EXODUS
Good Friendly Violent Fun
1991 - Roadracer Records
MICHELE MET ALLUIGI
03/12/2017
Introduzione Recensione
Quando si parla di Thrash Metal non si parla solo della musica in sé, ma si discorre di un qualcosa di molto ben più ampio e concreto, che va ben oltre le sferzate alcaline che le diverse band ci rovesciano addosso senza pietà. Nel live "Good Friendly Violent Fun" degli Exodus vi è la prova lampante di tutto ciò. Il Thrash infatti è fatto sì di riff di chitarra velocissimi, di ritmiche mitraglianti e di voci al vetriolo, ma tutto questo fa inoltre parte di una sorta di liturgia che raggiunge il suo massimo splendore sul versante live: ai concerti infatti ci sono essenzialmente due parti: il gruppo sul palco, il cui compito è quello di dare il massimo dall'inizio alla fine dello show, e il pubblico al di sotto di esso, la folla composta da seguaci pronti a gettare sangue e sudore (in senso non solo metaforico) in quella che è l'arena celebrativa della suddetta liturgia. Vista l'energia e la furia esplosiva con cui i thrashers irrompono on stage da un lato e quella con cui rispondono gli astanti dall'altro, potremmo metaforicamente immaginarci un concerto come un fronte di guerra, un campo di battaglia dove le due "fazioni" si lanciano alla carica per poi scontrarsi e generare un'onda d'urto che non lascia scampo. Pensiamo quindi che la band, composta mediamente da 4 o 5 musicisti, sia un plotone d'assalto che deve lanciarsi nella mischia della trincea che sta al di sotto di essi, popolata da un manipolo ben più nutrito di soldati "nemici". L'impatto tra queste due orde assatanate però, da un'iniziale contrapposizione, si trasforma successivamente in un'alleanza votata alla massima espressione di potenza e violenza, ma anche amicizia e divertimento tra i fan (e il titolo di questa pubblicazione parla da sé). il Thrash, forse più di altre frange del Metal, rappresenta sostanzialmente un punto di unione tra fan di una grande forma espressiva musicale e le sonorità dei grandi mostri sacri del genere radunano ed uniscono sotto l'unico vessillo i thrasher di tutto il mondo, che sigillano questo loro patto incontrandosi ai live e bevendo litri di birra, il tutto mentre ovviamente vengono fatte rotare le teste fino la massima torsione cervicale e distribuendo spallate nel pogo come se fossero bruscolini. La pubblicazione degli Exodus risale al 1991, anno in cui uscì il vinile nel catalogo della discografia della band americana, ma il live che viene riportato alle nostre orecchie è quello che gli statunitensi tennero al Fillmore di San Francisco il 14 luglio del 1989. Siamo alla fine degli anni Ottanta dunque, il Thrash Metal ha praticamente concluso la sua ascesa verso l'empireo ed ha già scritto su carta le regole del proprio gioco, facendo arrivare alla gloria band nate dai sobborghi della Bay Area californiana quali Metallica, Slayer, Megadeth, Testament e via dicendo. Gli astri di questo firmamento sono arrivati infatti ai limiti del cielo e la loro notorietà è ormai legge tra tutti gli appassionati del genere; ci si sta affacciando verso una nuova decade evolutiva per il Thrash, ma ormai quella che oggi definiamo come Old School ha già una sua ben delineata struttura. Gli Exodus in particolare hanno messo a ferro e fuoco l'universo Hard N' Heavy grazie a quella che ancora oggi fan reputano essere la loro line up perfetta: Steve "Zetro" Souza alla voce, Rick Hunolt e Gary Holt alle chitarre, Rob Mckillop al basso e John Tempesta alla batteria, una formazione seminale che però ha allo stesso tempo regalato al mondo i primissimi e sempre amatissimi lavori del gruppo. Quello che ci propongono gli Exodus con questo live è dunque la quintessenza della filosofia del Thrash Metal fatta, come abbiamo detto, di decibel e bmp altissimi, di spallate, di sangue e sudore all'interno della mischia. Anche la copertina del lavoro risulta ben eloquente in tal senso: l'immagine innanzitutto si presenta come decisamente fumettistica. A comparire sull'artwork infatti non è una foto della band dal vivo, come spesso accade sui live album, ma un disegno ritraente un fan in procinto di recarsi allo show. In alto spiccano il logo della band, colorato in blu con i contorni gialli, ed il titolo dell'album scritto in stampatello maiuscolo, eccezion fatta per la parola "violent" che viene volutamente messa in evidenza grazie ad un diverso font colorato in bianco, quasi per avvertire gli ascoltatori che ciò che più ricorderanno di questo disco sarà la sua natura decisamente violenta. Il protagonista della copertina compare dalla destra del disegno, mettendo in bella mostra il pugno, altro simbolo inequivcabile di violenza, nel quale stritola il volantino dello show al quale sta andando. Sul suo viso, per metà coperto da una chioma rossiccia, figura un sorriso sadico ed allucinato, come quello di chi è in estasi al pensiero di cosa andrà a vedere, ma sulla sua spalla compare anche una mazza da baseball con un chiodo conficcato nel legno, altro indizio inequivocabile che a quel concerto saranno letteralmente "mazzate" per tutti. Sullo stile dell'ultraviolenza di Stanley Kubrick nel celebre film "Arancia Meccanica", ogni fan si dovrà quindi armare fino ai denti per sopravvivere a quell'assalto sonoro che è il concerto degli Exodus. Pronti a gettarvi nella mischia?.
Fabulous Disaster
I nostri aprono le danze con "Fabulous Disaster" ("Disastro Favoloso"); sul boato del pubblico già bello carico, ecco Steve Souza salutare il pubblico con fare deciso ed agguerrito: "Good evening San Francisco, feels fucking good to be home, you guys are ready?" ("Buonasera San Francisco, è fottutamente bello essere a casa, ragazzi siete pronti?") e dopo aver annunciato la titletrack dell'allora appena uscito lavoro ("Fabulous Distaster" per l'appunto) si parte senza troppi indugi. La batteria lancia infatti il tutto con un semplice quattro sul charleston e dopo gli accordi tenuti dell'intro non ce n'è più per nessuno: la strofa è subito martellante e travolgente, un vero urgano che getta i presenti nella mischia di un frullatore dalla quale usciranno solo frattaglie. I suoni degli Exodus sono immediatamnte possenti e corposi, con un'equalizzazione calda e monolitica che grazie alla preponderanza di basse frequenze ci fa vibrare il basso intestino con la giusta dose di adrenalina. La traccia non concede un attimo di respiro che sia uno, John Tempesta trascina i suoi compagni in questo assalto all'arma bianca con un tupa tupa imponente che ci mitraglia la faccia senza pietà, prontamente condito con i rituali raddoppi di doppio pedale che aumentano ulteriormente un tiro già di per sé devastante. Nel più puro stile speed metal, la lirica si compone di una serie di immagini apocalittiche che, rovescaiteci addosso una dopo l'altra, compongono l'immagine di una catastrofe incombente: in uno scenario desolato, una pioggia di missili manda in cenere le rovine di una città un tempo popolatissima, e su di esse, il cupo mietitore si aggira invocando il nome dei superstiti per falciarli senza dar loro il minimo scampo. Non resta niente del mondo, solo la mega detonazione atomica che condurrà l'umanità all'immolazione di massa, non ci resta quindi che rilassarci ed accettare l'inevitabile con fare stoico, capendo che per noi umani ormai non c'è più alcun futuro. Il pezzo continua serratissimo senza un attimo di respiro, ogni colpo sul rullante sembra quasi una detonazione di una granata che esplode e distrugge tutto ciò che ci sta intorno, ed ecco che ora l'ira degli Exodus si scaglia contro i padroni assoluti del mondo: le grandi potenze militari, e qui è difficile non captare una vena di polemica nei confronti degli stessi States. Essi hanno trascorso le loro esistenze a produrre armi e missili, cos'altro potevamo aspettarci dunque se non una smisurata lotta per la supremazia? Noi poveri plebei non possiamo fare altro che essere arrabiati e terrorizzati da questa prospettiva, proprio perchè siamo delle nullità di fronte all'imponenza di un qualcosa al di fuori del nostro controllo e decisamente più grande di noi. È sempre la stessa storia che si ripete in fondo: una minoranza di persone gioca alla guerra dietro un tavolo, spostando semplicemnte delle bandierine, le quali, si trasformano concretamente in assalti aerei ed operazioni militari in cui perdono la vita anche migliaia di civili. Nei loro covi nascosti i padroni ridono e si compiacciono delle loro grandi strategie, mentre le bombe continuano a cadere e a devastare tutto compiendo in pompa magna il favoloso disastro, ma cosa succederà quando i missili non avranno più nulla da distruggere? Contro chi si combatterà quando non ci saranno più avversari? I profitti devono continuare a crescere e dunque questi magnati della morte inizieranno ad attacarsi fra di loro, sperando che i miliardi aumentino sempre di più nei loro portafogli fino a quando non si saranno anientati a vicenda. Siamo giunti al punto di non ritorno . Il cupo mietitore ha chiamato anche noi oltre lo soglie dell'oblio, lo aspettiamo seduti senza far niente o ci alziamo e combattiamo? Meglio morire durante un'insurrezione civile piuttosto che stare impalati con le mani in mano ad attendere che un aereo ci sganci in testa degli esplosivi. A livello politico, benchè ormai si sia sempre più diffuso il nichilismo, il nostro voto rappresenta un granello in mezzo a quella nube di sabbia elettorale, che però nel suo insieme potrebbe mettere quegli stronzi (per usare un termine del testo) al loro posto. "Sarà sempre lo stesso perchè tanto i politici continueranno a mentire durante le loro campagne elettorali" è il pensiero comune di chi ormai non si osa dire la propria con una x su una scheda, potrà essere così, ma se dopo aver votato con regolari elezioni la situazione non cambierà saremo finalmente legittimati a rovesciare noi il sistema, gettando addosso a quei maledetti politici tutta la furia del nostro favoloso disastro. Il brano va a chiudersi di netto, sotto lo scrosciare di applausi dei presenti, mentre la band si prepara al prossimo colpo di artiglieria.
Chemi-Kill
Giusto il tempo per riprendere fiato e subito gli Exodus ripartono con "Chemi-Kill" ( un gioco di parole ricavato dalla parola inglese "chemical", traducibile con "chimico" e il verbo "uccidere", in inglese "to kill", creando così una crasi che si può rendere con "Uccisione Chimica"). Lo sviluppo della traccia è più disteso rispetto alla precedente, ma l'onda d'urto sprigionata è comunque a dir poco travolgente: le chitarre sfoderano una serie di accordi distesi e sotto di esse, la batteria ed il basso avanzano con una ritmica serrata e schizofrenica. Le note arpeggiate delle chitarre sulla parte distesa sono inoltre effettate con una grande quantità di delay, il che rende il loro suono acido come il composto chimico di un'industria che corrode qualsiasi cosa con cui viene a contatto. Dopo un canonico break a stacchi accentati, ecco partire la strofa, che questa volta alterna un terzinato cavalcato ad un mid tempo. La velocità viene quindi provvisoriamente abbassata in favore di una maggiore attenzione al groove, e anche se nonostante i suoni siano un po' impastati tra loro, questa amalgama regala comunque un effetto davvero interessante al tutto. Ancora una volta sono i politici il bersaglio della band, in particolare la loro sfrontata attenzione del profitto che non si ferma nemmeno di fronte alle calamità naturali dovute agli altissimi tassi di inquinamento. Essi infatti sono i colpevoli delle più sfrenate campagne di industrializzazione del globo e la brama di denaro e profitto li spingono a edificare sempre più fabbriche ed industrie, completamente incuranti del fatto che le sostanze lavorate causano danni a lungo termine alla salute non solo degli operai, ma anche delle persone che hanno la sfortuna di vivere a pochi passi da questi mega stabilimenti. Con l'arrivo del pre ritornello però, la voce acida di Steve Souza ci esorta immediatamente a ribellarci a tutto questo: prenderemo infatti quei fottuti politici per i loro colletti bianchi e li getteremo in quei bidoni di liquami chimici, guardando con sadica soddisfazione le loro carcasse sciogliersi in macabri processi di combustione chimica. A loro non gliene frega niente se la lavorazione del loro ultimissimo shampoo per auto causa un vertiginoso aumento dei casi di tumore nelle popolazioni residenti in quelle zone, pensano solo al profitto e vogliono unicamente far aumentare il rendiconto dei loro portafogli e se ne stanno belli spaparanzati nelle loro lussuosissime ville in collina, ben distanti dalle fabbriche e a quote abbastanza elevate da essere sotto l'influsso dei venti che portano via le esalazioni tossiche, mentre noi plebei muoriamo di malattie respiratorie e non solo nei nostri buchi da operai. I profitti dei magnati crescono mentre noi lavoratori, per portare a casa la pagnotta, speriamo di essere assunti in fabbrica. Il gruppo continua a spingere arrivando così al ritornello, semplice è conciso: "è una fottuta uccisione chimica", ripetuto con enfasi dal pubblico nel brek strumentale. Si riparte con il mid tempo ed ecco arrivare un'altra colata di astio al vetriolo: i suddetti politici non vogliono avere nulla a che fare con la dura realtà, chiudono la porta di casa sperando di nascondersi da tutto e sperano di seppellirci sottoterra come si fa con la polvere sotto il tappeto, eppure noi siamo qui, arrabbiati fino all'estremo e pronti a prenderci la nostra vendetta, noi urliamo e loro fingono di non sentire ma abbiamo un bel pestone pronto da scaricare sulle loro gole. Su questa dichiarazione, per così dire, d'amore ecco partire la singolar tenzone chitarristica tra Gary Holt e Rick Hunolt, una cascata di note in bending e dirt picking per farci fischiare le orecchie e stritolarci i timpani, una sferzata tossica quanto i vapori di un composto che brutalmente ci accompagna al finale netto ed incisivo del brano. Prima di andare avanti, il vocalist prende un attimo di pausa per raccontare un aneddoto sintomo della forte instabilità che colpì gli Exodus all'inizio degli anni Novanta: il drummer Tom Hunting lasciò la band e per poter continuare gli impegni live si alternarono sullo sgabello prima Charlie Benante degli Anthrax e successivamente John Tempesta, accolto dal calore dei fan in qualità di nuovo drummer, così che la band potesse proseguire il Fabulous Disaster Tour.
'Til Death Do Us Apart
Conclusa questa parentesi, nella setlist troviamo ora "'Til Death Do Us Apart" ("Finchè Morte Non Ci Separi"), introdotta, non a caso, da un funambolico assolo di batteria del nuovo arrivato. Dopo questa eccellente performance di potenza sfogata sui fusti del set, ecco partire le chitarre; mentre una dà sfogo alle proprie molestie al floyd rose, l'altra in sottofondo subentra con il main riff, pero poi allacciarsi alla sorella nella partenza della strofa. Il tempo è immediatamente incalzante e dopo un rapidissimo break prende avvio la parte cantata. Con questo testo gli Exodus dimostrano subito di essere gente con cui è meglio non scherzare: il loro Thrash Metal infatti si fa immediatamente significante del messaggio dei migliaia di ribelli che affollano i sobborghi americani; per le strade infatti aleggia una rabbia che spesso si tiene nascosta, ma loro non restano a guardare e vanno contro tutte le probabilità di vittoria. Le stastistiche infatti li danno perdenti in partenza, ma i cinque thrashers si alzano dalla mischia ed urlano in faccia ai politi tutto ciò che è loro dovuto. La monotonia dei giorni tutti uguali e i continui problemi con cui si ha a che fare ogni giorno rendono la musica l'unica valvola di sfogo che si possa scegliere: essa li libera, li fa sentire vivi e come un balsamo lenisce il dolore causato dalla rabbia che continuamente attanaglia loro il cervello. Attraverso la fervida passione per l'Heavy Metal, le loro teste continueranno a roteare e grazie a questo incessante headbanging, il lato pesante della vita non sembra più così minaccioso. Il tiro ovviamente resta sempre elevatissimo e l'energia aumenta ad ogni parola digrignata dalla voce di Steve Souza, fino all'arrivo dell'imperativo con cui siamo invitati ad insorgere: "codannali ad un'esistenza di dolore e combatti!". Il bersaglio della nostra ira può essere chiunque: il nostro capo, un collega, un compagno di scuola... l'importante è tirare fuori la faccia dal fango in cui veniamo sbattuti e capovolgere la situazione. La musica ha infatti dato a noi metallari il potere, essa non è solo una sequenza di note ma un vero e proprio stile di vita, che ci unisce e ci rafforza spingendoci a lottare finchè morte non ci separi. Il celebre giuramento tipico del sacramento nuziale viene qui traslato in qualità di sinonimo di fratellanza: chi come noi vive la passione per il Metal è un nostro fratello ed un alleato con il quale lottare fino alla fine, fino a quando la morte non romperà i nostri ranghi nella battaglia. Suonare ed ascoltare il Thrash è l'unica cosa che dà agli Exodus una ragione di vita, loro vogliono solo scrivere musica, quindi a quel paese la politica e pensiamo solo a divertirci, finchè possiamo farlo. L'adrenalina resta sempre altissima, con la batteria intenta a spingere e trascinare gli altri strumenti, l'ultima porzione di testo sigilla quindi la traccia con una dichiarazione di intenti: la loro musica non è solo una moda, ma un'espressione di ciò che sono e del modo in cui esprimono il loro stile di vita, se vi va bene bella lì, altrimenti loro continueranno ad urlarvelo in faccia con questa loro mazzata thrash, finchè la morte non li separerà.
The Toxic Waltz
Giungiamo a metà della scaletta, si avvicina quello che è un grande classico della band "The Toxic Waltz" ("Il waltzer Tossico"), un brano talmente affermato nelle set list del gruppo da essere ironicamente definito "un ballo tipico" della Bay Area. Il pezzo viene introdotto dal semplice quattro sul charleston, dopodichè il resto è pura violenza: le sei corde infatti partono spedite insieme al basso, con il quale generano un vero e proprio muro che travolge i presenti; il tempo è serratissimo e non ci lascia nemmeno un secondo di respiro, probabilmente, se ci trovassimo sotto al palco, verremmo risucciati in un mulinello di mosh pit che ci stritolerebbe le ossa senza che nemmeno ce ne accorgessimo. A rendere ancora più funambolica l'esecuzione è il fatto che il testo viene cantato da Zetro come se fosse una cantilena, seguendo una metrica ripetitiva e altalenante che ci viene però cantata da un pazzo psicotico: c'è una nuova danza che sta prendendo sempre più piede negli Stati Uniti, è il waltzer tossico. Il vocalist ora si rivolge direttamente a noi, canticchiandoci la sua malsana filastrocca. Stiamo saltando in su e in giù, come i pagliacci di un circo psichiatrico, dimenandoci tutto intorno fino a chè non siamo coivolti nel mulinello di persone che roteano indemoniate come noi. In questo folle giro, la nostra voglia di violenza si riversa sugli altri e subito miriamo alla testa di qualcuno nel tentativo di fargliela esplodere. Per macchiare di sangue il pavimento e tingerlo così di un rosso "carnevalesco", iniziamo a dare calci a caso, sperando di causare qualche emorragia addominale e dimostrare così che siamo davvero malati. Altra scena non poteva essere migliore nel descrivere la mischia che si crea sotto il palco degli Exodus e anche se non possiamo vederla, dai boati presenti nell'audio possiamo intuire che con questo brano, i thrasher statunitesi hanno scatenato una bolgia infernale tra il pubblico. Nel girare senza sosta prendiamo però anche noi qualche pugno al viso, il nostro naso sanguina, ma non possiamo perdere quest'occasione e nell'immenso giro di giostra dobbiamo assolutamente restituire la papagna a chi ce l'ha tirata, e roteando roteando ecco le nostre nocche scontrarsi con il setto nasale di un altro ballerino, con l'immancabile getto rosso vivo a colorare l'aria. Per aizzare la folla sull'arrivo del ritornello, gli Exodus ci esortano ora ad accanirci verso quelli che mogi mogi se ne stanno in disparte, per farli trascinare al centro della mischia del waltzer tossico. La macchina da guerra della band continua a macinare chilometri e le chitarre continuano a pompare, sempre sostenute ovviamente dal drumming granitico di John Tempesta. Con l'arrivo del ritornello la furia aumenta ancora, tutti ormai sono trascinati nel waltzer tossico e i cori si affiancano alla voce principale, scandendo il titolo della canzone quasi dando anche il tempo alle spallate e alle gomitate del pogo. Venite anche voi a ballare, prendendo la testa di un vostro amico e calciandola come se fosse un pallone, la spirale di furia thrash ha iniziato a girare e nessuno può sottrarsi. Dopo un incisivo assolo di Gary Holt, che inizia subito una tenzone solista con il compagno Rick Unholt, i cinque si riallacciano in un chorus devastante, che si va a disperdere su un accordo tenuto. A questo punto il tempo si dimezza, il mid tempo tuttavia non arresta la spirale di follia che anzi riprende sempre più selvaggia per spingergi alle ultime mazzate in vista del finale. Lo sviluppo ora è sì più lento ma non per questo meno deciso, tanto che le sei corde ed il basso ora ricalcano ulteriormente le pennate le facendoci percepire il peso delle mani abbattersi sugli strumenti, ora Zetro ci ripete un solo ed unico imperativo: "Do The Toxic Waltz!" ("Ballate Tutti Il Waltzer Tossico!"), una sola frase che continua a rpetersi in maniera ossessiva e claustrofobica, gettando l'ultima colata di benzina sul fuoco fino all'apice, quando il pezzo arriva al suo finale netto al quale segue un boato.
Cajun Hell
Siamo giunti a metà del vinile, non dobbiamo far altro che capovolgere il disco del lettore, se abbiamo ancora le braccia integre per farlo, e andare avanti verso la prossima traccia, "Cajun Hell" ("Cajun Inferno"), estrapolata sempre dall'album "Fabulous Disaster". Secondo la storia, con il termine "cajun" si identificherebbero i coloni francofoni di origine canadese deportati in Lousiana, che si sarebbero poi stanziati lungo il tratto del fiume Mississipi che attraversa quello stato; è proprio lungo quelle rive, in gergo definite "cayou", che si ambienta la lirica di questa nuova sferzata degli Exodus. Le chitarre aprono le danze con degli accordi le cui note sono effettate con un pesante delay, un ottimo espediente per rendere ancora più "olezzoso" e putrido il suono come se gli strumenti fossero impregnati del fango che si trova sulle rive del fume. La batteria intanto inizia la propria marcia e dopo una nutrita serie di pugnalate al ponte mobile delle chitarre ecco partire il main riff per una pura piena di Thrash Metal. Proprio nel cayou, nelle anse fluviali in cui si annidano gli alligatori, vivono delle persone che è meglio lasciare in pace. Se siete degli esploratori che vagano in quelle zone è meglio non perdersi e restare in gruppo, perchè gli indigeni non vedono di buon occhio gli stranieri e li prendono con maniere non proprio gentili. Lo sviluppo del pezzo è serrato e veloce, quasi come la corsa di uno sventurato che cerca di fuggire a questi individui selvaggi come solo chi è stato cresciuto dalla legge della palude puà essere. Sono loro a dettare la legge da queste parti infatti, quindi anche se siete armati è meglio gettare le armi e fare come dicono o ci sarà una rivolta dei cajun. Se proprio non si resiste alla tentazione di addentrarsi in quelle zone è meglio guardarsi le spalle, e il buon Steve Souza ce lo ripete con la sua voce acida e graffiante; da un momento all'altro infatti può arrivare un attacco e se non si è abbastanza lesti potrebbe essere l'ultima volta che il mondo avrà una qualche traccia di noi. È troppo tardi, vi sentite afferrare le gambe e senza nemmeno il tempo di rendervene conto siete a terra legati con delle corde rudimentali, ormai nessuno può sentire le vostre urla, è meglio esalare l'ultimo respiro da voi, prima che vi ci conducano a forza i cajun con una dose di impressionante violenza. Le sei corde continuano a modellare il loro incedere su una serie di accordi a tonalità discendente, rendendo l'atmosfera intrisa di un alone di inesorabilità, non c'è nulla che si possa fare per sfuggire a questi selvaggi e mentre gli esploratori restano in balia di questi selvaggi, i thrasher sotto il palco continuano a mischiarsi le ossa nella mischia: siamo ad un live che è intitolato "buon divertimento violento", quindi è inutile dire che se non gradite le spallate è meglio che ve ne stiate a casa. Ormai gli indigeni scateneranno un vero e proprio inferno sulle carcasse dei loro prigionieri e credetemi che dopo aver visto che cosa possono fare rimpiangerete senza rimorso gli alligatori del fiume, aver sfidato la legge di chi vive lungo il Mississipi è stato un azzardo che vi è sfuggito di mano, benvenuti quindi nell'Inferno cajun.
Corruption
Dopo questa estemporanea fuga nelle lande della Louisiana, si torna all'assalto verso la società con la seguente "Corruption" ("Corruzione"), anch'essa estrapolata da "Fabulous Disaster", con la quale i thrasher americani tornano a puntare le loro baionette verso la quotidiana schifezza che ci circonda ogni maledetto giorno. Dopo il rallentamento, ma solo di pochi bpm, della traccia precedente, ora il tachimetro sale nuovamente di giri, regalandoci una piece di Thrash Metal puramente old school. Veloce, secca e diretta, proprio come noi amanti del genere desideriamo che sia ogni brano delle nostre band preferite. Gary Holt e Rick Hunolt, insieme ovviamente a John Tempesta e Rob McKillop, sono ancora in spledida forma e il loro groove è letteralmente devastante; anche se si tratta di un live di fine anni Ottanta, la precisione di questi musicisti fa si che ogni singolo passaggio delle varie composizioni venga suonato con perizia a dir poco chirurgica, che si dimostra con una qualità del suono impeccabile (unita inoltre all'ottimo lavoro dei fonici in fase di registrazione e post produzione), aggiungendovi inoltre la rabbia di chi è cresciuto sniffando tutti i giorni l'asfalto della Bay Area. Le sei corde iniziano a martellare sostenute da una esitation della batteria, che fa sì che aumenti in noi l'adrenalina prima di lanciarci in un'altra manche di headbangng forsennato. Lanciato lo start infatti non ce n'è più nessuno, Zetro è infatti adirato con chiunque gli si pari davanti; dagli spacciatori dei bassifondi ai politici che stanno ai vertici, essi altro non sono che le più infime forme di vita che strisciano nelle pozzanghere di urina e decadenza che innondano le strade. La raffica non risparmia nemmeno la religione, le cui parole vengono vomitate dai preti e dai vari ministri religiosi fino ad insozzare i nostri televisori, riempiendoci così la mente di bugie e fandonie che altro non fanno che tingere di rosa un mondo schifoso. Dalla realtà del vicolo sotto casa e della città il grandangolo d'odio degli Exodus si allarga ora verso i grandi temi della politica internazionale: non vengono rispiarmiati infatti né politici né terrroristi, ai quali le nazioni vendono le armi per continuare le loro maledette guerre. La frecciata si fa particolarmente acida verso i terroristi islamici, le cui menti sono alienate dalle parole del Corano, per poi arrivare all'accusa nei confronti della stupidità di massa, che ci fa guardare dall'altra parte invece di reagire. È ora di prendere coscienza del nostro stato e di ribaltare la situazione e l'invettiva è mirata ora ai governanti: "fateci sapere in che modo spendete davvero i nostri soldi, noi vi paghiamo le tasse per avere i servizi, ma questi non ci sono, quindi i nostri maledettti contributi dove vanno a finire? Fateci sapere quanto costa effettivamente soddisfare le nostre richieste!" Naturalmente è ovvio che qualche furbone ci fa la proverbiale cresta, ed usa il denaro pubblico per le mazzette a questo o a quello al fine di ottenere i favori che gli servono. A conti fatti, il Thrash degli Exodus non ha mezzi termini né quando si tratta di martellare a forza di shredding, né quando bisogna insultare qualcuno. La doppia cassa di Tempesta ci mitraglia i visceri senza pietà, mentre Souza ci invita a prendere i politici ed infilargli le loro vaghe ed insensate risposte dove non batte il sole. Questa pittoresca metafora continua a rpetersi intervallata a degli incisivi cori di Holt, McKillop e Unholt, seguiti ovviamente dai presenti, che si uniscono in questo urlo sovversivo di rabbia verso il sistema. Si giunge all'ultima strofa, dove viene elencata la lista della spesa del perfetto corruttore: prostitute d'alta classe, auto lussuose ed infangamento dei rispettivi peccatucci, i politici infatti si coprono i culetti a vicenda a spese nostre, pensando che non ci accorgiamo dei loro loschi raggiri, beh, con questa traccia gli Exodus ci fanno notare che è venuto il loro turno per mettersi a novanta e beccarsi nel posteriore ciò che è loro dovuto.
Brain Dead
Siamo arrivati alla penultima canzone, e Steve Souza si accerta che il pubblico sia ancora con loro; ovviamente l'ovazione di risposta conferma che i guerrieri sotto il palco sono prontissimi per un altro giro di mosh pit, ed è ora il turno di "Brain Dead" ("Morte Cerebrare"). I thrasher americani sono pronti a demolire il Fillmore e senza troppi indugi sono ora Tempesta e McKillop a dar fuoco alle polveri: batteria e basso spingono senza freno con un quattro quarti incalzante, a cui molto presto si aggiungeranno le chitarre per dar vita ad uno sviluppo che fa gola a tutti gli amanti della vecchia scuola del genere. La composizione è infatti semplice e lineare, una soluzione stilistica che si segue con le corna alzate dall'inizio alla fine, dando magari qualche spalla agli amici vicini. Immaginate ora che Steve Souza ci afferri la testa con le mani e ci urli il suo testo con la sua fronte contro la nostra, egli ci guarda pieno d'odio per dirci disgustato che osserva il nostro corpo giacere come se fosse privo di vita; non vi è alcuna traccia di una minima contrazione, siamo lì, stesi, siamo vivi, ma è come se fossimo assenti, senza nulla da dire o da fare. È una condizione che descrive perfettamente chi giace in stato comatoso, ma inutile dire che certe persone sono talmente stordite da condurre la propria esistenza in questo stato pur avendo gli occhi aperti ed una posizione eretta. Siamo ancora vivi, ma non possiamo pensare, siamo anestetizzati e sembriamo dei vegetali. Si arriva al pre ritornello, dove un coro ricco di pathos constata che è ormai l'oscurità a dominare la nostra mente. Su una coinvolgente cavalcata ecco che viene svelato il tema della lirica: l'eutanasia. È giusto lasciare chi vive in stato vegetativo in una condizione di prigionia del suo stesso corpo? Non sarebbe meglio aiutarli ad andarsene liberandoli così da una condizione di estremo dolore per loro irreversibile? Questo si chiedono gli Exodus ed è inoltre un tema del quale, oggi come nel 1989, si discute ancora molto. Gli assoli di Hunolt e Holt si susseguono nuovamente in un botta e risposta speed metal, l'energia è altissima, ma la delicatezza del tema ci riconduce nuovamente alla cinica constatazione che è il buio completo ad animare la mente di chi purtroppo è immobile in un letto d'ospedale, privo di ogni possibilità di guarigione, ad attendere una fine che non arriva mai. Le parole "morte cerebrale" si ripetono ossessivamente, come i secondi interminabili di chi è ingabbiato dentro sé stesso e non aspira ad altro se non di potersi finalmente liberare. Per chi è in coma infatti un battito di lancette dura quanto un'eternità, restando letteralmente imprigionato dentro una prigione che ha le proprie costole per sbarre e le orbite oculari chiuse ad ottenebrare u sole che non si vedrà più. La possente avanzata degli Exodus lascia che l'urlo dei presenti diventi metaforicamente un grido di aiuto per tutti coloro che non possono proferire parola e la chitarra di Holt, come una sirena, li accompagna magicamente verso la tanto agoniata fine dell'oblio. È la morte cerebrale, quella che sancisce la fine di un individuo così come lo consociamo ma non la sua fine biologica, il cuore batte ancora ma il cervello non dà alcun cenno di vita, non sarebbe meglio aiutarli a morire? Il pezzo si conclude con un ultima ripresa, al quale segue l'ovazione degli astanti ma nel silenzio resta ancora il buio dell'oscurità della morte cerebrale.
Dirty Deeds Done Dirt Cheap (AC/DC Cover)
Giungiamo alla fine della setlist, e come ogni concerto che si rispetti una cover nonché omaggio ai propri idoli è d'obbligo. Chiunque suoni uno strumento ha iniziato a strimpellare sulle note delle proprie canzoni preferite e conseguentemente non ha mai mancato di portarle dal vivo durante le primissime esibizioni con il proprio gruppo; gli Exodus quindi, tornando metaforicamente indietro ai loro primissimo show, e scelgono di siglare la loro esibizione al Fillmore di San Francisco con la loro rivisitazione di "Dirty Deeds Done Dirt Cheap" ("Lavori Sporchi A Prezzi Stracciati") degli AC/DC, contenuta nel terzo lavoro della band australiana datato 1976. Steve Souza non si può sottrarre dal dire che la band dei fratelli Young è una delle sue preferite e dopo una rapida risata ecco partire dietro di lui le chitarre e la batteria nel celebre riff d'apertura. Riascoltando il vocalist californiano, benchè il suo stile sia molto più ruvido, non possiamo nostalgicamente ripensare al grandissimo Bon Scott (e anche a Malcom Young, recentemente scomparso). Gli Exodus, in segno di rispetto, non si discostano quasi per niente dalla struttura originaria del pezzo, anzi si limitano a risuonarlo con la loro impronta personale, marcatamente più pestata e possente rispetto agli AC/DC. stiamo comunque parlando di una perla dell'Hard Rock, di una canzone dalla verve festaiola e spensierata che così deve restare, ecco perchè gli autori di "Fabulous Disaster" scelgono di non stravolgerla troppo, è l'ultima suonata della serata, bisogna quindi coinvolgere tutti i presenti in un ultimo momento di corale baldoria prima del congedo e la missione è compiuta sotto ogni aspetto. La lirica scritta dai musicisti di Sidney ci riporta indietro nel tempo, agli anni dei banchi di scuola, dove un vessato secchione percorre la sua parabola esistenziale in qualità di vittima dei bulli prima, di una fidanzata fedifraga poi ed infine di una moglie insopportabile. Il dialogo è tutto incentrato intorno alla figura del vocalist: Steve Souza, e originariamente Bon Scott, si presentano al malcapitato in qualità di salvatore free lance. I bulli sono la sua tortura qotidiana oppure ha problemi con il preside? Non si faccia scrupoli a chiamare il suo rocker protettore. Come in uno slogan pubblicitario infatti, egli lo esorta a non esitare e gli fornisce anche il numero di telefono da contattare; lui è lì, seduto a casa a non far niente ed attende trepidante l'occasione per scendere in campo e spaccare qualche testa. Lo si può chiamare in qualunque momento ed il rocker interverrà ad eseguire per pochi i dollari anche i lavori più sporchi. La fidanzata si è appena presa gioco di noi mettendoci le corna col capitano della squadra di football? Giusto il tempo di una chiamata e questo marcantonio si ritroverà conficcato nel bidone della spazzatura, mentre lei verrà gettata imbatazzata al centro della folla con le grazie scoperte. L'offerta è valida anche per gli adulti. La vostra mogliettina vi assilla tutti i giorni rendendovi la vita impossibile? Chiamate il 36 24 36 e il nostro rockettaro sarà ben lieto di togliervele di torno; basta scegliere, un bel paio di scarpe di cemento per mandarla a fare un tuffo nell'oceano, del tritolo, una lama sulla gola, della corrente elettrica, qualsiasi cosa, Con soli pochi spiccioli si può rimediare ad ogni problema... un'occasione da non perdere. Il pezzo va a chiudersi in maniera netta, con uno stoppato precisissimo modellato sugli stop and go che ci hanno accompagnato durante l'intero pezzo. Zetro saluta il pubblico e sul fade out del boato finale si chiude questo elettrizzante live degli Exodus.
Conclusioni
"Good Friendly Violent Fun" è un live album che andrebbe ascoltato in modalità "reale" per essere apprezzato pienamente, nel senso che le tracce qui contenute vanno assorbite una dopo l'altra senza pause o skippamenti di sorta (se si esclude la necessità di dover voltare il vinile ovviamente, ma se lo avete in formato cd o in digitale non azzardatevi a fermarlo). Il Thrash Metal è un genere che non concede pause, ma va goduto dal primo all'ultimo secondo senza un attimo di esitazione. In queste otto canzoni abbiamo un'istantanea di una band ancora giovanissima che però buttava fuori dal palco tutto ciò che aveva, ecco perchè l'ascolto di questo lavoro va effettuato nella maniera più simile al trovarsi in loco. La pregevole qualità della registrazione ci consente, chiudendo gli occhi, di immaginarci tra la folla presente al Fillmore il 14 luglio del 1989, e con un pizzico di immaginazione in più, possiamo sentire l'odore del sudore degli astanti misto a birra calda che popola le platee dei concerti Thrash; ci basterà sforzarci leggermente di più per sentire sulla nostra pelle le spallate arrivarci dagli altri thrasher che come noi si gettano nella mischia ed avremo così la perfetta rievocazione di un concerto assolutamente da ricordare. Per quanto riguarda l'attitudine, questo disco è un must assolutamente da avere per gli amanti della cattiveria sonora senza tanti fronzoli: niente introduzioni sinfoniche, niente allestimenti teatrali o figuranti di sorta, solo cinque musicisti che arrivano, spaccano tutto e se ne vanno, come del resto deve essere in un live di questo tipo. Con solo una batteria, due chitarre, un basso ed un cantante, gli Exodus sprigionano una muraglia sonora che lascia supporre che su quel palco siano cinquanta i metallari a suonare, la grinta, il feeling ed il groove di queste otto canzoni ci travolge come un fiume in piena per poi lasciarci lì a terra, come un uragano che si abbatte su una città e la abbandona in macerie. Come abbiamo detto, le regole del Thrash metal ormai sono state dettate: mostri sacri del calibro di Metallica, Slayer, Testament, Megadeth e gli stessi Exodus hanno definito quella che è la loro arte, fatta di riff potentissimi suonati a velocità alcaline, ma non è finita qui; accesa quella fiamma essa deve continuare ad essere alimentata ed ecco quindi che appena viene pubblicato un album la band si imbarca in un lungo tour che dalla terra natia si espande sugli altri continenti per cercare e distruggere tutte le relative fan base. La maggior parte dei brani, ovviamente, viene estrapolata dal disco che la band pubblicò nello stesso anno in cui si svolse il concerto, ma non dimentichiamoci che solo due anni dopo, Gary Holt e soci tornarono sulle scene con "The Impact Is Imminent"; a fine anni Ottanta quindi il Thrash visse una vera e propria epoca d'oro, con gli artisti che sfornavano un album e subito si mettevano al lavoro sul successivo, le idee erano tante e i musicisti erano anche più veloci a concretizzarle ed inciderle e questo, inevitabilmente, si risolveva con un calendario di concerti sempre fitto ed ricco a livello di proposta, cosa che in questi anni si è notevolmente dilatata. Ciò è sintomatico dei tempi: se vent'anni fa il Thrash aveva molto più mercato di adesso, perchè al giorno d'oggi anche le band di fama planetaria riscontrano vendite minori rispetto agli amati eighties, con dischi come "Good Frendly Violent Fun" possiamo guardare agli anni che furono. Chi ebbe la fortuna di viverli, riascoltando questo album, sentirà scendere una nostalgica lacrimuccia dagli occhi, i giovincelli che invece sono nati negli anni seguenti possono, in qualità di "metal kids", farsi un' idea di che cosa ci sia alle spalle del Thrash che possono ascoltare oggi. Fermo restando che l'ambito Thrash è uno dei pochi nei quali le band non deludono praticamente mai (chi ha fatto leggenda negli anni Ottanta ancora oggi, se in attività, porta avanti il proprio credo, con risultati più o meno apprezzabili, ma sempre con la stessa passione degli albori), con questo disco si va a colpo sicuro. Prendiamo in esame proprio gli Exodus, il sottoscritto ha avuto modo di vederli dal vivo, e nonostante la formazione sia cambiata e il gruppo abbia subito degli alti e bassi, quello che vidi al Gods Of Metal è la stessa sana violenza che ho potuto apprezzare su questo live album. Se siete amanti della musica dura, cruda e schietta quindi, mettete su "Good Friendly Violent Fun" e che il devasto abbia inizio.
2) Chemi-Kill
3) 'Til Death Do Us Apart
4) The Toxic Waltz
5) Cajun Hell
6) Corruption
7) Brain Dead
8) Dirty Deeds Done Dirt Cheap (AC/DC Cover)