EXODUS
Let There Be Blood
2008 - Zaentz
DAVIDE CILLO
16/01/2018
Introduzione Recensione
Correva l'anno 1985, gli Exodus realizzavano un album che sarebbe rimasto nella storia. In pochi ad oggi non hanno sentito parlare di "Bonded By Blood". Paul Baloff, Rick Hunolt, Tom Hunting, Rob McKillop e ovviamente Gary Holt realizzarono quello che ancora ricordiamo come uno dei Thrash Metal album più riusciti e d'impatto di sempre, un album che dal vivo riusciva ad eguagliare se non a superare la straordinaria resa studio. I riff ineguagliabili, la lacerante voce di Paul, il taglio delle chitarre che grattugiavano come trivelle: sono pochi, del resto, gli album meritevoli di essere ritenuti leggendari. E leggendarie sono le band che li realizzano, discorso che certamente include i californiani Exodus. E' chiaro che, realizzare un remake di un disco così, significa solo una cosa: giocare con il fuoco. Giocare con il fuoco vuol dire che se hai successo e ti riesce un incredibile numero da circo, tutti ricorderanno il tuo nome e ricorderanno ciò che hai fatto. Ma se ti bruci, allora andrai incontro alla più tremenda e dolorosa delle morti. Nessuna via di mezzo. Come avrete intuito, la recensione odierna riguarda "Let There Be Blood" del 2008, rivisitazione in studio di "Bonded By Blood". Queste le parole di Gary Holt sulla scelta di realizzare questo lavoro: "dopo tanti anni di discussioni e pianificazioni, abbiamo appena completato la nuova registrazione di "Bonded By Blood". Abbiamo deciso di chiamare il lavoro "Let There Be Blood", ed è il nostro modo di rendere omaggio a Baloff mostrandogli quanto significano per noi queste canzoni che abbiamo scritto insieme. Non stiamo cercando di sostituire l'originale, sarebbe impossibile. Stiamo semplicemente regalando a queste canzoni i benefici delle produzioni moderne. E' qualcosa di cui abbiamo parlato prima della morte di Paul e che per noi è davvero importante. Eravamo super eccitati all'idea di entrare in studio ancora una volta per registrare questi brani classici, e finalmente era giunto il momento!". Parole certamente di rilievo e che esprimevano un grande entusiasmo, come nobile è rendere omaggio ad un grande gregario e cantante scomparso. La sostanza però non cambia, e noi recensori siamo qui come sempre a svolgere il nostro lavoro: valutare i pregi e i difetti. L'eredità di Paul Baloff la raccoglie Rob Dukes, vocalist che abbiamo già descritto come moderno, e questo rappresenta il primo fattore sul quale porre l'accento e la giusta attenzione. La produzione senza dubbio sarà un altro fattore chiave. L'atmosfera, l'attitudine, l'incisività dell'originale difficilmente sarà eguagliabile, ma questa coraggiosa impresa degli Exodus merita un onesto giudizio, anche come forma di rispetto verso il lavoro e verso le parole di Gary. Nonostante ciò, e sarebbe da falsi negarlo, un po' di scetticismo non può non esserci, considerando l'evoluzione di sound degli Exodus ascoltata fra il 2005 con "Shovel Headed Kill Machine" e il 2007 con "The Atrocity Exhibition: Exhibit A", un'evoluzione certamente poco adatta ai lavori delle origini. Se la cosa suonerà bene, al contrario, avremmo una seconda veste altrettanto valida di uno degli album più grandi della storia dell'universo Heavy Metal: mica poco! Da sottolineare, per concludere questa introduzione, la presenza di una decima traccia che gli Exodus già suonavano negli anni delle loro origini: si tratta di "Hell's Breath", assente in "Bonded By Blood". Dunque, per il lavoro protagonista della recensione odierna, ovvero "Let There Be Blood" del 2008, ascolteremo un totale di 10 canzoni, per una durata complessiva di poco superiore ai 45 minuti di ascolto. Come sempre, al termine della nostra analisi track by track, faremo considerazioni generali con un paio di righe dedicate anche all'artwork. Ricchi di curiosità ci lanciamo dunque nel pieno delle bordate sonore di questo lavoro, buon ascolto a tutti!
Bonded by Blood
Si inizia, già lo saprete, con la leggendaria "Bonded By Blood" (Legati dal sangue). La chitarra è accordata più bassa, la produzione è moderna e ben presto debutta la voce di Rob Dukes. L'impatto devo purtroppo dire che è tremendo, inferiore ad ogni mia aspettativa. Il suono è plasticoso, la chitarra senza la classica accordatura in MI ha un decimo dell'impatto, manca la "grattugia" delle plettrate, quasi non sembra la stessa canzone. Rob, inoltre, se ci aveva regalato prestazioni decisamente poco interessanti ma comunque sufficienti in lavori come l'album "Shovel Headed Kill Machine", su queste canzoni vecchia scuola rende decisamente peggio e la sua voce si mostra estremamente generica e neanche lontanamente paragonabile a quella dello storico vocalist Baloff: ascoltarlo in questi brani anni '80 mi sembra come se si trovasse a giocare in trasferta con 60.000 tifosi che gli urlano "buuuu" appena tocca il pallone. Per quanto riguarda le parti di assolo, anche se mancano della grinta e dell'energia dell'album originale, quantomeno può sussistere un paragone. La produzione moderna, infatti, regala un aspetto di "corposità" interessante rispetto all'album originale e dunque interessante da ascoltare. Per quanto riguarda questo primo brano, un aspetto positivo c'è: la band lascia il tempo della canzone quasi del tutto inalterato, e non per essere reazionario ma visto quelli che sono per ora i risultati meglio sperare che cambi il meno possibile. Venendo alle liriche della canzone, molti di voi le conosceranno, ma è giusto citarle comunque. "Bonded By Blood" è un autentico inno del Metal, un inno che unisce nel sangue tutti gli amanti della vecchia scuola che sbattendo la testa e dimenandosi nel pogo si "timbrano" di amore e di fedeltà verso il genere che amano. Il sangue presente sul palco è lo stesso che unisce gli amanti del Thrash e della vecchia scuola: un sangue genuino, un sangue da uomini, un sangue che è significato di fratellanza. Quella "voglia di uccidere" descritta nel testo, trasmessa dalla musica, è sinonimo di pura violenza, di pura estasi della chitarra e di puro delirio sonoro: siamo tutti legati dal sangue.
Exodus
Ed eccoci al secondo pezzo omonimo della band, ovvero "Exodus" (Esodo). Lo storico riff qui lo ascoltiamo in una chiave totalmente differente, e il suo suono più grave ci dà da riflettere nel momento in cui ci porta alla ricerca di un qualche aspetto positivo. Essendo un brano con un maggior "groove" e con un approccio un tantino più cadenzato è differente il risultato che, pur se negativo, è meno disastroso rispetto a quello ascoltato nel brano d'apertura. L'aspetto peggiore senza dubbio emerge quando gli alternate picking delle due chitarre sono del tutto ammorbiditi, come se si prendesse una trivella e invece che batterla contro il cemento la si utilizzasse contro un cuscino. Questa è in generale la sensazione che mi lascia questa produzione, una produzione che davvero non mi lascia scatenare in alcun modo. A soffrire di questa "moderna veste" sono le parti di questa canzone in cui le plettrate di chitarra divengono più acute, nell'evoluzione del riff principale in assoluto più apprezzabile nella versione originale. Provate anche voi ad ascoltarla mentre leggete le mie parole, non vi sembra che in quei momenti il brano sia come "appiattito", "assopito", "debole", come se avesse l'influenza? La voce di Rob riesce meglio nei frangenti più urlati, quelli in cui il buon vecchio Paul si sgolava alla grande, mentre nei frangenti più cantati nel senso proprio del termine emergono tutti i limiti di un vocalist con un'impostazione moderna e poco versatile. Anche qui gli assoli sono l'elemento che soffre meno della recente produzione, con il duetto fra le chitarre che rimane ad ogni modo ascoltabile. Per quanto riguarda il testo, qui la band ci narra di una sorta di "squadrone della morte", un esercito di metallari vecchia scuola pronto a seminare il panico e a portare la distruzione. Ed è in questo scenario di delirio e devastazione che anche l'odore di cadaveri sanguinanti diviene piacevole, che una pugnalata alle spalle diviene sinonimo di delirio, che le chitarre ci relegano ad una parallela dimensione sopraffatta dalla cara bella vecchia scuola e dal suo appuntito anticonformismo. L'accento provocatorio degli Exodus delle origini, lo leggiamo come non mai in questo testo, un testo che rispecchia tutto ciò che il buon caro Thrash dev'essere. Peccato averlo ascoltato con l'influenza.
And Then There Were None
Ed eccoci alla terza, storica, "And Then There Were None" (E poi non restò nessuno), un brano che ai suoi tempi fu comprensibilmente amatissimo grazie alle sue straordinarie ritmiche. Un brano che a livello di tempo è più riflessivo rispetto a "Bonded By Blood" ed "Exodus", riflessivo nel senso meno martellante. E questo tipo di brano, si sa, è preferibile per produzioni moderne. Non è questo il caso. Anche il riff portante di questa canzone risponde male alle scelte prese in fase di produzione, ma è un qualcosa che davvero passa in secondo piano rispetto al vero grande problema: la voce di Rob Dukes. Qui abbandona in determinati momenti del tutto il suo stile in screaming, adottando un cantato raschiato ma naturale come quello di Paul e dunque quello spesso utilizzato nel Thrash vecchia scuola in generale. Quanto fatto da Rob in questi momenti è, concedetemi il termine, imbarazzante. A volte sembra persino di ascoltare un cantante stonato. Emergono i classici limiti del vocalist che sa "screammare" ma non cantare, e credetemi non è una cosa carina. Del resto l'abbiamo già detto qui, ripetuto nelle recensioni degli ultimi due album, Rob Dukes è adatto ai brani moderni. Se la chitarra solista è ancora una volta quella con una resa migliore, le "scariche" di alternate picking che sono alla base di questo brano invece non hanno ancora una volta il giusto impatto. Vi sembrerà bizzarro, ma persino i cori di voce del classico e storico ritornello rendono molto peggio con l'accordatura più grave. Non è questa una questione di abitudine, ma ahimè solo la realtà. Nel suo testo il brano ci narra dell'arrivo dell'Apocalisse, un Apocalisse che consiste in guerra, morte e distruzione. La band, in particolare, sembra raccontarci a tutti gli effetti dell'arrivo di Satana sulla Terra. Carri armati, bombe nucleari, omicidi spietati, e Dio che piange per tutto ciò che avviene sul nostro pianeta. La guerra, cantano i ragazzi, purtroppo è arrivata, e non vi è salvezza alcuna. L'unica consapevolezza per la specie umana è quella che, mentre il peccato sta distruggendo la Terra, la morte sta giungendo come una letale minaccia verso tutti i suoi abitanti. Senza distinzione alcuna.
A Lesson in Violence
Si continua con un brano, l'ennesimo, leggendario: eccoci signori all'ascolto di "A Lesson In Violence" (Una lezione nella violenza). Le raffiche di alternate picking del riff portante e il rivestimento moderno della strofa qui ci presentano una parte con una veste differente e per questo almeno interessante. Con quest'accordatura il brano, suono moderno a parte, sembra per alcuni aspetti più vicino allo Speed Metal in senso stretto. Rob Dukes si attiene su uno stile vocale urlato e aggressivo, fortunatamente, e anche la parte di chitarra solista è in qualche modo preservata. Dunque questo quarto brano è forse il meno devastato dalle moderne sonorità, sebbene emerga qui un nuovo e inatteso limite della produzione, un limite storicamente sconosciuto ad una band come gli Exodus: si parla del suono della batteria. In un brano martellante come "A Lesson In Violence" in particolar modo il suono e l'impatto dati dal rullante sono decisivi, e invece qui le percussioni appaiono per certi versi un po' sgonfie, senza quella verve necessaria. Una sensazione, questa, che già mi ero portato dentro nei brani precedenti, ma che in frangenti più rapidi diviene particolarmente evidente. Venendo alla principale differenza con l'originale, l'assolo di chitarra è nella sua parte conclusiva rivisitato con una melodia armonizzata che salta in primo piano. Per me questo non è un aspetto negativo, anzi qualche differenza sensibile e ben attuata sarebbe potuta essere un elemento a favore di questo lavoro, un lavoro purtroppo del tutto deludente per i motivi che stiamo spiegando e che ancora spiegheremo. Veniamo però alle liriche di questa traccia: in "A Lesson In Violence" il vocalist impersona il diavolo a tutti gli effetti, sostenendo di portare piacere nel provocare la morte e nel guardare le persone soffrire. Con tono minaccioso dunque, prima Paul e ora Rob, sostengono che bisogna combattere per ciò che si ritiene giusto, per i propri valori e per le proprie battaglie. La battaglia del demonio nella fattispecie, e questo tutti lo sappiamo, è quella di seminare tormento e disperazione. A più riprese il testo sostiene che si proverà gioia per le urla delle vittime disperate, e si trarrà forza da tutto ciò che di negativo vi è nel mondo.
Metal Command
Eccoci alla quinta: si tratta ovviamente di "Metal Command" (Comando Metal). Vi anticipo che ascoltare la resa di questo brano sarà importante, dal momento che questo possiede tempi particolari e scariche di alternate piuttosto intense. Inoltre, non userò ancora una volta l'aggettivo "leggendario", ma sapete benissimo anche voi quanto questo sia un altro dei brani rappresentativi di "Bonded By Blood". Dunque, caliamoci nell'ascolto! Il riff principale, quello con rapide plettrate e power chord, anche se non lontanamente paragonabile in quanto a godibilità rispetto all'originale, si preserva meglio rispetto alle ritmiche dei brani precedenti. Non sarebbe neanche male, ma rimane quella sensazione "ovattata" del suono, che specialmente durante i power chord emerge in maniera evidentissima. Questi sembrano quasi ammorbiditi, meglio le plettrate che rimangono comunque irritantemente "plasticose", per utilizzare un termine non esistente nel nostro vocabolario. Ancora una volta è l'assolo a rispondere meglio alle moderne scelte di produzione, mentre Rob si mostra nuovamente non convincente. Aspetto positivo: la canzone si mantiene esattamente sui tempi del brano originale e, attenendosi in questo aspetto alla lettera, si mostra tempisticamente convincente. Qualche differenza sottile di approccio la ritroviamo al contrario durante gli assoli, ma questo è un aspetto inevitabile e non necessariamente negativo. Complessivamente direi che questa traccia ha in ogni caso risposto meglio rispetto alle precedenti, ma resta comunque il fatto che non ha senso ascoltare un remake così mediocre di un album storico. Aspetto, questo, sul quale ci soffermeremo durante la conclusione della recensione. Veniamo però alle liriche! Il brano è a tutti gli effetti un "inno del metal", come piace definire a me questo tipo di testi. E' il pubblico ad essere qui protagonista, mentre ascolta il muro di suono innalzato dalle chitarre, l'energia che asseconda i propri desideri, la potenza tagliente che porta la testa a sbattere su e giù, e mentre si cimenta in un pogo ricco di entusiasmo e all'insegna del divertimento. Nella parte conclusiva delle lyrics, tuttavia, si accenna alla cosiddetta "battaglia per il metal", minacciando coloro che non comprendono questo tipo di sonorità vivendo in maniera stereotipata e secondo le imposizioni della società. Per loro c'è solo l'esecuzione!
Piranha
Giungiamo ora ad uno dei miei brani preferiti in assoluto, una canzone che da anni adoro e probabilmente mai smetterò di adorare: si tratta di "Piranha". Il riff principale del brano mi lascia davvero la sensazione di un Piranha che azzanna la sua preda, è qualcosa di indescrivibile. Sono tanti i riff geniali dell'indimenticabile "Bonded By Blood", ma quello di questo brano senza dubbio rientra fra le mie preferenze, pur se in buona compagnia. Devo dunque ammettere che mi è davvero difficile ascoltare il brano in questa nuova e oggettivamente peggiore veste, ma dovendo essere oggettivi il riff di questa canzone come per "Metal Command" si adatta ad ogni modo meglio dei primi brani. A livello di produzione, potremmo dire che lo storico riff di questa sesta traccia sembra in qualche modo in maniera paragonabile al sound di album come "The Antichrist" dei tedeschi Destruction, pur se con le dovute differenze. Rob Dukes qui sceglie di attenersi in tutto per tutto ad uno stile in scream e caratteristico del metal estremo, e sapete che vi dico? Perdere per perdere preferisco così, almeno canta con un approccio per cui è più portato. Imitare Paul Baloff, come ascoltato nelle prime canzoni, può portare risultati imbarazzanti. Comunque, se il riff principale in questa moderna produzione riesce a mantenersi incisivo e diretto, la parte centrale della traccia al contrario perde parecchio, specie in seguito alla più grave accordatura. Determinate parti sono state composte e pensate in MI, ed obiettivamente rendono male diversamente: a dirla tutta, mai in questo disco abbiamo ascoltato riff che in RE rendono meglio. Per quanto riguarda le liriche, il brano si richiama alla pellicola trash Piranha del 1978, filmone che in chiave diciamo parodica riprendeva il famoso film di Spielber "Lo Squalo" del '75. Gli Exodus ci raccontano di un pesce assassino dalle fameliche fauci, proveniente direttamente dall'inferno e pronto a squartare la sua preda. Il Piranha viene dunque descritto come un animale generato da Satana, un animale che non lascia nulla alla vittima se non le ossa e qualche rimasuglio di carne squartata. Una morte ricca di agonia, come canta lo stesso vocalist, e se ti imbatti in un banco di Piranha non c'è nulla che può salvarti.
No Love
Siamo alla settima "No Love" (Nessun amore), brano che come nella versione originale è introdotto da una bizzarra e melodica parte di chitarra acustica. Il titolo di questa canzone è già estremamente esplicito, e può già farci comprendere di che tipo saranno le liriche. La band infatti durante questa traccia descrive un rituale satanico all'insegna del dolore e della morte. Nessun amore, appunto. E' Satana stesso il protagonista, in quanto come un malvagio orchestratore conduce le anime dei più deboli a spargere sangue e violenza, assecondando una sorta di sete assassina di coloro che battono le strade più buie e pericolose. Vi sconsiglio di imboccare stretti e oscuri vicoli, dunque. Sarebbe tutta via sbagliato sostenere che in questo pezzo non vi è alcuna forma di amore. Viene infatti descritto un appassionato amore per l'oscurità, per la malvagità e per il satanismo, amore per cui si è giustificati a sacrificare i personaggi malcapitati. Chi ha detto che l'inferno è solo quello che si incontra dopo la morte? L'inferno, purtroppo, può anche essere in Terra. Venendo alla parte strettamente strumentale del pezzo, se l'introduzione melodica è profonda e ben valorizzata, il successivo e cadenzato riff rende comunque piuttosto bene. E' al contrario estremamente irritante il moderno approccio di canto di Rob Dukes su questo pezzo, oserei dire ridicolo durante i frangenti più cantati del ritornello. Tremenda inoltre la scelta di rallentare il pezzo in maniera così estrema, pezzo che a tutti gli effetti abbandona la sua classica sonorità Thrash Metal a scapito di un più moderno stile Groove/Death che davvero snatura il senso del brano. L'assolo rimane piuttosto rapido, e la parte conclusiva diviene in questa diversa accordatura di suono strano e davvero non all'altezza, manca quella verve e quell'impatto che rendevano questa traccia un grande episodio. Fra tutti i brani "No Love" è certamente uno di quelli che ci ha perso di più, sembra davvero un pezzo non meritevole di esistenza e non posso che chiedermi, da loro fan, che cosa sia saltato in mente agli Exodus quando hanno preso queste scelte. Stimo molto artisti come Mille Petrozza dei Kreator, artisti che con i loro alti e bassi hanno sempre mostrato una cosa: di non voler scendere a compromessi.
Deliver Us to Evil
Siamo al grande momento di "Deliver Us To Evil" (Consegnateci al Male), una delle canzoni più conosciute e a buon ragione amate di "Bonded By Blood", ma anche una di quelle più lunghe ed impegnative. Sarà importantissimo capire come i moderni Exodus avranno deciso di interpretare questa traccia, dunque non ci resta che stare a dita incrociate e via sul tasto "play". Mi basta un secondo per non avere alcun dubbio: se "Metal Command" e "Piranha" erano state in queste moderne vesti le meno peggio, con "Deliver Us To Evil" davvero raschiamo il fondo. La traccia innanzitutto è rallentata, nella fattispecie si tratta di un rallentamento assolutamente inopportuno e che fa perdere il 90% del carisma a questo leggendario brano. Ci teniamo a precisare che una delle grandi caratteristiche e qualità di "Bonded By Blood" fosse il fatto che non era assolutamente veloce, neanche per l'epoca, ma devastante con i suoi tempi medi e i suoi riff pieni di taglio e di gusto. Questi rallentamenti hanno una razionalità, non è che non ce l'hanno: gli Exodus vogliono sfruttare il maggior groove, l'accordatura più grave e la vocalità più estrema di Rob. E' il risultato che è tremendo. Il motivo è semplice, ed emerge in maniera chiara più che mai durante i riff mid-tempo di questo brano: non sono queste le caratteristiche di "Bonded By Blood". Semplicemente no. Inoltre, anche nel riff accelerato pre-assolo, emerge chiaramente il suono "ovattato" di cui ho già accennato, davvero un aspetto difettoso di questa produzione anche all'interno del suo genere e anche all'esterno delle nostre negative considerazioni sulla resa su questi brani. Anche gli assoli, che erano stati l'aspetto più salvabile dei precedenti brani, qui invece sono al limite dell'irroconoscibile. Meglio lasciar perdere la musica allora e parlare del testo di questa canzone: gli Exodus non abbandonano le tematiche sataniche, in cui non si identificano, ma che sfruttano per trasmettere nel migliore dei modi la brutalità e il senso diretto dei pezzi. In "Deliver Us To Evil" il protagonista prega il suo signore, che è Satana. Il demonio ha l'obiettivo di condurre la Terra alla totale devastazione, e questo fine viene perseguito con una semplice strategia: portare il nostro pianeta ad essere popolato da non morti. La tentazione, la blasfemia e il tormento sono gli strumenti adoperati dal signore del male per soggiogare la specie umana. Nel brano gli Exodus cantano anche le parole "There is No Love", che efficacemente si collegano al brano precedente in quello che suona come un malvagio e apocalittico concept. Dispiace solo aver sentito "Deliver Us To Evil", brano unico al mondo, combinato in questa maniera.
Strike of the Beast
Siamo giunti signori a "Strike of the Beast" (Il Colpo della Bestia), la traccia conclusiva di "Bonded By Blood" il cui riff principale è rimasto e sempre rimarrà indimenticato. Tramite questa produzione, la canzone diviene a tutti gli effetti un brano orientato verso il Thrash/Death Metal, quindi stilisticamente differente dalla versione originale. Ad ogni modo, guardando il lato positivo, qui il cantato di Rob Dukes ben si adatta, anche grazie allo stile già estremo adottato da Baloff all'epoca nel canto di questo brano. Se da un lato la produzione ha in senso generale i suoi limiti, evidenti anche qui, dall'altro "Strike of the Beast", specie durante i suoi martellanti riff di metà brano, è uno dei brani che rende meglio con questo sound più estremo. Lo dico ancora una volta, giusto per essere chiari: comunque nulla di lontanamente paragonabile rispetto all'originale. Mi fa piacere comunque che il vocalist Dukes abbia trovato un brano più adatto al suo stile canoro, perché nei momenti più cantati e meno urlati la sua prestazione aveva fortemente lasciato a desiderare. Un altro aspetto che emerge in "Strike of the Beast", che come ben sapete possiede tempi martellanti, è il suono della batteria. Anche qui la nostra sensazione che il rullante non sia abbastanza esplosivo e d'impatto viene purtroppo confermata. Per il resto, bisogna apprezzare che gli Exodus si siano attenuti alla versione originale della traccia, senza moderne rivisitazioni che in brani come "Deliver Us To Evil" ci avevano seriamente lasciato con l'amaro in bocca. Durante le liriche il protagonista vaga per buie strade di una città senza nome e, sentendo passi e un ruggito alle sue spalle, si dimena cercando di fuggire. Sfortunatamente, i passi alle sue spalle divengono invece sempre più forti: è la Bestia in persona che lo sta cacciando. E la Bestia, ahimé, non molla, almeno fino a quando i suoi artigli non saranno conficcati nella tua carne grondante sangue. Come una trivella trapassa il cemento, come un laser seziona in due, come un coltello da macelleria trapassa la carne, la Bestia non lascerà nulla della sua vittima: del resto, come si sol dire, "del pollo non si butta nulla". Nella parte conclusiva si parla di un secondo attacco, o forse è lo stesso: un attacco fatale, e che non lascerà scampo alcuno allo sfortunato protagonista, che non potrà che assistere alla sua morte e realizzare ciò che sta succedendo.
Hell's Breath
Siamo a "Hell's Breath" (Respiro dell'inferno), traccia classica già suonata dagli Exodus, assente in "Bonded By Blood", ma qui riproposta. Il brano possiede caratteristiche molto differenti rispetto a quelli presenti nello stesso album di debutto, suonando più Heavy e classico e certamente meno Thrash Metal. La canzone intona una godibile melodia, magari non così ricca di impatto, ma ad ogni modo apprezzabilissima e musicale. Certamente, anche grazie al fatto che non l'abbiamo mai ascoltata in "Bonded By Blood", riusciamo ad apprezzarla più dei brani storici. Brano di durata certamente breve e inferiore ai tre minuti di ascolto, si contraddistingue per un riff piuttosto semplice e con alternate picking piuttosto rapido e melodico. La canzone tuttavia è come divisa in due parti ben distinte: nella seconda la band decide di sfrecciare in velocità, con un riff comunque non Thrash Metal in senso stretto ma che introduce una serie di assoli di chitarra pieni, musicali, e ben congiunti. Le ritmiche rimangono tuttavia molto basilari, anche durante l'ultima parte in cui il cantante intona una serie di "sentenze", se mi concedete questo termine, con un ritmo di influenza HC californiano. In molti di questo già problematico "Let There Be Blood" hanno criticato la presenza di questa traccia, che personalmente a me non dà alcun fastidio, anzi ci sta che gli Exodus abbiano deciso di registrare una loro vecchia canzone. A dirla tutta, dovendo scegliere, preferisco senza dubbio questa registrazione di "Hell's Breath" all'intero album a cui non riesco a dare da ascoltatore un senso. Comunque, questa breve canzone era la conclusiva, analizziamone le liriche. Nella breve parte testuale il cantante sembra riprendere in tutto e per tutto le lyrics ascoltate in "Strike of the Beast": in una strada buia, le due vittime scorgono un sanguinoso sguardo demoniaco, cominciando a dimenarsi e a correre. Ben presto, tuttavia, si rendono conto che non vi è un luogo dove nascondersi, un luogo dove scappare, finché il demoniaco alito di Satana soffia su di loro. Il panico è totale, le urla di disperazione non portano a nulla, e il viso delle due vittime viene squarciato e riempito di sangue in quello che è un brutale assassinio. Invece no: Satana lascerà in vita i due sfortunati per schiavizzarli, cosa senza dubbio anche peggiore, e relegarli a infinite sofferenze finché davvero non giungerà il giorno del loro decesso.
Conclusioni
E' possibile comprendere perché gli Exodus abbiano deciso di riprodurre queste canzoni, è evidente anche dalle parole di Gary Holt da noi raccontate durante la parte introduttiva della recensione. Ma, come ogni cosa, è necessario essere oggettivi e giudicare ciò che ci si trova davanti: questo "Let There Be Blood" è un lavoro che, preso per così com'è, è di un'inutilità colossale. Addirittura dannoso, forse. Quando ci si trova dinanzi un lavoro così gravemente insufficiente o mediocre, si può comunque sostenere che l'artista abbia cercato di fare qualcosa di nuovo, come può essere per il caso di un "Super Collider" dei Megadeth, che nessuno di noi ha interpretato come una volontà di commercializzarsi. Questo lavoro non possiede neanche questo: si tratta semplicemente di vecchie leggendarie canzoni riproposte e ahimé del tutto rovinate, ed è per questo che per me "Let There Be Blood" si pone in un gradino ancora inferiore, proprio per questa sua componente di prorompente inutilità. Spero abbiate percepito la nostra buona fede nel partire senza pregiudizio alcuno. Innanzitutto, l'aspetto fra tutti più negativo di questo remake album del 2008, sta nella produzione: in primis perché inadeguata ad esprimere i brani di "Bonded By Blood", in secondo luogo perché possiede numerosi difetti anche se paragonate ad altre produzioni moderne. L'aspetto più negativo è quella leggera sensazione di "ovatta", di "cuscino", come se ci fosse qualcosa che ammorbidisce il taglio delle canzoni rinchiudendole in una specie di chiusa soft cell, cioè le camere con pareti soffici dove vengono rinchiusi i soggetti con pericolosi problemi mentali. A questo bisogna aggiungere un altro spiacevole fattore, quello dell'accordatura in RE, che davvero devasta brani nati, concepiti e entrati nella storia con accordatura in MI. Non fraintendetemi, anche nel Metal ci sono tante canzoni nate in MI ma che in RE rendono bene. Si tratta invece qui di uno sfortunato mix fra le caratteristiche dei diretti brani di "Bonded By Blood" e la produzione insufficiente. La cosa probabilmente più inattesa è che questi difetti coinvolgono anche la batteria, storicamente devastante ed esplosiva negli album degli Exodus, anche quelli con produzioni meno convincenti: un aspetto dunque senza precedenti e che bisogna prendere in considerazione. Al fianco del problema dell'accordatura io pongo quello relativo alla voce: Paul Baloff, così come Steve Souza, sono cantanti a tutto tondo, con un grande carisma e distinguibili alla prima nota. Rob Dukes è uno "screamer" come piace chiamarli a me, un vocalist che sa ben cantare su parti estreme ma che è difficile distinguere da altri del suo genere. Molti di questi cantanti purtroppo hanno un grave limite: quando devono smettere di urlare e cominciare a cantare, emergono tutti i loro difetti di tonalità e impostazione. Questo, mi spiace dirlo, ma è anche il caso di Rob Dukes, che nei brani dalla vocalità "meno estrema" diviene quasi imbarazzante, e dunque neanche paragonabile rispetto a Baloff. A qualcuno potranno sembrare esagerate le parole che definiscono questo disco "addirittura dannoso", parole che ho scritto durante l'apertura della conclusione. Ma pensiamoci bene: un giovane ragazzo che si approccia al Thrash Metal, vogliamo che si approcci con "Bonded By Blood" o con "Let There Be Blood"? I ragazzi suonano quello che ascoltano, ricordiamocelo: quale dei due vogliamo che un futuro musicista prenda dunque in considerazione? Provo tristezza quando ascolto un genere musicale strabiliante e "tutto d'un pezzo" come il Thrash vecchia scuola snaturato, estremizzato o ammorbidito, modernizzato, o "plastificato". Parlo nuovamente di plastica perché in "Let There Be Blood" le chitarre non grattugiano nemmeno un po': si è ascoltata la potenza, la pomposità del suono, ma manca il cavolo del taglio, la grattugia, l'incisività. Erano queste le caratteristiche che rendevano "Bonded By Blood" un grande disco, spero che su questo siate d'accordo con me. Sul voto personalmente ero indeciso fra un 3 e un 4 e lo sono stato fino a poco fa, ma considerando che il risultato gravemente insufficiente e quello che questo disco rappresentano non porta comunque ad un ascolto aberrante, ho scelto di optare per un più moderato 4. Come di consueto, non possiamo concludere la recensione citando l'artwork, che possiamo dire certamente coerente con ciò che il disco è. Il disegno infatti è una brutta modernizzazione di quello originale di "Bonded By Blood", con l'angioletto e il diavoletto uniti e realizzati con un disegno in 3D. Non che il disegno originale, aldilà di quanto gli siamo affezionati, fosse questo capolavoro, ma questa versione è decisamente peggio. Che dire, fateci sapere le vostre impressioni e sensazioni, noi vi salutiamo. Ci aggiorniamo alla prossima recensione!
2) Exodus
3) And Then There Were None
4) A Lesson in Violence
5) Metal Command
6) Piranha
7) No Love
8) Deliver Us to Evil
9) Strike of the Beast
10) Hell's Breath