EXODUS

Bonded By Blood

1985 - Combat Records

A CURA DI
LORENZO MORTAI
22/08/2017
TEMPO DI LETTURA:
10

Introduzione Recensione

Nel nostro sacrosanto Heavy Metal, così come nel suo figlio maledetto, il Thrash, esistono storie che possono anche far accapponare la pelle. E non parliamo di morti sotto ad un tragico incidente stradale, né di malattie incurabili che ogni tanto si prendono qualcuno dei nostri beniamini, niente affatto, qui parliamo di storie di sangue. Immaginate di essere all'inizio degli anni '80, la vostra anima arde per il sacro fuoco del metallo, niente sembra fermarvi. La storia del gruppo che sta per iniziare è una vera e propria leggenda; il suo incipit è rimasto indelebile nei solchi della storia, le sue imprese ancora oggi gridano al miracolo, e la forza di questa storica formazione ancora riesce a far tremare le vene dei polsi. Lo scenario di contorno è l'assolata Bay Area, patria vera e propria del Thrash Metal assieme all'opposta scena nord con New York e Washington. Due aree geografiche dello stesso paese, accomunate da tradizioni e rituali, ma diverse sotto moltissimi aspetti. Da una parte avevamo New York col suo dedalo di strade, patria di immigrazioni, di fortuna cercata e molto spesso mai trovata, di storie leggendarie e di vicoli bui e pieni di fumo. Il Thrash di questa frangia era violento, molto più spinto verso la parte Hardcore che diede vita al genere stesso, centinaia di formazioni lo testimoniano ancora oggi. Dall'altra invece il sole e le spiagge, il surf e l'allora nascente Glam ed Hair, capelloni e pailettes che iniziavano a vendere bene, e nel mezzo, gruppi di ragazzi con in testa una cosa sola, dare a tutti una sonora lezione di violenza. Un gruppo di ragazzi, amici fin dai primi anni di vita, avevano formato una band, dediti fra i primi al verbo del Thrash; il loro nome era simbolo di austerità e visibilio, mandava in frantumi i vetri, erano nati gli Exodus. Se la storia del brand è leggendaria, quella attraverso la quale Gary Holt, l'allola giovanissimo Kirk Hammet (che virerà verso i fortunati lidi dei Metallica poco prima della effettiva release) e gli altri, ha un sapore quasi mistico. Una sera, tagliuzzandosi le vene e mischiando il loro sangue all'interno di una coppa, in balìa degli effluvi di alcool quanto di droghe sparse, i nostri thrashers si accorsero che mischiare il sangue avrebbe potuto, paradossalmente, creare qualcosa di magico, dare vita ad una creatura mistica e truculenta, che avrebbe magari potuto dominare il mondo. Era il 1982 quando tali fatti accaddero, il Thrash era ancora un neonato, ma aveva già dato a tutti una lezione di stile, aveva insegnato al mondo intero cosa volesse dire fare musica davvero aggressiva, ma senza dimenticare la tecnica e la versatilità dei suoni, dietro ai quali c'è sempre una ricerca lenta e costante, trasformando i musicisti in veri e propri alchimisti musicali. I Big 4 erano già sulla cresta dell'onda agli inizi degli '80 (Metallica e Slayer su tutti, coloro che per primi bagnarono la terra col sangue Thrash), e i nostri ragazzi californiani certamente rimasero, come molti altri all'epoca, colpiti da quel sound così mistico e particolare, un modo di suonare tutto nuovo che entrava subito in testa e non ti lasciava più. Paradossalmente possiamo annoverare gli Exodus come la prima vera band Thrash della storia musicale, anche se ovviamente madame storia ha dato i natali ai Metallica. Questo perché la primissima demo firmata da Holt ed Hammet, uscì pochissimo tempo prima dell'ufficiale apparizione dei Metallica sulle scene (nella storica compilation Metal Massacre prodotta dalla Metal Blade). Holt ed Hunting, assieme ad Hammet e Baloff, fecero allora la scelta che portò alla ribalta il genere: mettere in piedi una propria band e partecipare a quell'orgia di sangue; il risultato che ne venne fuori fu qualcosa che ancora oggi li annovera fra le formazioni che si sono "mantenute meglio" nel tempo, come i loro fratelli Overkill o Testament, essendo gruppi che, per anni, sono stati considerati semplicemente come "la seconda ondata del Thrash Metal" (pur, parlando specificatamente degli Exodus, con i dati aggiuntivi che abbiamo citato poche righe fa), hanno sempre dovuto lottare con le unghie e coi denti per conquistarsi un titolo di rispetto e onore all'interno del panorama, e diamine se ci sono riusciti. La dimostrazione di tutto questo è che, ancora oggi, dopo più di 30 anni di storia, gli Exodus ancora riescono a riprodurre quella aggressività che li aveva resi celebri da giovani, riescono ancora a fondere quel Metal/Speed veloce e tagliente, con la violenza testuale e vocale dell'Hardcore, cose che, nei gruppi che hanno fondato questo genere, non capitano più così spesso (l'unica mosca bianca di questo percorso sono gli Slayer, che in maniera assai intelligente, hanno preferito darsi alla sperimentazione più estrema, cambiando percorso di volta in volta, man mano che il tempo passava). Perché siamo qui oggi? Per eviscerare il risultato di quell'esperimento macabro di inizio anni '80, il primo vero lavoro della band, considerato da molti ancora oggi il miglior disco mai prodotto dagli Exodus. Personalmente mi trovo d'accordo a metà con tali affermazioni, penso sicuramente che questo album abbia segnato in modo indelebile la storia del Thrash Metal, ancora oggi migliaia di ragazzi che si avvicinano a questo genere, accanto ad un Kill'Em All o a un Show No Mercy, ci mettono questo disco; non lo ritengo il miglior album mai prodotto dagli Exodus perché questo lavoro è davvero un caso a parte, ha avuto una gestazione così complessa e lunga (era pronto nel 1984, ma problemi, rimandi e crisi varie lo hanno fatto slittare addirittura fino al 1985, particolarmente per problemi della band con la Combat Records), è stata complessa anche la sua realizzazione, perché riuscire a creare un sound che non facesse troppo ricordare band già esistenti non è affatto facile. Eppure gli Exodus ci sono riusciti, hanno dato vita ad un disco che, più che considerarlo "il migliore mai prodotto", va considerato "unico nel suo genere", semplicemente perché, in un periodo della storia in cui del Thrash si era già detto tanto, loro riuscirono a dire qualcosa che nessuno aveva ancora mai detto, portando scompiglio all'interno del mondo Metal, e risultando fin da subito, persone "da tenere d'occhio". La peculiarità di questo album sostanzialmente è da ricercarsi nella violenza che riesce a sprigionare, una cattiveria di fondo, legata principalmente all'odio dei musicisti verso tante ingiustizie del mondo, che porta la band a creare un sound duro come il mattone, tagliente come un rasoio affilato, e martellante come l'incudine di un fabbro. In tutto questo però, il vostro recensore qui presente ancora non ha mai citato il titolo dell'album che oggi andremo a servire su un piatto, ma lo ha fatto per un buon motivo, aveva bisogno di una presentazione come si deve; immaginate una famiglia, perfetta, i genitori sono sempre vestiti di tutto punto, il figlio più grande va al college, ogni giorno della loro vita è scandito dall'orologio, ogni giorno vanno e vengono da quella casa con fare da macchine, niente sembra poter turbare il loro equilibrio. Un giorno, da bravi "servi di dio", si rallegrano per la notizia della imminente gravidanza della madre di famiglia, tutti sono in trepidante attesa, ogni minuto che passa li avvicina ancora di più all'atto finale. Ed è qui che viene fuori lo zampino di un certo demone a forma di capra, con forcone e corna; insinua all'interno della madre il peccato, lo scompiglio ed il male; al momento della nascita, si scopre che i bambini sono due, gemelli siamesi attaccati per la schiena, uno rosso, candido e gentile, l'altro oscuro, con un alone di malignità che trasuda da ogni poro della sua pelle. I genitori rimangono sconvolti dalla visione, mentre quel piccolo demonio inizia a leccare il sangue delle sue ferite, alimentando il suo ego e gioendo di ogni dolore che i suoi occhi vedono. Vi ricorda niente questa descrizione? Direi di si, un rimando grezzo, ma efficace, al grande (ed originale, cambiato poi nella edizione del 1989) artwork del disco, copertina iconica per un titolo altrettanto iconico; da quel mischiarsi di sangue del 1982 è nato un arcangelo dell'inferno, è nato nel male, è nato nel sangue, è Bonded By Blood.

Bonded By Blood

Una intro lenta e lugubre, data principalmente dal rumore bianco degli strumenti, ci spalanca le porte di questo inferno e, scelta alquanto strana, ci piazza subito alla prima posizione la traccia che da il nome all'album stesso, Bonded By Blood (Legati dal Sangue); dopo il piccolo omaggio alla ambient, le ritmiche Speed iniziano a partire in tutta la loro potenza, le chitarre fin da subito iniziano a vomitare riff come se il tempo si fosse fermato, inanellano combo una dietro l'altra, duellando fra loro come antichi guerrieri. La batteria nel frattempo viene pestata duramente, i lividi sulle sue pelli si faranno sentire, ma il ritmo di fondo che riesce a creare è davvero unico. Tutto ciò però non sarebbe niente senza la voce del grande Paul, così legata ai ricordi dell'Hardcore di inizio anni '80, quel modo di cantare quasi "recitato" più che melodicamente in linea con la musica, fa di questo frontman uno dei più atipici di sempre, portando il suo livello ai più alti. La voce è lineare, non si getta quasi mai in acuti o soli di voce (tranne in rare occasioni), ma riesce a sfoderare una violenza durante la performance che lascia tutti senza fiato (ne Steve Souza, ne Rob Dukes, i due sostituti futuri di Baloff, arriveranno a tanto, almeno non con la stessa verve), si ha quasi l'impressione di sentir qualcuno che urla nel cuore della notte, affacciato alla finestra egli grida con tutta la gola il disgusto che sta provando, e noi, nel letto, ci svegliamo di soprassalto, impauriti da quei suoni. In tutto questo, non dimentichiamoci del buon Gary Holt, vera spina dorsale (ancora oggi) della band; il suo modo di suonare richiama si le tradizioni imboccate dai fondatori del genere, quella supertecnica di chitarra unita alla mazzata nei denti data dall'HC, ma la arricchisce con queste velate (ma neanche troppo) chiazze di Speed, tant'è che il pezzo non fa in tempo ad iniziare, che già arriviamo velocemente alla fine, senza neanche accorgercene. Il pezzo è un susseguirsi di bridge e cambi di tempo legati l'uno all'altro, fino all'esplosione con l'assolo finale, eseguito da Holt, che da quell'ultima vena Metal all'intero brano, per non farci dimenticare nessuno dei due "gemelli"; ci viene narrata una chiara rappresentazione di scene apocalittiche. Il gruppo è sul palco, sta forsennatamente suonando la propria musica infernale, ed il pubblico sotto, in un'orgia di violenza e urli, è in estasi per ciò che quegli ampli enormi stanno sparando a tutta forza; è allora che Baloff invita il pubblico stesso a partecipare allo spargimento di sangue, li invita a tagliare i palmi delle proprie mani e bere il nettare che ne esce fuori, per succhiare l'energia direttamente dal proprio corpo, ed essere pronti alla battaglia. Tutto questo però, a quale scopo? Beh, ovviamente, per pagare il grande tributo di sangue al dio del Metal, che troneggia sopra il palco, e che ha bisogno di carne fresca; Paul e Gary continuano ad incitare il pubblico, se faranno quel che loro chiedono, saranno legati per sempre a sé, legati nel sangue appunto, quell'onda piena di ardore formata dal pubblico e dal gruppo assieme, crea un legame così forte che il dio del Metal si compiacerà, fino a squarciare il cielo con una mano. Il calice del sangue è stato progressivamente riempito, l'orgia del male sta per iniziare, e noi continuiamo a perderci nel turbine che la band riesce a generare col suo impatto sonoro senza precedenti; i ritmi si fondo grandemente con la canzone che viene urlata in faccia da Baloff. Ogni sua parola è una accidentale rasoiata direttamente alla giugulare, ogni suo nuovo verso ci si stampa direttamente in faccia come un calcio ben assestato, ed in tutto questo l'onda di quel liquido purpureo continua a scorrere inesorabile. Immaginiamo davvero un enorme festival con gli Exodus, in cui, al loro segnale (come accade per il Wall of Death degli Slayer) ci buttiamo nella mischia e gli spruzzi di sangue cominciano a schizzare le nostre facce, anche se stiamo facendo tutto questo per un fine "superiore". C'è anche una critica silenziosa, all'interno del pezzo, ai falsi ascoltatori di Metal, a coloro che non capiscono, o fanno finta di non capire, che questa musica è l'emblema della fratellanza e dell'unione fra persone, non si parla semplicemente di migliaia di persone che si ritrovano in un campo per ascoltare quattro rozzi individui con chitarre e batterie. Si parla piuttosto un'unione profonda data da questa musica (o dalla musica in generale), ogni ragazzo in piedi guarda ogni tanto al fratello che ha accanto, e anche se i loro sguardi non si sono mai incrociati prima di allora, al momento del pezzo preferito, inizieranno a saltare insieme mano sulla spalla dell'altro, urlando con tutto il fiato le parole di questa canzone, e compiacendo ancor di più quel Dio del Metal che Paul ci sta facendo servire durante l'esecuzione. Una canzone che dal vivo dona il meglio di sé; viene interpretata con nerboruta forza anche dal successivo cantante del gruppo, Souza, ma anche dal suo sostituto intermedio, Dukes. E' un vero e proprio inno del genere, un brano che sarà ancora attuale anche fra moltissimi anni, al pari di altrettanti blasoni del filone come Four Horsemen dei Metallica, Elimination degli Overkill o Caught In a Mosh degli Anthrax.

Exodus

Neanche il tempo di riprendere fiato da questa serie di cazzotti musicali, che subito veniamo gettati nella mischia dal primo dei brani leggermente più Metal di questo album, una cavalcata delle valchirie sempre nel segno del male, che porta il nome di Exodus (Esodo); i ritmi qui si fanno leggermente più inclini al Metal friendly, dando una sferzata di energia e di velocità, ma senza dimenticare le radici ovviamente, date per la maggior parte dalla voce di Paul. Riff di chitarra si susseguono, micro assoli ci martellano il cranio senza sosta, piccoli accenni di scalate del manico di chitarra ci fanno quasi sempre sperare in un assolo completo, ma esso non arriva fino alla metà del brano, in cui Holt si butta a capofitto dentro le note, e finalmente sfoga tutta la sua verve. I collegamenti fra le varie sezioni sono dati dai controtempi di batteria, appena essa accenna ad un cambio di ritmo, automaticamente il pezzo cambia dietro di lei, seguendo una linea perfetta e senza sbavature. Incastonate fra queste perle troviamo piano piano le parole, che come sempre vengono direttamente urlate in faccia al pubblico; Paul da sfogo a tutta la sua cattiveria, auto-celebrando la band stessa con un picco di sound che si fa sempre più alto e violento, senza fermarsi neanche un istante, ma anzi, aumentando la propria potenza ad ogni nuovo angolo del brano stesso. Peculiarità di questo album è anche che, nonostante la registrazione grezza e sottotono in alcuni punti, si riesca chiaramente a distinguere ogni singolo passaggio, e anzi, quel tipo di suono molto ovattato, in tanti momenti del disco fa si che la musica risulti ancora più infernale. Si parla di Esodo qui, ma certamente non di sacra memoria, niente mare che viene separato, niente pioggia di fuoco ne egizi che ci inseguono per farci la pelle, qui parliamo dell'Esodo di un'armata della morte piena fino ai denti di coltelli, catene e un sano istinto omicida, parliamo di uno squadrone di soldati del male scelti da Baloff in persona, per il solo gusto di andare a giro e provocare disastri a non finire. Si staglia di fronte a noi  l'esercito di prescelti del male che avanza per le strade di una deserta città, i coltelli si muovono in sincrono con la loro camminata, le catene che cadono dalle loro mani sferragliano ad ogni sentore di vento, ed i passi dei loro anfibi diventano, tutti assieme, un enorme vampata che si propaga nella notte. Nessuno osa mettersi sulla strada dell'Esodo, chiunque ci provi, viene preso a calci in faccia e brutalmente trucidato da questa orda di demoni umani. Paul continua ad incitare i suoi soldati, la violenza gratuita la fa da padrone, tanto che ad un certo punto anche noi ci sentiamo vittime inconsapevoli di questo esercito, iniziamo a provare quei brividi lungo la schiena che essi possano incrociare la nostra strada, e certamente il cantato gutturale e proveniente dai meandri dell'inferno più nero operato da Baloff, non è assolutamente di aiuto. Qui la critica continua ad essere quella del brano precedente, questo "esercito" di uomini scelti, può essere sempre legato dall'amore per questa musica, un legame duraturo nel tempo e senza precedenti, chiunque provasse a spezzarlo, finirebbe male, nelle grinfie di questi soldati, e la morte per lui sopraggiungerebbe decisamente prima del tempo. E' straordinario vedere che, grazie a questo album, si è creato un precedente davvero degno di nota; molte formazioni più estreme del Thrash, nelle fila del Death o del Black, ricordano con piacere questo album come "Uno dei dischi più violenti mai sentiti", ed è assolutamente vero, ogni nuova canzone che ci spariamo nelle orecchie è una Killer application senza precedenti, si riesce davvero a sentire sulla nostra pelle la cattiveria che gli Exodus volevano esprimere, rabbia giovanile forse, o più semplicemente persone stanche di tante cose del mondo, talmente stanche da voler menare fendenti per ogni piccola cosa. Ed è anche particolare pensare che gli Exodus non hanno mai più avuto un sound così, i dischi seguenti a questo (anche quelli con Dukes alla voce, decisamente più Hardcore) non hanno mai saputo ricalcare la vena di cattiveria che Baloff era riuscito a tirare fuori, e viene da chiedersi cosa avrebbe fatto se non avesse abusato troppo di droghe e alcool, venendo allontanato dalla band stessa, prima di morire nel 2002. 

And There Were None

Avete presente fumetti come Kenshiro? In cui ci viene presentato un futuro post apocalittico nel quale l'umanità decisamente non se la passa bene? Beh, certamente, ed è noto, i due autori si sono ispirati a film come Mad Max per ricreare il plot narrativo di fondo, ma secondo me qualche piccolo ascolto al Thrash lo hanno dato; in questa branca musicale la visione dell'olocausto nucleare, mondi che implodono, desertificazione e in generale la sofferenza derivante da un grande cataclisma, sono all'ordine del giorno (i Nuclear Assault gli hanno dedicato addirittura un disco intero); e potevano esimersi i nostri Exodus dal dedicare una canzone all'argomento? Certo che no, ed ecco infatti che alla terza posizione troviamo And then There Were None (E poi non restò nulla). Si tratta forse del brano più old school di tutto il disco, i ritmi sono presi di peso dall'Heavy di inizio anni '80, quelle chitarre col sapore della carta vetrata che partono all'inizio, i bridge che si collegano fra loro grazie ad un cambio di tempo, e la voce di Baloff che qui abbandona per un istante la violenza dei primi due brani, e abbassa il tono di voce per parlarci di distruzione del mondo. Qui, dato che i ritmi si fanno più pacati, possiamo apprezzare ancor di più ogni singolo membro del gruppo; Holt e Hunolt (cognomi quasi speculari, o in contrasto l'un con l'altro) si infilano l'armatura e si colpiscono a suon di riff e saette, guizzando da un lato all'altro del pezzo come impazziti, il tutto mentre il buon Tom Hunting alle pelli abbassa per un momento i toni, si riprende, ma continua a martellare come un maledetto, dando il tempo come durante un mistico rito tribale. Come si evince già dal titolo, il brano esplode nella nostra testa come una detonazione atomica, una grande luce vediamo di fronte a noi, che quasi ci toglie la vista, e poi, l'ovattato silenzio della morte, il niente ci circonda, vaghiamo per campi che una volta erano rigogliosi, ma che adesso sono soltanto parte del grande cerchio del nulla. In mezzo a tutta questa devastazione, ci viene da pensare al motivo per il quale siamo arrivati a questo punto, cosa può averci portato a tanto? La risposta è semplice, la brama smodata di potere e soldi, l'incontrollato orgasmo del denaro che porta gli uomini a volerne sempre di più, senza preoccuparsi delle conseguenze di ciò che stanno facendo. E' così che nascono guerre e conflitti di vario genere, ed è così che si può arrivare all'annichilimento più totale della società stessa, quel microcosmo fatto di pochi eletti che tengono in mano le redini del mondo, hanno la mano aperta sotto la Terra, ma se decidono di chiuderla, ogni singola persona finirà schiacciata in questa raggelante morsa di potere. Gli Exodus immaginano tutto questo come l'eterno sconto fra bene e male, fra Dio e Satana, Dio, dall'alto dei cieli, piange lacrime amare per non essere riuscito a fermare questo scempio, il suo volto si corruga di dolore per ciò che i suoi occhi vedono, vorrebbe essere cieco per non assistere alla morte del mondo, ma purtroppo è costretto a guardare. In tutto questo troviamo dall'altra parte colui che è piantato col naso nella terra dalla notte dei tempi (per citare L'avvocato del Diavolo), colui che forse più di chiunque altro al mondo conosce l'uomo, colui che viene fuori ogni volta che cerchiamo una risposta alla quale non sappiamo dire niente, Satana viene fuori e ci danna di tentazione, mettendoci sulla strada dell'Inferno. Qui lo troviamo compiaciuto per il suo operato, la violenza che sta vedendo, operata da lui col consenso degli uomini, fa gonfiare il suo petto e alimentare il suo ego, lo rende fiero di ciò che ha fatto, e le sue risate malefiche si stagliano nel mondo, entrando nella mente di ogni uomo. Non dimentichiamoci però, come accennavamo prima, che la colpa di tutto questo è da ricercarsi in quella brutta faccia che vedete allo specchio ogni mattina, maledicetevi per quello che avete fatto, strappate i vostri capelli per la fine del mondo su cui voi avete messo ancora più peso, avete premuto il pulsante della fine, e ora non si torna più indietro, è troppo tardi. 

A Lesson In Violence

Esiste anche però chi si schiera dalla parte di Dio, guerrieri sacri che fanno di tutto pur di combattere il male, come fossero Templari che cercano di proteggere i segreti del mondo; purtroppo però quando arrivano al fatidico scontro finale con la creatura generata dal male (come accade per i gemelli dell'artwork) accade sempre che sia il male a vincere, è troppo forte, gode del favore di qualcosa che non ha limiti, perché generato dall'odio umano, un elemento senza confini. Ed ecco allora che al povero guerriero di Dio non rimane altro che imparare la lezione, ma non seduto al banco di una scuola, piuttosto a suon di colpi e calci, una vera e propria A Lesson In Violence (Una Lezione nella violenza); dopo esserci fregati le mani con l'old school del brano precedente, qui torniamo alla carica sul Thrash puro, di nuovo le chitarre acquisiscono velocità e tecnica sopraffina, dilagano come un morbo nella nostra testa, il basso dietro funge da metronomo per tutto questo, e la batteria preme decisamente il piede sul contagiri, e manda la macchina a sfrecciare lungo la strada della perdizione. Paul, in questo caso, non se lo fa ripetere due volte e torna al cantato sentito in precedenza, una scossa di male che ci trapana direttamente il corpo come il colpo d'un fucile, la nostra testa scoppia, e lui urla più forte, fino a creare un dualismo fra noi e lui che difficilmente scioglieremo, sarà sempre amore al primo ascolto. E' interessante osservare anche come gli Exodus riescano a cambiare passo o ritmo in men che non si dica, dimostrando a tutti quanta ricerca c'è stata per la stesura dei pezzi, senza peccare di falsa modestia, si sono messi lì, come Nerd con il computer, a cercare il suono giusto in funzione del testo e viceversa, fino a creare qualcosa di pressoché perfetto. Come accennato nella pre-descrizione, il brano sostanzialmente parla dello scontro fra male e bene, un po' come accadeva nel brano precedente, ma stavolta si parla di un vero e proprio scontro all'arma bianca fra il guerriero di Dio, e quello di Satana; il guerriero bianco si fa avanti, convinto di avere la verità in mano, e che la sola sua visione costringerà il demone ad andarsene e tornare da dove è venuto. Quel che non si immagina, è che il demone lo inviterà ad attaccare, al fine solo di sfamare la sua brama di violenza, e insegnare a lui la famosa "lezione nella violenza", un insegnamento a suon di cazzotti e calci di chi sia a comandare su questa terra, e di quanto gli avversari siano impotenti di fronte a tutto questo. Il demone schernisce il guerriero bianco, dicendogli che Dio non lo aiuterà, potrà contare solo sulla sua vacillante fede, ma una volta che i suoi colpi arriveranno al suo viso, quella stessa fede varrà come niente, invocherà pietà e che quel bagno di sangue finisca, e sarà allora che il demone continuerà ad attaccare ancora e ancora, finchè di lui non rimarrà nulla. Qui Satana si erge (attraverso la voce a tinte Horror di Paul, davvero a livelli alti in questa sessione) a padrone del mondo terreno, a colui che davvero ha creato l'uomo, forse Dio ha messo in piedi il progetto originale, ma Satana ha dato all'uomo tutto ciò che Dio non avrebbe mai potuto dargli, ed è per questo che nello scontro finale il male trionfa, perché il demonio conosce il prodotto meglio del suo creatore. Sono visioni queste che ricordano molto opere come Paradiso Perduto di John Milton , nel quale Satana viene rappresentato come un vero e proprio eroe da celebrare, essendo egli forse l'ultimo vero guerriero rimasto sulla terra, colui che, per proteggere i demoni e l'uomo, è stato cacciato dal paradiso e relegato nel ghiaccio dell'inferno, dove rimane tutt'ora. La conclusione del duello dunque è annunciata fin dalle prime righe, il demonio nero costringe il guerriero bianco ad inginocchiarsi e piegarsi al suo volere, niente potrà fermare tutto questo, la lezione nella Violenza è stata imparata, e il soldato di Dio certamente ha capito chi comanda; anche se, nonostante tutto, la cattiveria di un emissario di Satana non ha limiti, ed ecco che allora, dopo averlo umiliato, il demonio lo finisce col coltello, come ama fare lui, nella schiena, di modo che il dolore si senta lancinante in ogni neurotrasmettitore del cervello, si propaghi come un incendio nella mente e nel corpo, e non si possa più scordare.

Metal Command

Ora è il momento di parlare di chiamata alle armi, armi sempre del Metal ovviamente; ricollegandosi per un minuto al primo brano, qui si cerca però non la violenza, ma proprio il combattimento in onore della nostra musica, quella unione fraterna di cui parlavamo prima, quel legame di sangue inscindibile. Era ovvio che, per dare una impronta alla armata del metallo, ci fosse bisogno di scendere un attimo dal piedistallo del Thrash, e andarsi a sporcare nuovamente le mani col Metal puro, senza mai dimenticare il percorso di base; gli Exodus ci deliziano con questo Metal Command (Comando Metal), nel quale i ritmi decisamente sono veloci e comunque dal sapore Thrash, ma preferiscono andare verso il piatto della bilancia Metal, piuttosto che verso l'HC. Troviamo un Paul in stato di grazia mentre qui sforza la sua voce fino a livelli incredibili, alle volte coprendo anche gli altri strumenti, che preferiscono eseguire lo stesso ritmo per rendere ancora più efficace la sua arringa contro il mondo, e verso i cavalieri dell'armata metallara. La suite si conclude nel sangue grazie ad un assolo davvero degno di nota eseguito da Holt, anch'egli in pieno stato divinatorio, mentre ci riversa addosso secchiate di note come se fossimo sotto una cascata, e noi certo non gli diciamo di no. Poi piano piano si procede verso il finale, con un lento e progressivo abbassamento dei toni fino alla conclusione, ma quella scossa finale ci doveva essere, ed è proprio il buon Baloff a darcela, grazie ad un ultimo sforzo vocale che certo ci rimarrà impresso per sempre, mentre continua ad urlare il nome del Comando Metal direttamente nella nostra anima. Come dicevamo prima, questo più che un brano è una chiamata alle armi (reminiscenze Manowar? Forse), si cerca di attirare a sé tutti i metalheads che pian piano gremiscono il luogo del concerto, al grido di un pogo generale tutti cominciano a spintonare, i cori si fanno sempre più alti, l'eccitazione si taglia col coltello. Paul e Holt ci invitano a scuotere la testa, headbanging sfrenato mentre sentiamo questa musica colpirci il cuore, i ritmi veloci accelerano il nostro battito, e la nostra mente comincia a volare su antichi campi di battaglia, mentre con la canzone nelle orecchie brandiamo un'ascia più grande di noi, e meniamo fendenti come indomiti guerrieri. Pezzo davvero evocativo questo, in pieno stile anni '80, in cui la battaglia per il "Trve Metal" (ho citato i Manowar non a caso prima) infiammava gli animi di molti, si cercava sempre di capire quale fosse il vero spirito di questa musica, e quale fosse soprattutto il vero genere da ascoltare; a distanza di anni abbiamo capito che il metallaro, più che un fan del Metal, è colui che riesce a distinguere cosa sia buona e cattiva musica, ha una visione del mondo a 360°, certo, sempre pronto a difendere il Metal stesso, ma è anche un vero e proprio cultore della musica, una spugna che assorbe tutto ciò che gli sta intorno, e che ha capito soprattutto che senza il "prima", non c'è "dopo". Tutto questo purtroppo negli anni è stato abbondantemente travisato, e siamo arrivati oggi a vedere orde di ragazzini che additano tutto ciò che non sia Metal come spazzatura, niente di più sbagliato, non dobbiamo mai dimenticarci che il Metal è figlio degli anni '70, decade in cui il celebrale in musica era pane quotidiano, e fu proprio quella voglia incontrollata di sperimentare, che portò tanti gruppi ad abbandonare l'Hard Rock per il nascente astro Metal, senza certo però dimenticare da dove venivano, e continuando a provare un rispetto immenso per quello che li aveva portati fin lì. La canzone degli Exodus è decisamente più incentrata sullo svolgimento della battaglia, questa calling to arms che infiamma il petto degli astanti, Paul e Holt si mettono a capo di questo esercito, e lo guidano attraverso il mondo per diffondere il verbo del Metal su scala mondiale. Una canzone che, come accade per Metal Militia dei Metallica, fa da contralto a tutto il disco; ti entra nelle ossa, ci si pianta dentro ed inizia a farle sanguinare dall'interno, buttando litri di dolore fuori e facendoti urlare. Una composizione che verrà ricordata negli annali della storia, veloce e cattiva al tempo stesso, una lezione di stile senza precedenti che gli Exodus danno al mondo intero.

Pirahna

Siamo nel mare, la nostra nave solca le acque cristalline, spumeggia ad ogni nostro passaggio; scendiamo e prendiamo una imbarcazione più piccola ed agevole, imbocchiamo la via del fiume, enorme, maestoso e con una portata ragguardevole. Ad un certo punto il disastro, l'imbarcazione si rovescia e finiamo in balia dell'acqua, e solo a quel punto ci ricordiamo in che fiume siamo; ci troviamo nel Rio delle Amazzoni, ben noto per essere culla di ogni sorta di predatore, fra cui spiccano senza dubbio i pesci più pericolosi al mondo dopo gli squali, gli indomiti Pirahna. Ed ecco che gli Exodus pensano bene di dedicare spazio anche a loro, a quel branco di assassini con denti enormi che solcano le acque del fiume, Pirahna (Pirahna) riprende nuovamente le metriche Thrash/Speed, infarcendole ancor di più con la violenza sanguinaria del testo. E' una suite di quasi quattro minuti in puro stile old school, si sente quel sound graffiato che ha reso celebre questo genere, è un vero omaggio a questa musica, operato da una band che su questo argomento ha molto da dire. Il cantato di Baloff ritorna come nei primi accordi del disco, quel recitato musicale di grande impatto, aiutato dai chorus di Holt che ogni tanto fa capolino al secondo microfono, ma pare sia (giustamente) più intento a eseguire combo sulla sua chitarra come impazzito. La violenza che viene sprigionata in questo pezzo davvero ci fa sentire come la vittima dei pesci killer, siamo nell'acqua e veniamo attaccati, il branco si muove verso di noi, sente l'odore della nostra paura, arrivano a frotte, e quando ormai stiamo per crollare dal terrore, è allora che attaccano con tutta la loro forza. La musica letteralmente ci strappa via brandelli di carne come se ci stessero mangiando, e l'accelerata a metà del pezzo è un colpo da maestro, visto che i Pirahna sono ben noti per divorare la propria preda in un battito di ciglia. Ecco allora che la pozza di sangue si fa sempre più larga, pezzi di noi si spargono nell'acqua, ma ancora la nostra testa non è morta, continua a guardare quello spettacolo macabro e al tempo stesso incredibile, mentre osserviamo le nostre budella uscire a forza dal petto e farsi un giro nel fiume. Questo passaggio del disco ci fa capire bene quanto per raccontare di morte e violenza non sia necessario parlare dell'uomo, basta andare nel regno animale; gli animali sono esseri incredibili, ognuno col suo microsistema in cui si accomoda in maniera agevole, noi stolti pensiamo di essere gli esseri più intelligenti sulla terra, ma basta cadere nel fiume sbagliato per divenire noi stessi prede, semplici bocconi di carne in attesa di morire. E' molto bello anche vedere la poliedricità di generi che si trovano all'interno di questo disco (ma è una peculiarità di tanti dischi Thrash Metal, essendo un genere figlio di due parti musicali così nette ed importanti), si passa da suites Speed/Thrash di inaudita sagacia, a momenti in cui pare di rivivere in pieno lo spirito Metal degli '80; tutto questo però viene sempre innalzato alla bandiera dell'HC da Paul Baloff, non mi stancherò mai di ripeterlo, escludendo Steve Souza (che ritengo essere il miglior cantante che gli Exodus abbiano mai avuto), Paul ha saputo davvero dare un'impronta propria a questa formazione e al sound generale, ha dato vita a qualcosa che nessuno si è mai permesso di imitare nuovamente, tanto era unico, peccato solo che la sua carriera sia stata così breve e piena di problemi, avrebbe potuto (lo è in realtà, ma non come dovrebbe) diventare una vera e propria leggenda musicale, solcando le ere con fare da condottiero. 

No Love

Arriviamo ora al momento più celebrale di tutto il disco, uno dei brani più duraturi dell'album, la magnifica No Love (Niente Amore); un flebile intro di chitarra acustica ci introduce, facendoci quasi pensare che si tratterà di una ballad lenta e struggente, considerando anche il titolo. Parliamo però di una band che beve dal calice della violenza come un assetato cerca la fontana nel deserto, ed ecco che dopo l'intro il martellante ritmo Thrash si fa sentire, andando quasi a sfociare in ritmiche Groove in alcuni passaggi, abbassando i toni e diventando decisamente più cadenzato. Nonostante fossimo in un periodo in cui lo Sludge e il Groove erano ben lontani dall'essere introdotti, questo pezzo in parte lo ricorda, anche se le schitarrate di matrice quasi arabeggiante che si sentono nella parte centrale, unite di riff di Holt e alla voce, non ci fanno certo dimenticare di essere in pieno Thrash Metal, anzi, ce lo ricordano ad ogni piè sospinto, ogni occasione è buona per tirare un altro colpo alla nostra mascella. L'ennesima lezione di stile da parte della band; è una composizione che non lascia spazio a molti dubbi. Aulica, muscolosa e potente, ogni sua nota viene suonata e cantata con grandissima forza. Si riescono a percepire ogni singolo elemento che ha accompagnato la band nei primissimi anni di vita; non dimentichiamoci infatti che tutte le band che hanno fatto parte del Thrash anni '80, esattamente come quelle che troviamo ancora oggi, sono partite dal basso, quando erano ancora ragazzi. Ragazzi che divoravano dischi da mattina a sera, veri e propri nerd musicofili che ascoltavano qualunque cosa gli capitasse fra le mani. Certo, sonorità come quelle che stiamo sentendo sono un profondo esempio di maturità, ma al tempo stesso ogni elemento viene congeniato per farci ampiamente pensare al passato del gruppo. Si sentono le influenze nel brano; si sente l'Hard Rock anni 070, l'Heavy classico di matrice inglese, si sente l'Hardcore ovviamente, la sua iniezione di possanza è ciò che rende il brano unico, e si sente perfino qualcosa che ricorda in parte alcune power ballad, salvo poi venire spazzate via dalla potenza stessa del pezzo. E' un brano davvero massiccio questo, sprigiona una energia molto potente, è completo e al suo interno possiamo trovare quasi tutti gli elementi che abbiamo sentito nei brani precedenti, un testamento davvero importante per la band; come si può pensare erroneamente dal titolo, la canzone potrebbe parlare di amori finiti, magari di storie che non sono andate, niente di più diverso dalla realtà dei fatti. Si torna qui difatti a parlare di diavolo, del male e del suo amore per l'uomo, il "Non Amore", quel comportamento apparentemente senza senso del Diavolo, additato come colui che odia l'uomo, ma sotto quella robusta corazza, si cela ben altro. Si parla anche di sacrifici umani, di riti neri che si svolgono in foreste oscure, danze tribali ci si stagliano davanti mentre Baphomet si manifesta di fronte a noi, guardiamo i suoi occhi di bragia, rimaniamo folgorati dal suo sguardo agghiacciante, e siamo già suoi, in men che non si dica, siamo già divenuti schiavi dell'inferno. Perché come dicevamo molte righe fa, Dio certo è colui che ha creato l'uomo, ma Satana è colui che lo conosce meglio, noi camminiamo sopra il suo regno, egli sente ogni nostro passo su questa Terra, e lavora a stretto contatto con la nostra anima ogni giorno che passa. Durante la notte del sacrificio non ci sarà amore, no, solo violenza e sangue, la nostra orgia di piacere inizierà con il dolore, mentre vediamo la vittima sacrificata, non possiamo fare altro che divenire servi a nostra volta, luridi e piccoli adepti del male. 

Deliver Us To Evil

Dopo essere diventati servi del Demonio, niente è meglio di una bella corsa senza limiti su una strada in fiamme, a bordo del nostro bolide cromato; gli Exodus ci servono questo piatto grazie a Deliver Us to Evil (Consegnateci al Male). Il pezzo parte subito "in medias res", consentendo dai primi battiti di sfrecciare con velocità inaudita sulla strada, le chitarre si infiammano e le corde diventano incandescenti, attorno a noi non esiste più cielo, le montagne si innalzano al cielo, e le fiamme ci avvolgono, ma non bruciano, diventiamo parte integrante di esse. Gary Holt qui sfocia in una violenza musicale senza precedenti, vomita riff come un ubriaco dopo la sbornia serale, continua a proseguire il suo cammino di distruzione fino alla fine, senza lasciarci neanche un attimo di pace, senza concederci un momento per riposarci, ormai siamo entrati nel vortice, e non se ne esce. Una canzone che si conficca nel cranio di chi la sta ascoltando e non se ne va neanche se gli viene chiesto con gentilezza; in questo momento siano solamente preda dei nostri istinti barbari e senza ritegno. La consegna del nostro corpo alle forze del maligno ormai sta avvenendo, ed il tiraggio della canzone ci fa ben capire che il nostro inferno è ancora lontano dall'essere superato. Paul Baloff nel frattempo sale di nuovo sullo scranno nella chiesa del Demonio, e arringa la folla con parole uniche; ci si chiede che cosa stiamo aspettando ad essere consegnati a Satana, tanti sono i nostri mali e peccati, che l'ultimo passo da compiere è entrare all'Inferno. Paul fa questo alzando ancor più l'asticella degli acuti, e urlandoci nelle orecchie con un tono che fin'ora aveva tenuto nascosto, lo aveva caricato nella cartucciera, e ora è pronto a spararlo, mentre attorno a lui il Doomsday musicale continua. Nei sette (pezzo più lungo del disco) minuti di violenza che sentiamo nelle orecchie, c'è spazio per tutti, i collegamenti fra le sezioni sono repentini come quando acceleriamo sull'autostrada del male, persino la batteria passa da metronomo al ritagliarsi un suo spazio personale in cui muoversi ed esprimere il proprio potenziale. Ogni momento nuovo della canzone si allaccia al precedente in maniera perfetta, fino a deflagrare sul finale in cui il caos regna sovrano; noi, che abbiamo scelto la via del male, chiediamo agli altri e agli inferi stessi di consegnarci a loro, ci lasciamo andare di nostra spontanea volontà. Perché questo è il desiderio di chi ha scelto il demonio, essere consegnato a lui, diventare a tutti gli effetti un suo servitore, i peccati commessi ci faranno finire all'Inferno quando saremo morti, ma è troppo in là per noi, vogliamo divenire schiavi adesso! E quando saremo diventati servi dell'odio, allora potremmo innalzare il nostro vessillo, e combattere a fianco dei demoni per instaurare un vero e proprio regno del terrore senza precedenti, quelle fiamme che ci avvolgevano mentre correvamo sulla macchina, invaderanno tutto il mondo, i nostri occhi diventeranno come quelli di Baphomet, vuoti all'interno, ma rossi come le fiamme più pure all'esterno, ci doteremo di uno sguardo in grado di soggiogare anche il più puro degli uomini.

Strike Of The Beast

Il cerchio di sangue si chiude con Strike of the Beast (Il Colpo della Bestia); un ultimo assaggio di puro old school prima di lasciarci andare gli Exodus ce lo danno con questo pezzo, partendo in quarta fin dai primi accordi, ormai l'inferno è stato creato nei brani precedenti, non resta che alimentarlo un'ultima volta. Partecipano tutti i membri all'esplosione finale, le ritmiche  Speed la fanno da padrone, la chitarra di Holt si muove così veloce che quasi non vediamo i suoi movimenti, il tutto mentre Paul assume di nuovo quel cantato ancor più alto dei precedenti, e si lancia ogni tanto in toni alti e bassi, destreggiandosi fra essi come uno studente esperto. Sul finale batteria e chitarra picchiano duro per condurci al momento fatidico, alla fine di questa avventura con loro, a questo percorso di violenza che prende il nome di Bonded By Blood. Il riff di chitarra finale dal sapore Southern ci da l'ultimo colpo di grazia, prima di tornare al ritmo martellante degli ultimi minuti di canzone, Paul non ci lascia andare fino all'ultima nota, vuole che la sua voce rimanga impressa nel nostro cranio per sempre, marchiata a fuoco, ed ecco che infatti fino all'ultimo secondo continuiamo ad udirla col suo tono altisonante, e a distanza di anni, ancora ce la ricordiamo. Qui ci viene presentata la scena della prima cattura da parte della bestia; lo sfortunato protagonista vaga per le strade di una città senza nome, sente dei passi alle sue spalle, un ruggito lamentoso dentro le orecchie, si mette a correre, i passi dietro di lui aumentano, la bestia è sulle sue tracce. Non si può sfuggire alla cattura, una volta che ella ti ha puntato, non ti mollerà finchè non avrà messo gli artigli sanguinolenti sulle tua carne, ti salterà addosso come un leone famelico, e affonderà i denti nella tua carne come un coltello passa il burro. Anche se cerchiamo di combattere, la bestia sarà sempre più forte di noi, lei si prepara alla battaglia, noi povere vittime a morire, non c'è niente da fare, dobbiamo perire del nostro atroce destino, il sangue caldo sgorgherà dal nostro corpo, producendo fumo in contrasto con la fredda notte, sarà nero, neanche rosso, il sangue di notte è come la notte stessa mentre si spande sulla strada, i nostri occhi rimangono fissi a puntare la bestia che ci ha attaccato, e l'ultima cosa che guarderanno sarà il suo secondo attacco, quello fatale. Come Bonded ed innumerevoli pezzi scritti nel corso della storia dalla band, anche Strike viene annoverata come uno degli inni del Thrash Metal; durante le sessioni live, e chiunque ha assistito ad una esibizione degli Exodus ve lo potrà confermare senza problemi, l'arrivo di questa canzone scatena un vero e proprio finimondo. Nessuno si salva quando il colpo ferale della bestia viene sferrato sulle nostre misere teste. Sentiamo il suo fiato sul collo, sentiamo i suoi denti che piano piano affondano nella nostra carne fino a staccarne brandelli interi e divorarli fra le sue fauci piene di bava e ferite di precedenti combattimenti. Sentiamo la sua aura maligna entrarci fin dentro l'anima, strapparne pezzi ed ingoiarli assieme alla carne che ci rimane attaccata alle ossa. La musica, neanche a dirlo, fa da ampio margine di contrasto con la canzone stessa; ogni schitarrata, ogni slap di basso, ogni colpo della batteria, sono minuziosamente studiati per fare male, sono cronometrici e precisi come un orologio, pesanti come un martello ed incessanti come una arringa ben riuscita. Gli Exodus hanno lasciato un testamento davvero pieno di elementi, una dichiarazione di intenti senza alcun precedente, in un periodo nel quale il Thrash ormai era sulla cresta dell'onda, seppero distinguersi come non mai. 

Conclusioni

Siamo arrivati alla fine della nostra anamnesi del primo LP firmato dagli Exodus; poco da fare, altrettanto da dire, questo album è un vero e proprio capolavoro. Non stiamo scherzando se diciamo che è uno dei migliori dischi Thrash che siano mai apparsi nelle scene musicali moderne, pur non essendo a mio avviso il miglior disco della band (che per il sottoscritto rimarrà sempre Fabulous Disaster, un enorme raccolta di sangue in chiave Thrash da ricordare per tutta la vita). Bonded By Blood ha un grandissimo merito; essere riuscito a dire qualcosa di totalmente diverso in un momento nel quale tutto si pensava tranne che si potesse raccontare un'altra storia.  Il modo arrogante e provocatorio di Baloff, le ritmiche di Holt e Hunting, il tutto condito da testi che farebbero venire i capelli bianchi a chiunque, fanno di questo album una vera perla nel mondo Thrash, un disco da riascoltare più e più volte, rapiti dalla sua magia, colpiti dalla sua potenza, e malmenati dai suoi ritmi. Spesso ci si chiede come abbiano fatto gli Exodus a concepire un così grande lavoro da giovani, forse l'oppressione che provavano nell'anima, tutto quell'odio che ribolliva come una pentola sul fuoco, li ha portati a partorire questa creatura del male, un disco che ancora oggi risulta essere moderno sotto tutti i punti di vista, e che merita di fatto il voto più alto di tutti. Per chi non lo avesse mai sentito, consiglio un ascolto lento e costante, da ripetersi come una terapia farmacologica, almeno tre volte al giorno; Paul e Gary vi guideranno attraverso questo percorso dell'inferno, sentirete le fiamme avvolgere il vostro corpo come un ciocco di legno nel camino, lentamente brucerete di passione per questo disco, e una volta entrati nel suo meccanismo, non riuscirete mai a tornare indietro. Gli Exodus ne hanno fatta di strada da allora, hanno cambiato cantanti, rinnovato il sound, dato al proprio modo di fare musica due stili diversi (più Metal con Souza, più HC con Dukes), ma ogni volta che ci ripensano (considerando anche che sono stati proprio loro e pochi altri amici a staccare la spina all'amico Baloff nel 2002, una decisione di cui ancora oggi sentono il peso, anche se era la cosa giusta da fare), la loro mente va a quel lontano 1982 (e al 1985 ovviamente), a quel calice in cui il sangue di tutti loro si era mischiato, non c'erano differenze, solo la voglia di fare musica assieme, di mandare un messaggio al mondo. Un album che ha segnato in maniera assolutamente indelebile la storia musicale; qualsiasi persona che si possa o si voglia definire fan di questo filone metallico, da qui deve passare per forza. Immaginate un album in cui tutto ciò che vi circonda è minuziosamente studiato e progettato per farvi venire la pelle d'oca, per farvi sanguinare i pori delle orecchie e per spaccarvi la testa in due. Nonostante comunque soffra di una produzione non ad altissimi livelli (da questo punto di vista la band farà decisamente meglio con i dischi successivi, a partire già dal secondo), il sound generale è nettamente da antologia. Non esiste una sbavatura dentro Bonded By Blood , non esistono momenti morti né tantomeno momenti noiosi, esiste solo il Thrash, quattro ragazzi arrabbiati neri con il mondo, e la loro voglia di gettare alle ortiche la loro rabbia suonando con tutta la forza possibile. Pensare all'effetto che deve aver avuto per i fan dell'epoca è quasi mistico; immaginate di aver ascoltato neanche l'anno precedente Ride The Lighting dei Metallica, con tutto il suo carico di pomposa aulica forza, con testi impegnati, analisi profonde ed anche qualche momento da lacrime. All'improvviso dal cielo scende questo demone azzurro con un bambino bifronte, mezzo demone e mezzo umano, vi uccide in men che non si dica. Lo appoggiate sul piatto del vostro giradischi, e sembra di sentire Jello Biafra dei Dead Kennedys, che improvvisamente ha deciso di fondersi con i Judas Priest ed i Megadeth, il tutto alla massima velocità possibile, da brividi no? Tutto questo li ha accompagnati per anni, persino nell'ultimo disco, in cui, e con questo concludo, con un solo brano gli Exodus sperano di "rendere fiero" Paul Baloff, e credetemi, ovunque lui sia, sicuramente sarà orgoglioso di quello che questi grandi musicisti hanno fatto anche senza di lui, soprattutto senza dimenticarlo mai, egli sarà per sempre il primo, vero, "figlio del male" targato Exodus. Comprate questo disco e finitene ogni singolo solco; lasciatevi trasportare in quel mondo popolato di personaggi al limite della vostra comprensione, lasciatevi ingabbiare dalle sue spire, non ve ne pentirete assolutamente, neanche una volta nella vostra vita. Qui la storia la si fa, ed il primo disco firmato dagli Exodus ne è una prova lampante; è riuscito a far divenire il Thrash qualcosa di mistico, di accattivante, di profondamente violento e tecnico, un po' quello che faranno in Canada i Voivod, con molta più sperimentazione. Da questo momento in poi la storia della band era scritta, e lo è ancora oggi; molti chilometri, molto sangue è stato versato da questo album, ma il suo spirito continua a vivere negli animi di migliaia di ragazzi e non più giovani che ogni volta affollano i loro concerti. Lo spirito di chi non si è mai arreso, di chi ha saputo rialzarsi dalla polvere e combattere strenuamente, con ogni fibra del proprio essere. Lo spirito di chi ha detto basta alle guerre, basta alla violenza, basta all'odio, e ne ha fatto una vera e propria ragione di vita, lo spirito di chi ha partorito un vero e proprio demonio in carne ed ossa, anzi, in puntina e vinile. 

1) Bonded By Blood
2) Exodus
3) And There Were None
4) A Lesson In Violence
5) Metal Command
6) Pirahna
7) No Love
8) Deliver Us To Evil
9) Strike Of The Beast
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