EXODUS

Salt the Wound

2014 - Nuclear Blast Records

A CURA DI
DAVIDE CILLO
23/12/2018
TEMPO DI LETTURA:
9,5

Introduzione recensione

E' il 2014, gli Exodus sono reduci degli ultimi due "Let There Be Blood", remake del leggendario debut album "Bonded By Blood" e "Exhibit B: The Human Condition". Se il primo non è stato apprezzato (io direi a buon ragione) praticamente da nessuno, specie fra gli ascoltatori della vecchia guardia che il fulcro poi sono della base d'ascolto degli Exodus, "Exhibit B: The Human Condition" ha sollevato reazioni contrastanti, fra soddisfazione e insoddisfazione, ma con un filo conduttore unico: non era comunque il sound dei vecchi e "ottantiani" Exodus. Un po' per la moderna e grossa produzione, forse per le talvolta melodiche o troppo "screammate" linee vocali di Rob Dukes, o magari per le composizioni a volte troppo in linea e accondiscendenti con il moderno sound metallaro, il lavoro ha ottenuto oppinioni contrastanti. Anche su questo mi sono ritrovato piuttosto in linea, come avrete potuto leggere dalla mia recensione del lavoro, e nonostante la presenza di comunque ottime tracce come il singolo "Downfall". Una cosa, comunque, era certa: tutti quanti volevamo il ritorno dei cari vecchi Exodus, quelli degli anni '80 o quelli di "Tempo of the Damned". Ricordo che, rivivendo quei momenti di qualche anno fa, anch'io lo desideravo tantissimo. E la voce di Steve Souza tanto mi mancava. Il mondo discografico è strano: a volte non ti da o restituisce mai ciò che cerchi, a volte i tuoi desideri vengono improvvisamente assecondati. Dipende da che parte stai, per la verità: se la maggior parte delle persone la pensano come te, per magia, in un modo o nell'altro, è probabile che alla fine tu finisca per essere accontentato. E' la legge del business, e la legge la dettano in due: le case discografiche e gli ascoltatori. Anche per una band come gli Exodus, purtroppo, che non fa eccezione. Nel 2014 la maggior parte di noi volevamo il ritorno di Steve Souza alla voce. Fui felicissimo della notizia. Avevo adorato "Tempo of the Damned", l'album della band del 2004, quello con cui i californiani tornarono sulle scene dopo anni fra tossicodipendenza e difficoltà. Quanto dunque ascoltai la notizia relativa al ritorno di Souza, subito pensai a quello: che avrei avuto possibilità di ascoltare presto un nuovo album in linea con "Tempo of the Damned". E, come ben sappiamo, prima dell'uscita di un album quasi sempre arriva il singolo, quello che rivela le prime carte del mazzo e comincia a regalarti un'idea sulle caratteristiche del lavoro che poi uscirà. Quello che penso sul brano "Salt The Wound", beh, lo leggerete fra poco conclusa l'introduzione della recensione. Questa la line-up: il leader della band e principale compositore Gary Holt e il gregario di fiducia Lee Altus inamovibili alle due chitarre, Jack Gibson e il grande Tom Hunting ancora al basso e batteria, e appunto dietro al microfono Steve Souza che subentra a Rob Dukes. Ad ogni modo, tornando alla line-up, bisogna sottolineare la presenza di Kirk Hammett alla chitarra in questo brano: in molti ai tempi hanno commentato ironicamente che all'axeman dei Metallica, a quanto pare, mancava suonare in una band Thrash Metal. Ma i Metallica, a dirla tutta, erano tornati già al Thrash con il precedente album "Death Magnetic" del 2008. Ma questa è un'altra storia, tornando a "Salt the Wound": si tratta di un solo brano, inferiore ai 4 minuti e trenta di durata. Il lavoro è rilasciato tramite Nuclear Blast Records, un mese circa prima dell'uscita dell'album completo: eravamo nel settembre 2014. Il singolo, specie su youtube, ottenne subito tantissimi ascolti e visibilità. Il mondo del web è il più vario, ma la maggioranza degli ascoltatori confermavano quanto era nell'aria: la felicità per il ritorno del leggendario vocalist protagonista con la band negli anni della vecchia scuola, con l'eccezione del solo debutto "Bonded By Blood" (R.I.P. Paul Baloff). Steve "Zetro" era tornato. Ed anche in maniera piuttosto improvvisa, considerando le ripetute e precedenti interviste in cui Gary Holt, a più riprese, aveva sottolineato il grande feeling e il rapporto umano instauratosi con Dukes. Che per voi sia per la prima volta, o che "Salt The Wound" l'abbiate già ascoltata, non posso che augurarvi buon ascolto e buona lettura della recensione. E' l'ora di lanciarci.

Salt the Wound

"Salt the Wound" (Salare la ferita) parte in una maniera di quelle inequivocabili: una serie di aggressivi e potenti power chord con tanto di breve lancio di batteria di Tom Hunting. Appena sei secondi d'ascolto ed un riff affilato come una lama ci sta già penetrando attraverso le tempie. Una combinazione di note devastante, qualche breve down picking, e ben presto l'ingresso vocale di Steve: "When I take your flesh and lacerate you", cioè "quando afferro la tua carne e ti lacero" le prime parole, dunque tutto è già un programma. Il brano certo non ci fa perdere tempo, e bastano pochi istanti per farci capire qualcosa di inequivocabile: i grandi Exodus di Steve Souza sono tornati. E sembra beneficiarne tutta la band, che ritrova specie dal punto di vista compositivo tanta brillantezza e tanta attitudine vecchia scuola. Il testo del brano consiste in una continua minaccia rivolta ad un soggetto sgradevole, definito dallo stesso Zetro nel corso del brano un "Giuda" ed un "troll". Un bugiardo seriale, che si maschera dietro le sue falsità e non riesce a non pensare continuamente in maniera subdola. La soluzione può essere una sola: sviscerarlo, condurlo al destino che lui stesso si è creato cancellandolo dalla faccia della Terra. La band attacca poi il semplice ma potente ritornello: i chitarristi si limitano qui a rilasciare qualche power chord intonando quanto cantato dal vocalist, dunque dal punto di vista compositivo tutto si mostra estremamente semplice ma d'effetto. Nel corso del ritornello Zetro ammette di stare ancora pensando a tutto ciò che di spiacevole ha dovuto passare a causa dell'antagonista, dice che nulla ci sarà di paragonabile a ciò che ha subito, ma che ad ogni modo la soluzione sarà la violenza. Il cantante definisce, entrando nel personaggio, la sua vita addirittura "un'esperienza cancerogena", mentre il riff tritacarne della strofa torna a mietere tutto ciò che gli si para innanzi. Proseguendo, il protagonista conferma di sentirsi afflitto da un tumore, che metaforicamente colpisce anche la sua anima. La prima vera variazione musicale avviene concluso il secondo ritornello: gli Exodus ci regalano un riff da "torcicollo", di quelli tortuosi e costruiti su una scala di note devastante. Giungiamo al grande momento dell'assolo: si tratta in questo caso di un duetto fra i due chitarristi alla "Toxic Waltz" maniera, per intenderci. La prima parte dell'assolo è suonata da Kirk Hammett, e per il vero il suo tocco si distingue sin dal primo istante: la composizione è comunque interessante e divertente, molto squillante, così come lo è il più profondo proseguimento suonato da Gary. Non si tratta ad ogni modo di un lungo frangente di duetti chitarristici, il tutto si protrae per trenta secondi circa. L'evoluzione di questo duetto è un letale riff suonato in armonizzazione, che evolvendosi in uno straordinario lancio batteristico di Tom ci conduce all'ultima strofa del brano. Qui Zetro invita a rilassarsi, ovviamente ironicamente, l'antagonista: "quando ti inquieto", dice, "quello che in realtà farò è correggere la tua malattia, stai tranquillo dunque". Si autodefinisce dunque un disinfestatore, un purificatore del male pronto ad adempiere ai suoi doveri. Bellissima la conclusione del brano anche, che ripropone lo spettacolare riff della strofa che si chiude seccamente. Non so voi, ma io questo brano l'ho adorato, e vi dirò di più nella fase conclusiva della recensione.

Conclusioni

La produzione di un lavoro è il primo elemento che salta all'attenzione, e come ben sappiamo è determinante e fondamentale per la godibilità e la percepibilità dell'ascoltatore. Il Thrash Metal, nel corso della sua storia, è stato presentato in maniere differenti: il tipico suono degli anni '80, spesso preferito tutt'oggi, era piuttosto secco con chitarre taglienti e affilate. Io stesso ho amato e non ho mai smesso di amare questo tipo di suono. Il genere, nelle sue vesti più moderne, ha spesso produzioni più "grosse", spaziose e potenti. Spesso si cerca di far conciliare il taglio ottantiano con la "grossezza" contemporanea, cosa non impossibile. Ma è certamente questo il caso di "Salt The Wound": il lavoro svolto è di prima qualità, le chitarre sono devastanti e gli Exodus si presentano come meglio non potrebbero. Questo brano, almeno da me, si è fatto ascoltare e riascoltare senza sosta, e secondo me le aspettative degli amanti degli Exodus vecchia scuola sono state interamente soddisfatte. Certo, esistono ed esisteranno sempre gli individui che si lamentano sempre e comunque, ma per quelli poco si può fare. Anche il contributo di Kirk qui si fa apprezzare, e sebbene molti siano predisposti a criticarlo a priori, la sua parte qui è ben riuscita ed eseguita. Io stesso devo ammettere di non essere un grandissimo amante dei suoi assoli specie dal punto di vista compositivo, ma bisogna essere sempre obiettivi quando necessario. Insomma, l'impatto di Steve Souza è notevolissimo, e non riguarda solamente il comparto vocale: la sua presenza infatti "ritrasforma" tutti gli Exodus intorno a lui, e la band torna a comporre e colorare riff sulla sua voce. Un piacevole ritorno al passato. Era esattamente ciò che desideravo da una band del genere, e non posso fare a meno che giudicare questo brano con un 9,5 su 10 come giudizio. Per tutto: ciò che è e ciò che rappresenta. E, tornando a quanto detto in fase d'apertura di recensione, per una delle poche volte mi ritrovo uniformato alla massa: mi riferisco al fatto che, sempre navigando un po' in rete, pare che davvero in molti abbiano apprezzato questo nuovo / vecchio sound dei californiani. Un quintetto che si è fatto conoscere ed amare suonando in questo modo, ed è tornato alle sue origini. Vi sembrerà retorico o improbabile, ma anche dal punto di vista lirico preferisco di gran lungo i testi, concedetemi questo slang giovanile, "ignoranti" di Steve Souza. Si torna a parlare di guerra, violenza, cibo ai vermi e corpi maciullati, piuttosto che di liriche pagane o continuamente anticristiane che poco avevano a che fare con il Thrash vecchio stampo. Ripeto, sembrerà poco, ma credetemi anche questi sono segni d'attitudine. Dal punto di vista mediatico, questo singolo e il successivo album, rilasciati tramite Nuclear Blast Records, hanno avuto assolutamente l'esposizione che meritavano: "Salt The Wound" dopo quattro anni conta oltre un milione e 200.000 visualizzazioni, numeri notevoli per un genere come il Thrash suonato alla vecchia maniera. Certamente, un accordo con una label del genere aiuta sempre, ma nulla del resto viene da sé. Da sottolineare infine la bellissima serigrafia del disco, con tanto di creature non morte presenti anche nell'artwork dell'album, logo nella parte superiore, e nome del pezzo nella parte inferiore del CD. Sono molto curioso di sapere se questo lavoro è piaciuto anche a voi. Io vi alzo le corna, alla prossima recensione.

1) Salt the Wound
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