EXODUS

A Lesson In Violence

1991 - Combat Records

A CURA DI
LORENZO MORTAI
08/02/2018
TEMPO DI LETTURA:
7,5

Introduzione Recensione

Spesso nel mondo del collezionismo Heavy Metal, ma non solo, si sente nominare la parola "edizione limitata". Che cosa è non stiamo neanche a spiegarvelo, si tratta di edizioni che vengono stampare rigorosamente in pochissime copie, e messe in circolazione di modo da ottenere un risultato appagante in pochissimo tempo. Il vantaggio di una edizione limitata infatti è quello di riuscire ad inficiare positivamente sul mercato in pochi giorni, dato il basso numero di copie disponibile. Nel corso della storia molte bands si sono affidate a questo, sia per racimolare molti più soldi (dato che spesso, specialmente negli ultimi anni, le edizioni limitate vengono vendute a cifre maggiorate), sia per saggiare il favore del pubblico su alcuni brani, elementi o cambiamenti della band stessa (si veda la voce "singoli promozionali"). L'esclusività di una edizione però può anche essere dettata da fattori completamente esterni, come la fretta nel volerla rilasciare, oppure la malcurata accortezza di una label in particolare, che ha stampato in fretta e furia un disco, dimenticandosi poi di pubblicizzarlo come si converrebbe. Per raccontare la storia odierna dobbiamo fare un ampio balzo indietro, fino al 1985. In quell'anno, nel fulgore del Thrash mondiale, con la venuta di bands e gruppi come se non ci fosse un domani, gli Exodus pubblicarono il loro primo full lenght, entrato di diritto nella storia e che risponde al nome di Bonded By Blood. Con quel piccolo grande album, con la ferocia di Paul Baloff alla voce e la elettrica energia di Gary Holt alla chitarra, la band divenne di culto in pochissimo tempo, accattivandosi una folta schiera di fans incalliti sempre di più. Nel corso del tempo poi, come la  storia ci insegna, la band dovrà allontanare per motivi personali il feroce Paul, salvo mantenere intatta una amicizia pluriennale, che si ricollegherà ad un nuovo ingresso dello storico frontman negli anni successivi, salvo poi andarsene di nuovo per scomparire definitivamente nel febbraio 2002. Proprio quest'anno infatti cade il sedicesimo anniversario della scomparsa di questo fantastico cantante, che in così poco tempo ha dato tanto alla causa del Thrash, rimanendo per sempre scolpito nella storia. Una volta pubblicato il primo disco, gli Exodus avevano la strada spianata per il successo, che venne bissato nel 1987 con Pleasures Of The Flesh ed il conseguente ingresso di Steve "Zetro" Souza alla voce. Con Steve gli Exodus persero la loro ferocia primordiale data da Paul, ma guadagnarono un cantante straordinario, ancora oggi l'unico in grado di sostituire in maniera degna Baloff stesso, cantando in maniera egregia tutti i suoi pezzi. Pleasures, come abbiamo già affrontato anche nella sua recensione allegata, che vi invito a leggere, fu un disco apprezzato ma solo per metà. I fan malvidero in quel frangente il cambio di sound così repentino, che passò quasi ad un Tech Thrash celebrale e ragionato, a differenza della violenza scaturita nel primo disco. L'album comunque vendette e garantì alla band il successo sperato, nuovamente, fino alla esplosione assoluta con Fabulous Disaster nel 1989, considerato ancora oggi il loro capolavoro assieme al primo disco. Da lì in poi strada tutta in discesa, e neanche un anno dopo venne pubblicato Impact Is Imminent, con una post produzione ottima e pezzi che ancora oggi fanno risvegliare i morti. Arrivati a questo punto però, la band, anzi, l'etichetta per cui avevano firmato (la newyorkese Combat, probabilmente una delle label Thrash, Hardcore e Punk più celebri al mondo), decise che era il momento di ingolosire un attimo i fans della band. Nel corso degli anni erano usciti alcuni singoli e compilation (fra cui vale la pena di ricordare Deranged e l'MTV Headbangers Ball, uno split con Helloween ed Anthrax), ma niente di ancora concreto davvero. Da qui la decisione di incidere e pubblicare l'argomento della recensione odierna, A Lesson In Violence. Riprendendo il titolo di una celebre canzone della band, questa compilation venne rilasciata per offrire ai fan una opportunità unica nel suo genere, che prima era stata negata. I primi tre brani presenti sulla compilation infatti, provengono dalle demo di Pleasures Of The Flesh. Niente di strano direte voi, ma in realtà c'è un elemento da considerare in maniera netta. Alla voce nella demo non troveremo Steve Souza, ma Paul Baloff stesso. Paul infatti aveva già iniziato a registrare i brani per il nascente nuovo disco, prima di venire allontanato come abbiamo già raccontato precedentemente. Paul infatti rimase in forze alla band fino al 1986 compreso, anno in cui venne rimpiazzato, ma abbastanza tempo rimase per registrare alcuni pezzi, quelli che ascolteremo qui. Le altre tracce invece provengono da un live della band registrato dalla Combat stessa al celebre Studio 54, già teatro di storiche esibizioni per centinaia di bands. Una grande occasione dunque per saggiare la forza degli Exodus dal vivo, ed anche per capire quello che sarebbe potuto essere Pleasures Of the Flesh se Paul non fosse stato sostituito. 

Seeds Of Hate

Il disco viene aperto dalla prima traccia estratta dalla demo del 1986, parliamo di Seeds Of Hate (Semi Dell'Odio). Vittime che cadono, innocenti, ma per una causa che viene definita "più alta", capite più o meno a cosa possa essere dedicato questo brano? Ovviamente alla rivolta guerresca ed ai conflitti in generale. La ritmica del pezzo viene data certamente dalle schitarrate possenti e continue di Holt, coadiuvate da una linea ritmica continua e metronomica, che ben si incastra. Eppure allo stesso tempo il brano risulta rabbioso e scalciante, come un enorme cane famelico rinchiuso in gabbia, e che non vede l'ora di uscire. Se confrontiamo, come ci  viene naturale di fare, la linea vocale di Baloff con quella di Souza, che prenderà il suo posto nel disco vero e proprio, notiamo differenze non molto sostanziali. Paul ha certamente una voce meno "metal friendly" di Souza, più incline alle linee Hardcore, e questo si vede chiaramente, e si sente, già nella primissima parte di pezzo, in cui il ricciolo si lancia in acuti laceranti, che strappano brandelli di carne dalle nostre ossa. Steve dal canto suo ci metterà quel tono caldo e sporco allo stesso tempo, che diverrà poi un marchio di fabbrica per la band. Entrambi i cantanti  sono comunque similari, entrambi malefici e cattivi, ognuno con il proprio grado. Il brano monda e si innalza come una vampa incendiaria, bruciando tutto ciò che ha intorno a sé, e che trova sul suo cammino. In pochissimo tempo assistiamo ad un vero e proprio vortice che risucchia tutto ciò che ha intorno, fino a farci scordare chi eravamo. La canzone prosegue senza alcuna sosta, ed è lì costantemente per ricordarci che la guerra è qualcosa di indicibile, che non deve accadere. I semi dell'odio altro non sono che le stille impiantate da uomini senza alcuno scrupolo al solo scopo di incattivire gli animi di chi combatte, così da portare avanti la guerra ed i relativi guadagni il più in là possibile. Baloff si erge come sempre ad arringatore della folla, salendo sul proprio scranno e gridando come un disperato in faccia al pubblico, continuando a ripetere quanto tutto questo sia assolutamente ingiusto, e quanto porterà solamente a conseguenze nefaste per tutti quanti, in primis noi, ignare vittime del sistema. La canzone è composta da una serie di riff assolutamente azzeccati, che si concatenano fra loro ed allo stesso tempo si legano alla voce di Paul stesso, rendendo questo primo brano davvero unico nel suo genere. Nel disco completo, quando Souza prenderà il timone, avremo a disposizione un pezzo che, per quanto sia sulla stessa linea vocale, beneficerà anche di altri vantaggi qui non presenti. In primis della registrazione; è vero che si sentono tutti gli elementi che si devono sentire, tuttavia, la registrazione così primordiale di questa demo, inficia pesantemente sull'ascolto finale. Al di là di questo dettaglio comunque, la canzone procede sparata per tutti i minuti di cui è composta; una solida invettiva contro qualcosa che mina le fondamenta stesse del genere umano. L'odio è come una bestia famelica che non si stanca mai, come un enorme cane che cerca solamente un altro osso da spolpare. L'odio è come un incendio, brucia tutto e se non lo spegniamo in tempo, continuerà a bruciare fin dentro la nostra anima, consumandoci lentamente come pezzi di carta. 

Pleasures Of the Flesh

Il disco prosegue con la futura title track del disco, Pleasures Of the Flesh (Piaceri della Carne). Ci viene aperta con un lemme ed elettrico intro della sei corde, che man mano cresce fino ad esplodere dopo pochi secondi. Holt, per quanto la demo sia registrata ancora in forma primordiale, da ben assaggio delle sue capacità fin dai primi secondi, mettendo in piedi uno show davvero degno di nota. Baloff finalmente arriva, dopo l'enorme intro, e subito ci accorgiamo di quanto, se avesse registrato il disco, sarebbe venuto fuori un capolavoro. Intendiamoci da ora, così da non ripetere esattamente lo stesso discorso; Souza ha dato il meglio di sé su Pleasures, sfornando un album che, al di là delle critiche che gli sono state mosse, ancora oggi è un capolavoro. Baloff ovviamente gli da la sua impronta, così cattiva e piena di odio, ogni lirica viene letteralmente mangiata dal ricciolo frontman, che urla come un disperato, quasi come se lo stessero uccidendo. Parlando di necrofilia in questo pezzo, non potevano esimersi dal mettere in piedi una musica che fosse all'altezza del nome di ciò che stanno raccontando. Da qui un ritmo della sei corde che vorticosamente gira su sé stesso, senza fermarsi e senza riprendere mai fiato; non c'è un attimo di respiro in questo pezzo, e per quanto la registrazione lasci davvero a desiderare, ma si tratta pur sempre di una demo, gli elementi principe del disco c'erano già tutti. Sentiamo quel sound quasi tribale che proviene dalla giungla più nera, a cui poi nel disco stesso verrà aggiunto, sotto forma di tamburi ed elementi presi direttamente da un horror di Deodato. Sembra di essere dentro una enorme foresta; ci muoviamo con i nostri compagni di sventura, ma non sappiamo certo di essere osservati. Occhi e bocche fameliche ci guardano e ci studiano, cercando di capire quale possa essere la miglior parte di noi da mangiare e digerire senza alcun problema. E poi, ad un certo punto, l'agguato; veniamo catturati, legati e portati al campo degli indigeni, e già dalle nostre condizioni, da quella famelica carne che ci offrono per farci ingrassare, sappiamo come andrà a finire. Una canzone che gioca molto sul dualismo fra cannibalismo e sesso, dato che per piaceri della carne si intende anche altro nel mondo occidentale; qui invece parliamo proprio di un vero e proprio banchetto di morte (per citare Sin City una abbuffata di morte, così da essere più precisi). Baloff gioca il ruolo del capo tribù, che decide le nostre povere sorti. E' lui ad assaggiare per primo la nostra carne, stacca un enorme brandello dal nostro petto  e lo mette direttamente in bocca, con le labbra che si macchiano di sangue e budella contorte nell'estasi del momento. Mentre accade tutto questo, la musica continua imperterrita la sua tellurica marcia, aumentando i giri nella sezione centrale, e rendendosi invece compartecipe della voce nei momenti salienti del racconto. Nella canzone ovviamente è contenuta anche una silenziosa critica al mondo occidentale; perché non immaginare i tribali cannibali anche come saggi ed apparentemente perfetti uomini d'affari che guidano il mondo? Se ricordate il film Cannibal Holocaust, a cui in parte sembra che questa canzone si ispiri (considerando l'argomento, ma potrebbe anche essere riconducibile a Il Serpente e l'Arcobaleno e molti altri), alla fine del film, dopo la visione del macabro girato della squadra, il capo macchina dice "non so chi siano i veri animali". Ed ecco che allora ci viene una illuminazione; i piaceri della carne, oltre che quello che possono grammaticalmente essere, possono anche essere riconducibili alle orribili azioni perpetrate da uomini senza alcuno scrupolo, senza alcuna remora per la natura altrui. Invece che banchettare realmente coi cadaveri, strappano brandelli delle persone annichilendo le loro anime e le loro vite, degni dei migliori lupi. Una canzone davvero pregevole, poco da dire, che in questa demo già dimostrava tutta la sua classe innata, che poi nel disco completo verrà fuori ancora più visceralmente. 

Braindead

Terza traccia estratta dalla demo è un altro classico della band, Brain Dead (Cerebralmente Morto). Una canzone che è divenuta un vero inno per la band ed i suoi fan. Un uomo giace in un letto d'ospedale, le sue membra sono inermi, eppure lui sembra ancora lottare internamente. In questo caso la band lancia una macabra invettiva contro l'eutanasia, pratica che fa discutere fin da quando è stata introdotta. Quanto è moralmente accettabile farlo, quanto è giusto? Non lo sapremo mai. E' una domanda alla quale la band ahimè tristemente risponderà molti anni dopo, quando deciderà di staccare la spina proprio al cantante che stiamo ascoltando adesso, e che avrebbe dovuto cantare i brani anche nel disco completo. Chissà, non lo sapremo mai. La musica è aggressiva e funerea, molto più che in altri brani contenuti in Pleasures. Holt ha confezionato poi con questo disco qualcosa dalla maturità sconvolgente, che in alcuni frangenti quasi passa sotto i lidi del Tech Thrash più che del Thrash vero e proprio, quasi come se il disco successivo, Disaster, fosse un passo indietro. Il crescendo della canzone viene anche aiutato dalle linee di basso, così cupe e spesse allo stesso tempo. Il brano in sé per sé trae forza dalla chitarra e dalla voce, senza alcuna remora e procede a tambur battente verso la sezione centrale, che deflagra senza precedenti. Qui abbiamo ovviamente il confronto con la versione cantata da Souza, quali sono le differenze? Minime, se pensiamo che la malignità dei due frontman è parimenti, sentiamo Baloff urlare come un disperato, come se volesse sottolineare la drammaticità dell'argomento trattato. Vediamo il nostro uomo dimenare il proprio essere anche se i movimenti sono un lontano ricordo. La sua mente ancora funziona dentro di sé, ma non esprime nulla, è come un guscio vuoto. Quando ormai non c'è più niente da fare? Quando si è come la canzone cerebralmente morti? Una domanda che ahimè non ha una risposta. Bisogna vagliare caso per caso, paziente per paziente. Medicalmente parlando si dice che si è morti cerebralmente quando la testa, anche internamente, non da più alcun segnale di vita. Tuttavia la band prosegue per la propria strada, dicendo che aiutare il malcapitato si può, facendolo ovviamente morire. Come sempre la risposta è esattamente nel mezzo. In una occasione come questa, dove si deve prendere una decisione drastica e definitiva, non esistono eroi, solamente il coraggio delle scelte. Come abbiamo sottolineato anche in altre recensioni l'unica pecca se così la vogliamo definire, di questo pezzo, è il suo andamento musicale; non fraintendiamo, la musica è ben scritta, e cantata da Baloff è ancora più maligna, ma manca qualcosa. Manca forse il tassello più nerboruto, magari un enorme assolo centrale, e sarebbe stata una canzone pressoché perfetta. E' forse il difetto più grande che possiamo riscontrare non solo in questa canzone, ma in tutto Pleasures Of The Flesh. Quel disco fu digerito per metà dalla folla; chi lo addita come un capolavoro, e chi salta direttamente a Disaster, sono opinioni. Qui ne abbiamo un assaggio di come avrebbe dovuto essere, e tolta la parte vocale ovviamente, abbiamo di fronte sempre il medesimo disco. E' un album oscuro, molto serio e molto viscerale, ma dall'altra sempre un senso di amaro in fondo allo stomaco, e forse era proprio questo il sentore che volevano farci ascoltare gli Exodus. 

Exodus

In quarta posizione, dopo l'assaggio della demo di Pleasures, andiamo con i pezzi live. Il primo della lista è un classico anthem della band, parliamo di Exodus (Esodo). i ritmi qui si fanno leggermente più inclini al Metal friendly, il che da una sinergica sferzata di energia al brano. Riff di chitarra si susseguono, micro assoli ci martellano il cranio senza alcuna sosta, ed in questa versione live registrata allo studio 54 il tutto si sente ancora meglio, con Gary Holt sempre sugli scudi pronto a darcele di santa ragione. Le varie sezioni sono collegate fra loro dai controtempi di batteria, che si incastrano fra loro in maniera egregia. Incastonate fra queste perle sul palco, troviamo il buon Paul in tutta la sua cattiveria. Sua particolarità è quella di voler sempre aggredire il pubblico senza alcun rimorso, vomitandogli in faccia parole su parole come se non ci fosse un domani, ed anche qui i passaggi non sono certo da meno. La particolarità di questo brano, anche nella sua versione on stage, è che si riescono benissimo a distinguere tutti i passaggi, per un risultato finale sorprendente. L'argomento affrontato è quello dell'Esodo ovviamente, ma visto in chiave ancora più maligna. Nessun riferimento ai sacri testi o alle leggende, solo un nugolo fitto ed assetato di morti pieno di coltelli, catene e un sano istinto omicida. Uno squadrone scelto per dominare il mondo. Si staglia di fronte a noi  l'esercito di prescelti del male che avanza per le strade di una deserta città, e la loro bramosia di sangue colpirà anche stanotte. L'armata avanza senza alcun problema, nelle città in cui passa ormai non cresce più niente. Nessuno riesce a contrastarli, niente e nessuno può fermarli, niente si può mettere fra loro e l'obbiettivo finale che si sono dati, distruggere tutto quanto. Sentiamo le loro lame affondarci nella carne, sentiamo il dolore sulla schiena per i loro piedi che ci calpestano, e certo la sofferente voce di Paul non ci distoglie da questi maligni pensieri. Il significato dell'orda è l'amore per la musica, se ricordate anche la recensione del disco da cui è tratta questa live version. Bonded By Blood è considerato ancora oggi come uno dei dischi Thrash Metal più violenti mai concepiti, con una folta schiera anche di musicisti di altrettante bands che lo reputano come tale. In questo live registrato nel 1985 la forza della band viene fuori in tutta la sua interezza, Paul e Gary inanellano combo come se non ci fosse un domani, ed il sound primordiale che tanto la gente aveva apprezzato sul primo album, qui si staglia direttamente in faccia al pubblico presente quella sera. In questo disco gli Exodus riversarono tutta la loro cattiveria giovanile, tutta la loro voglia di fare. Il risultato è un disco che sa ancora far parlare di sé. Ed è anche particolare pensare che gli Exodus non hanno mai più inciso un album del genere, mai più nella loro vita. Viene da chiedersi alle volte se il buon Paul non si fosse perso in quell'enorme vortice che lo ha portato alla morte, cosa avrebbe tirato fuori da quella sua anima malvagia, purtroppo non lo sapremo mai. Dobbiamo invece accontentarci di questa enorme versione on stage, che ben ci fa capire quale potesse essere l'atmosfera che si respirava ai tempi sul palco. 

Deliver Us To Evil

Secondo brano live è un estratto sempre del primo disco, che gli Exodus ci servono come un piatto pieno di bile, e che risponde al nome di Deliver Us to Evil (Consegnateci al Male). Il pezzo parte subito "in medias res", i battiti della batteria e della chitarra sfrecciano senza alcuna sosta, mentre Paul subito in prima linea inizia ad arringare la folla con quel suo celebre ed ormai apprezzato vocalizzo infernale. Nella versione live qui presente si capisce ancora meglio come gli Exodus siano sempre una garanzia. Abbiamo di fronte una band unica nel suo genere, che riesce a collimare le fiere tradizioni del Metal americano, con le altrettanto radicate scuole Hardcore, soprattutto della parte che guarda verso New York. Gary Holt qui sfocia in una violenza musicale senza precedenti, inanellando riff con una velocità impressionante. Nella versione on stage tutto questo viene fuori con ancora più violenza, è come essere entrati in un vortice da cui uscirne è davvero difficile. La band ci trascina letteralmente per i piedi e ci porta nel buio più completo. Una canzone che si conficca nel cranio di chi la ascolta e non se ne va minimamente: gli Exodus hanno consegnato al mondo qualcosa di unico nel suo genere, che verrà ricordato per anni ed anni. La consegna del nostro corpo alle forze male è ormai alle porte, e Gary Holt grazie ai suoi riff che sembrano provenire direttamente dal Tartaro più oscuro e sporco, ci fa capire che la salvezza è un concetto davvero lontano. Paul Baloff nel frattempo sale di nuovo e ci chiede che cosa ci aspettiamo. Aspettiamo forse la salvezza? Egli arringa la folla dello studio 54 dicendo loro che non si salveranno mai, non c'è alcuna speranza per loro, non esiste rimorso, non esiste libertà. Paul fa questo alzando ancor più l'asticella degli acuti, e urlandoci nelle orecchie una serie di frasi quasi sconnesse ad un primo ascolto, ma che delineano un disegno davvero infernale. Nei sette (pezzo più lungo del disco) minuti di violenza che sentiamo nelle orecchie, c'è spazio per tutti, i collegamenti e le concatenazioni fra le varie sezioni della canzone, considerando il tempo a disposizione, diventano un vero e proprio metronomo, che ad ogni passo falso ci punisce con grande acredine. Una canzone che, a discapito di quello che si può pensare dato il minutaggio, non annoia mai, né tantomeno risulta essere banale, e nella versione live che stiamo sentendo, tutto questo viene fuori ancora più malignamente. Ogni momento nuovo della canzone si allaccia al precedente in maniera perfetta, fino ad esplodere sul finale. Finale che vede noi stessi scegliere direttamente la via del male, perché non c'è alcuna altra soluzione che possiamo scegliere per la nostra peccaminosa anima. Perché questo è il desiderio di chi ha scelto il demonio, essere consegnato direttamente al signore del male, senza passare dal via. Siamo ed abbiamo sempre vissuto una vita di peccati, ed ecco che ne stiamo pagando il prezzo, ma a noi non interessa, vogliamo diventare schiavi ora, e nel minor tempo possibile.  E quando saremo diventati servi dell'odio, allora potremmo innalzare il nostro vessillo, e combattere a fianco dei demoni per instaurare un enorme regno di caos e distruzione. Ciò che rende questo brano così particolare, è proprio la sua non capacità di annoiare legata indissolubilmente alla durata del pezzo stesso. Da un brano che non sfora negli otto minuti per pochissimo tempo, ci aspetteremo quantomeno una serie di combo quasi fiacche, che ripetano lo stesso tema più e più volte. Gli Exodus invece hanno costruito qualcosa che cambia di continuo, che si muta e cambia pelle come un mefistofelico serpente, e che ad ogni nuovo ascolto rivela qualcosa di mai sentito prima. Abbiamo fra le mani un brano davvero di pregevole fattura, con una serie di combo che si collegano fra loro in maniera pressoché perfetta. In tutto questo c'è poi da considerare la fortuna che abbiamo in questo disco in particolare, ovvero quello di poter ascoltare queste bellissime tracce nella loro versione live originale. In questo modo abbiamo una idea ancora più precisa di cosa voleva dire assistere ad una esibizione degli Exodus nel 1985, quando gli animi erano ancora infuocati dalla giovinezza. 

A Lesson In Violence

Il prossimo brano in scaletta vuole dare una lezione al creatore del mondo in persona, ma non una lezione qualsiasi, una vera e propria A Lesson In Violence (Una Lezione nella Violenza); questo è un brano che ha nettamente il sapore del Thrash old school, niente di più, niente di meno. Chitarre velocissime e riff che sono vere e proprie rasoiate dilagano come un morbo nella nostra testa, il basso dietro funge da metronomo per tutto questo, la batteria spinge il brano in avanti con tutta la sua forza bruta. Paul, in questo caso, sfodera un vocalizzo degno del miglior demone infernale, qualcosa che nella versione live viene fuori ancor più degnamente, consegnando alla storia uno dei brani Thrash più celebri ed apprezzati di sempre. E' interessante osservare anche come gli Exodus riescano a cambiare passo o ritmo in pochissimo tempo, mettendo i puntini giusti sulle i e dimostrando al mondo quanta ricercatezza è servita per eseguire, catalogare e soprattutto scrivere questi pezzi. Sono stati e saranno sempre dei Nerd, che analizzano, e studiano qualcosa fino a farlo diventare perfetto. Questa blasfema canzone sostanzialmente parla del duello finale fra gli emissari del diavolo e di Dio, in una lotta all'ultimo sangue; il guerriero bianco si fa avanti, convinto di vincere in poco tempo e senza alcuno sforzo. Quello che il cavaliere bianco non sa, è che il demone lo inviterà ad attaccare come una furia cieca, alimentando così il suo odio, prima di sferrare il colpo finale, la famosa "lesson in violence". Il demone vuole insegnare all'angelo che chi comanda sono coloro che sono piantati nella terra dalla notte dei tempi, e che non guardano il mondo dall'alto in basso. Il demone prende in giro l'angelo bianco, dicendogli che in questa occasione il suo Dio non lo salverà, anzi, farà quel che ha sempre fatto, starà a guardare. Ed è in quel momento, quando l'altissimo sarà lì ad osservare, che il buon emissario del male sferrerà il suo colpo finale, senza alcuna pietà. Qui Satana si erge a salvatore del mondo. Nella versione live che stiamo ascoltando, Baloff si mette quasi in punta di piedi, sfoderando un vocalizzo quasi gutturale, che fa accapponare la pelle. Una enorme suite nel male e per il male, che non lascia prigionieri sul campo ne se ne prende, solamente cadaveri attorno a noi. In questo momento stiamo assistendo ad un duello e ad un pensiero che ricordano molto il Paradiso Perduto di Milton, in cui Satana viene visto esattamente come salvatore del mondo terreno, a discapito di Dio stesso. Satana ha cercato di salvare il mondo dalla superbia di Dio, raccontando la verità al mondo, ma è stato condannato fortemente. Satana è un guerriero degli uomini e del mondo; ha cercato e continua a cercare di salvare il globo terrestre e le sue creature dalla indulgenza di Dio in persona, che non scende mai sulla terra se non quando ha qualche tornaconto. La battaglia si fa più furente, e l'emissario del male è pronto a sferrare il suo colpo definitivo. La conclusione della sfida era già annunciata. Il demone spinge l'angelo ad inginocchiarsi ai suoi piedi, chiedendo pietà e perdono per la superbia dimostrata. Il demonio, in un primo momento sembra quasi accomodante alla richiesta ed al servilismo dell'angelo, ma noi tutti sappiamo che non può finire bene per quelle piume bianche. Ed ecco infatti che,  dopo pochissimo tempo, il demonio sferra il suo colpo, piantando un coltello direttamente nella schiena dell'angelo. L'angelo, ormai ferito, si lacera e si strozza in un grido disperato, che viene sottolineato con grande forza anche da Baloff stesso, grazie ad una serie di vocalizzi mirati e sempre più lamentosi, che sfociano in un finale da brividi. Una canzone che spesso viene dimenticata da molti ascoltatori, ma qui, in questa compilation che prende il nome proprio da questa canzone, non potevamo non celebrarla. Si tratta di un brano che ha fatto e continua a fare la storia, con folte schiere di uomini e metalheads che ad ogni nuova esibizione la chiedono senza alcuna remora, e per quanto il frontman sia ormai cambiato, Zetro sa bene come infiammare gli animi in memoria del buon Paul. 

And There Were None

Avete presente quei film, fumetti e libri che trattano in modo più o meno esaustivo l'argomento dell'olocausto nucleare? Potevano i nostri thrashers esimersi dal dedicare una canzone anche a questo argomento? Ovviamente no, ed ecco che in prossima battuta troviamo And then There Were None (E poi non restò nulla). Si tratta forse del brano più old school di tutto Bonded By Blood, i ritmi sono presi di peso dall'Heavy di inizio anni '80, quelle chitarre così in prima linea, che scartano letteralmente la pelle portandone via pezzi sempre più grandi, con Baloff di contralto che continua ad arringare la folla in modo costante e spaventoso. Qui, dato che i ritmi si fanno più pacati, possiamo (come abbiamo già detto nella recensione allegata), apprezzare maggiormente ogni singolo membro del gruppo. Basso e batteria si mettono in linee di retrovia, cercando di battere il tempo nel modo migliore possibile, senza fermarsi mai e senza alcuna pietà. Come si evince già dal titolo, il brano deflagra in tutta la sua interezza man mano che i secondi scorrono. Ci viene descritto, e nella versione live ancor più ferocemente, gli effetti di una bomba atomica sulla città. Una enorme esplosione che rende il cielo bianco come il latte, ma che dopo lascia il nulla. Il fungo atomico, da sempre simbolo della esplosione nucleare, si staglia all'orizzonte, mentre vampate di fuoco e acido cominciano a spogliare letteralmente la terra di tutti i propri averi, senza fermarsi di fronte a niente ed a nessuno. In mezzo a tutta questa devastazione, ci viene da pensare al motivo per il quale siamo arrivati dove siamo adesso, cosa può averci portato ad un risultato così disastroso? La risposta purtroppo la troviamo come sempre in quella brutta faccia che vediamo nello specchio ogni mattina. Siamo noi esseri umani la principale causa di morte e distruzione del mondo; la nostra bramosia di potere, di soldi, di qualsiasi cosa ci faccia sentire meglio, è la nostra rovina. E' così che nascono guerre e conflitti di vario genere, ed è così che si può arrivare all'annichilimento più totale della società stessa, quel microcosmo fatto di pochi eletti che mantengono fra le mani le sorti del mondo intero, ma che allo stesso tempo possono stringerlo fra le mani e decidere di annichilirlo. Gli Exodus immaginano tutto questo come l'eterno sconto fra bene e male, fra Dio e Satana. Dio dall'alto del suo trono dorato fra i cieli, osserva tutto questo e la sua fronte si corruga in una smorfia di dolore e sofferenza. Il suo potere non gli permette di fare nient'altro, può solamente osservare il mondo che si sta distruggendo. In tutto questo troviamo dall'altra parte colui che invece dalla notte dei tempi è nella terra, colui che ci conosce meglio del creatore stesso, Satana. Egli ovviamente è compiaciuto del caos che si sta generando attorno a lui, e per questo motivo ride, ride di una risata malefica, ride con gusto e con cupidigia, senza preoccuparsi di niente. Nella versione live il brano prende quasi una piega epica, gli Exodus in prima linea continuano a celebrale il maligno senza alcuna remora, senza alcun limite nei confronti del pubblico che quella sera si trovava allo studio 54 per assistere al concerto. Parlavamo di Satana, dell'esplosione che ha appena lasciato il posto ad un inverno rigido e senza luce, e del signore del male che se la ride di gusto. Qui lo troviamo compiaciuto per il suo operato, la violenza che sta vedendo, operata da lui col consenso degli uomini, fa gonfiare il suo ego, lo fa salire fin quasi in cielo per ridere in faccia a Dio in persona. Non dimentichiamoci però, come accennavamo prima, che la colpa di tutto questo è da ricercarsi in quella brutta faccia che vedete allo specchio ogni mattina. Rendetevi dunque conto di ciò che sta succedendo, e pentitevi amaramente delle scelte che avete fatto. Siamo una generazione di persone che vedranno il mondo bruciare al di sotto dei propri piedi, e che non potranno fare niente per impedirlo. Questa canzone rappresenta uno dei momenti più bui ed oscuri dell'intera discografia firmata dagli Exodus. Una band che ha sempre saputo come muoversi nell'immenso mare degli argomenti e delle loro correlazioni fra loro. Qui ne abbiamo un caldo esempio, che rimarrà inciso per sempre nella storia, e la possibilità di sentirlo live pochi mesi dopo averlo scritto è una opportunità unica nel suo genere. 

Metal Command

Ora è il momento di parlare di un esercito, ma non uno qualsiasi, un vero e proprio plotone di fratellanza metallara. Era ovvio che, per dare una impronta alla armata del metallo, ci fosse bisogno di scendere un attimo dal piedistallo del Thrash nudo e crudo, ed andare a saggiare le radici del metal classico. Per fare ciò gli Exodus si cimentano con Metal Command (Comando Metal), nel quale i ritmi decisamente sono veloci e comunque Thrash, ma preferiscono andare a coprire quello spiraglio da metalhead nudo e crudo. Troviamo un Paul in stato di grazia mentre qui sforza in sede live la voce a livelli stratosferici, arringando la folla passo dopo passo, lirica dopo lirica, aiutato enormemente dalla musica di sottofondo. La suite si conclude nel sangue grazie ad un assolo davvero pregevole di Holt, anche egli in pieno stato di grazia. Il pubblico sta lì, sotto al palco, a prendersi secchiate di note in piena faccia, senza ovviamente dire di no. Poi piano piano si procede verso il finale, con un lento e progressivo abbassamento dei toni fino alla conclusione, ma quella scossa finale ci doveva essere, e chi poteva darla se non Paul stesso con un ultimo, grandissimo vocalizzo che ci si insinua direttamente sottopelle. Un brano epico, non c'è che dire, e che sul palco da il meglio di sè. Come dicevamo prima, questo più che un brano è una chiamata alle armi, si cerca di attirare a sé tutti i metalheads che stanno al di sotto del palco. L'eccitazione si fa febbricitante, il tutto sembra essere davvero sul punto di esplodere, la bramosia di metallo si taglia col coltello. Paul e Holt ci invitano a scuotere la testa, headbanging sfrenato mentre sentiamo questa musica colpirci il cuore, i ritmi si fanno frenetici e continui, mentre la band ci invita nuovamente a pogare, un enorme mare di gente si staglia sotto di noi, e mentre il brano infuria, il tutto continua ad incitare ed esplodere, come se non avesse ancora perso nessun grammo della sua energia. Pezzo davvero evocativo questo, in pieno stile anni '80, in cui la battaglia per il metallo puro era ancora nel proprio fulgore, anche se ormai abbiamo capito tutti cosa possa essere il vero metallaro. Una persona che riesce sempre ad apprezzare quello che si può chiamare buona musica, in tutto e per tutto. Ha una visione del mondo e della cultura a 360 gradi, senza farsi fermare dai muri delle ideologie, del sound o della sperimentazione, un enorme calderone in cui affondare tutto il proprio corpo borchiato. Tutto questo purtroppo negli anni è stato abbondantemente travisato, e siamo arrivati oggi a vedere scontri quasi all'arma bianca, fatta di parole e di insulti perlopiù, che incita all'odio ed alla intolleranza verso chi ascolta generi diversi. La suite della band invece evoca non solo la fratellanza fra metallari, ma anche la tolleranza più profonda quando si parla della dea per eccellenza, la musica; si deve sempre confrontarsi in maniera equa e civile, come un sol uomo, come un esercito che porta avanti ideali positivi, e non lo spauracchio di un nugolo di persone senza alcuna cultura. Metal Command parla sostanzialmente di questo, con linee musicali che vanno ad inficiare positivamente sulla canzone, riff taglienti come rasoi, vere e proprie lamate in faccia da parte della band, che non si risparmia neanche per un secondo. La canzone degli Exodus è decisamente più incentrata sullo svolgimento della battaglia, questa chiamata alle armi, con Holt e Baloff che si mettono in prima linea a comandare questo plotone di freaks con chiodo e borchie, ma con uno spirito dentro migliore di qualsiasi altra cosa al mondo, qualcosa di unico nel suo genere, un cuore metallico. Una canzone che, come accade per Metal Militia dei Metallica, fa da contralto a tutta l'esibizione, come accadeva esattamente sul disco stesso da cui la canzone è tratta. In questa versione live la band spreme categoricamente ogni nota che viene suonata, finendo in una orgia di sangue e distruzione che lascia ben pochi prigionieri sul campo. Una lezione di stile e di eleganza Metal come amano definirla gli Exodus stessi, e che a distanza di tanti anni ancora sa come stupire e lasciare decisamente a bocca aperta le masse.

Pirahna

 Siamo nel mare, prendiamo poi piano piano le placide coste di un fiume, enorme, pieno di alberi da ogni parte. Ad un certo punto il disastro, la barca si capovolge, finiamo in acqua scoprendo una verità che ci fa accapponare la pelle. Il fiume in cui siamo caduti, è il Rio delle Amazzoni, ben noto per essere culla di esseri mostruosi, fra cui spiccano i famelici Pirahna. Ed ecco che gli Exodus hanno ben pensato di dedicare una canzone anche a loro, intitolandola ovviamente Pirahna (Pirahna). Questo brano si accosta sempre al Thrash/Speed d'annata, coadiuvato dall'argomento, così sanguinolento e pieno di violenza, il che innalza ancora di più la musica che viene suonata di sottofondo dal resto della band. Baloff torna al cantato caustico e pieno di verve a cui ci ha abituato negli anni di carriera con la band. Ogni volta che lo si ascolta si ha la netta impressione di porgere l'orecchio ad un sudicio demone. La sua violenza canora ha dell'incredibile, quella voce strozzata quasi in un goffo lamento, assieme all'enorme assolo di Holt che arriva circa a metà del pezzo, fanno drizzare i peli della schiena. La violenza che viene sprigionata in questo brano ci fa sentire preda di quei flutti e di quei famelici pesci con denti affilati come lame. Il nostro corpo offerto malamente alle loro fauci, vede la carne strappata a pezzi senza alcuna pietà, senza alcun limite, finché di noi non rimarrà assolutamente nulla. La violenza che si respira ad ogni nuova nota la fa da padrone, e non possiamo certo dimenticare tanti documentari visti. Questi pesciolini hanno una tecnica di attacco davvero particolare, ovvero quella di mangiare la preda tutti insieme, creando un enorme vortice di morte attorno a loro, sbranandola in pochi secondi. Se si osservano nei documentari, riconosceremo quel turbine di schiuma ed acqua che si forma appunto quando loro si attaccano alla preda per mangiarla viva. Ecco allora che la pozza di sangue si fa sempre più larga, pezzi di noi galleggiano già nel fiume e nelle loro fauci, mentre con il cervello ancora in funzione, possiamo vedere il nostro intestino che lascia sangue ovunque nell'acqua, chiamando a sé altri pesci. La canzone  ci fa capire bene quanto per raccontare di morte e violenza non sia necessario parlare di uomini, gli animali sono ancora più letali. Preesistevano all'uomo, ed arriveranno molto più lontano; stolti noi che pensiamo di poter dominare la natura, essa si ribellerà sempre, facendocela pagare molto cara. Man mano che sentiamo questi pezzi suonati live, ci rendiamo conto di quanto gli Exodus siano una delle Thrash band più prolifiche di sempre, ed uno stage come quello dello studio 54 è il palcoscenico perfetto per riuscire a capirlo ancora meglio. Una canzone come questa, con il suo bordo di violenza senza precedenti, fa comprendere di cosa siano capaci questi ragazzi americani. Capaci di passare da suite in puro stile old school come questa, a canzoni celebrali come quelle che abbiamo ascoltato in precedenza. Il tutto è stato poi mantenuto con un enorme filo di coerenza nel corso degli anni, anche durante il cambio di voce. Baloff e Souza si danno man forte a vicenda, tant'è che, prima della scomparsa di Baloff, i due erano divenuti amici. Talmente amici che, nell'ultimo disco in studio uscito (al momento) da parte della band, ovvero Blood In, Blood Out, Souza nella title track omaggia categoricamente l'amico scomparso e mai dimenticato, dicendo che quella sera lo avrebbero reso fiero e compiaciuto. Ascoltare questa Pirahna con la voce originale ovviamente da tutto un altro effetto al disco, soprattutto in sede live. Sembra di essere lì con loro, in quell'enorme turbine di sangue e mosh pit che ti fa uscire la sera dopo il concerto pieno di lividi. Una canzone che letteralmente ti lascia senza fiato, non c'è da dire altro, quattro minuti di pura devastazione, anzi, di pura furia animale.

Strike Of the Beast

L'album e le tracce live si chiudono con Strike of the Beast (Il Colpo della Bestia); un assaggio ulteriore di old school che la band ci da prima di salutare il pubblico presente quella sera. Partecipano tutti i membri all'esplosione finale, il brano si basa su ritmiche Speed fin dai suoi neanche troppo timidi esordi, ed il pezzo stesso continua la sua folle corsa aiutato come sempre dalla mefitica voce di Baloff, che in questo live inserisce sue ultime cartucce nel caricatore e le spara direttamente in faccia al pubblico. Sul finale batteria e chitarra picchiano duro per condurci al finale, con un main riff da antologia che Holt esegue in maniera cronometrica, senza sbagliare neanche un colpo. Il riff di chitarra finale dal sapore South, ci da l'ultima sferzata e scudisciata di energia prima di lasciarci definitivamente andare. Paul ci tiene a sottolineare questo folle momento prima dello stop definitivo, ed ecco che con un ultimo colpo di reni grida come un pazzo sugli ultimi stralci di nota, come se avesse ancora energia da spendere, come se il sangue non gli bastasse mai. Qui ci viene presentata la scena della cattura di un malcapitato da parte della bestia. Egli gira per la città, ignaro che la creatura sia sulle sue tracce, gli artigli bagnati dal sangue della vittima precedente si illuminano sotto una fetida luna, stasera ha fame, e non si rimane mai senza cena. Non si può sfuggire alla cattura, una volta che ella ti ha puntato, non mollerà mai la presa finché non ti avrà fatto sua, finché non ti avrà mangiato vivo assieme a tutti i tuoi vestiti, lasciando solamente una russa e fumante pozza di sangue. Anche se cerchiamo di combattere, la bestia sarà sempre più forte di noi, lei si prepara ad attaccare e noi, vittime ignare, non sappiamo cosa ci aspetta. In questo momento stiamo per essere attaccati, stiamo per assaggiare il morso della bestia. Eccola, arriva: i suoi denti si conficcano nel nostro collo, neanche ce ne accorgiamo e siamo già a terra, con la faccia sull'asfalto. La nostra anima se ne sta già andando, ma niente è ormai possibile per poterci far tornare indietro. Siamo esanimi, corriamo come disperati per cercare di sfuggire alla bestia, ma non c'è niente da fare, ormai ci ha puntato e non ci lascerà mai più andare. Come Bonded ed innumerevoli pezzi scritti nel corso della storia dalla band, anche Strike viene annoverata come un inno del Thrash. Basta ascoltare i mefitici cori che vengono fatti anche in questo concerto in particolare. La folla non si risparmia per neanche un secondo mentre gli Exodus sono sul palco. Niente viene lasciato al caso, il pubblico sa che cosa vuole, e la band glielo propina senza alcun problema, senza alcun controllo. E' come essere in un enorme tornado che ti risucchia dal basso, e la cosa più bella è che a distanza di più di 30 anni da questo live, cambiati cantanti, passato del tempo, non è cambiato assolutamente nulla. Nessuno si salva quando il colpo ferale della bestia viene sferrato sulle nostre misere teste. Sentiamo il suo fiato sul collo, la sentiamo digrignare i denti e sbatterli contro le pareti della città mentre sta pensando a come mangiarci in maniera ottimale. Sentiamo la sua aura maligna entrarci fin dentro l'anima, strapparne pezzi ed ingoiarli interi come la carne che ci sta strappando di dosso. La musica, neanche a dirlo, fa da ampio margine di contrasto con il testo stesso. Particolare attenzione al basso, ogni suo slap ci arriva come un pugno in piena faccia, amplificato dalle sessioni di batteria; ogni parte dei segmenti ritmici ci arrivano in pieno volto come un treno, e non possiamo fare altri che prenderli senza fiatare. Gli Exodus hanno lasciato una eredità che, per quanto loro ancora continuino a fare musica, viene raccolta regolarmente da centinaia di bands nel mondo, che vogliono assaggiare un po' di quella bestia che sono. 

Conclusioni

Il voto, piuttosto alto, per una compilation come questa A Lesson In Violence, è giustificato per un buon motivo. La presenza principalmente della demo del 1986, con cui godere appieno dei pezzi che furono registrati con Paul alla voce, cercando quindi di fare il confronto con quello che sarà poi il disco vero e proprio uscito un anno dopo. Poco da fare, gli Exodus hanno una classe nel comporre e nel suonare che raramente si trova nel Thrash Metal; alla pari di Metallica e moltissime altre band più blasonate e con una storia millenaria alle spalle, Holt e soci sono sempre riusciti nel loro intento, dare vita ad una musica viscerale, che prendesse direttamente le pieghe dello stomaco e le cazzottasse senza alcuna pietà. In questa compilation, un omaggio a Baloff stesso se vogliamo definirla così, abbiamo a nostra disposizione dieci slot con cui capire bene egli chi era. Nelle prime tracce, quelle estratte dalla demo, vediamo e capiamo come la band stendeva i brani; ed erano pezzi quasi scritti e suonati di pancia, di getto, come venivano e come erano incisi. C'era tanto ragionamento dietro, tutto doveva funzionare al secondo, eppure allo stesso tempo i brani erano e sono ancora ricolmi di una rabbia primordiale, di quegli istinti omicidi che prendono la carne e la strappano a brandelli fino a non lasciare più nulla nel piatto. Una compilation con cui accertarsi fino in fondo chi erano e chi sono ancora oggi gli Exodus, una band unica, un gruppo che sa ancora infiammare gli animi e sa come farlo. Una storia la loro molto travagliata, se pensate che, temporalmente parlando, si sono formati anche prima dei Metallica e degli Slayer, per antonomasia le prime due band Thrash Metal della storia. Nella assolata San Francisco loro, già nel lontanissimo 1979 mettevano, o iniziavano perlomeno, a mettere a ferro e fuoco la città con alcuni concerti, quando ancora in forze alla band c'era anche il buon Kirk Hammet, prima di venir chiamato alla corte di Hetfield ed Ulrich. In questo frangente il gruppo ha sempre "mangiato la polvere", se capite cosa intendiamo. Sono comparsi prima si, ma la loro prima release ufficiale è del 1985, quindi quando il Thrash ormai era esploso in tutta la sua interezza. Da qui le critiche iniziali, mosse anche ad altri gruppi come Overkill, Testament ed Onslaught, ovvero quello di aver semplicemente "copiato" riff e canzoni già esistenti negli anni precedenti, e di non aver inventato niente che i Big 4 non avessero già fatto. Questa sottospecie di discriminazione ha portato però ad un risultato del tutto nuovo; la band, dovendo sempre relegarsi un gradino più in basso, ha costantemente portato avanti le proprie idee, non si è mai adagiata. Neanche oggi, dopo 30 anni di carriera insieme, lo fanno, neanche dopo che Holt è stato chiamato in forze agli Slayer, dovendo momentaneamente abbandonare la sua stessa band. Gli Exodus sono ancora una macchina da guerra, e l'aver richiamato in forze Souza, con cui hanno pubblicato quel piccolo capolavoro che è l'ultimo disco allo stato attuale della recensione, denota quanto quel legame stretto "nel sangue" tanti anni prima, non sia mai morto del tutto, anzi, si sia rinvigorito nel tempo. Per quanto riguarda la compilation comunque, rappresenta un ottimo modo per omaggiare e rendere il giusto tributo ad un cantante scomparso troppo presto, sia dalle scene, che tristemente anche dalla vita anni dopo. Un frontman che sarebbe potuto arrivare lontano, e che per quanto abbia realmente prodotto poco, ha lasciato una eredità fuori dal comune. 

1) Seeds Of Hate
2) Pleasures Of the Flesh
3) Braindead
4) Exodus
5) Deliver Us To Evil
6) A Lesson In Violence
7) And There Were None
8) Metal Command
9) Pirahna
10) Strike Of the Beast
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