EXODUS
Lessons In Violence
1992 - Relativity Records
LORENZO MORTAI
12/01/2018
Introduzione Recensione
Quando si pensa al Thrash Metal, spesso e volentieri il pensiero comune ricade sui cosiddetti Big 4, i gruppi che, all'inizio degli anni '80, hanno dato vita al movimento. Metallica, Megadeth, Slayer ed Anthrax, quattro realtà che, nel bene e nel male, hanno superato i confini del tempo, arrivando fino a noi senza alcun problema, almeno nella maggior parte dei casi. Parallelamente però, per il vero thrasher incallito che passa le sue nottate a studiare e catalogare bands come se non ci fosse un domani, questo genere musicale significa molto di più. Thrash Metal non significa solo Big 4, l'esatto contrario, significa Angel Dust, Watchtower, Testament, Toxik, e molte altre centinaia di gruppi che in alcuni casi sono davvero misconosciuti, ma che riescono a soddisfare i vari tipi di palato. Ciò che è interessante infatti di questo particolare sottogenere del Metal, è stata la sua capacità di divenire nel corso del tempo vero e proprio ago della bilancia sotto moltissimi aspetti, avendo la netta possibilità di poter essere plasmato sotto ogni singolo aspetto, anche il più semplice o il più particolare. Quindi accanto a gruppi classici come quelli sopracitati, ne ritroviamo moltissimi altri che hanno preferito dare pane ad altrettante sfumature, alle volte inventando veri e propri generi (si pensi ad esempio agli Exhorder ed alla nascita del Groove), mentre in moltissime altre prendendo spunto dai padri fondatori, e portando il livello musicale completamente su un altro pianeta. A metà strada del nostro ragionamento, troviamo gli Exodus; la band di Gary Holt e Steve Souza, rea fra le molte cose di aver dato i natali (musicali) al riccioluto Kirk Hammet prima del suo ingresso nei Metallica, è sempre stata considerata un gradino al di sotto dei Big 4 (come è accaduto per i Testament e gli Overkill), ma parallelamente alla considerazione generale, questo gruppo ha saputo decisamente dare il suo contributo alla causa. Comparsi in realtà sulle scene americane anche prima del Metallica (nel 1979 ufficialmente), gli Exodus hanno però dovuto aspettare molti più anni per il loro disco di esordio ufficiale, quel piccolo grande capolavoro del 1985 che risponde al nome di Bonded By Blood. Prima di esso la band aveva pubblicato solamente una manciata di demo, e con l'uscita di Hammet era rimasta in silenzio per moltissimo tempo, salvo poi rimettersi in carreggiata e donare al mondo dischi memorabili. Eppure nonostante questo, gli Exodus hanno sempre dovuto mangiare chili di polvere per arrivare dove sono adesso, ovvero nell'Olimpo dorato del Thrash Metal. Questo perché il pubblico, forse per abitudine, forse per cupidigia, quando entrarono ufficialmente nel giro della musica, li additarono subito come "fotocopia", delle band che erano comparse solo 3 anni prima della loro venuta. In questo modo il loro sentimento è sempre stato schiacciato, ma la band ha costantemente saputo rinnovarsi, di anno in anno, anche dopo la dipartita del loro primo frontman, Paul Bahloff, e la conseguente scelta di Souza, hanno sempre saputo salire la china con le unghie e con i denti, senza mai arrendersi né tantomeno dichiarare fallimento. Il disco che andremo a presentare oggi, più che un album nel senso crudo del termine, è una raccolta, una raccolta di calci, sangue e denti sputati dalle gengive, uscita ormai nel 1992. Due anni prima la band se ne era uscita con un album che, per quanto avesse incontrato abbastanza favore da parte del pubblico, da molti fu malamente stroncato, parliamo di Impact Is Imminent. Successivamente invece gli Exodus toccheranno quello che forse è l'unico punto basso della loro carriera (almeno in opinione di chi vi scrive), pubblicato Force Of Habit. Al di là di questo, nel 1992 gli Exodus erano sotto contratto tramite Combat Records, e fu proprio la casa discografica (che nel corso degli anni ha pubblicato probabilmente la più grande raccolta di Thrash Metal esistente, assieme ad altre label come Shrapnel, Noise, Roadrunner ed ovviamente Under One Flag) che decise di ingolosire i fan pubblicando una raccolta, oggetto della disamina odierna, ma rivolgendosi alla Relativity Records, altra label collegata alla Combat Stessa, come accade per UOF e Metal Blade. Dal titolo evocativo, che richiama in parte la traccia numero quattro di Bonded By Blood, Lessons In Violence, questa raccolta sarà poi seguita da una successiva, uscita però nel 1997 ed intitolata Another Lesson In Violence, e fu preceduta da un'altra nel 1991 intitolata proprio A Lesson In Violence. Pubblicata in edizione limitata (e considerando che vendette molto poco, parliamo di qualche migliaio di copie, è divenuto un vero e proprio pezzo da collezione per i diggers di mezzo mondo, una rara perla della discografia della band, al pari delle primissime demo del gruppo stesso) in formato CD e vinile a 12 pollici la raccolta contiene materiale tratto da due periodi distinti della band. Abbiamo infatti tracce estrapolate da Bonded By Blood, ed altrettante invece tratte da Fabulous Disaster. Nel disco dunque sentiremo la voce di entrambi i cantanti, uno dei quali si cimenterà anche in una cover, ma ne parleremo in seguito. Sarà un ottimo modo per fare un sano confronto fra due figure leggendarie, una delle quali purtroppo scomparsa. Tuffiamoci dunque in questa raccolta, certi di non rimanerne assolutamente delusi.
Bonded By Blood
L'apertura del disco è affidata ad un anthem della band, Bonded By Blood (Legati dal Sangue). La canzone era originariamente stata scritta da Gary Holt e Paul Bahloff, inclusa ovviamente come title track nel primo, mitico disco del 1985. Come sappiamo la canzone inizia con un piccolo momento dal sapore ambient quasi, rumori di fondo che creano un magico tappeto di atmosfera, successivamente poi le ritmiche Speed iniziano a partire in tutta la loro potenza, la sei corde inizia ad inanellare riff come se non ci fosse un domani, concatenando assieme all'altra chitarra combo una dietro l'altra, duellando fra loro come antichi guerrieri. La parte ritmica da il meglio di sè, i lividi sulle sue pelli si faranno sentire, ma il ritmo di fondo che riesce a creare è davvero unico. La voce di Bahloff la conosciamo bene; essa è nerboruta, violenta e nervosa, non si lancia mai in acuti (tranne in rare occasioni), ma riesce a sfoderare una violenza durante la performance che lascia tutti senza fiato (i due seguenti cantanti che si sono succeduti alla loro corte non sono mai arrivati a tanto), si ha quasi l'impressione di sentir qualcuno che urla nel cuore della notte, una voce strozzata dal dolore, come se qualcuno stesse realmente soffrendo in tutto e per tutto, facendoci svegliare di soprassalto. In tutto questo, non dimentichiamoci del buon Gary Holt, vera spina dorsale (ancora oggi) della band; Holt imbraccia la sua chitarra con fare da guerriero, c'è ben poco da dire. Il suo stile richiama molto sia l'Hardcore della prima ondata (Black Flag, Bad Brains, ma anche formazioni molto meno conosciute come i Minor Threat), sia lo Speed ottantiano prima maniera, sporcando il proprio sound al massimo delle sue possibilità; naturale pensare come il buon Holt alla fine sia stato chiamato da un gigante come l'aquila imperiale degli Slayer per sostituire il compianto Hanneman, e sappiamo bene quanto la band di Araya sia poco avvezza ai cambiamenti. Il pezzo è un susseguirsi di bridge e cambi di tempo legati l'uno all'altro, il main riff è di una potenza devastante, ed è perfettamente in linea con la storia che viene raccontata all'interno delle sanguinolente liriche; nel fulgore della battaglia, la band sta suonando a tutta forza il proprio inno, ed al di sotto del palco la folla è letteralmente in delirio per quello che è successo e sta ancora accadendo. E' proprio in quel momento che Paul incita ancora di più, raccontando di come la band si è formata; ricordate questa storia? Cinque ragazzi, giovanissimi, decidono di mettere in piedi la propria band, mancava solamente il titolo dell'album. Fu allora che una sera, mischiando alcool e qualche droga di dubbia natura, ebbero un'idea. Mischiare il sangue dei propri polsi all'interno di una coppa, per unirsi indissolubilmente gli uni agli altri, da qui il titolo della canzone, e del disco stesso. Nel caso del pezzo, Bahloff chiede al pubblico di fare la medesima cosa, ovviamente a livello morale. Tutto questo però, a quale scopo? Beh, ovviamente, per pagare il grande tributo di sangue al dio del Metal, che troneggia sopra il palco, e che ha bisogno di carne fresca; il calice viene ovviamente riempito di nuovo, il tributo è stato pagato. Ciò che rende straordinaria questa canzone, nella sua forma originale ovviamente che sentiamo qui, è proprio la performance vocale di Bahloff. Ogni sua parola è una accidentale rasoiata direttamente alla giugulare, ogni suo nuovo verso ci si stampa direttamente in faccia come un calcio ben assestato, ed in tutto questo il mare di rosso sangue continua a scorrere dinnanzi ai nostri occhi. Immaginiamo davvero un enorme festival con gli Exodus, in cui, al loro segnale (come accade per il Wall of Death degli Slayer) ci buttiamo nella mischia e gli spruzzi di sangue cominciano a schizzare le nostre facce, anche se stiamo facendo tutto questo per un fine "superiore". Presente anche all'intero del brano una silenziosa critica ai "poser" del Metal, che vengono additati come traditori. Un brano che fondamentalmente parla di fratellanza, seppur nel sangue. Il Thrash è forse uno dei generi provenienti dal Metal che più contiene questa filosofia all'interno delle sue corde, particolarmente a causa della sua componente Hardcore. Una commistione di generi che si lega in maniera indissolubile al sentimento di vicinanza che hanno coloro che ascoltano, coloro che durante i concerti alzano le mani al cielo con le corna bene in vista e cantano a squarciagola ogni singola nota del pezzo. Un brano che è entrato di diritto nella storia, e ci rimarrà per moltissimo tempo, se non per sempre; una scrittura compositiva che raramente si trova nella musica alternativa, ogni singolo tassello viene posto in essere per divenire unico nel suo genere, ed il risultato è dentro i nostri cuori, nella nostra anima e nelle nostre sanguinanti orecchie.
Exodus
Proseguendo in ordine incontriamo sulla nostra strada la traccia che invece da il nome al gruppo stesso, sempre presente su Bonded By Blood, parliamo ovviamente di Exodus (Esodo). i ritmi qui si fanno leggermente più inclini al Metal friendly, il che da una sinergica sferzata di energia alla canzone, senza però dimenticare il Thrash ovviamente. Riff di chitarra si susseguono, micro assoli ci martellano il cranio senza sosta, piccoli accenni di scalate del manico di chitarra ci fanno quasi sempre sperare in un assolo completo, esso arriva circa a metà della canzone, in cui Gary sfodera tutta la sua verve per un enorme piatto di note a caduta libera. Le varie sezioni sono collegate fra loro dai controtempi di batteria, che incastrandosi alla perfezione con ogni singola sezione del brano, lo rendono praticamente perfetto. Incastonate fra queste perle troviamo piano piano le parole, che il buon Paul ovviamente grida in faccia al pubblico; Paul da sfogo a tutta la sua cattiveria, auto-celebrando la band stessa con un picco di sound che si fa sempre più alto e violento, una escalation che non si ferma mai, neanche per un istante. Peculiarità di questo album è anche che, nonostante come abbiamo detto nella sua recensione collegata, la registrazione sia ancora molto grezza, si riescono benissimo a distinguere tutti i passaggi, per un risultato finale sorprendente. Si parla di Esodo qui, ma certamente non di sacra memoria, niente mare che viene separato, niente pioggia di fuoco ne egizi che ci inseguono per farci la pelle, qui parliamo dell'Esodo di un'armata della morte piena fino ai denti di coltelli, catene e un sano istinto omicida. Parliamo piuttosto di un enorme squadrone della morte, che Paul ha scelto di suo pugno per dominare il mondo. Si staglia di fronte a noi l'esercito di prescelti del male che avanza per le strade di una deserta città, le loro lame affilate colpiranno anche stanotte, i loro sudici scarponi si muovono in sincrono, nessuno potrà mai fermarli. L'armata avanza senza alcun problema, nelle città in cui passa ormai non cresce più niente. Nessuno osa mettersi sulla strada dell'Esodo, chiunque ci provi, viene preso a calci in faccia e dato alle fiamme. Paul continua ad incitare i suoi soldati, la violenza gratuita la fa da padrone, tanto che perfino noi ci sentiamo vittime di questa orda di barbari demoniaci. Sentiamo le loro lame affondarci nella carne, sentiamo il dolore sulla schiena per i loro piedi che ci calpestano, e certo la sofferente voce di Paul non ci distoglie da questi maligni pensieri. Qui la critica continua ad essere quella del brano precedente, l'esercito è legato dall'amore per la musica, anche se sotto forma demoniaca, ed avanza per portare avanti il proprio messaggio. Se ricordiamo bene quel che abbiamo letto nella recensione completa del disco, dicemmo anche di quanto tutto questo abbia creato un enorme precedente; tantissime band additano questo album come uno dei più violenti mai sentiti nella loro vita, analisi anche da parte di formazioni che nel corso della carriera si sono date a generi decisamente più estremi del Thrash. In questo disco gli Exodus riversarono tutta la loro cattiveria giovanile, tutta la loro voglia di fare, ed il risultato è che anche a distanza di più di 30 anni, questo disco faccia ancora sognare e venire incubi di ogni sorta a moltissimi giovani ascoltatori alle prime armi. Ed è anche particolare pensare che gli Exodus non hanno mai più avuto un sound così, i dischi seguenti a questo (anche quelli con Dukes alla voce, decisamente più Hardcore) non hanno mai saputo ricalcare la vena di cattiveria che Baloff era riuscito a tirare fuori. Viene da chiedersi alle volte se il buon Paul non si fosse perso nel vortice dell'alcool e delle droghe, prima di scomparire nel 2002 (fra l'altro con una decisione comune della band, che staccò la spina all'amico e fratello ormai in coma, sotto consenso della moglie di Paul stesso), che cosa avrebbe tirato fuori ancora da quel cilindro riccioluto.
Chemi Kill
Terza traccia per noi è tratta invece dal secondo disco della band, Pleasures Of The Flesh del 1987. In questo disco si ebbe il cambio di lineup che è perdurato per più tempo in assoluto. Paul Bahloff venne allontanato per i problemi che abbiamo elencato al di sopra, e venne chiamato a sostituirlo l'allora giovanissimo Steve "Zetro" Souza. Dalla voce decisamente più squillante e meno gutturale di Bahloff, Souza si è conquistato in modo immediato il favore del pubblico, finendo per essere considerato, assieme a Paul, l'unico suo degno erede e l'unico altro frontman degli Exodus. In questa traccia, Chemi - Kill (Uccisione Chimica), sentiamo grandemente come gli Exodus, con l'avvento del nuovo cantante, abbiamo modificato in parte il proprio sound, complice anche la nuova maturità degli altri membri. Il pezzo infatti, un po' come tutto il disco, consta di un Thrash molto meno veloce rispetto a quanto udito su Bonded; si tende infatti molto più a collimare riff di chitarra intricati e molto ritmici, mondando allo stesso tempo la voce di Souza al di sopra di tutto quanto, per farla uscire in tutta la sua interezza. Pleasures è forse il disco meno capito dell'intera storia degli Exodus, e non perché fosse un brutto album, tutt'altro. Semplicemente il pubblico, dopo un esordio come Bonded, si aspettava un secondo disco molto veloce, aggressivo, caustico e senza alcuna pietà. Si ritrovò invece fra le mani un album maturo, celebrale quasi sotto molti aspetti, che contiene perle inenarrabili come la traccia che stiamo analizzando, ma anche Deranged o Choose Your Weapon. Il tutto però viene invischiato in una melma dai miasmi tossici, verde fosforescente, che ti brucia la pelle appena la tocchi; la melma avanza inesorabile, brucia il terreno e fa morire gli alberi, e noi non possiamo far altro che venirne sommersi. L'uccisione chimica di cui si parla nel testo però non è certo la medesima che abbiamo raccontato ora; in questa canzone, mentre Holt e la sua sei corde continuano imperterrite ad inanellare combo in maniera lemme e costante, andando quasi a foraggiare il Groove in certi passaggi, si parla di politica e di politici corrotti. Souza addita i colletti bianchi di tutto il mondo con appellativi sicuramente non molto rinfrancanti, ed allo stesso tempo analizza freddamente il loro comportamento. Si racconta di come hanno fatto i soldi, di come sono arrivati al potere, semplicemente schiacciando tutto ciò che si trovava sul loro cammino, fossero persone o cose. Non hanno alcuna pietà, non hanno remore, l'unica cosa che ci può salvare dal loro defunto pensiero di conquista è ucciderli. Ucciderli o per meglio dire far si che la giustizia li punisca alacremente, senza alcuna pietà, meno di quella che loro hanno dimostrato al mondo intero, perché è così che deve funzionare. Ed invece i colletti hanno corrotto il mondo, hanno portato i giudici dalla loro parte, li hanno fatti divenire burattini del sistema, e così facendo si sono assicurati una protezione perenne. Un brano che risulta essere davvero mefistofelico sotto moltissimi aspetti, a partire primariamente dalla voce di Steve; Souza è decisamente più alto rispetto a Paul, a livello di tonalità, ma quel suo suono immensamente maligno, gli ha sempre consentito di interpretare i pezzi con fare da condottiero, dandogli quel suono enormemente diabolico ad ogni singola nota o parola. In questo caso, considerando la lentezza della musica in sottofondo, Steve sembra che reciti piuttosto che cantare; lo vediamo sul suo pulpito di sangue e legno che ci racconta quanto fanno ribrezzo i potenti, quanto dobbiamo ribellarci a tutto questo, quanto la fine non deve essere così vicina per noi, quanto invece deve esserla per loro.
The Toxik Waltz
Per passare al prossimo brano, saltiamo anche un album, ed atterriamo fra le braccia di quello che possiamo definire (o almeno chi vi sta scrivendo la pensa così), come IL capolavoro assoluto degli Exodus, vale a dire Fabulous Disaster. In questo disco, insieme a Bonded, la band da il meglio di sé stessa, ma rispetto al primo disco, qui si giova anche di una produzione ai limiti del disumano, coadiuvata da una post-produzione cristallina, e che non lascia adito a dubbi di alcuna sorta. Incastonata alla terza posizione del lato A troviamo la traccia che andiamo ad analizzare ora, un altro anthem della band senza molti fronzoli, ma con grandissima energia, The Toxik Waltz (Il Valzer Tossico). Il main riff che domina questa canzone è da inchiesta, una energia terrificante, che scaturisce direttamente dalle pagine più sanguinarie e devastanti della storia musicale. Holt qui da il meglio di sé stesso, inanellando con le proprie mani una serie di bridge ed hammer on che la fanno da padrone per tutto l'ascolto, mentre Souza, ormai corroborato già da due dischi sulle spalle, si muove e canta come se negli Exodus ci fosse dal 1979. La canzone ci fa immaginare questa macabra danza, un rifacimento con monicker diverso del classico mosh pit da concerto Thrash, quello in cui volevano che venissimo catturati gli Anthrax, ma il tutto viene visto in chiave tossica, in chiave quasi post-apocalittica. Il Valzer tossico altri non è che l'espressione della rabbia che alimenta i thrashers ed i ragazzi giovanissimi che ai tempi andavano ad ascoltare i concerti della band, ma anche della rabbia che alimenta la band stessa. Rabbia per tutto quello che succede attorno ai loro occhi, rabbia per tutto ciò che potrebbe ancora accadere, e sdegno oltre ogni limite per lo schifo che il mondo ci propina ogni giorno. Il valzer è una danza molto morbida, in origine, da eseguire in coppia nella leggiadria; gli Exodus ne fanno la loro versione scheletrica e diabolica. Ci invitano a scontrarci con l'amico o il fratello che abbiamo a fianco, calciargli la testa ed avremo una palla per giocare, ci invitano a schiantarlo contro al muro fino a farlo sanguinare, questo è il valzer tossico. Eseguita dal vivo questa canzone ovviamente da il meglio di sé stessa, scatenando un vero e proprio marasma sotto al palco, specialmente se viene cantata da Steve stesso. Bisogna infierire sui malcapitati, questo è il messaggio della band, su chi non ha il coraggio di affrontare la danza, va preso e buttato dentro alla mischia, nel mosh più esagerato. Una canzone che ha anche funto, assieme a Caught In a Mosh ed Into the Mosh Pit dei Testament, da cassa di risonanza per portare questa "danza" nell'immaginario comune anche fuori dal Thrash. Originariamente il mosh era un movimento rotatorio di spalle e capelli, che si eseguiva anche nel Metal classico, ma successivamente si unirono alla "festa" anche spallate, gomitate e cerchi in cui alla fine si va gli uni contro gli altri, riprendendo le tradizioni dei Punk anglosassoni di fine anni '70. Che dire, una canzone che unisce ad un testo meraviglioso una musica perfettamente eseguita, piogge di note che cadono sulle nostre teste come una vampa incendiaria, e ci fanno andare in fumo pelle e capelli. Perché alla fine si può pensarla come si vuole, ma gli Exodus ci hanno sempre saputo fare, e canzoni (dischi) come questi ne sono la prova più lampante.
A Lesson In Violence
Passiamo ora ad un pezzo che vuole dare una lezione a Dio in persona, ed al creatore non rimane altro che impararla, la lezione, ma non seduto al banco di una scuola, piuttosto a suon di colpi e calci, una vera e propria A Lesson In Violence (Una Lezione nella Violenza); dopo esserci fregati le mani con l'old school del brano precedente, torniamo nuovamente su questi lidi con questo brano che ha il sapore dell'oro. Chitarre velocissime e riff che sono vere e proprie rasoiate dilagano come un morbo nella nostra testa, il basso dietro funge da metronomo per tutto questo, e la batteria preme decisamente il piede sul contagiri, e spinge il pezzo in avanti. Paul, in questo caso, non se lo fa ripetere due volte, sfodera un cantato che definire maligno è poco. Dimostra sempre una attitudine fuori dal comune, e viene naturale capire come il pubblico abbia sempre giudicato Steve suo degno successore, mentre Rob Dukes è sempre stato definito come qualcosa a parte. E' interessante osservare anche come gli Exodus riescano a cambiare passo o ritmo in men che non si dica, dimostrando a tutti quanta ricerca c'è stata per la stesura dei pezzi, senza peccare di superbia. Sono stati e saranno sempre dei Nerd, che analizzano, catalogano e si mettono lì di fronte al taccuino bianco fino a creare qualcosa di perfetto. Questa blasfema canzone sostanzialmente parla dello scontro fra male e bene, un po' come accadeva nel brano precedente, ma stavolta si parla di un vero e proprio scontro con clangore di spade fra i cavalieri di Dio e di Satana; il guerriero bianco si fa avanti, convinto di avere la verità in mano, e che la sola sua visione costringerà il demone ad andarsene e tornare da dove è venuto. Quello che il cavaliere bianco non sa, è che il cavaliere nero lo inviterà sempre ad attaccare, per alimentare la sua rabbia e sferrare il colpo finale, la famosa "lezione nella violenza". Il demone vuole insegnare all'angelo che chi comanda sono coloro che nella terra ci sono fin dalla notte dei tempi, e sono rimasti ben piantati lì, senza ascendere a nessun cielo. Il demone schernisce il guerriero bianco, dicendogli che Dio non lo aiuterà, potrà contare solo sulla sua vacillante fede, ma una volta che i suoi colpi arriveranno al suo viso, chiederà perdono, chiederà che la mattanza finisca, e sarà allora che il demone continuerà ad attaccare ancora, fino a lasciarlo esanime. Qui Satana si erge (attraverso la voce a tinte Horror di Bahloff, che qui raggiunge livelli inesorabilmente altissimi) a padrone del mondo terreno, a colui che ha ricevuto l'uomo già creato da Dio, certo, ma è stato Satana a dargli la salvezza, a concedergli quei doni che lo fanno sentire vivo. Satana ha cercato di salvare il mondo dalla superbia di Dio, raccontando la verità al mondo, ma è stato condannato fortemente. Sono visioni queste che ricordano molto opere come Paradiso Perduto di John Milton , nel quale Satana viene rappresentato come un vero e proprio eroe da celebrare, essendo egli forse l'ultimo vero guerriero rimasto sulla terra, colui che, per proteggere i demoni e l'uomo, è stato cacciato dal paradiso e relegato nel ghiaccio dell'inferno, dove rimane tutt'ora. La conclusione della sfida era già annunciata. Il demone spinge l'angelo a prostrarsi ai suoi cinerei piedi, chiedendo pietà e perdono. Il demonio, in un primo momento sembra accogliere la sua richiesta, ma tutti sappiamo che il male non ha la coscienza così pulita; dato che la cattiveria di un emissario di Satana non ha limiti, ed ecco che allora, dopo averlo umiliato, il demonio lo finisce col coltello, come ama fare lui, nella schiena, di modo che il dolore si senta lancinante in ogni neurotrasmettitore del cervello, si accenda nella sua mente come un incendio, e non si dimentichi mai più.
Pirahna
Siamo nel mare, la nostra nave solca le acque cristalline, spumeggia ad ogni nostro passaggio; scendiamo e ci corichiamo in una barca, prendendo la via di un enorme fiume. Ad un certo punto il disastro, la barca si capovolge, finiamo con la testa ed il corpo in acqua, ed è allora che ci rendiamo conto della sconvolgente verità. Il fiume in cui siamo caduti, è il Rio delle Amazzoni, ben noto per essere culla di ogni sorta di predatore, fra cui la fanno da padrone gli indomiti e pericolosi Pirahna. Ed ecco che gli Exodus pensano bene di dedicare spazio anche a loro, a quel branco di assassini con denti enormi che solcano le acque del fiume, Pirahna (Pirahna) si accosta sempre al Thrash/Speed d'annata, infarcendolo stavolta con una ulteriore bordata di violenza data dall'argomento trattato. E' una suite di quasi quattro minuti in puro stile old school, si sente quel sound vetroso che ha reso questo genere così celebre nella sua interezza, si sentono le combo di musica Metal con la violenza dell'Hardcore, il tutto cantato a squarciagola e suonato alla massima velocità possibile. Baloff torna al suo cantato stile Bonded, quel recitato musicale di grande impatto, il tutto viene aiutato da dei chorus assolutamente azzeccati, e dal crescendo continuo della musica da parte della band, che circa a metà sfocia in un enorme assolo da parte di Gary Holt. La violenza che viene sprigionata in questo brano ci fa sentire letteralmente parte della storia raccontata. Siamo in balia di un branco di pesci killer dai denti affilati come rasoi appuntiti, pronti a tutti pur di ucciderci. La violenza che si respira ad ogni nuova nota la fa da padrone, e non possiamo certo dimenticare quel che stiamo ascoltando. La musica letteralmente ci strappa via brandelli di carne come se ci stessero mangiando, e l'accelerata a metà del pezzo è un colpo da maestro, visto che questi piccoli pesciolini sono famosi per divorare intere prede con un soffio, in una tecnica di branco mai vista prima. Se si osservano nei documentari, riconosceremo quel turbine di schiuma ed acqua che si forma quando essi attaccano insieme e cominciano a spolpare la loro preda, strappandone la carne fino alle ossa. Ecco allora che la pozza di sangue si fa sempre più larga, pezzi del nostro corpo volteggiano nelle spire dell'acqua, la nostra testa ancora funziona, e malamente possiamo vedere le nostre interiora che affiorano dalle rive del fiume. La canzone ci fa capire bene quanto per raccontare di morte e violenza non sia necessario parlare dell'uomo, basta andare nel regno animale; gli animali sono i veri dominatori del mondo, non c'è niente da fare. Preesistevano all'uomo, ed arriveranno molto più lontano; stolti noi che pensiamo di poter dominare la natura, essa si ribellerà sempre, facendocela pagare molto cara. Ascoltando la raccolta, così come i singoli dischi che la compongono, ci si rende anche conto dell'assoluta poliedricità che gli Exodus hanno sempre dimostrato negli argomenti e nella musica. Capaci di passare da suite in puro stile old school come questa, a canzoni celebrali come quella che abbiamo ascoltato poco fa, assolutamente incredibile; tutto questo poi viene ulteriormente reso ancora più bello dalle voci che si susseguono nei vari dischi. Baloff e Souza si danno man forte a vicenda, tant'è che, prima della dipartita di Paul, erano divenuti amici. Ascoltare Pirahna eseguita da Souza ci riporta indietro con la memoria, e l'omaggio più grande che Steve poteva fare all'amico/fratello scomparso, era riprendere in mano le sue vecchie canzoni, e spingerle ancora più oltre. Una canzone che letteralmente ti lascia senza fiato, non c'è molto altro da dire, quattro minuti di puro delirio Thrash Metal, accompagnato da una band che, per quanto inizialmente in sordina, ne è ancora uno dei maggiori alfieri.
Brain Dead
Torniamo nuovamente sulle spiagge di Pleasures con la prossima traccia, Brain Dead (Cerebralmente Morto). Una canzone che, come tutte quelle contenute in questa raccolta, è diventata uno degli inni maggiormente apprezzati degli Exodus, anche a tanti anni di distanza. Un uomo giace in un letto d'ospedale, le sue membra non si muovono più, la sua mente se ne sta andando, il suo scandaglio celebrale non da segni di vita, ormai la fine è vicina. In questo caso la band lancia una macabra invettiva contro l'eutanasia, pratica che ormai sta facendo discutere fin dalla sua comparsa nei corridoi degli ospedali. Quanto è moralmente sano aiutare qualcuno a morire? Quanto possiamo pentirci tre secondi dopo averlo fatto? Beh, non lo sapremo mai con certezza. E' una domanda alla quale la band ahimè risponderà molti anni dopo questo disco, quando dovrà decidere assieme alla moglie di Baloff se staccare o meno la spina all'amico che si ritrova nella medesima condizione del malcapitato protagonista del pezzo, coincidenze? Chissà, non lo sapremo mai. In questo caso la musica, rispetto al resto del disco, si fa decisamente più aggressiva, grazie anche all'utilizzo di mid time sparsi qui e là. Holt ha confezionato con Pleasures un album dalla maturità sconvolgente, che in alcuni frangenti quasi passa sotto i lidi del Tech Thrash più che del Thrash vero e proprio, quasi come se il disco successivo, Disaster, fosse un passo indietro. Il crescendo della canzone viene anche aiutato dalle spesse linee di basso suonate da McKillop, uno dei molti bassisti che si sono susseguiti alla corte degli Exodus. Il brano in sé per sé trae forza dalla chitarra e dalla voce, senza alcuna remora procede a spron battuto preoccupandosi solamente di andare avanti, e non molto delle conseguenze che infligge alle nostre orecchie. La versione contenuta nella compilation è estrapolata direttamente dai fruscii del vinile originale, quindi si tratta di un vero e proprio riversamento su CD, niente di più. Vediamo il nostro uomo dimenare il proprio essere anche se i movimenti sono ormai un lontano ricordo, ma sappiamo che da qualche parte una luce continua fioca a risplendere in lui. E' quest'ultima il problema che risiede dietro al concetto di eutanasia; quando è giusto praticarla? Quando ormai non c'è più niente da fare? Quando si è come la canzone stessa dice "cerebralmente morti"? Il problema è che non esiste una vera risposta a questa domanda, solamente ulteriori dubbi che attanagliano le menti di chi si ritrova a prendere questa macabra decisione. Tuttavia la band prosegue per la propria strada, dicendo che l'unico modo per aiutare il malcapitato, è farlo morire. Aiutarlo, o aiutare le persone che gli stanno intorno? Come sempre la risposta è esattamente nel mezzo; non esistono falsi eroi o modesti guerrieri, ma solamente persone che prendono il coraggio fra le mani ed hanno la forza di capire quello che c'è da fare. L'unica pecca se così la vogliamo definire, di questo pezzo, è il suo andamento musicale; non fraintendiamoci, la musica è ben scritta, ben eseguita ed altrettanto violentemente costruita, ma ripetitiva sotto molti aspetti. E' forse il difetto più grande che possiamo riscontrare non solo in questa canzone, ma in tutto Pleasures Of The Flesh. Abbiamo già detto quanto questo disco sia maturo, niente di più vero, è celebrale, è tecnico, è adulto, ma allo stesso tempo pecca in qualche passaggio di poca originalità rispetto a cosa lo ha preceduto, e soprattutto a cosa lo seguirà nella linea temporale. E' un album oscuro, molto serio e molto viscerale, che ti lascia il dolce per l'ascolto, ma anche una spiacevole sensazione di amaro in bocca, come se mancasse qualcosa. Un disco che ha sempre diviso i fan in due fazioni distinte, chi lo ama come tutti gli altri, e chi lo condanna senza pietà; la canzone in questione comunque è forse una delle migliori mai scritte dal gruppo, nonostante i difetti che abbiamo elencato, riesce sempre a strappare le ossa dalla nostra pelle, particolarmente grazie alle linee musicali che divengono spesse e possenti man mano che andiamo avanti nei secondi, sfociando sul finale in una cacofonia controllata che ci manda in estasi.
Fabulous Disaster
Fabulous Disaster (Favolosa Catastrofe) va a seguire in ordine, title track del disco datato 1989. In questo frangente riprendiamo letteralmente fiato, grazie ad una canzone che, assieme al valzer tossico di poco fa, è forse una delle più belle di tutta la carriera degli Exodus. L'inizio rispetto al pezzo precedente è decisamente più ampio e di più grande respiro, con una doppia cassa e la chitarra che da subito iniziano a ricamare come forsennate, prima di implodere nelle nostre orecchie dopo pochi secondi, con un andante di matrice assolutamente classica. Una corsa contro il tempo che si tramuta in una danza di morte assolutamente geniale, Souza in prima linea che sfodera uno dei migliori vocalizzi della sua carriera, reo anche di riuscire a cantare a velocità molto alta, scandendo comunque le parole in maniera netta e cristallina. Rasoiate direttamente in viso a più non posso nei quattro minuti che compongono Fabulous Disaster. Holt sfodera una serie di riff che fanno accapponare la pelle, in puro stile old school, il ritornello poi è qualcosa di assolutamente epico, un enorme crescendo sulle note vocali di Steve, che inanella rime alternando faster, plaster e disaster, pronunciando ogni singola parola finale sempre con più enfasi, fino ad arrivare allo scoppio finale. Altrettanto geniale poi l'idea di piazzare, subito dopo il primo ritornello, un enorme assolo velocissimo e di poca cerebralità, solamente una serie di note che vengono sparate dalla chitarra di Holt in faccia al pubblico, richiamando sotto a sé nuovamente un mosh pit senza precedenti. La guerra, un concetto che ormai nel Thrash è divenuto un leitmotiv, quasi fosse una donna di cui abusare ogni volta che se ne ha voglia; la guerra però, in questo genere musicale, viene vista dal suo aspetto ovviamente peggiore, non celebrata, anzi, viene ripudiata sotto ogni aspetto. In questo caso si parla di bombardamenti, nucleari o meno, e delle loro nefaste conseguenze; quando il bombardiere è passato ed ha lasciato il suo enorme carico, non c'è più niente da fare, rimane solo una enorme catastrofe sul nostro cammino, talmente enorme da risultare quasi favolosa. Favolosa perché alla fine siamo stati noi a volerla, l'abbiamo voluta a causa della nostra cupidigia, del nostro girarci sempre dall'altra parte, del nostro fregarcene di tutto e di tutti, ripiegando sempre ul nostro egoismo. Ed invece alla fine il mietitore è venuto a riscuotere il suo tributo di sangue ed ossa, nel modo peggiore possibile, ovvero con uno sterminio; grazie alla velocità della musica che viene suonata, siamo ancora più in grado di apprezzare il diniego e la violenza che si sprigiona dalle parti testuali che la band ha scritto, trasformando il brano in un enorme tornado sonoro in cui perdersi a dismisura. Fabulous Disaster procede calda come uno shot bevuto tutto d'un fiato, inizia e finisce in men che non si dica, tanta è l'energia che gli Exodus riescono a sprigionare in questa canzone. Una enorme suite in cui la band riversa tutto il proprio diniego e la propria intelligenza, chiazzando le liriche con una forte dose di humor nero, che non guasta mai. Se abbiamo definito il valzer tossico un anthem, questa è la sua diretta controparte, una canzone che ancora oggi richiama a sé folle festose e desiderose di ascoltare questa collezione di schiaffi e pugni che la band americana ha messo in piedi per noi. Un brano che fa anche pensare, fa smuovere le coscienze dall'interno, andando a toccare le corde più spesse del nostro essere e pizzicandole facendoci pensare "quanto in fondo l'umanità fa davvero ribrezzo?". Molto, è la risposta esatta, e purtroppo ce ne accorgiamo sempre molto tardi, e se non faremo qualcosa per rimediare in tempo, finirà esattamente come accade in questa canzone, fra sciabolate di musica e caos, con un enorme bombardamento che raderà al suolo tutto ciò che ci è più caro, lasciando solamente cenere e polvere a farci compagnia.
Dirty Deeds Done Dirt Cheap
Penultima traccia è, assieme alla successiva, una delle uniche due live version incluse nella compilation. In questo caso si parla di una cover, del 1989, eseguita durante un live registrato dalla Combat stessa, mentre la band si cimenta in Dirty Deeds Done Dirt Cheap (Lavori Sporchi a Prezzi Stracciati), celeberrima traccia degli australiani AC/DC del 1976 contenuta nel terzo album della band di Angus Young. Il brano originale lo conosciamo tutti, è divenuto un classico dell'Hard Rock mondiale, con migliaia di fans che ogni volta lo chiedono alla band durante i concerti. Gli Exodus decidono semplicemente di omaggiare la band australiana, riprendendone pari pari le linee musicali, senza modificarne nessuna virgola, neanche la più microscopica. Ovviamente le uniche modifiche che sentiamo sono date dalla pesantezza del suono di chitarra, che in quanto suonata da un axeman diverso risulta essere molto più rocciosa, e dalle liriche cantate da Souza, che assumono un aspetto molto più maligno e malvagio di quanto non abbiano fatto nella versione originale cantata da Bon Scott. Il pezzo parla di un killer sostanzialmente, che si rivolge direttamente al protagonista chiedendogli se ha bisogno di qualcosa, perfino se vuole eliminare il suo preside che gli rende la vita impossibile, in questo modo gli da il proprio numero, e gli dice che uccidere è la sua passione. In realtà il brano è decisamente ambiguo, dato che la dicitura "Dirty Deeds" viene utilizzata anche per definire atti sessuali in generale, in maniera molto poco carina ed altrettanto poco pulita. Come un ganster mafioso il killer presenta, con una freddezza disarmante che dalla voce di Steve esce con ancora più enfasi, i propri servigi; si va dalle scarpe di cemento alla scossa elettrica, passando per sgozzamenti, mutilazioni e molto altro ancora. In questo modo il nostro amico si assicura clienti in ogni dove, con servizi prestabiliti per ogni cliente. Nella versione originale del 1976 la band di Young suona il pezzo con fare da Bluesman, contando sulla energia di Scott a cantare, che rendeva tutto decisamente ironico e dissacrante, complice anche la musica di sottofondo. In questa cover invece gli Exodus rendono tutto decisamente più maligno, più malvagio e quasi conturbante, senza preoccuparsi delle conseguenze per noi ascoltatori. In questo caso abbiamo di fronte agli occhi una cover senza precedenti, come poche se ne sentono in giro; la band americana ha voluto omaggiare un pilastro del Rock, e sicuramente fra gli ascolti maggiori della loro infanzia, nel modo migliore possibile, ovvero rendendo il tutto enormemente cattivo, ma sempre nel segno del rispetto. In sé per sé è un brano che non ha una grandissima valenza nella discografia della band, ma ci riesce bene a far capire quanto gli Exodus abbiano sempre prestato grande attenzione ai dettagli, anche eseguendo cover di altre bands, per quanto nella loro carriera siano state molto poche, specialmente se paragonate a quelle di altri gruppi come i Metallica, che hanno fatto delle cover alcuni dei loro maggiori cavalli di battaglia.
And There Were None
Ultima traccia della compilation, e secondo pezzo live, ci riporta, per quanto il concerto sia del 1985, nuovamente agli albori della band, per quanto con la formazione del 1989, con And There Were None (E Poi Non Restò Nulla). Avete presente fumetti come Kenshiro? In cui ci presentano un futuro distopico non proprio favorevole per l'uomo. Beh, certamente, ed è cosa nota, i personaggi sono ispirati a Mad Max ed a Cobra di Stallone, ma secondo il parere di chi vi scrive, c'è anche una componente di Thrash Metal; in questa branca musicale la visione dell'olocausto nucleare, il mondo che implode su sé stesso, lo spauracchio dell'inverno atomico, sono argomenti molto comuni (i Nuclear Assault gli hanno dedicato addirittura un disco intero); e potevano esimersi i nostri Exodus dal dedicare una canzone all'argomento? Ovviamente no, ed ecco infatti il pezzo che stiamo analizzando. Si tratta forse del brano più old school di tutto il disco. I ritmi infatti sono ripresi più che dal Thrash, dall'Heavy di metà anni '80, nella sua golden age, e nella versione live che stiamo ascoltando tutto ciò viene fuori ancora meglio. Baloff qui si impegna per l'ennesima volta, dando prova di grande verve ed energia. Qui, dato che i ritmi si fanno più pacati, possiamo apprezzare ancor di più ogni singolo membro del gruppo; Holt ed Hunolt, le due asce da guerra, cozzano come antichi cavalieri sul campo di battaglia, clangore di spade e scintille escono dai loro scambi di note, velocissimi e Speed nella loro resa, continuando a vomitare note come se non ci fosse un domani. In tutto questo invece le pelli vengono ampiamente deflorate da Tom Hunting, che in qualche frangente del pezzo sembra placarsi, salvo poi venire fuori nuovamente con grandissima cattiveria. Come si evince già dal titolo, il brano esplode nella nostra testa come una detonazione atomica, una grande luce vediamo di fronte a noi, che quasi ci toglie la vista, poi arriva il silenzio della morte, e nella versione live tutto questo risalta ancor di più; siamo circondati dal nulla, sangue e cenere ricoprono il nostro corpo. In mezzo a tutta questa devastazione, ci viene da pensare al motivo per il quale siamo arrivati a questo punto, cosa può averci portato a tanto? La risposta è semplice, la brama di potere che abbiamo sempre avuto in quanto uomini. E' così che nascono guerre e conflitti di vario genere, ed è così che la società si può distruggere. Il mondo è in mano a poche persone, che tengono il globo terracqueo nella propria mano, e se decidono di stringere un po' il pugno, tutto quanto si distrugge. Gli Exodus immaginano tutto questo come l'eterno sconto fra bene e male, fra Dio ed il Diavolo. Dio guarda la scena dall'alto, corrugandosi la fronte con le lacrime, ma ormai non può fare più niente, l'impatto è imminente. In tutto questo troviamo dall'altra parte colui che è piantato col naso nella terra da sempre come abbiamo raccontato anche in un brano precedente, colui che ci conosce meglio di quanto noi conosciamo noi stessi, colui che ci ha donato la parte più recondita e sordida di noi stessi, colui che è responsabile di tutto questo. Qui lo troviamo compiaciuto per il suo operato, la violenza che sta vedendo, operata da lui col consenso degli uomini, gonfia il petto fiero di ciò che ha fatto, di quello che sta accadendo, ride, e la sua malefica risata si ode in tutto il mondo, facendo accapponare la pelle di tutti quanti. Non dimentichiamoci però, come accennavamo prima, che la colpa di tutto questo è da ricercarsi in quella faccia che ogni mattina si vede allo specchio. Maleditevi per il vostro diniego, per aver permesso tutto questo, maleditevi per essere arrivati a tanto, e poi cercate di capire come fare ad uscirne. Souza affronta le liriche con grande coraggio, rendendo il brano una ottima nuova versione del classico cantato da Baloff, prendendo di petto il testo e facendolo suo in pochissimo tempo.
Conclusioni
Vi chiederete il perché, nonostante la presenza di tante perle in questo Lessons In Violence del 1992, abbiamo dato un voto che alla fine è di un solo punto sopra la sufficienza. La risposta è semplice; questo disco non toglie e non aggiunge nulla di particolare alla discografia degli Exodus, semplicemente sono brani estrapolati dai vari dischi da cui sono tratti, corredato di due tracce live (che peraltro, in alcune versioni, Dirty Deeds viene sostituita da Low Rider degli War). In sé per sé è un disco che potrebbe essere lasciato stare, tuttavia come sempre abbiamo ribadito in questi anni, niente va mai cestinato in maniera così rigida. Diciamo infatti che, se qualcuno non avesse mai ascoltato niente degli Exodus in vita sua, e volesse farsi una ampia idea dei primi anni di carriera della band, allora potrebbe essere un ottimo acquisto da cui partire: questo semplicemente perché la scelta dei pezzi è totalmente azzeccata, chi ha confezionato l'ordine ed i brani stessi ha scelto con cura quelle che sono le canzoni più famose della band, andando a toccare i primi tre, fondamentali, dischi. In relazione a questo, la compilation è anche un ottimo modo per foraggiare un confronto fra i due storici frontman della band. Da una parte abbiamo Paul Baloff: grande, grosso, riccioluto, e con una voce che faceva venire i brividi di paura. Il primo cantante della band ha saputo conquistarsi il favore di tutti quanti con un solo disco, con pochissime tracce e con la sua successiva dipartita. Baloff veniva dall'Hardcore e dal Metal al tempo stesso, ma il suo stile di canto è decisamente più Hardcore Punk, con quel vetroso tono di fondo che fa accapponare la pelle. Ed in questa compilation si è scelto di omaggiarlo prendendo alcune delle tracce in cui sfodera il meglio di sé stesso, principalmente con Bonded By Blood. In quel disco ed in quella traccia Paul riversa tutto sé stesso, tutto il disprezzo per la vita sbagliata che il mondo stava passando a quel tempo, e che ancora sta passando per moltissimi aspetti, e li ha trasformati in una sonora collezione di calci in bocca. Il suo tono di voce, così adulto nonostante la giovane età, il suo modo di porsi sul palco, molto ironico, molto aggressivo e sprezzante, lo hanno fatto diventare non solo il frontman più amato della band assieme a Souza, ma anche una delle voci più memorabili che il Thrash ricordi. Dall'altra parte invece, all'angolo azzurro, chi abbiamo? Colui al quale toccò raccogliere lo scettro, colui che prese le redini del gruppo in un momento davvero difficile, affrontando da solo il famelico pubblico. Zetro è un cantante apparentemente molto diverso da Baloff, il suo tono squillante, molto simile a quello di un Bon Scott o di un Ellsworth degli Overkill, si discostano abbastanza dalla vetrosità che Paul dimostrava in ogni canzone. Eppure, nonostante la differenza, Souza ha saputo prendere di petto la situazione, dimostrando di avere gli attributi giusti per mandare avanti il progetto. Il suo esordio in Pleasures, come abbiamo sottolineato, avvenne quasi in sordina, all'interno di un disco che non riuscì a raccogliere tutto il favore del pubblico, ma che comunque apprezzò il nuovo cantante. E' con Fabulous Disaster che Souza si garantì il successo totale da parte del pubblico storico, e di fan nuovi degli Exodus. Un disco in cui, come abbiamo avuto modo di sentire anche qui nella compilation, Steve tira fuori il lato più maligno del suo essere, il suo enorme disprezzo per le cose che non andavano, accostandosi molto a Baloff in questo. I due giganti hanno combattuto non tanto l'uno contro l'altro, quanto piuttosto al fianco nella medesima battaglia, in scaglioni temporali differenti. Tutto ciò ha permesso che, nonostante anche Souza venne poi allontanato, Baloff miseramente scomparì in modo tragico, nessuno li abbia mai dimenticati. Molti fan, compreso il sottoscritto, non condannano Rob Dukes in alcun modo, anzi, quel ragazzone enorme con la faccia da galera ci ha fatto divertire, provenendo da una realtà decisamente più cattiva (mondo criminale, ed era un roadie proprio degli Exodus quando venne reclutato), ma allo stesso tempo è un periodo a parte, nessuno potrà mai togliere lo scettro di frontman a Steve Souza, tant'è che alla fine egli è stato finalmente richiamato in forze alla band. Tornando alla compilation, divoratela se volete scoprire questa band leggendaria, troverete al suo interno le tracce più belle del periodo 1985 - 1989, sagacemente raccolte con cura, ed anche un paio di pezzi live per rendervi conto di che cosa sia un concerto degli Exodus, ed io che mi sono ritrovato in mezzo a quelle ossa scricchiolanti, ve lo posso confermare, alla prossima!
2) Exodus
3) Chemi Kill
4) The Toxik Waltz
5) A Lesson In Violence
6) Pirahna
7) Brain Dead
8) Fabulous Disaster
9) Dirty Deeds Done Dirt Cheap
10) And There Were None