang
5) Ur Djupet
6) Slagbröder
7) En Mäktig Här
8) Ormhäxan
9) Maktens Spira
10) Under tva runor
11) Kvällning / Trollvisan


