FINNTROLL
Nifelvind
2010 - Century Media Records

ALISSA PRODI
25/05/2018











Introduzione Recensione
Li avevamo lasciati alle prese con l'intransigente, fredda e diretta maestosità di un Black-Folk decisamente oscuro e "serioso", per i loro canoni; pur quanto la proposta di "Ur Jordens Djup" si avvicinasse - e di molto - a quanto già suonato nell'esordio "Midnattens Widunder". Li ritroviamo dunque, con buona pace di chi avrebbe voluto continuassero a battere sentieri sempre più estremi ed austeri, a recuperare quasi a sorpresa gli elementi che resero vincente un platter di tutto rispetto come "Nattfödd". Ché se ne dica, i Finntroll non hanno mai smesso di stupire, lungo l'intero arco della loro carriera. Una band solo superficialmente considerabile come "banale" o magari "scontata", in verità ricca di spunti ogni volta differenti e soprattutto ben incanalata lungo una tortuosa spirale di crescita e maturazione. Un altro improvviso cambio di rotta, la voglia di rendere nuovamente il proprio sound leggermente più eroico e melodico che Black nell'accezione più minimalista e spietata del termine. Questo, il leitmotiv di un disco come "Nifelvind"; l'album del ritorno alle sonorità più pompose ed impegnate, meno taglienti ed asettiche, anzi più ariose e senza dubbio adatte ad un pubblico più eterogeneo e variegato di quello che applaudì vivamente "Ur...". Da una parte i puristi, dall'altra il resto del mondo: chiunque avesse sperato in un proseguo simile a quello intrapreso nel platter precedente, rimase di fatto deluso. Poterono gioire solamente i fan conquistati da "Natt..." in poi, i quali avrebbero avuto a disposizione nuovi inni sui quali danzare maleducatamente, brindando allo sterminio delle genti cristiane in nome del grande re Rivfalder... con qualche tematica maggiormente più impegnata del solito, degna eredità del bistrattato platter precedente. Musica da bere e godere, quella dei troll finlandesi; fiumi di birra uniti a giochi melodici ogni volta sorprendenti, un gusto tronfio ed eroico per orchestrazioni sopraffine, più una gran voglia di pestare duro in sede di ritmica. Ingredienti ben miscelati messi a disposizione di una formazione che, a differenza di quanto accadde nel 2004, si ritrova sei anni dopo ad inglobare in essa ben sette elementi. Accanto allo storico quintetto formato da Trollhorn (tastiere e chitarra), Routa (chitarra), Dominator (batteria), Skrymer (chitarra) e Tundra (basso) troviamo infatti il "nuovo" Vreth (voce, al suo secondo banco di prova come frontman) ed il nuovissimo Virta, subentrato alle tastiere per permettere al Corno suo collega di rifiatare, occupandosi anche delle parti di chitarra. La legione favorita da Rivfalder si ritrova quindi con un uomo in più, pronto a dar battaglia, sposando la nobile causa dei colleghi; il tutto per via di alcune situazioni le quali minarono leggermente il tempo che Trollhorn aveva da mettere a disposizione della band, in quanto - per motivi strettamente personali - già da qualche anno a quella parte aveva deciso di tagliare drasticamente il numero di show live ai quali avrebbe presenziato. L'inclusione di Virta, in questo senso, risulta sensatissima e giustificata: la possibilità, per un nuovo membro, di raccogliere una pesantissima eredità, potendo in parte "sostituire" ed al contempo lavorare fianco a fianco con colui il quale (diciamolo francamente!) aveva tenuto in alto il nome dei Finntroll anche quando la morte di Somnium e la malattia di Katla rischiarono di lasciar naufragare il tutto in acque torbide e tempestose. A proposito di Katla, il buon Jan Jamsen continuava imperterrito, anche nel 2010, nella sua fervente attività di paroliere, mettendo la sua penna a sempre a disposizione dei compagni; forse l'unico elemento di continuità riscontrabile con "Ur..." è proprio la volontà del Nostro di non indugiare nella banalità lirica, non fossilizzando i Finntroll su tematiche puramente anti-cristiane. Dopo aver ampiamente dimostrato l'inossidabile orgoglio nordico dei suoi compagni, Katla decise infatti di dotare i suoi testi di un qualcosa in più, sconfinando nella filologia, dando voce ad antiche leggende delle sue terre, glorificando le genti del nord in tutto il loro essere, non limitandosi alla voglia di rendere pan per focaccia al cristiano usurpatore. Le premesse perché "Nifelvind" possa quindi conquistarci, ci sono tutte: un disco anche graficamente più simile a "Nattfödd", eppure sempre legato alla voglia di giungere ad un "compromesso" con la nuova anima di Katla. Al posto di Rivfalder o di Troll armati troviamo infatti uno sciamano, immerso in colori dal verde acqua al celeste / azzurro. Nulla di troppo "ignorante", verrebbe da dire, anzi... sembrerebbe quasi che i Finntroll abbiano scelto di donare alla propria apparenza un'aura quasi psichedelica, spirituale anche per via del monicker, praticamente ricalcante i vecchi font delle band hard rock anni '70. Gli Iron Butterfly avrebbero ringraziato ed apprezzato, questo è fuori discussione. Bando alle premesse, e tuffiamoci in questa nuova avventura accanto ai nostri mostruosi guerrieri!

Blodmarsch
Apre le danze "Blodmarsch" (La danza del Sangue), introdotta da sciamanici tamburi e vaghe note poste in sottofondo, appena percettibili, come un dudek intento a risuonare in lontananza. Imponenti orchestrazioni la fanno da padroni, battono le pelli, sembra quasi di ritrovarsi immersi in un rituale sciamanico di pura catarsi spiritual-guerriera. I Troll, adottando un cantato di gola tipico delle genti del nord, invocano lo spirito di Rivfalder, gli Dei; che li seguano e li conducano alla vittoria, alla gloria imperitura, alla conquista delle loro terre! Una intro decisamente incalzante, maestosa; i Nostri vogliono introdurre al meglio questo nuovo disco, riuscendovi alla grande.

Solsagan
Si prosegue dunque con "Solsagan" (I racconti del Sole), direttamente aperta da chitarre di stampo vagamente melodeath, di seguito stabilizzate su di stilemi tipicamente Black. La furia dei Troll è ormai scatenata, i nostri guerrieri scendono in campo picchiando durissimo e finalmente ripresentandoci - all'interno di un sound estremo e magnificamente corposo, imponente - una componente Folk di tutto rispetto, arricchente e non predominante. La furia messa al servizio, tuttavia, non certo di un racconto di sangue o guerra: al contrario, i Finntroll decidono di donarsi ad una lauda sui generis, glorificando il Sole, in questo senso identificato addirittura come "madre"; ci si rivolge al primo elemento, la luce, nominandolo al femminile, proprio come si converrebbe alla primaria fonte di vita. Senza i suoi raggi, senza il suo calore, la vita non avrebbe modo di esistere. Eccolo splendere, eccola splendere al massimo della sua potenza, irradiando energia da ogni scintillio di luce emessa. Riscaldando le nostre membra e rendendoci più forti, madre Sole può bearsi delle sue forti e robuste creature, rese tali dal suo prezioso operato. Si picchia durissimo sino a giungere ad un ritornello danzereccio e scanzonato, nel quale l'humppa riesce a stringerci in coorte, spingendoci a ballare in compagnia, quasi stessimo per perdere ogni freno inibitorio. Danziamo furiosi, divenendo un tutt'uno con gli Dei ed il Sole, percependo un'energia straordinaria nelle nostre vene. La bellezza di un'alba, la poesia di un tramonto... scatenandoci attorno al fuoco urliamo al cielo la nostra soddisfazione, in uno stato di trance mai sperimentato prima d'ora. Dopo la ripetizione del refrain il brano sembra calmarsi, adottando cadenze più marcate e permettendo alle tastiere di predominare. Roboanti corni ed ottoni in generale fanno il loro ingresso in scena, proprio mentre ogni strumento è intento a disegnare una sorta di tappeto, di sottofondo "sacro" in funzione della successiva entrata di Vreth, intento ad emettere giusto qualche ruggito, in compagnia di cori.Si prosegue con il rituale, in questo momento di calma scegliamo di raggruppare le ultime energie in vista dell'esplosione finale. E nell'ebbrezza dell'acquavite, nella totale perdita d'ogni senso... ci ritroviamo a danzare ancora a ritmi del refrain, urlando al cielo: "Solsagan!!!"

Den Frusna Munnen
"Den Frusna Munnen" (La bocca congelata) è segnata da un inizio sui generis, quasi il sound si stesse facendo quanto più tribale possibile. Un sound simile a quello emesso da una marimba dipinge scenari quasi "africani", salvo lasciare il posto ad elettriche ben calibrate e pesanti, impreziosite almeno negli inizi di qualche orchestrazione assai pomposa. I Finntroll non smettono di stupire ed eccoli adottare un'andatura non aggressiva come quella mostrata all'inizio, ma decisamente sul pezzo e proseguente sulla linea già adottata. Il suono di "marimba" rimane, ben impastato ad evocative tastiere e a chitarre certo massicce ma non aggressive ai massimi livelli. Una sorta di strano impasto volta a narrare di un amore tristemente corrisposto, fra un uomo e la morte. Proprio la mietitrice viene caratterizzata quasi alla stregua di Hel, nordica regina del regno dei defunti, figlia di Loki e di una gigantessa. Sovrana della Fine, flagello della vita, l'ultimo sussulto prima della scomparsa. Armata del suo insindacabile giudizio, eccola nuocere alla nostra esistenza, tranciandola di netto con un preciso colpo di falce. Gelo e ghiaccio invadono le nostre membra, sentiamo quanto il nostro momento sia ormai prossimo, non potendo far altro che accettarlo. Sul ciglio di un burrone di ghiaccio attendiamo quelle fredde labbra, aneliamo quel bacio d'addio, come neve caduta su di un campo un tempo rigoglioso. Una distesa bianca e quieta, il giardino della speranza, dei sogni, del tempo finisce dunque sepolto da strati di gelo perenne. Strofiniamo le nostre labbra su quelle della morte, accettando la sua decisione, rendendoci suoi amanti. E' finita, e non possiamo far altro che accettarlo. Similmente, il brano capisce sin da subito il suo essere e si incanala dunque su precisi binari, non riservando altre sorprese. Se il precedente aveva l'aspetto di un assalto danzereccio, questo proseguo si stabilizza su basi sicuramente più melodiche e sciamaniche, se vogliamo.

Ett Norrskensdåd
Quarto brano in scaletta, "Ett Norrskensdåd" (Successe alle luci dell'alba) riprende i toni scanzonati dell'Humppa riportando il tutto verso lidi più easy ed immediati. La componente Folk la fa da padroni, disegnando alla perfezione melodie tradizionali ben stagliate su situazioni chitarristiche essenziali ma comunque presentissime, possenti quanto serve. Il tutto assume i toni di una strana narrazione musicale, ove melodie ed aggressività si amalgamano alla perfezione per raccontarci un episodio dalle tinte horror. Protagonista un uomo non più uomo, declassato al rango di bestia dopo un brutale omicidio. Come un lupo annusa l'aria sentendo l'odore del sangue, pregustandone gli squisiti fiotti sulla sua lingua, fra le sue zanne, così il nostro protagonista, intento a non fermarsi più dopo il primo omicidio. Sembrerebbe quasi uno strano incrocio fra un vampiro ed un licantropo, una belva assetata di prede facili da sottomettere: gira ogni notte alla ricerca di qualche malcapitato da divorare, da schiacciare fra le sue fauci. Proprio come farebbe un bardo, i Finntroll accompagnano la loro storia aiutandosi con la musica, adottando squisite melodie di tastiera e violino, sempre mantenendo intatta quella baldanza impertinente che da sempre caratterizza le loro composizioni. Tronfi ed ebbri d'acquavite, i Troll si perdono in racconti macabri attorno al fuoco, mangiando e bevendo copiosamente, quasi competendo fra di loro nell'atto di raccontare l'episodio più macabro ed impressionante. Le vicende del licantropo vanno avanti: egli commise il suo primo omicidio in un mattino il cui cielo venne di seguito infiammato da un'aurora bellissima quanto macchiata di sangue innocente. Abbeverandosi al seno della violenza, l'assassino decide di colpire ancora, ed ancora, consacrando la sua vita alla fine di quella altrui. Un altro pezzo decisamente coinvolgente e particolare, non certo eccezionale ma in grado di farci vivere il racconto, divertendoci ed appassionandoci al suo svolgimento.

I Tradens Sang
Arriviamo dunque alla quinta "I Tradens Sang" (La canzone degli alberi), aperta da un insieme sonoro già udito nella intro di questo "Nifelvind". Proprio come accadde nella situazione "intro / prima traccia", anche con il proseguo del pezzo i Finntroll premono sull'acceleratore, scatenando la loro anima Black, fiondandosi contro di noi alla stregua di un cane rabbioso, affamato di colli e giugulari. I Nostri corrono e picchiano, distruggendo qualsiasi ostacolo gli si paia dinnanzi, come folli Juggernaut lanciati in discesa. Cingoli pesanti e rostri acuminati, la macchina da guerra finlandese svela la sua anima più schietta e diretta, facendo in modo che la melodia (comunque presente) non mini troppo la loro voglia di essere aggressivi ai massimi livelli. Rabbia e lacrime amare, piante pensando ai fratelli caduti. Chiudendo gli occhi, immersi nella foresta, possiamo ancor sentire le loro grida: sterminati senza pietà da un nemico ancora a piede libero, da schiacciare il prima possibile. Gli alberi raccontano, testimoni imperituri d'una vita intera. Ascoltiamo in silenzio, man mano facendo in modo che la rabbia s'incanali in un unico pugno da sferrare al cielo, gridando vendetta. Questa è la sensazione che un brano come questo riesce a trasmettere: pura violenza, impeto, tempesta. Quasi idealmente compiendo un collegamento fra passato e presente, i Finntroll donano al nostro udito un brano sospeso a metà fra il loro passato ed il loro presente: iracondo ed incalzante, mitigato solo in parte da una qualità sonora decisamente più curata che negli esordi e da giochi tastieristici di tutto rispetto. Un pezzo breve e coinciso, in grado di arrivare al punto immediatamente, di catapultarci in una foresta immensa al cospetto dei padri del tempo. Ascoltiamo gli alberi e quel che hanno da dirci. Sapranno consigliarci al meglio, preparandoci per la grande guerra in cui la nostra voglia di vendetta verrà finalmente sopita.

Tiden Utan Tid
"Tiden Utan Tid" (Un tempo senza tempo) funge da giro di boa, presentando sin dalle prime note un'apocalisse messa in musica. Intro roboante, apparentemente calma ed in realtà nascondente un messaggio di fine, di perdita d'ogni speranza. Cantando in coro in maniera solenne, i Finntroll vogliono infatti narrarci della fine del mondo, con fare profetico e liturgico se vogliamo. Un canto coinvolgente, solo apparentemente eroico, in realtà drammatico, teso, dominato da un piglio di tristezza facilmente percepibile. Sempre in maniera solenne giungono le chitarre, mai aggressive ed anzi cadenzate, ritmate, lente ed implacabili nel loro palesarsi. Torna la voce aggressiva, le tastiere riprendono a farsi sentire, il tutto messo al servizio di una narrazione allucinante. Il mondo, come lo conosciamo, sta finendo: il fuoco divora ogni anfratto, la lava scorre implacabile, fondendo ogni cosa le si paia dinnanzi. Distruzione, morte, nessuno riesce neanche più a scappare, tanto veloce risulta la fine, l'oblio definitivo. Svaniamo nell'aria senza nemmeno renderci conto, un climax reso ideale dai giochi melodici e tastieristici messi in atto da Trollhorn e Virta: cori e voci che sembrano venir presi in prestito dai Carmina Burana, incedere drammatico d'ottoni, idealmente il gruppo descrive un vortice infuocato ai limiti dell'infernale, adattissimo per accompagnare - magari! - una serie di illustrazioni di Doré circa l'oltretomba dantesco. Cosa rimane, dopo la distruzione? Il nulla. Nessun uomo, nessun animale... il vuoto più totale. Certo non si può dire lo stesso del pezzo appena ascoltato, tutt'altro che vuoto od insignificante. Dirò di più, ci troviamo dinnanzi ad uno dei migliori brani del lotto, considerando le trovate vocali ed ogni tipo di situazione musicale perfettamente adattata ad un contesto di pura violenza e perdita d'ogni speranza. Da un lato il Black più annichilente, dall'altro la voglia di mostrarsi quanto più magniloquenti possibili; a differenza del platter precedente, maggiormente incentrato su atmosfere minimali e piuttosto lugubri, in questa occasione i Nostri riprendono alla grande un modo di esprimersi quasi dannunziano... sempre al massimo d'ogni possibilità e facoltà!

Galgasang
Una leggera chitarra acustica, calata in un contesto musicale smaccatamente folkloristico, apre la settima traccia, "Galgasang" (La canzone del patibolo). Una sorta di strana ballata anche qui dotata di un piglio assai narrativo, come se Vreth stia - ancor più che in precedenza - interpretando un bardo viaggiatore, intenzionato a raccontarci un'altra storia dal sapore popolare, tramandata di generazione in generazione. Un pezzo che si mantiene pacato e non muta pelle nemmeno per un minuto, salvo alcuni climax ben eseguiti in cui è il coro a farla da padrone, arricchendo un'atmosfera eterea e sognante, abbastanza distante dal mondo Metal ma molto vicina a dimensioni à la Faun, giusto per fare qualche esempio. Leggerezza e compostezza... non certo quanto il tema del corpus lirico, incentrato sulle "memorie" di un condannato a morte, arrivato dopo una breve passerella alla sua esecuzione. Il boia è pronto a mietere la sua nuova vittima, ecco che l'ascia sta per abbattersi sulla nuca del malcapitato, il quale ricorda come in una serie infinita di flashback la sua vita. I baci della sua amata, i suoi viaggi, il suo eterno peregrinare; cadute, salite, discese... concentrato nei pochi istanti dell'atroce pre-morte, il condannato rivive per una seconda volta, pronto a lasciarsi alle spalle ogni gioia ed ogni dolore, ogni delusione ed ogni vittoria. E' la terra la sua nuova casa. Una volta uomo, adesso morto nel peggiore dei modi. E' esattamente il sottofondo da ballata folk-cantautoriale a rendere giustizia ad un testo breve ma pieno di significato, assai simile ai canti tradizionali magari imparati anni ed anni or sono dai nostri nonni e bisnonni, ogni mondo è paese. Nuovamente, i Finntroll riescono a stupirci, andando al di là del solito anticristianesimo, estendendo il proprio repertorio lirico nelle più disparate direzioni.

Mot Skuggornas Värld
Abbiamo dunque "Mot Skuggornas Värld" (Attraverso il mondo delle ombre), che di contro spazza via ogni traccia di eterea calma, reintroducendo gli stilemi Metal al massimo della propria aggressività e violenza esecutiva. Pesanti chitarroni, duri e spigolosi come macigni, vengono successivamente sormontati da un drammatico incedere di tastiere; la coppia d'organi va quindi a tessere un'ottima ragnatela musicale, nella quale - come mosche incaute - vanno ad incastrarsi le asce, autrici di una prova ferma e testosteronica. Il brano non si lancia in velocità chissà quanto esorbitanti, si preferisce dar spazio ad un ritmo quadrato ed ossessivo prediligendo le tastiere nel ruolo di "strumento di spicco". Per quanto riguarda la prova vocale, quest'ultima merita una menzione d'onore; gutturale e cavernosa, anche aiutata da un testo alcune volte anthemico: sfiderei chiunque a non urlare "ve!" assieme ai Nostri, a non lasciarsi trascinare da cotanti slanci trolleschi! In un clima che ricorda molto da vicino "Midnattens..." ecco quindi i mostri finnici narrarci di un malvagio risorto per riprendersi la gloria strappatagli. Confinato negli inferi nordici, egli viene scelto da Loki come membro dell'equipaggio che, assieme a lui, giungerà nel regno dei vivi a bordo della nave Naglfar, fatta d'ossa ed unghie. Dapprima la luce ed in seguito le tenebre, l'oscurità, in un continuo ideale della storia narrata in precedenza. Possiamo dunque immaginare il condannato protagonista di "Galga..." pretendere di ritornare nel mondo dal quale lo hanno strappato, giurando eterna fedeltà alle forze del male. I cori "ve! Ve!" in tal senso potrebbero ricalcare quella che dovrebbe essere la masnada di malvagi pronti a ripresentarsi dopo esser stati prontamente tolti di mezzo. Gridando ed innalzando le loro spade al cielo, ecco che i demoni tornano a tormentare i nostri sonni, sferragliando e correndo a bordo dell'immonda Naglfar.

Under Bergets Rot
Senza concedere tregua ecco presentarsi "Under Bergets Rot" (Ai piedi della montagna), aperta da rumori sinistri e subito caratterizzata da una batteria scalpitante, veloce e dinamica. I riff di chitarra si fanno vorticosi ed impazienti, tronfie melodie di tastiere giungono a rendere l'atmosfera ancor più rovente di quel che in precedenza era. Il brano è sì "estremo", è l'humppa a stemperare il tutto porgendo il fianco a anche a fiati sintetizzati degni d'una parata d'eroi. Un brano che non sta mai fermo, ora più possente ora più estremo, ora scanzonato e danzereccio. La componente "ballerina" dopo tutto rimane ferma suoi suoi passi, dotando di ritualismo l'intera situazione. Immaginiamo un enorme falò, una nutrita compagine di persone intente a correre incessantemente intorno ad esso, facendosi rapire dall'ebbrezza di un refrain confusionario ed allegro, diretto quanto coinvolgente: fra uno splendido lavoro di tasti bianconeri ed una sezione ritmica / chitarristica sempre sul pezzo, eccoci sfogare ogni nostro istinto ai piedi della montagna. Onoriamo la madre terra, sudiamo e scalpitiamo in suo onore, facendoci rapire da un'estasi mai provata prima d'ora. Prede d'un baccanale sul punto di rapirci per sempre, come menadi scatenate torciamo a più non posso i nostri corpi, sfidando ogni legge anatomica e fisica. Nulla può impedirci di sentire il fuoco, di vedere la musica, di toccare con mano ogni sensazione: dalla foga all'emozione, dall'eccitazione alla perdita d'ogni freno inibitorio. Siamo le genti della montagna, questo è il nostro modo di onorare madre natura; niente liturgie, niente canti sacri, niente comandi "seduti - in piedi". Si danza in un eterno parapiglia, facendo confusione, dimenticandosi persino il proprio nome. Il pezzo più allegro e coinvolgente dell'intero lotto, ed è ancora una volta Trollhorn a recitare il ruolo del maestro cerimoniere, tenendo sempre viva la fiamma dell'emozione, del credo, del panismo più smaccatamente pagano.

Fornfamnad
Penultima traccia del lotto, "Fornfamnad" (Abbracciato dagli Antichi) si presenta stranamente allegra, quasi parodiando il famoso leitmotiv "The Sorcerer's Apprentice" di Stokowsky, presente nella clip "L'apprendista Stregone", con protagonista Mickey Mouse, inserita nel classico "Fantasia" del 1940. Ricordiamo infatti gli oggetti animarsi, marciando a ritmo di un famoso motivo diventato di seguito iconografico... e qui quasi "rimaneggiato", seppur alla lontana. Del resto stiam pur sempre parlando di un branco di Troll, quanto fiabesca potrebbe risultare una loro marcia? Difatti, è l'urlo di Vreth a concedere ad un trionfo di Black Metal di fare la sua tellurica comparsa, rendendo il pezzo un piccolo gioiello estremo. Successivamente i adottano cadenze più marcate, anche se l'anima più estrema viene in questo caso difesa dalle tastiere, roboanti ed inquietanti. Col proseguo l'emozione continua, il brano si scaglia a mo' di ottovolante in giri della morte talmente rapidi da mozzare il fiato. Trollhorn e Virta riescono a donare alla propria musica un che di cinematografico, vi è poi una parentesi più calma in cui è udibile uno scacciapensieri unito al cantato sussurrato del singer. Percepiamo la chiamata degli antichi, parliamo con loro, apprendiamo leggi mai udite o studiate da alcun mortale. Siamo come rapiti da un'estasi già provata in precedenza ed ora divenuta più razionale, seppur non perdendo neanche un grammo della sua trascendentalità. Entriamo in contatto con un mondo superiore, fra vortici di eroismo e slanci improvvisi; annotiamo febbrilmente nell'anima ogni passaggio, ogni momento. I Finntroll fanno vibrare le nostre corde più intime, donando al rituale un sottofondo più che degno, rapendoci ancora una volta. Interessante come ogni brano risulti mai troppo scontato o banale, nella migliore tradizione inaugurata anni ed anni prima da "Natte...".

Drap
Gran finale raggiunto a ritmo di "Drap" (Eccidio), presentata da un battere violento e da chitarre ombrose ed inquietanti. Si procede su di un ritmo estremamente catchy, sul quale le terribili risate "a tempo" di Vreth creano un effetto davvero singolare. L'andatura scanzonata e quasi allegra, con l'andatura folkeggiante in grado di divertire e coinvolgere fa di questo pezzo un piacevole "stacco": abbandoniamo momentaneamente furia e sacralità per introdurci nell'anima più mattacchiona di una band che, almeno fino a questo momento del brano, pare volersi divertire... parodiando l'andatura di un troll armato di mazza chiodata, poco sveglio anche se nervoso e sanguinario. Almeno sino a questo momento, dicevamo... proprio perché i nervi hanno la meglio ed il pezzo si lancia in una corsa pressoché incessante. Il popolo del sottobosco scalpita e si lancia a vele spiegate contro l'umanità, compiendo un massacro nel vero senso della parola. Armi che cozzano e schizzi di sangue misti a fanghiglia, nessuno verrà risparmiato. Si uccide e si dilania, si squarcia e si massacra, con le tastiere a creare quel poco di tensione che ancora serviva per rendere il momento ancor più indimenticabile. Spade, mazze, asce, scuri... tutto poi si calma e magicamente ci ritroviamo a vivere, inaspettatamente, in un cartone animato. Una strana tuba gorgheggia un motivetto grasso e grosso, quasi facendoci venire in mente un gigante goffo e bonaccione, nell'intento di percorrere quante più leghe possibile con i suoi incauti scarponi taglia 88. Arriviamo ad un altro stacco estremo sino a giungere ad un nuovo momento giullaresco, nel quale è comunque l'inquietitudine - stavolta - a dominare. Così sino alla fine, il sottofondo adattissimo ad una parata di folli, di maschere grottesche, di danze scomposte e feste selvagge.

Conclusioni
Ancora stravolti, reduci dalla festa del secolo, dal violento ed appassionante rituale trollesco, eccoci pronti (forse...) a tirare le somme circa quanto abbiamo ascoltato. Perdonate, amici lettori, se non dubito riesco ad esprimermi: un album come "Nifelvind" riuscirebbe ad ubriacare il più stoico degli astemi, pur senza fargli toccare neanche una goccia d'alcool. E' proprio così che mi sento, leggermente ebbra, quasi frastornata da così tante emozioni. C'è poco da dire o da aggiungere, è la musica che parla da sé; proprio perché "Nifelvind" risulta essere un disco davvero molto valido, in virtù di una crescita esponenziale compiuta da un gruppo capace di prendersi enormemente sul serio quanto di divertirsi nel più elementare dei modi. Prendersi sul serio, proprio perché l'operazione "testi impegnati" è riuscita in pieno. Katla, ispirato a livelli disumani, ha potuto finalmente dar voce alla sua vera anima, divenendo un paroliere più che adatto al ruolo... proprio perché, diciamolo apertamente: chiunque potrebbe scrivere di troll che ammazzano preti. Viceversa, in ben pochi potrebbero dar luce a testi così particolari e sentiti, intimi, mutuati attraverso la vorace lettura / il fervente apprendimento di saghe nordiche e leggende popolari. L'ex singer dei Finntroll ha quindi voluto operare in tal senso un'importantissima modifica al songwriting della band, anche e soprattutto dal punto di vista musicale. Dato sì, e credo di avervelo ampiamente spiegato (così non fosse, chiedo venia!), che la compagine finlandese ha voluto esprimere mediante musica quanto detto dal proprio compagno, rendendo la propria proposta certo sempre ancorata ad un qualcosa di veloce e diretto... tuttavia, in alcuni punti, decisamente più "sciamanica". Anche e soprattutto grazie al combo tastieristico, mai così ispirato come in "Nifelvind". Se "Natt..." fu il disco della svolta, possiamo tranquillamente considerare questo platter come quello della conferma totale. Non tralasciando neanche troppo la parentesi di "Ur...", in quanto "Nifelvind" pare proprio essere la summa totale dei due lavoro or ora citati. Da una parte la melodia potente e roboante, dall'altra la seriosità tipica di un certo tipo di Black. Miscelando tutto in un'unica soluzione otterremo dunque il disco appena ascoltato. Un connubio di sacralità e divertente coinvolgimento, di potenza musicale e rispetto per il passato, per i miti che furono. Un sussulto degno di nota, sicuramente da possedere e custodire gelosamente, in quanto testimone di quel sound che i Finntroll - da questo momento in poi - avrebbero reso famoso a livelli ancor più importanti che in passato. Per la promozione di "Nifelvind" vennero girati addirittura tre video musicali, facendo riscuotere ai nostri un grande successo soprattutto nell'Europa centrale. In Germania ed in Austria divennero delle autentiche autorità, per non parlare di una Scandinavia ormai più che rapita, conquistata dallo stile unico ed a tratti pazzoide di una compagine di matti matti troll. Non vi resta altro da fare che procurarvi questo album e farlo girare ripetutamente nel lettore, urlando "ve!" ogni piè sospinto, facendosi trasportare già dalla splendida open-track... imbracciando un'ascia, strillando "SOOOOLSAGAAAAAN!!" con il volto dipinto di nero, agitandosi, ballando e danzando, cercando in ogni modo di ascendere da una condizione di triste immanenza verso una di totale, estatica trascendenza.

2) Solsagan
3) Den Frusna Munnen
4) Ett Norrskensdåd
5) I Tradens Sang
6) Tiden Utan Tid
7) Galgasang
8) Mot Skuggornas Värld
9) Under Bergets Rot
10) Fornfamnad
11) Drap


