EXODUS
Another Lesson in Violence
1997 - Century Media Records
DAVIDE CILLO
27/01/2019
Introduzione recensione
Ci sono poche cose che gli amanti del Thrash Metal vecchia scuola davvero amano: il suono delle taglienti sei corde che grattugiano, un riff devastante e saporoso, un assolo di chitarra indimenticabile, o magari un duetto fra i due chitarristi. Ma questo "elenco" di fattori non si può chiudere in un numero chiuso di elementi: ed è qui che si arriva a tante altre cose che si amano, e fra queste alcune non le possiamo trascurare. Come l'album "Bonded By Blood" del 1985, il lavoro di debutto degli Exodus, e la ferocissima e raschiatissima voce della "bandiera" Paul Baloff (R.I.P. 2002). Difficile trovare un cantante che, pur avendo realizzato esclusivamente un lavoro, sia così amato. Paul rappresenta l'esempio emblematico di ciò che un ascoltatore di Thrash Metal desidera dalla voce e, senza togliere nulla all'altrettanto inarrivabile e suo successore Steve Souza, in tanti sono impazziti per la presenza del cantante in "Another Lesson in Violence". Si tratta dell'amatissimo album dal vivo del 1997, che ha portato tantissime sorprese al suo interno e che ancora oggi, questo posso già anticiparlo, viene osannato con merito dai fan del genere. Come sappiamo, la strada degli Exodus si separò da quella di Paul Baloff nel 1986 e, a partire dal successivo "Pleasures of the Flesh" dell'87, l'ex Testament Steve Souza entrò a far parte della band. Allora questi ultimi si chiamavano Legacy, e possedevano un sound ancora in parte distante a quello assunto più tardi negli anni, seppure molti elementi che li contraddistinguevano avevano già preso forma. Ad ogni modo, era da più di dieci anni che i fan degli Exodus non avevano modo di sentire la voce di Paul, di vederlo su un palco. Ed è una ragione del grande fascino di un lavoro, quella delle aspettative dei fan e della sua particolarità, dato che aver visto Paul dal vivo nella seconda parte degli anni '90 è stato un evento abbastanza unico. I cantanti, io la penso così, rappresentano una parte importantissima all'interno di una band, addirittura più di quanto si possa normalmente pensare nella scena Heavy Metal. Ma sarebbe sbagliato concentrare tutto sulla figura di Paul, "Another Lesson In Violence" possiede infatti molto altro da offrire, sempre sotto il medesimo aspetto della line-up e della reunion della band, che poi si sarebbe nuovamente sciolta per riformarsi definitivamente nel 2001, per poi arrivare al bellissimo album "Tempo of the Damned" del 2004. Abbiamo infatti il ritorno del grandissimo Tom Hunting, batterista che lasciò nell'89, poco prima del tour di Fabulous Disaster. Tom ha sempre dato un grandissimo apporto alla sezione ritmica della band, sorprendendo anche dal punto di vista compositivo. Inoltre, nel Live Album "Another Lesson in Violence" abbiamo per la prima volta Jack Gibson al basso. C'è anche un'apparizione speciale, quella di Rob Flynn, ben noto agli amanti della musica heavy per la sua presenza nei Vio-lence prima, e nei Machine Head poi. Questa la vedremo più in avanti. Per coloro che amano come me vedere le cose in profondità, c'è un aspetto secondo me almeno altrettanto importante: infatti con questo Live Album si apre la collaborazione degli Exodus con il produttore Andy Sneap, uno dei grandi fautori del grande ritorno della band, e una delle menti dietro "Tempo of the Damned" e gli album successivi. Del produttore inglese, ad ogni modo, ne abbiamo trattato con ampiezza nel corso delle altre recensioni di cui ci siamo occupati. "Another Lesson In Violence" è un album dallo spessore assoluto, composto da ben 12 brani eseguiti, per una durata complessiva di oltre un'ora e un quarto d'ascolto. Ascolteremo tutti i grandi classici della band, i brani delle origini, quelli meglio vestiti dalla voce di Paul e che meglio rievocano il passato grazie al suo ritorno. Sono al contrario esclusi celebri brani, come ad esempio "The Toxic Waltz", divenuta celebre grazie alla carismatica voce e alle pazzesche ritmiche di Steve "Zetro" Souza. Il lavoro è stato registrato nella patria del Thrash Metal, la "Bay Area" californiana, e più precisamente a San Francisco, città da cui la band proviene, come del resto molte altre leggendarie del genere. "Another Lesson In Violence" è un album firmato Century Media Records, e nel corso dell'odierna recensione avremo modo di approfondirlo in ogni aspetto. Augurandovi buona lettura, è dunque il momento di scagliarci nel "mosh": si parte con il track by track.
Bonded by Blood
Si parte, indovinate un po', con "Bonded By Blood" (Uniti dal Sangue): se dovessimo definire questo brano, diremmo che si tratta dell'inno del Thrash Metal per eccellenza. Fra le urla di entusiasmo del pubblico, la band parte subito con un sound roccioso e leggermente più cupo di quanto ci si aspetterebbe. La prima cosa di cui ci rendiamo conto, ad ogni modo, è di come la band rispetti perfettamente i tempi e le velocità della versione studio. Il ruvido e grattugiato riff portante del brano si mostra devastante come al solito, e la voce di Paul Baloff rimane affilata e raschiata come la ricordavamo. Paul enfatizza molto gli accenti della linea vocale, anche adottando occasionalmente uno stile di canto completamente pulito, cosa estremamente apprezzabile e che per la verità giova parecchio all'esibizione. Stupendo il suono del rullante, l'esplosivo sound della batteria di Tom Hunting ci fa letteralmente sbattere la testa. Ho sempre ritenuto il suono delle percussioni un elemento essenziale e sottovalutatissimo all'interno del genere, quindi è un grande sollievo ascoltarlo in questo modo. Per quanto riguarda l'assolo di chitarra, questo è ancor più grezzo e squillante rispetto alla versione dell'album, e si unisce scorrevolmente alla robusta sezione ritmica di sottofondo che, fluidamente, ci riconduce all'ultima strofa del pezzo, fra le urla del pubblico. Per coloro che non ricordino il testo di "Bonded By Blood", il brano racconta della fratellanza fra i metallari, e più precisamente gli ottantiani thrashers, gli ascoltatori appunto del genere. "Il metal e il sangue si uniscono in un elemento solo", ci canta letteralmente il vocalist della band, e il pubblico si scatena durante lo show al punto da sanguinare, collettivamente, godendo del delirio della musica. "Il metal ottiene il suo", e tutto ciò che dovrebbe avvenire nel corso di un sano e violento concerto, viene così rispettato. Una partenza in quinta per questo live, con uno dei brani in assoluto più amati, prima di passare al successivo. Questo inno della musica heavy non solo viene qui onorato, ma ancor più valorizzato, e sicuramente è davvero difficile avere la possibilità di ascoltare nella seconda metà degli anni '90 un'esibizione di vero heavy metal a questi livelli. Chi di meglio degli Exodus, del resto.
Exodus
Il successivo brano è "Exodus" (Esodo), la canzone che porta il nome della band. Nessuna pausa alcuna, com'è sacrosanto che sia: i fan stanno ancora urlando in seguito alla conclusione dell'esibizione di "Bonded By Blood" che la successiva canzone irrompe bruscamente e devastante più che mai. Nota importante: l'album di debutto della band, appunto "Bonded By Blood" del 1985, partiva con questa esatta scaletta, con appunto "Exodus" come seconda traccia. Dunque questo show, nelle sue battute iniziali, non fa che rispettare la storia di uno degli album heavy più amati di sempre. Il brano qui mantiene pressoché, ancora una volta, la velocità originale, e nella resa è ancor più devastante e riuscito di quanto ci si potesse mai aspettare, specie per una band forse "non troppo rodata", se non altro per la lunga pausa dall'attività. Invece gli Exodus sembrano quelli dei giorni migliori, degli anni d'oro, e i fan godono del lusso di assistere ad una prestazione del genere, fra le urla e la devastazione più totale. Ma è la prestazione di Paul qui a salire in cattedra: la cattivissima voce del cantante è da scolpire nella storia, la raschiatissima e urlatissima voce giunge a livelli di totale esasperazione, ed è indescrivibile come abbia nei polmoni ma sopratutto nelle corde vocali la capacità di massacrarsi a questi livelli. Un insegnante classico di canto ascolterebbe inorridito, esclamando: "ma si sta distruggendo la voce!". Non capirebbe nulla ovviamente, con tutto il rispetto per i suoi studi e le sue conoscenze. E' questo Paul Baloff, sono questi gli Exodus, e questo è fottuto Rock n' Roll. E' questo lo spirito, è questa la sua grande capacità di cantare in questo modo, laddove chiunque finirebbe immediatamente la voce, nel migliore dei casi. E chi ama questo sound, lasciatemelo dire, non può non aver apprezzato sin da subito questo "Another Lesson in Violence". La canzone, indovinate un po', parla della stessa band, che si descrive come letale e spietata, pronta a prendere la vita e addirittura a "stuprare e uccidere le mogli". Queste metafore musicali, provocatorie e irriverenti, descrivono la band della Bay Area esattamente per come si vuole mostrare: assolutamente spietata dal punto di vista del sound, inesorabilmente e implacabilmente aggressiva. "Non metterti sulla nostra strada", suggeriscono i ragazzi nel ritornello del brano, "non sentirai nulla finché il coltello non sarà già piantato nella tua schiena, è questo l'attacco degli Exodus".
Pleasures of the Flesh
E si continua con "Pleasures of the Flesh" (Piaceri della carne), il sesto brano ma soprattutto la title track del secondo album della band del 1987, album che nella sua versione studio era cantato da Steve Souza e dunque non da Paul, come avviene nel corso di questo live. Sono i suoni di percussione e di basso ad introdurre questa traccia, fra le urla e i fischi di delirio del pubblico. Dopo due brani serratissimi e piacevolmente esasperanti, la band qui si prende un po' di tempo per partire con l'impatto migliore possibile. Niente sfuriate, niente power chord, nei suoi primi secondi "Pleasures of the Flesh" si introduce con la sua vorticosa e devastante melodia in scala. Ben presto parte il riff principale della canzone, e la voce di Paul si mostra a dir poco perfetta anche per un brano di questo tipo. La più elaborata ritmica di questa traccia viene, grazie a questo sound delle due chitarre, valorizzata al meglio, e l'alternanza con il più grezzo e ruvido riff possiede un effetto magnetico e irrinunciabile all'ascolto. Questo brano vede anche la presenza dei cori vocali, ed è anche l'assolo di chitarra a essere più colto e strutturato. Fino ad un certo punto ovviamente, ma l'assolo si protrae per ben un minuto e riveste per la prima volta in questo show un ruolo centrale nell'esibizione. Questo brano ci racconta una storia, la storia di un Paul Baloff tornato in campo con un'infinita voglia di cantare e di spaccare, in grado di vestire incredibilmente bene anche la casacca una volta indossata da Steve Souza. Il suo spettacolo fra oltre i brani di "Bonded By Blood", va oltre i limiti, giunge alla reinterpretazione e alla massima valorizzazione di qualsiasi mattonella discografica della band qui suonata. Ma sarebbe sbagliato stigmatizzare al solo Paul ciò che stiamo ascoltando, come spesso viene erroneamente fatto quando si parla di questo show dal vivo: tutti gli Exodus sono al massimo della forma e vogliono incidere. Davvero tanto di cappello. Il pezzo si conclude con un nuovo ed elaborato assolo finale, che si congiunge al rapido e tagliente riff di sottofondo, conducendoci alla conclusione del pezzo in maniera tanto scorrevole quanto incisiva. Il brano, come forse molti di voi ricorderanno, tratta di cannibalismo, e dell'irresistibile sapore e tentazione della carne umana. Temi più tardi fatti propri dalla musica heavy metal estrema, negli anni '80 erano invece trattati dagli Exodus, che autorevolmente ci donavano la musica forse in assoluto più aggressiva del tempo, con le prime correnti Death Metal che proprio dal Thrash Metal stavano nascendo. La canzone è ambientata in una spietata giungla dove regna esclusivamente una legge: quella della sopravvivenza, "uccidere e mangiare", sovrano dictat del quotidiano.
And Then There Were None
Dopo un breve discorso di Paul di incitamento al pubblico si passa alla quarta "And Then There Were None" (E poi non ne rimase più nessuno). Si tratta di uno dei brani in assoluto più amati di "Bonded By Blood", e a dire il vero anch'io sono dell'avviso che si tratti di un pezzo a dir poco storico all'interno della carriera della band. Il brano è leggermente velocizzato rispetto alla versione studio, ed è il quattro corde del bassista Jack Gibson a scandirsi a volumi elevatissimi sul riff portante del brano, con la favolosa voce di Paul che, insieme ai cori del pubblico, ci dona un momento di musica assolutamente unico. Questo pezzo capolavoro è suonato come meglio non potrebbe, e alla carismatica voce si unisce tutta la magia delle due chitarre e della partecipazione dei fan, in un connubio unico e degno di restare indimenticato. I cambiamenti di tempo che, riff dopo riff, si alternano a metà pezzo, vengono fuori comunque egregiamente nonostamente il tono sensibilmente più cupo delle chitarre, cosa a dire il vero rara all'interno del Thrash Metal vecchio stampo. Il suono della batteria di Tom Hunting, e più precisamente il rullante, si conferma uno dei punti di forza assoluti di questo show, ma è l'attitudine generale della band a fare la differenza, il modo in cui quest'esibizione rievoca magicamente gli anni '80 e come il Thrash davvero vada suonato. "And Then There Were None" resta una traccia proporzialmente più strumentale e meno vocale rispetto alle precedenti, dunque qui si rendono opportune più che mai tali analisi sui suoni. E' incredibile come dopo, così tanti anni, gli "stop and go" di un brano come "And Then There Were None" rimangano ancora scalpiti, indimenticati, e mai raggiunti. Il brano ha poco a che fare con l'omonimo film tratto dal romanzo di Agatha Christie: gli Exodus qui parlano dell'apocalisse più totale, della distruzione della razza umana, dell'avvento implacabile del demonio che devasta ogni cosa riducendo la nostra specie in miseria. Le fiamme, l'inferno, scendono sulla Terra, mentre i carri armati schiacciano ogni cosa sotto il volere del malvagio Satana. Nessuno, purtroppo, stavolta sopravviverà.
Piranha
La quinta è una delle mie tracce da sempre preferite, "Piranha" (Piranha): ma la band, prima di partire con questo pezzo, decide di regalarci piacevoli attimi con lanci batteristici di Tom Hunting e una magnificamente delirante risata di Paul Baloff che, urlando "Piranha", battezza l'ingresso delle chitarre. Il riff è pazzesco, sembra davvero che un Piranha stia per azzannare la gamba della sua umana preda, e il pubblico ben presto si scatena in delirio. Gli Exodus si vogliono divertire, lo dimostrano in ogni istante, e l'entusiasmo di questo show è a dir poco contagioso. Se le ritmiche delle sei corde sono implacabili nelle sfuriate e pungenti durante i power chord, qui personalmente mi piacerebbe un tono un po' meno cupo per quanto riguarda appunto le due chitarre. Detto questo, non riesco davvero a trovare altri spunti di miglioramento, perché l'esibizione possiede tutto ciò che dovrebbe, con lo scatenato Paul Baloff che sale in cattedra e diviene protagonista assoluto con le sue carismatiche urla e personalizzazioni ai brani. Magnifica la sezione solistica, perfettamente grezza nel presentarsi e nell'introdurre la successiva e devastante scarica di riff. E quale conclusione migliore, per questo brano, che quei succulenti power chord conclusivi, prontamente osannati da quel pubblico californiano dal palato fine. E' inutile, per quanto la si ascolti, "Piranha" non delude mai. E se anche voi avete immaginato quel Piranha che azzanna la gamba, vuol dire che la performance è stata giusta. Per quanto riguarda le liriche, beh, l'avrete immaginato: tramite esasperazioni narrative e metafore infernali, un branco di Piranha che passa all'attacco viene equiparato ad un'armata demoniaca. I pesci hanno la sola missione di uccidere, strappare via le ossa e la carne dalle vittime, staccare gli occhi dal volto. Per quanto si provi a scappare, sostengono gli Exodus, sarà sempre troppo tardi: i Piranha non falliscono mai. Un consiglio: fate attenzione, specialmente alle acque dolci.
Seeds of Hate
Si torna sull'album "Pleasures of the Flesh", più precisamente con il brano "Seeds of Hate" (Semi dell'Odio). La canzone, della durata di cinque minuti circa, era l'ottava all'interno dell'album "Pleasures of the Flesh" della band. C'è prima tempo per un brevissimo discorso di Paul Baloff, che omaggia i fan come un vero guerriero del metallo, e trasmette tutto il suo entusiasmo e la sua adeguatezza a calcare quel palco. La band qui, per la prima volta nel corso dello show, si prende un po' di tempo: e non manca anche la vena ironica di Paul, che dice "okay, possiamo suonare, è tempo di suonare qualcosa di lento". Per poi smentire: "no, ovviamente scherzo, suoneremo come sempre qualcosa di veloce e pesante". "Seeds of Hate" parte con la bellissima doppia cassa di Tom Hunting, davvero precisa e martellante come più non dovrebbe essere, e le due chitarre grattugiano da far paura. Le scariche di alternate picking e le melodie sono magnetiche, si evolvono con colore ed enfasi, e la band ben presto sfocia nella strofa vocale. Il suono di chitarra qui si mostra davvero adeguato, con la tonalità giusta, e il furioso Paul Baloff dona al pezzo, tanto per cambiare, tutta l'enfasi possibile. Il vocalist addirittura esaspera in determinate fasi ancor più le urla presenti all'interno della traccia, adottando un timbro stridulo ed impeccabile. C'è da sottolineare come "Seeds of Hate", oltre alla classica stilistica Thrash ottantiana, possiede anche una certa componente musicale e melodica, quasi una novità per quanto riguarda l'interpretazione di Paul. E, a riguardo, è bellissimo ascoltare come riunisce queste due differenti vesti. Nella seconda parte del brano ascoltiamo l'evoluzione delle melodie, che nella loro pungente vena provocatoria non fanno che ricondurci alla serrata scarica di power chord finali. Il brano parla dell'odio, che si diffonde come una piaga fino a provocare lo scoppio del terzo conflitto mondiale. A pagarne sono, come sempre, i civili, gli innocenti. Uomini e donne impotenti e che sperano in soluzioni da parte dei loro governi, ma con richieste mai soddisfatte. La parte conclusiva del testo invita all'insurrezione, ad agire, a cambiare le cose una volta per tutte.
Deliver Us to Evil
E' tempo della leggendaria "Deliver Us to Evil" (Consegnaci al male): un brano che non ha bisogno di presentazione alcuna, e lo stesso Paul nel corso della presentazione ammette che sia una delle sue canzoni preferite in assoluto. E qui il tono di chitarra risponde positivamente, i riff di media velocità e i down picking frantumano ogni cosa, come farebbe un macigno del peso di duemila tonnellate che si abbatte su un pezzo di legno di per sé già marcio. Questo brano rende da far paura, e Paul per quanto riguarda lo stato dei suoi polmoni e delle sue corde vocali sembra aver appena iniziato a cantare. Eppure ne ha già lanciate di urla, anche di esasperate, e siamo oltre la mezz'ora di show. Gli stop and go del brano spazzano via qualunque cosa, sia grazie alla prestazione dei due chitarristi, che grazie ad un Tom Hunting in formissima che con la doppia cassa calpesta come se fosse un orso inferocito e affamato. E le brevi pause, in questo caso, non fanno che giovare ulteriormente allo spettacolo. Resta che, il brano, in alcuni accenti, si presenta diversamente rispetto alla versione studio: né migliore né peggiore direi, semplicemente diverso a causa del tono di chitarra, probabilmente scelto per adeguarsi alla voce di Paul che inevitabilmente non può più essere identica a quella degli anni '80. Il pubblico ad ogni modo apprezza, e la reazione di San Francisco a questo spettacolo è di quelle indimenticabili. La canzone, nel suo brano, parla dell'avvento delle armate di non morti sulla Terra, il blasfemo e impuro esercito di Satana e del male. Ciò rappresenta l'inizio di un nuovo regno, il regno del terrore, della fine del mondo, e della cessazione della vita così come noi la conosciamo. Un impero di fuoco, senza amore, senza sentimenti, dal momento che Dio è defunto, e tutto ciò che sopravviverà sarà malvagio. Il demonio ride ogni qualvolta qualcuno piange, la sua gioia è il dolore, la distruzione di vite. Ed è il momento per il diretto governo del principe dell'inferno, il figlio di Satana. Questa leggendaria traccia è stata, ancora una volta, onorata.
Brain Dead
E siamo all'ottava "Brain Dead" (Cerebralmente morto), e chi di voi non la conosce? Senza dubbio, in "Pleasures of the Flesh" questo quarto brano era in assoluto uno dei più carismatici. E l'introduzione di basso, graffiante e provocatoria ma musicale al tempo stesso, introduce le ritmiche feroci e dal piccante groove, con tanto di down picking spezza collo, né troppo lenti, né troppo veloci. L'avrò detto tante volte ma, senza falsa retorica alcuna, "Brain Dead" è un brano a dir poco favoloso e con la sua importanza storica. Ed è perfetto sia con la voce di Steve, che con quella di Paul. Quella di Steve lascia più enfasi sulle ritmiche e sul loro carisma, quella di Paul è semplicemente graffiante e ferocemente devastante. Per me, la qualità principale di questo brano, è come riesca a riunire delle ritmiche assolutamente Thrash classiche ad una melodia piacevole ed in continua enfasi e dinamicità nel corso della traccia. E le scariche e evoluzioni di power chord, riunite alla strofa e al ritornello vocale, restano assolutamente scolpite della memoria. E' un brano da cantare e ricantare, anche terminato l'ascolto. E, in queste vesti, viene suonato come meglio non potrebbe. Ed in maniera piuttosto nuova in quanto ad interpretazione, dal momento che il cambio di voce rispetto alla versione studio fa molto, qui più che mai. Ma, in quanto ad attitudine old school, fra Paul e Steve nessuno dei due, lasciatemelo dire, ha margini di miglioramento. Bellissimo come viene qui suonato il gustoso assolo di chitarra, con la cooperazione fra le due chitarre e il grande feeling fra i due axeman. E i cori finali, che nella versione studio urlavano "Brain Dead!", divengono qui "you're motherfucking brain dead!", e credetemi se vi dico che una cosa apparentemente da poco è a dir poco spettacolare nella resa. Nel corso della canzone si parla di un corpo paralizzato, impossibilitato a muoversi, ma una mente ancor più distrutta, in stato vegetativo. In questa spiacevole condizione, portare qualcuno alla morte appare quasi come una buona azione, un atto di pietà e carità.
No Love
E' tempo di "No Love" (Nessun amore), si torna dunque da qui fino alla conclusione dello show a brani delle primissime origini della band. Il brano inizia con il celebre e calmo arpeggio, forse un po' mieloso, che viene brutalmente interrotto dall'ingresso di chitarra distorta. Ma è anche Paul a scatenare il pubblico, in un incitamento che sfocia nel riff tritaossa protagonista del pezzo. Ancora una volta, non velocissimo per la verità, e perfettamente in linea storica con il metal vecchia scuola, tramite un ritorno ai tempi in cui non vi era la necessità di correre eccessivamente quando si suonava. Superfluo dire che ciò è davvero piacevole, il groove è tutto da assaporare e i continui stacchi e accenti di batteria donano un qualcosa in più alla performance della band. Tom Hunting, bisogna dirlo, è davvero un elemento a favore della musica degli Exodus. Qui è bellissima la sezione centrale del brano, musicale a tratti e più rapida e squillante in altri punti, gli assoli di chitarra sono molto piacevoli e ci conducono alla secca evoluzione che, pian piano, porta gli ascoltatori alla parte in assoluto più lenta del brano, comunque sostenuta e con l'ultimo e grezzamente Slayeriano assolo di chitarra. Sembra proprio di stare ascoltando gli Exodus dei bei tempi. La canzone ci racconta di un maestro oscuro e malvagio, in grado di condurre alle vie del male i più deboli, grazie al suo carisma. Questo maestro compie atti empi, scatenandosi nella notte, vagando per le strade e commettendo crimini da far gelare il sangue. E' nel corso della notte che, più che mai, "non c'è amore", questo il mantra del brano, e la violenza esplode fra sacrifici umani e spargimenti di sangue per così dire fini a se stessi. Non certo il primo brano di "Bonded By Blood" che parla dell'avvento del male o del Demonio in persona, sebbene la band non si identifichi mai con questo male, limitandosi appunto all'intenzione di raccontare di apocalittiche catastrofi e di umane tragedie.
A Lesson in Violence
Siamo al grande momento di "A Lesson In Violence" (Una lezione nella violenza), ma prima c'è spazio per qualche attestato di stima di Paul nei confronti del pubblico. Le urla crescono sempre più, i metalheads di San Francisco sono visibilmente in delirio e quando Tom alla batteria dà il quattro per l'inizio del brano, si scatena un delirio. Il brano irrompe e avanza più furioso di un toro impazzito, la sezione ritmica incalza con puntualità ma soprattutto spessore, l'esibizione è molto compatta e quadrata e durante le scariche di alternate picking la band innalza un muro di suono. La voce di Paul è raschiata, urlata e delirante, ancora incredibilmente fresca e profonda. Il brano viene suonato solo leggermente più veloce rispetto alla versione studio, ma Tom alla batteria si conferma davvero in formissima. Bellissimo il momento degli assoli, con un duetto fra le due chitarre tutto da assaporare. La parte di chitarra solista è infatti grezza, fulminea e squillante, perfettamente in sintonia con i riff di sottofondo, e la leggendaria armonia finale dell'assolo di chitarra resta negli anni indimenticata. Gli Exodus, nel corso di questo brano, tirano fuori la loro vera anima: musica veloce, trasgressiva, irriverente e zero compromessi. La band di cui in tanti si sono innamorati, e di cui qualcuno dopo così tanti anni ancora si innamora. Altro che "Let There Be Blood"! Questa è una vera lezione di violenza. Il protagonista del brano sostiene che, se alcuni hanno qualcosa da dire su di lui, che glielo vadano a dire in faccia. Ciò, tuttavia, li condurrà ad una spiacevole fine, alla morte, in quanto lo stesso protagonista si ritiene protetto da forze oscure e potenti. Adora pugnalare le sue vittime, accoltellarle alla gola fino alla morte, si ritiene giudice e giuria. L'unico modo per scampare a questa cruenta esecuzione, è quello di prostrarsi dinanzi al carnefice e, implorando, di chiedere pietà. Questo, in effetti, potrebbe portare a ricevere la grazia. Per il resto, meglio girare al largo e non avere mai nulla da obiettare a questo potente e macabramente cruento protagonista.
Impaler
La successiva "Impaler" (Impalatore), la penultima di questo show, è fra le più vecchie canzoni degli Exodus. Risale a quando Kirk Hammett ancora militava nella band, e abbiamo avuto modo di riascoltarla anche all'interno di "Tempo of the Damned". La canzone si contraddistingue per ritmiche tendenzialmente più lente e pacate, la componente melodica è maggiore sebbene la voce di Paul rimanga implacabilmente esasperata. Non si tratta in questo caso di un'autentica canzone "Thrash Metal", "Impaler" è più caratterizzata da quel sound a cavallo fra Heavy e Thrash spesso ascoltato all'inizio degli anni '80. Almeno, tutto ciò, fino alla sua prima metà: nella sua seconda parte, infatti, la canzone si fa ferocissima, i ritmi diventano molto più rapidi e anche il lavoro alla batteria si fa martellante. E partono i primi brevi assoli, alternati all'urlata voce di Paul Baloff, che squillanti si uniscono alle affilate e taglienti sfuriate di sottofondo. L'ultima parte del brano presenta una serie di plettrate e di power chord, che con una nuova serie di assoli portano l'ascoltatore ad assaporare la continua evoluzione della melodia. C'è ancora spazio per frasi di chitarra solista nella parte conclusiva della canzone: qui, l'ultimo assolo, è estremamente basato sull'utilizzo della leva e sulla riproposta della musicalità portante della traccia. Il brano ci racconta di un malvagio impalatore, affamato di sangue, pronto ad infilzare chiunque abbia la sfortuna di finire nel suo sguardo. Giorno dopo giorno, lui parte a caccia, finendo poi con il bere il sangue delle sue vittime. Ma questo è nulla: non risparmia neanche donne e bambini. E' come se provenisse dagli inferi, e trascinasse all'inferno le sue stesse vittime. E, nel brano, non vi è alcun lieto finale, ma solo la conclusione della vita delle povere vittime. Fate attenzione e girate al largo, l'impalatore potrebbe essere ovunque.
Strike of the Beast
Lo show si conclude con nientemeno che "Strike of the Beast" (Il colpo della Bestia): un'altra delle più amate tracce della band. Il riff martella come farebbe un trapano ossessionante alle nostre orecchie, ma ovviamente tutto ciò è piacevole! Si parla del riff principale di "Strike of the Beast", uno dei migliori della storia del Thrash Metal, una delle strofe in assoluto più micidiali di sempre. Dopo poco più di un minuto di ascolto la band si ferma per qualche breve istante, introducendo il furioso riff di metà brano, la velocissima scarica che conduce al primo pazzesco assolo di chitarra, melodico ma ad ogni modo cattivissimo, presto seguito dal secondo e stavolta rapido assolo. Questi spazi di sei corde solista non fanno che riportarci alla nuova strofa e al successivo ritornello, ma senza che ciò ci pesi in alcun modo: si tratta di un brano talmente devastante e dinamico che, il passare e il ripetersi di strofa e ritornello, scorrono via come l'olio. A migliorare ancor più il tutto è il continuo movimento della parte di batteria, sempre soggetta a continue variazioni, e la solista esasperata voce di Paul Baloff che, non si sa come, alla fine dello show è ancora fresca come all'inizio. Sono questi i veri cantanti Heavy Metal, non altri e sopravvalutati che dal vivo non hanno neanche i polmoni per un concerto. E, lo spirito qui della band, è un qualcosa di pazzesco. "La bestia si avvia per i vicoli oscuri, pronta ad uccidere e colpire la sua vittima, qualcuno è in procinto di morire, e quel qualcuno? sei tu" questo il leggendario mantra del brano. La Bestia emette un demoniaco ululato, poi ti rende pazzo, e ti sputa del fuoco in faccia. Le possibilità per tentare di sopravvivere sono due: fuggire o morire. Nessuna alternativa. Se fallirai, dovrai pagare un prezzo: diverrai il banchetto del diavolo. Non conviene molto. Specie perché, dopo la morte, sarai anche spedito all'inferno. Neanche una consolazione! Allora, non posso che ripetere il mio consiglio: girate al largo, è la scelta più conveniente.
Conclusioni
Della prestazione di Tom Hunting ne ho parlato a lungo nello spazio dedicato al track by track ma, dovendo riassumere tutto con un termine, direi: "sorprendente". Sappiamo bene quanto siano stati difficili per la band quegli anni, in particolar modo la seconda metà degli anni '90 e il primissimo 2000. Trovarci un batterista così in forma, psicologicamente e fisicamente, e dunque qualcosa che porta un piacere infinito. Rimanendo alla mattonella portante della band, anche Jack Gibson al quattro corde svolge un ottimo lavoro, e quando emerge nel mix è uno spettacolo. Negli spazi in cui il suo basso diviene protagonista, subito l'entusiasmo si percepisce. Venendo al leader della band, il chitarrista Gary Holt, e a Rick Hunolt, sarò breve e conciso: non credo di aver ascoltato un singolo errore nel corso di tutta l'esibizione. Ma, soprattutto, nessuno si sarebbe mai potuto immaginare questo Paul Baloff (R.I.P.). Io resto convinto che, all'interno del genere, esibizioni vocali di questo spessore si contino a malapena sulle dita di una mano. Provare ad ascoltare come canta il primo brano, e poi come canta l'ultimo, dopo ben dodici furiose tracce di performance. Ora ditemi quant'è la differenza. Praticamente nessuna. Per non parlare di quanto la sua voce sia ricca di attitudine, furiosa, esasperata e, con un termine, pazzesca. Per lui si potrebbe ripetere quanto detto per Tom Hunting: chi si sarebbe mai potuto aspettare un Paul così in forma? Dispiace così tanto che poi sia andata così. Per quanto riguarda la produzione, è davvero tutto ok, il suono è molto meno confusionario e caotico rispetto a quanto si potrebbe mai immaginare da uno show del genere. L'unico difetto, per quanto mi riguarda, lo trovo nel tono delle chitarre, generalmente un po' troppo cupo, ma d'altra parte devo comprendere che questa sia una scelta principalmente dovuta al passare degli anni e al naturale cambiamento della voce di Paul. Insomma, per farla breve, su questo c'è da essere clementi. Sappiamo che, non troppo dopo questo incredibile show, ovvero nel '98, la band si sciolse. Mi può venire a riguardo solamente un pensiero: "fortuna che la band si sia riformata!". Ma soprattutto, quale scenario migliore di San Francisco per un concerto del genere: lo sappiamo, l'abbiamo detto, ripetuto: si tratta della fottuta patria del Thrash Metal, siamo nel pieno della Bay Area californiana, la casa che qualunque amante del genere vorrebbe avere. Ed è la vecchia guardia del metal, la vera e sola guardia del vero metal, quella che più di ogni altra può apprezzare una band come gli Exodus, in un'esibizione come quella di oggi. Scusate la retorica, le frasi magari già dette, ma per me c'è qualcosa che rappresenta la sola e pura verità: lo spirito che si vede in questi concerti, non lo si vede da nessun'altra parte. Né l'impatto, né l'attitudine, né tutto ciò che di vero e appassionato ci può essere in un'artista. Giusto per quel piccolo limite del tono di chitarra, dal momento che sono un amante del classico e appuntito sound dell'accordatura in Mi e del timbro naturalmente più acuto delle chitarre, il mio giudizio su quanto ascoltato si attesta su un pieno 9 su 10. Ma, questo "Another Lesson in Violence", per moltissimi aspetti meriterebbe solamente un 10. Io vi alzo le corna, vi saluto, e ci becchiamo alla prossima recensione. Thrash 'Till Death.
2) Exodus
3) Pleasures of the Flesh
4) And Then There Were None
5) Piranha
6) Seeds of Hate
7) Deliver Us to Evil
8) Brain Dead
9) No Love
10) A Lesson in Violence
11) Impaler
12) Strike of the Beast