EXODUS
Thorn in my Side
1992 - Capitol Records
MARCO PALMACCI
03/08/2018
Introduzione Recensione
Avete presente lo status di sgomento tipico di ogni protagonista / personaggio di un film di fantascienza o dell'orrore? Quella sensazione che pervade il malcapitato di turno, quando si ritrova inspiegabilmente a che fare con una situazione fuori dalla norma. "Che diavolo sta succedendo?", questa è la domanda che in ogni pellicola o racconto sui generis viene posta, in un mix fra angoscia ed incredulità. E mi duole dirlo, amici lettori, il vostro affezionatissimo si è ritrovato esattamente nella stessa circostanza... quando ha avuto, per obblighi editoriali e per onorare sino alla fine il suo mestiere di recensore, la brillante idea di appoggiare sul piatto il singolo "Thorn in My Side", anteprima di ciò che sarebbe stato (e che purtroppo è stato) il successore di "Impact Is Imminent". Cosa fosse frullato nella testa degli Exodus, in quel 1992, non ci è e probabilmente mai sarà dato saperlo. Avevo di certo espresso un'opinione in un mio precedente articolo, riguardante alcuni dei singoli poi confluiti nella tracklist di "Impact...": invertire il trend e cambiare totalmente proposta, anziché continuare a servire il fondo raschiato dal barile di "Fabulous Disaster". Si arriva ad un ounto in cui anche la coerenza può diventare dannosa per il musicista, un varco che gli Exodus stavano pericolosamente per varcare, donando alle stampe il buon "Impact is Imminent" per l'appunto. Bello ma non esaltante, derivativo ed a tratti un po' pigro, scontato. Un'altra copia avrebbe significato la fine del gruppo ed un conseguente oblio... tragico a dirsi, ma presumo possa essere la verità. Presumo, perché se la volontà di sperimentare si configura in situazioni come "Thorn in My Side", allora la filosofia degli AC/DC non risulta poi così malvagia. Filosofia degli AC/DC: continuare imperterriti sulla propria strada, nonostante tutto. Pro, sei gli AC/DC ed ogni tuo album conterrà comunque tre o quattro potenziali inni. Contro, non sei gli AC/DC e la gente, dopo un po', comincia a stufarsi ed anche di brutto. Inutile ribadire quanto, nonostante la voce di Souza, gli Exodus non siano mai stati gli australiani della situazione, ed abbiano dovuto più e più volte fare i conti con la durezza della critica e delle carriere impantanate in strani limbi. Arrivati dunque con l'acqua alla gola al decennio novantiano, guardandosi intorno notavano quanto un nuovo modo di concepire il Metal ed il Rock stesse ormai diventando legge. La voglia di criticare il sistema, di distruggerlo a colpi di versi al vetriolo, era in un certo qual modo rimasta intatta; semplicemente erano cambiati i mezzi, i modi, il modo in cui la voglia di esprimersi veniva veicolata e trasmessa. Il thrash diveniva stranamente "obsoleto" nella sua forma più pura e schietta, dovendo (quasi) soccombere dinnanzi all'arrembante dirompenza di atmosfere più polverose, cupe, meno chiassose ma per il pubblico oltremodo più efficaci. Gli anni del Grunge, degli Alice in Chains e dei Nirvana (già all'epoca affermatissimi grazie a pubblicazioni del calibro di "Facelift" e "Nevermind"); gli anni del groove metal firmato Pantera, dell'atmosfera oscura e pesante di band quali Type O Negative e Crowbar. Dinnanzi ad una sostanziale perdita d'interesse del pubblico per le sonorità più classiche e per così dire "sanguinolente", restava solo una cosa da fare: adattarsi, provando a cambiare, a stupire in qualche modo. La chiacchieratissima svolta dei Metallica con la pubblicazione del "Black Album" fu in tal senso lampante: brani certo massicci e potenti, eppure totalmente differenti da quanto proposto in precedenza. Basta sfuriate, basta velocità. Qualità sonora ammiccante, ballads... insomma, una decelerazione totale, in virtù di una voglia di arrivare al grande pubblico e non più soffermandosi al popolo metal in senso stretto. Andò meglio ai cugini Megadeth, il cui "Countdown to Extinction" venne sinceramente molto più apprezzato dalla critica e soprattutto dalle schiere di metallari in tutto il mondo, non troppo scandalizzati da quel rallentamento improvviso. Dinnanzi a questo periodo così delicato e particolare, per gli Exodus la parola "adattamento" suonò più come una costrizione che uno sviluppo naturale d'idee e di sound. Scegliere di proseguire in un determinato modo... oppure eclissarsi, annichilirsi e cedere il passo ai "giovani". Per fortuna e purtroppo, la parola "resa" non è mai stata presente, nel vocabolario degli Exodus. Fortunatamente, perché mai potrei pensare ad un mondo privo di questa parata di folli. Sfortunatamente, perché sarebbe stato forse meglio andare "in pausa" risparmiandosi un singolo ed un disco che, a dirla tutta, suonano davvero come una quasi fossa scavata cojn le proprie mani. Eccoci dunque a fare i conti con un qualcosa di assemblato alla rinfusa, strano, bizzarro... insomma, un qualcosa non da Exodus. Scopriamolo assieme, per vedere cosa ci riserva... let's play!
Thorn in my Side
Eccoci dunque accolti da "Thorn in my Side (Spina nel Fianco)"; paradossale come il primo elemento di novità riscontrabile sia nel titolo, costruito attorno ad una metafora, un gioco di parole. In questo caso già sappiamo, più o meno, cosa il protagonista delle liriche voglia intendere: stiamo parlando di un personaggio triste, deluso ed amareggiato, costretto a rivolgersi malamente ad una persona alla quale - nonostante tutto - ha voluto molto bene, incondizionatamente. E' palesemente chiaro chi sia la sua controparte: il padre, un padre severo ed assente, mai soddisfatto di un figlio che, dal canto suo, ha cercato di farsi apprezzare in ogni modo e maniera. "Per me non hai mai speso parole che fossero d'incoraggiamento, è difficile lenire questo dolore che provo..."; versi eloquenti quanto madidi di pianto, parole dure pronunciate dopo aver preso coscienza del fatto che un rapporto, sebbene duraturo e suggellato da un legame di sangue, possa rivelarsi di punto in bianco un totale fallimento. Anni sprecati ad illuderci, a considerare una rosa quel che alla fine è un'autentica spina nel fianco. A sottolineare questa triste consapevolezza interviene quindi la musica, decisamente agli antipodi dalle funamboliche imprese sino a quel momento compiute dagli Exodus in fase d'apertura. Si parte immediatamente mostrando il nuovo volto, quello più cadenzato, controllato e per certi versi "rockeggiante"; dato sì che "Thorn..." si avvale lungo tutta la sua durata di un andamento "...n' Roll" che la controlla e la placa, in qualche modo, tenendola "in gabbia". Un pezzo in sé che si dimostra comunque orecchiabile, capace di prenderci e coinvolgerci (l'andatura non è male, anzi)... eppure, incapace di spiccare il volo. Troppo prevedibile, troppo monocorde, fine a sé stesso. Diciamocela tutta, anche in fase di "rallentamento" e cadenze particolari, i Nostri avevano fatto DECISAMENTE meglio. Risulta in questo senso palese la voglia di mostrarsi sotto una nuova veste, cercando di mantenere semi-intatte le masserizie Thrash ben riposte, se non altro, nella pesantezza dei riff. La mano è sempre quella di Holt, dopo tutto, il quale decide di mostrarci la sua verve più melodica, Hard n' Heavy, lungo degli assoli ben congeniati ed emotivamente vincenti. Unico guizzo di un brano che, fra strofe e ritornelli, non riesce a spiccare il volo come dovrebbe, quasi inglobasse in sé la tristezza di un figlio, la frustrazione di chi ha passato una vita a sentirsi giudicato dai suoi genitori in maniera netta e perentoria. "E' una vecchia storia, quella spina che hai piantato così profondamente in me. Ti sei sempre comportato come il Re dei Re, agendo come un Dio... indossi una corona di spine come fosse un cappello, ma il mio plotone metterà fine alla tua recita!". Fa strano, troppo strano sentire gli Exodus catapultati in questa veste. Detto francamente, i californiani di qualche anno prima avrebbero riservato a questo padre un tornado di "Verbal Razors"... e la sperimentazione, dove sarebbe? Nell'allungamento del minutaggio e nelle decelerazioni?
Conclusioni
Quel che dicevo in sede d'introduzione non ha fatto altro che trovare conferma lungo l'ascolto di questo semplice quanto stanchissimo brano. Un pezzo che ha i suoi momenti ma consegna alla storia degli Exodus particolarmente "pesanti", e non certo nel senso di "potenti". Tutt'altro; sembra quasi che i californiani abbiano assunto l'aria di una compagine di bacchettoni pronti a puntare il dito e rispondendo ogni tre per due ad una domanda che nessuno ha posto. Schiettamente: in quanti (e lo ripeto!) avrebbero voluto che il figlio protagonista di "Thorn..." fosse stato più avvezzo alle Lessons in Violence che all'espressione sì toccante di tristi sensazioni? TUTTI, non c'è neanche da pensare troppo. Avessimo avuto fra le mani un "vero" brano degli Exodus, il padre padrone avrebbe avuto una lezione indimenticabile, pagando un salatissimo scotto, pentendosi amaramente d'esser stato il genitore sventurato descritto lungo le liriche. Invece... no. Semplicemente tristezza e delusioni, senza quasi la possibilità di reagire. Inutile dire quanto tutto ciò suoni davvero poco thrash, poco Bay Area... per nulla in linea con la band di rudi rissaioli che abbiamo imparato ad amare da "Bonded By Blood" sino ad "Impact Is Imminent". Avevo già affermato, in altri articoli, quanto molto spesso sperimentare salvi un gruppo dal pantano del "già sentito", impedendogli di fotocopiare eccessivamente proposte già vagliate, sentieri già battuti sino alla nausea... eppure, potrei di colpo ricredermi, almeno fintanto che i risultati della sperimentazione rimangano questi. "Thorn in my Side" semplicemente non è. Non è un brano che riascolterei, non è un brano degli Exodus, non è una canzone alla pari di "The Toxic Waltz" e nemmeno di "The Lunatic Parade". Avrebbe, almeno sulla carta, dovuto conquistare il "nuovo" pubblico; non riuscendovi, portando i puristi a provare una sanissima rabbia ed i neofiti a snobbare ciò che alla fine è un qualcosa di pesante, registrato male ed interpretato peggio. Qualcosa si salva, certo... ma non l'essenziale, non quello che davvero avrebbe meritato di scampare ad un incendio. Immaginiamo di trovarci in una casa in fiamme: presi dal panico, cercheremmo di portare via con noi solo quanto DAVVERO serva. In tutto questo marasma, i Nostri hanno afferrato un candelabro d'argento e lasciato il gatto nel loro appartamento. Nessuno discute l'importanza di una suppellettile, avrebbe anche potuto essere un cimelio di famiglia... ma cosa ce ne facciamo, se poi il nostro animale domestico è lì che miagola aiuto? Davvero, amici lettori, non avrei potuto trovare una metafora più indicata, per descrivere questo contesto. Mi si passi la bizzarria del tutto, of course... sono costretto a rimanere di questa idea. Sia chiaro, non posso addossare ai ragazzi più colpe di quante effettivamente ne hanno; a tutti capita un brutto disco, potrei elencarne almeno dieci. "Destiny" dei Saxon, "Cold Lake" dei Celtic Frost, "Unmasked" dei KISS, "St. Anger" dei Metallica... ed è meglio mi fermi qui, non avrebbe senso alcuno continuare. Ciò che è sicuro è che "Thorn..." non merita purtroppo la sufficienza, dovendosi relegare nell'angolo buio della discografia degli Exodus. Il paragone con quanto contenuto nei dischi precedenti viene - per forza di cose - da sé, scontatamente: platter ben solidi e coerenti, "Impact..." forse troppo, ma decisamente ben più valido e solido di quanto abbiamo visto e sentito fino ad ora. A volte troppo sperimentali, a volte eccessivamente semplicioni; a volte coraggiosi, altre volte stanchi. A volte ispirati, altre volte desiderosi di terminare in fretta il brano per potersene andare a casa. Una continua altalena ben distante dalla solidità mostrata dal resto dei lavori licenziati. Ed in questo mare d'incertezze, la domanda resta una: riusciremo a salvarci o soccomberemo alla tempesta?