EXODUS
War Is My Shepherd
2003 - Nuclear Blast
DAVIDE CILLO
31/03/2018
Introduzione Recensione
Qual è la cosa che un amante del Thrash Metal, più di ogni altra, possa desiderare? Probabilmente è una domanda estendibile a tutti i generi musicali, e probabilmente ci sono più risposte corrette. Su una cosa, tuttavia, saremo tutti d'accordo. Ne sono certo. Ciò che un amante del Thrash Metal assolutamente desidera è che tutte le grandi band degli anni '80 che hanno smesso di suonare, riprendano. Ciò che un amante del genere vuole, è poterle rivedere (o vedere) dal vivo. Ascoltare nuovi album, godere di nuova musica, magari aggiungere qualche pezzo alla propria collezione di vinili. Se vi dico questo, è perché nel caso di una leggendaria band del genere, la "Thrash Metal band" per antonomasia, i californiani Exodus protagonisti della recensione odierna, questo desiderio chi ama il genere lo vedrà realizzato. E questo desiderio sarà reso possibile da un uomo che possiede un uomo e un cognome, Andy Sneap. L'amico e produttore degli Exodus, colui che più di ogni altro ha sempre creduto nella loro musica, il "sesto" componente della band come spesso si dice. E' grazie ad Andy che gli Exodus riescono ad uscire dal tunnel della droga, ed è grazie ad Andy che questo singolo e il successivo album vedono la luce. Ed è simbolico che, il periodo peggiore e più grigio della storia degli Exodus, gli anni '90, è anche stato notoriamente il peggior periodo del Thrash Metal, in crisi per vari fattori fra i quali l'ondata Grunge di Seattle e la "radio-friendly music". Non potrebbe essere altrimenti, del resto. Sciolti nel '94, gli Exodus provano a tornare in pista nel '97 senza molta fortuna, tornando l'anno successivo incontro allo scioglimento. E' nel 2001 che si riformano, che provano a tirar fuori nuova musica, che ci sono i fattori giusti per tornare in pista. Forse anche per rendere onore al leggendario e primo vocalist della band Paul Baloff, fratello dei componenti della band giunto precocemente alla morte: ancora una volta, simbolicamente, dopo che lo stesso Paul nei suoi ultimi momenti di vita ha voluto con sé più di ogni altro i componenti della band, la loro vera famiglia. Sono, queste, le storie che davvero meritano di essere raccontate. E tramandate. L'attitudine, una band che ha sempre vissuto di sé e dell'amore per la propria musica, sempre fedele alla propria linea, ma in preda alle tendenze. Sono questi i miracoli che ci ha donato l'ottantiana California, un patrimonio musicale di cui ancora godiamo e di cui per sempre godremo. E con il risveglio dell'interesse verso il Thrash Metal di inizio 2000, con la conseguente "New Wave of Thrash Metal" che ci ha regalato nuove e validissime band, non poteva non fiutare l'affare la Nuclear Blast Records, puntando su un nome "intoccabile" come quello degli Exodus. Una fortuna, per i ragazzi, trovare questo tipo di sostegno. E' il 6 Ottobre 2003: esce "War Is My Shepherd", il primo vero nuovo lavoro degli Exodus da anni, quello che più di ogni altro si attendeva, "l'antipasto" dell'imminente successivo album "Tempo of the Damned". "War Is My Shepherd" è composto da quattro tracce: l'omonima canzone d'apertura, che introduce il singolo ed è la seconda all'interno di "Tempo of the Damned". Segue "Sealed with a Fist", poi troviamo "Impaler": da sottolineare quanto "antiche" siano le radici di questo brano, brano per il quale figura anche il componente di Kirk Hammett fra i compositori, che come ben saprete prima di giungere ai Metallica militava nelle fila degli Exodus. A chiudere il singolo un celebre brano, un omaggio ad una grande band da parte degli Exodus, che come ben sappiamo adorano ascoltare musica ancora più vecchia scuola di quella che suonano. Si tratta di una cover degli AC/DC, "Dirty Deeds Done Dirt Cheap". In totale, non superiamo i 20 minuti, con 17 e mezzo di ascolto. Io spero che voi siate preparati, perché ci sarà tanto da sbattere per la nostra testa. Coltello e forchetta, la tavola è apparecchiata, lanciamoci nell'ascolto. Io spero che vi piacerà, perché ci ritroveremo nel finale di recensione per tirare il bilancio finale di questo lavoro, terminata come di consueto la nostra analisi track by track. Si parte! E' tempo di Exodus, ancora una volta.
War Is My Shepherd
E dunque subito all'assalto con il brano che come detto intitola il singolo, "War Is My Shepherd" (La guerra è il mio pastore). Il riff, veniamo subito al punto, può essere descritto con un solo aggettivo per poter rendere adeguatamente l'idea: leggendario. Non è davvero possibile utilizzarne altri. Avete presente quando dal primo secondo capite che state ascoltando un "grande brano"? Ecco, questo è il caso. Ciò non toglie che si tratta di un riff allo stesso modo massacrante, una vera legnata sui denti come piace a noi. Come piace a dire a me, dopo "Master of Puppets, "Raining Blood, "Holy Wars", ecco "War Is My Shepherd". Ed io ci metto la faccia nel dirlo. Se questo riff è magico, lo dobbiamo alla massacrante e perfetta combinazione di note trovata dal leader della band e compositore Gary Holt, il tempo è di quelli devastanti e l'arrangiamento non fa che valorizzare ancor più le furiose ritmiche del brano. Sulla produzione di Andy Sneap, c'è poco da dire: perfetta. Chitarre che hanno sia taglio che potenza, che grattugiano all'ottantiana moderna strizzando l'occhio alle "grosse" e "pompate" produzioni moderne. Solo strizzandolo, sia chiaro. E meglio non potrebbe essere. Per non parlare della performance vocale di Steve Souza, oh quanto sentivamo la sua mancanza. Il "cantante perfetto" per il Thrash, forse il migliore, qui tira fuori sul serio il meglio del suo repertorio. Il ritornello è più profondo e gutturale, ma il risultato non cambia. Il brano, come potrete già intuire dal titolo, tramite una metafora religiosa si scaglia contro i governi, che spediscono soldati alla morte per far sì che le proprie "guerre di convenienza" vengano combattute. Vi è un confronto fra la fede nel proprio fucile e la vede in Cristo, dal momento che quando si è sul campo di battaglia nulla può salvare la propria vita se non la propria arma. E' quando si affronta ingiustamente la morte, quando si viene spediti a combattere per qualcosa in cui non si crede, che vi è qualche dubbio sulla propria religiosità. E la band, anche di questo, tratta. L'arma viene dunque "divinizzata", descritta come l'unica salvatrice, facendosi nella sua materialità beffa di tutto ciò che è astratto e non concreto. La seconda parte della traccia, credeteci, è ancora migliore rispetto alla prima. Difficile a dirsi, eh? Gli Exodus ci regalano, un colpo dopo l'altro, il meglio del loro repertorio. Al termine del secondo ritornello, è grandioso il riff che regge l'assolo di chitarra. Lo stesso riff successivamente si evolve, cambiando tempo e venendo armonizzato, scagliando l'urlo del feroce Steve per una nuova strofa, segue un altro straordinario assolo. Credeteci o no, questo brano dura appena quattro minuti e trenta: ascoltandolo sembrano molto di più, ed è forse questo il suo grande segreto: una composizione impeccabilmente devastante. Impossibile da piegare.
Sealed with a Fist
Voliamo a "Sealed with a Fist" (Sigillato con un pugno), quart'ultimo brano di quello che sarà "War Is My Shepherd", secondo di questo singolo. Questo mi piace definirlo "il brano di Tom Hunting", non per mancanze degli altri strumenti, ma perché la prestazione batteristica si mostra per l'ennesima volta straordinaria. L'introduzione di questo brano è da urlo, e il suo modo di porsi è robusto, compatto, coerente. Una degna continuazione, su questo non vi è dubbio alcuno. E noi siamo felici di ascoltarla. Il pezzo è tirato e tagliente sin dal suo primo istante d'ascolto, breve (tre minuti e trenta, pochi per il genere) ed estremamente diretto e pragmatico. Questo brano lo descrivo come un'autentica "scarica d'adrenalina", che non giunge a compromessi travolgendoci come se ci trovassimo sotto un carro armato di 500 tonnellate. La performance vocale di Steve Souza, manco a dirlo, è impeccabile, nel senso che davvero non sarebbe possibile immaginare o volere un cantato migliore. E' perfetto in ogni tratto, in ogni sfaccettatura del suo variegato stile vocale, e non lodarlo sarebbe ingiusto e sbagliato. Penso che, con obiettività, gli ascoltatori di qualunque genere musicale al mondo, Metal o no che sia, apprezzerebbero come questo cantante si approccia dietro al microfono. Non mancano i cori vocali, come da tradizione per questo tipo di pezzi di "eredità HC". Del resto, lo sappiamo, la California non è stata solo la madre del Thrash Metal, il Thrash ha anzi raccolto l'eredità di altri generi e di altre storiche band. Ottimo sia il primo rapido assolo di chitarra, sia godibile al massimo il successivo duetto dei due chitarristi. Per quanto riguarda il lavoro di produzione di Andy, la risposta è ancora una volta positivissima. Divertenti le liriche di questa canzone, che ci parlano di un matrimonio sfociato nella violenza più totale. La promessa fatta al momento del matrimonio, quella di starsi accanto, viene ironicamente "snaturata" nello spaccarsi la faccia a vicenda. Ad ogni modo, sarebbe sbagliato sminuire così il significato di queste liriche. Gli Exodus infatti desiderano anche levarsi contro la "gelosia" e gli sbagliati modi (sì, uso il plurale, di modi sbagliati ce ne sono tanti) di vivere l'amore nella società odierna. La band dunque non si pone una benda sugli occhi dinanzi a questo tipo di tematiche, anzi dice la sua su come le relazioni sentimentali andrebbero realmente vissute. In una maniera, sostanzialmente, più matura. Ogni fattore, ogni strumento, si unisce perfettamente durante questo pezzo, e il feeling fra le due chitarre è di primo rilievo. Se abbiamo definito dunque la batteria di Tom come l'elemento che più sale in primo piano, ricordiamoci che in una grande band ci vogliono cinque grandi musicisti. O quelli che siano. Semplice ma diretta, inflessibile e funzionale, "Sealed with a Fist" è il brano che sceglierete quando vorrete una diretta e genuina iniezione di energia. Dovrete però ignorare il vostro collo, nel caso che non sia d'accordo.
Impaler
E' tempo di raccogliere l'eredità degli anni '80, è tempo di rivivere le origini del Thrash ancor più di quanto si sia fatta con le due precedenti "War Is My Shepherd" e "Sealed with a Fist". E' tempo, come già vi accennavamo in apertura di recensione, di goderci questa "Impaler" (Impalatore), superiore ai cinque minuti d'ascolto e composta pensate un po' ancor prima di "Bonded By Blood", quando Kirk era nella band e quando lo stile della band era ancor più vicino alle origini dell'Heavy Metal. Ovviamente, il brano è stato perfezionato e impacchettato in quest'ottima produzione, in modo che noi potremo goderne al meglio. Non aspettatevi dunque il "sound" dei pezzi precedenti, perché qui questa "Impaler" è di tutt'altra scuola. Siamo nel pieno degli anni '80, i primissimi '80, quando il Thrash Metal nasceva avvicinandosi ancora per moltissimi aspetti all'Heavy Metal classico. Le liriche del pezzo sono scritte da Paul Baloff, all'epoca già militante nella band, e gli Exodus proprio in quegli anni tiravano fuori i loro primi lavori. Per quanto riguarda il contributo alla composizione di Kirk Hammett, è proprio il riff principale quello proveniente da una sua idea. Il pezzo, pur differente come detto nel sound, si adatta "miracolosamente" e "perfettamente" alla produzione di questo lavoro, cosa per la verità solitamente insolita. Il sound è di grande potenza, e valorizza al meglio le due chitarre. Meravigliosa, tanto per cambiare, la prestazione vocale di Souza, cosa non scontata visto che non ha lui la paternità della traccia vocale. Del resto, sappiamo bene che Steve si adatta bene alle linee vocali di Paul. "Impaler" è potenza e attitudine allo stato puro, l'assolo è squillante e lineare, l'alternate picking efficace e d'impatto. Il testo di questo pezzo ci parla di un malvagio personaggio, appunto "l'impalatore" che intitola il brano, che giorno dopo giorno va a caccia di prede da assassinare. Sistematicamente, dunque, la "routine quotidiana" di questo simpatico figuro consiste nel sottrarre la vita a terzi. Sarebbe tuttavia sbagliato pensare che "l'impalatore" si accontenta di ammazzare le sue vittime. Ne beve infatti il sangue, senza risparmiare donne e bambini, come se provenisse direttamente dagli inferi, portandoci a vivere l'inferno stesso. Gli Exodus, nella parte conclusiva del testo, ci ripetono che "non c'è speranza": niente lieto finale dunque, solo una cruenta conclusione per le vite di coloro che disgraziatamente "inciampano" sul percorso di questo pazzo. Incredibile, nel finale, la potenza degli scream di Steve mentre urla ripetutamente la parola "Impaler". Spero che questo brano vi sia piaciuto, perché è tempo di dedicarci alla cover.
Dirty Deeds Done Dirt Cheap (AC/DC cover)
Ed eccoci dunque alla mattonella conclusiva di questo singolo, la cover di uno dei leggendari brani degli AC/DC: si tratta, come anticipato, di "Dirty Deeds Gone Dirty Cheap" (Azioni sporche a buon mercato). L'omaggio agli australiani, cari miei, non aspettatevelo proprio "alla lettera". Infatti, proprio come piace a noi, gli Exodus decidono di interpretare il pezzo alla propria maniera, principalmente a causa della produzione differente, ma non solo. Del resto, se fosse identica all'originale, che cosa la ascolteremmo a fare? Interessante come più non potrebbe essere la resa del sound degli AC/DC su questo tipo di produzione, talmente interessante da farvi davvero sentire felici di aver ascoltato questa traccia. Gli aperti power chord dell'introduzione sono ottimamente coadiuvati dalla batteria e il down picking è seriamente aggressivo e d'impatto. Straordinaria, scusatemi se sono monotono, irraggiungibile, la voce di Steve Souza. Incredibile come onori al meglio la leggendaria voce della band australiana, e anche i cori vocali donano quell'incredibile tocco di vecchia scuola come meglio non potremmo desiderare. Resta, ad ogni modo, proprio la voce l'elemento principale nel farci apprezzare questa meravigliosa cover. Fantastico allo stesso modo l'assolo, musicale e godibile al massimo, ma che grazie alla produzione possiede quel tantino in più per spaccare che gli sarebbe altrimenti mancato rispetto alle ritmiche. Riprendono poi le "sentenze" vocali di Steve, e sono sicuro che gli AC/DC apprezzerebbero tantissimo quest'interpretazione del loro brano. Grande il protagonismo del basso, che in diversi frangenti come nel finale è il principale strumento insieme alla voce a regalarci una conclusione calzante come più non potrebbe. Davvero dieci e lode, amo sia gli AC/DC che gli Exodus e posso dire che entrambe le band sono state rispettate al meglio in questa interpretazione. Venendo alle liriche, il testo si ambienta in un liceo, con il protagonista che ha problemi in particolar modo con il preside. Decide allora di telefonare ad un misterioso personaggio che "risolve problemi", conducendo una vita da criminale e con diversi precedenti penali. Si occupa, in poche parole, di fare "azioni sporche a buon mercato". Problemi d'amore? Cuore infranto? Vuoi farla pagare ad un tuo amico? Non riesci a trovare il coraggio per uccidere qualcuno? "36 24 36" è il numero, tutti i tuoi problemi saranno risolti senza che tu debba sporcarti le mani. Conveniente, vero?
Conclusioni
Beh, cosa ve ne è parso di questo singolo di quattro brani? Per quanto mi riguarda, sono sicuro che avrete già capito: mi è piaciuto tantissimo. Principalmente, direi per la sua attitudine e coerenza: è davvero bella "l'aria che si respira", da "War Is My Shepherd" alla cover degli AC/DC, la vecchia scuola è rinata! L'amore per la musica vecchia scuola, il rispetto per gli anni '70 e '80, davvero si respirano nota dopo nota ed è una sensazione incredibile. Secondo me, un lavoro come questo singolo potrebbe far avvicinare un pubblico al Thrash Metal anche qualora non l'abbia mai ascoltato. Su questo, spero voi siate d'accordo, perché ho davvero lasciato l'ascolto di questi quattro pezzi rimanendo con un aspetto felice. Ed è difficile, ora come ora, trovare musica che davvero trasmetta felicità. Giù il cappello allora. "War Is My Shepherd" è probabilmente il brano che definirei "irripetibile", quello che ti viene fuori una volta ogni tanto quando sei davvero colto da un'ispirazione dalla "rara" cadenza. Non così rara, se ti chiami Exodus. "Sealed with A Fist" è il degno proseguimento, e grazie al secondo pezzo continuiamo a respirare la grande atmosfera già presente nel primo. Se i primi due brani li definirei quelli "Thrash Metal" per eccellenza, a partire da "Impaler" gli Exodus cominciano progressivamente a strizzare l'occhio al sound anni '70, per poi concludere direttamente con una cover della leggendaria band australiana AC/DC, cover che davvero rende onore e omaggio ai maestri dell'Hard Rock per eccellenza. Principalmente, ma non solo, a causa della produzione e della stupenda interpretazione vocale di Steve Souza. Se dovessi, sostanzialmente, dare un giudizio da 1 a 10 su questo singolo, direi 10. Per un semplice motivo: cosa mai si potrebbe fare di meglio? Cosa più si potrebbe volere? Quali critiche si possono muovere? La risposta a quest'ultima domanda è, secondo me, una sola: nessuna. Impossibile trovare qualcosa che non vada. Le composizioni sono straordinarie, la produzione idem, le prestazioni dei componenti della band dietro i loro strumenti encomiabili. Tutti questi aspetti trasmettono davvero una piacevole sensazione all'ascolto. Caspita, a questo punto ci tengo davvero a fare una cosa: ringraziare di cuore Andy Sneap per aver aiutato gli Exodus a tornare in pista, per averli supportati e per aver fatto in modo di farci ritrovare, ancora una volta, ad ascoltare la loro musica. Grazie, Andy! Sono stati 17 minuti ben trascorsi. Questo lavoro, rilasciato nell'Ottobre del 2003, antecede l'album "Tempo of the Damned", uscito ufficialmente il 2 Febbraio 2004. Impossibile non creare aspettativa con un lavoro del genere, aspettativa ampiamente mantenuta data la spettacolarità di "Tempo of the Damned". La Nuclear Blast, ne sono certo, sarà rimasta soddisfatta, non potrebbe essere altrimenti. Vorrei concludere la recensione, come di consueto, con la descrizione dell'artwork. Ritengo che la copertina sia estremamente importante di un lavoro, perché è quella che spesso determina se acquistare un CD oppure no. E' chiaro che non bisogna "giudicare un libro dalla sua copertina", ma spesso gli artwork riescono anche a farci capire cosa il titolo del brano e il contenuto delle canzoni significhi, cosa voglia rappresentare. Nella copertina di "War Is My Shepherd", vediamo un magrissimo uomo crocifisso come Gesù Cristo, con il ventre penetrato e sbudellato ma nessuna croce sulla testa. Non si tratta, dunque, di Cristo, ma di una "simbolica" vittima della guerra che ci riporta alla traccia che appunto intitola il lavoro. La copertina è di colore monocromatico grigio, abbastanza buia ma non troppo, e il grigio che domina l'artwork viene solo contrastato dal vivace rosso del logo della band e dal titolo del lavoro in basso a destra, inserito in un pentacolo. La resa è eccellente, e secondo me rende bene l'idea di quello che si và ad ascoltare. Attendo le vostre opinioni e commenti, per me è stato un piacere. In alto le corna, dopo questo 10 pieno ci si becca alla prossima recensione.
2) Sealed with a Fist
3) Impaler
4) Dirty Deeds Done Dirt Cheap (AC/DC cover)