EVELINE'S DUST
K.
2019 - Giant Electric Pea Records
SANDRO PISTOLESI
09/04/2019
Introduzione Recensione
Certe volte, durante il tortuoso e duro cammino della vita, possono paventarsi eventi che ti sconvolgono l'esistenza, che ti tolgono ogni stimolo e ti riempiono la testa di mille pensieri, catapultandoti in una dimensione dove regna una fitta nebbia che oscura il tuo essere. E' per questo che circa un paio di anni fa ho deciso a malincuore di appendere la tastiera al chiodo e dire stop alla mia breve ma intensa carriera di recensore. Per fortuna però, nel medesimo cammino, possiamo incontrare creature angeliche che come un raggio di Sole dissolvono la fitta nebbia che ti avvolge, riaccendendo il tuo cuore e riattivando gli stimoli. E allora ti trovi a dover prendere la decisione se riprendere il lavoro interrotto o dedicare più tempo alle persone che ami. Io ho optato per la seconda. E' stata una decisione difficile perché recensire un disco non significa solamente rendere pubbliche le proprie idee, ma te lo fa assaporare in tutte le sue essenze, anche quelle più nascoste, compresi i velati messaggi che sovente si nascondono fra le criptiche righe delle liriche. Lo scorso mese, poi ho ricevuto una inaspettata chiamata da parte degli Eveline's Dust, interessante giovane band pisana che ho recensito qualche anno fa, i quali mi chiedevano di recensire il loro imminente nuovo lavoro. Inutile dire che la cosa mi ha fatto enormemente piacere, sintomo che il mio precedente lavoro è stato apprezzato dalla band. Stuzzicato dall'idea, mi sono rivolto immediatamente al boss di Rockandmetalinmyblood, chiedendogli se potevo recensire la band da freelance, lui ha gentilmente acconsentito ed eccomi qua. Formati nel 2008 nella città che ha dato i natali a Galileo Galilei, gli Eveline's Dust si presentano a distanza di quasi tre anni dal precedente ottimo "The Painkeeper" con la medesima formazione che vede Nicola Pedreschi nell'impegnatissimo doppio ruolo di tastierista e cantante, Lorenzo Gherarducci alle chitarre, Marco Carloni al basso ed il tentacolare Angelo Carmignani dietro al drum set. Fra gli ospiti troviamo nuovamente Federico Avella al sax e flauto traverso e con mia lieta sorpresa una new entry alla voce femminile, Lorenza Catricalà (che saluto, avendoci condiviso in passato una esperienza musicale). Fatta eccezione per una rinfrescatina inerente al curioso nome Eveline's Dust, che vi ricordo prende spunto da un racconto di James Joyce intitolato "Eveline" e presente sul volume "Dubliners (Gente Di Dublino)", per le altre dettagliate note storiche ed anagrafiche della band, vi rimando alla recensione dello splendido "The Painkeeper", che potete trovare su queste stesse pagine. L'album precedente ha riscosso un inaspettato successo su vari fronti, non solo dal sottoscritto che gli ha affibbiato un bel 10 in pagella. Anche importanti riviste di culto come Prog Magazine e Prog Magazine Italia hanno pubblicato recensioni più che soddisfacenti. Inevitabilmente il "The Painkeeper Live Show" ha riscosso consensi positivi sia in patria, ma soprattutto all'estero, dove il progressive rock può trovare platee più numerose e palati fini. Il tour si conclude a Dicembre del 2017 in Germania, dopo di che il combo nato all'ombra della Torre Pendente si è gettato a capofitto sulle nuove composizioni. Nonostante perlomeno in Italia il progressive rock sia sempre di più un genere di nicchia, se pur sempre in cerca di sperimentazioni e nuove sonorità, i nostri rimangono fedeli al loro sound, che ormai li caratterizza da tempo, mixando le sonorità dei giganti del progressive come King Crimson, Yes, Genesis, Banco e Gentle Giants all'oscuro neoprog di Steve Wilson e i suoi porcospini, il tutto guarnito da una frizzante spruzzata di jazz, messa in dose perfetta tanto da non nauseare. Come per il precedente lavoro, seguendo le orme dei Marillion, i nostri hanno lanciato una campagna di crowdfunding per finanziare l'album, le cui registrazioni sono terminate nel caldo mese di Luglio del 2018. Tutti coloro che hanno aderito alla campagna, troveranno il proprio nome stampato nei crediti. Per nulla intimoriti e decisi a portare avanti la loro idea musicale, Nicola Pedreschi e soci si presentano nuovamente con un impegnativo concept album intitolato "K." K è il personaggio principale a cui ruota attorno l'intero concept, unai giovanissima ragazza nel fior fiore della vita, la cui esistenza quotidiana è stata influenzata in maniera irrimediabile da una grave malattia che troppo precocemente la sta spengendo lentamente. La lettera K con il punto di abbreviazione annesso è l'iniziale del nome del personaggio chiave del concept, personaggio che ognuno di noi può identificare in chiunque ma anche in nessuno. L'ispirazione è venuta grazie al bassista Marco Carloni. Si tratta di una collection di testimonianze da lui raccolte da persone che purtroppo hanno avuto a che fare con amici o familiari affetti da gravi malattie e destinati lentamente al più triste degli epiloghi. Se nel precedente album "The Painkeeper" i vari personaggi del villaggio venivano presentati traccia dopo traccia, in questo nuovo lavoro gli Eveline's Dust brano dopo brano ci presentano tutte le persone che in qualche maniera hanno interferito nella vita della giovane K durante il corso della terribile malattia, ovvero amici, parenti, infermieri, amori, compagni di scuola e chiunque l'ha aiutata in qualche maniera ma anche umiliata per chissà quale motivo con uno sguardo torvo quanto inopportuno. K è una sorta di piccola supereroe in rosa, che quotidianamente si trova a dover combattere una dura battaglia contro la terribile malattia, rimandando il più lontano possibile l'appuntamento con la Grande Mietitrice. Ogni giornata portata a termine è una piccola battaglia vinta, ma purtroppo vincere alcune battaglie non è sinonimo di vincere la guerra. Come dice la band stessa, le sette tracce che compongono l'album danno vita ad un malinconico dipinto dove predomina il grigio, con qualche spruzzata di colori vivaci che lo rendono unico. La forza che K mette ogni giorno per combattere contro la malattia è un cristallino messaggio inviato a tutti noi che ci invita a lottare al massimo per raggiungere qualsiasi tipo di obbiettivo che ci siamo prefissi e di vivere serenamente ogni giornata come se fosse l'ultima, assaporando tutte le essenze della vita e vivendo in armonia con il prossimo e con Madre Natura. Le malinconiche liriche testimoniano una consistente maturazione della band, ogni verso scritto ti punge l'anima, coinvolgendoti, facendoti immedesimare nel dolore della famiglia di K, che vede lentamente sfuggirsi di mano il loro gioiello più prezioso; leggetele con attenzione, ogni singolo rigo scritto da Nicola Pedreschi vi stringerà il cuore. Se pur rimanendo fedele alle sonorità della band, anche musicalmente il nuovo album si mostra più maturo e di conseguenza più difficile da assimilare rispetto al suo predecessore. Gli arrangiamenti sono curati con una professionalità fuori dal comune, i virtuosismi dosati con cura nonostante l'elevata tecnica strumentale a disposizione della band. Ma abbiamo parlato abbastanza, penso sia giunta l'ora di inserire il CD nel nostro lettore e di passare ai fatti.
A New Beginning
L'album si apre con il più classico dei titoli per una opening track, "A New Beginning (Un Nuovo Inizio), ma purtroppo non si tratta del principio di una storia lieta. Un oscuro e malinconico arpeggio di chitarra accompagna Nicola Pedreschi. Immerso in una funesta atmosfera ed inseguito da un arcano e tintinnate pianoforte, il Cantastorie Di Barga ci narra il momento più terribile vissuto da K e dai suoi familiari, ovvero quando gli è stata diagnosticata la terribile malattia. In pochi secondi, i familiari della sfortunata creatura si sentono crollare il Mondo addosso e vedono scorrere velocemente il film della vita della giovane K, sin dai primissimi secondi di vita, quando la presero in braccio per la prima volta, ammirando gli occhioni azzurri scintillanti che gli aprivano il cuore. Una manciata di profonde pennate di basso annuncia un acido intermezzo strumentale dai sentori Wilsoniani che ci terrorizza, proprio come la terribile notizia ha terrorizzato K e famiglia. L'incessante ritmo della batteria e gli strumenti che viaggiano all'unisono ci presentano la letale malattia che ha catturato K come un mostro infernale cattura la sua preda. Fra le acide trame degli strumenti si fa avanti un interessante assolo di tastiera dai sentori Gobliniani, che con un funambolico finale ci porta ad un improvviso cambio atmosferico. La tentacolare performance di Angelo Carmignani viene ricamata da decisi accordi di pianoforte che si intrecciano con le articolate trame della chitarra e del basso. E' un nuovo inizio, d'ora in poi la vita di K e dei suoi familiari non sarà più la stessa. Che sia il fato a decidere o la volontà dell'Onnipotente, il risultato non cambia. Le spensierate e felici giornate passate insieme sono solo un ricordo, da qui in avanti ogni giorno per la piccola K sarà un Inferno, ma rabbia e paura non riusciranno mai a dissolvere l'amore che lega fortemente la famiglia, ora più che mai. Al minuto 03:39, il Tastierista Di Barga ci dimostra di aver imparato molto da Wakeman e Banks, ipnotizzandoci con un prolungato assolo dal piacevole retrogusto settantiano. Le falangi corrono velocemente sui denti d'avorio della tastiera per un'ultima volta, annunciando il solo di chitarra. Il Guitar Hero Pisano con classe riprende le scorie lasciate dalla tastiera. La chitarra sembra piangere di fronte alla terribile notizia, poi dopo una dura battaglia con la sezione ritmica lascia poi il campo al pianoforte. Nicola Pedreschi viene lasciato solo con il suo strumento per circa un minuto; K e la sua famiglia sono spaventati, anzi terrorizzati, ma possono farsi forza e provare a convivere con la terribile malattia, vivendo immersi nell'amore, cercando di rendere il più normale possibile la vita della giovanissima e sfortunata K. Lentamente gli strumenti rientrano dolcemente tutti in gioco, compresa la guest star Lorenza Catricalà, che con malinconici cori e controcanti rende ancora più straziante l'atmosfera, accompagnandoci verso il vigoroso epilogo di questa interessantissima prima traccia che ci giunge dritta al cuore.
Fierce Fear Family
La paura che attanaglia K e famiglia ci viene presentata nella traccia successiva intitolata appunto "Fierce Fear Family (Paura Feroce In Famiglia)", aperta da un deciso fil dell'ottimo Angelo Carmignani, seguito da una azzeccata progressione di accordi eseguiti all'unisono che emanano terrore da tutti i pori. Dopo un interessante intermezzo che vede protagonista la sola granitica sezione ritmica arriva la strofa dove Nicola Pedreschi accompagnato da acidi lamenti della sei corde e da un ritmo zoppicante guidato dal basso ci dà una lezione di etica, sottolineando che una famiglia può definirsi tale solamente se fra le persone vi è un indistruttibile legame di amore che non si discioglie di fronte a nulla, a prescindere dalla strada imboccata, da errori commessi, o come in questo caso da agenti esterni incontrollabili. Una volta che la terribile malattia è piombata ingiustamente e precocemente sulla giovane K, la paura si è impossessata della famiglia e degli amici della sfortunata protagonista del concept. Tornano gli acidi accordi di inizio brano, in mezzo ai quali il Drummer Pisano fa un lavoro di alta classe e di altri tempi. Al minuto 01:33 arriva uno dei miei momenti preferiti dell'intero album. I nostri dimostrano che se ben fatte anche le cose semplici possono coinvolgere l'ascoltatore e far venire la pelle d'oca. Gli strumenti viaggiano all'unisono eseguendo pochi ma vincenti accordi dal retrogusto acido che emano particelle di terrore che ti si appiccicano sulla pelle come uno sciame di zanzare. Sin dal primo ascolto, questo terrificante wall of sound mi ha fatto venire in mente i Rush dei tempi d'oro. Trascinata dalla tentacolare performance di Mr. Carmignani torna la strofa, dove si sottolinea l'enorme peso piombato improvvisamente sulla vita di K, un peso di cui tutti farebbero volentieri a meno. La terribile notizia si è portata dietro una scia di funesti pensieri a cui è impossibile sfuggire ed una impenetrabile oscurità che avvinghia l'anima. L'istino direbbe di correre, di fuggire via, ma purtroppo non è possibile sfuggire a certi eventi che il fato ti prospetta davanti. Allora la fuga si trasforma in lacrime, l'unica arma a disposizione con cui difendersi rimane il forte legame d'amore con la famiglia e gli amici, tutti pronti a combattere insieme a K. Il brano sembra capitolare verso l'epilogo, accompagnato da una struggente trama di sax. Tutti gli strumenti suonano in maniera delicata per qualche secondo, quasi cancellando momentaneamente la paura che attanaglia K e famiglia, facendo prevalere l'amore su di essa. Ma si tratta di una vittoria effimera, uno rapido crescendo annuncia il ritorno del bellissimo interludio Rushiano, che a questo punto può tranquillamente definirsi una sorta di ritornello strumentale. Le acide note eseguite all'unisono spazzano via con decisione la dolce atmosfera respirata pochi istanti prima interpretando perfettamente l'inesorabile malattia e il terrore da lei diffuso, accompagnandoci verso la fine del brano. E' incredibile come i giovani musicisti toscani riescano a far andare in perfetta armonia le liriche con la musica, sintomo di classe, talento e maturità.
Hope
Progressivamente parlando "Hope (Speranza)" è fra i brani più interessanti dell'album, una mini suite dove a tratti possiamo percepire velate influenze Floydiane perfettamente amalgamate con sonorità che ci ricordano vagamente Yes, Genesis e ovviamente Porcupine Tree, il tutto senza farci urlare allo scandalo e rimanendo all'interno dell'ormai ben delineato stile musicale della band. Pochi ma scintillanti accordi di piano e una fiabesca trama di flauto traverso ci introducono in questo eccellente brano, che vi ricordo va oltre i nove minuti. Dopo alcuni secondi si aggiunge un cullante arpeggio di chitarra. I nostri per qualche istante, ci fanno dimenticare tutta la malinconia respirata fino ad ora. Dopo questa melliflua introduzione, l'arpeggio di chitarra si fa improvvisamente gelido e cristallino. Si ha l'idea che le note generate dal talentuoso Lorenzo Gherarducci, possono rompersi da un momento all'altro, fragili come la vita di K. "Hope" è un brano che ci mostra tutta la forza della nostra eroina, nonostante tutto sul suo viso non scendono lacrime, ma un sorriso contagioso pieno di speranza. Quando è a casa sola, lei cammina nella sua stanza con i suoi occhioni blu che lasciano trasparire un terribile segreto nascosto nel profondo. Le persone che incontra per strada a volte la feriscono con sguardi ora pieni di compassione, ora pieni di sdegno. Ritorna Federico Avella con il flauto traverso e nuovamente l'atmosfera si fa più dolce. La forza con cui K riesce ad andare avanti convivendo con la letale malattia è qualcosa di innaturale. Dopo circa un minuto e mezzo, un leggero crescendo della chitarra richiama all'ordine la sezione ritmica. Angelo e Marco entrano con grazia, quasi timorosi di rompere l'incantevole atmosfera che si è creata. Sono ormai passati giorni dal momento in cui è stata diagnosticata la malattia, ma K non è cambiata, anzi sembra essere più forte. La sua gioia illumina l'aula durante le lezioni, la sua voce fatata incanta i compagni di classe, che però non possono esimersi da versare lacrime di sconforto. Lei canta una canzone che gli altri non possono comprendere, la sua dolce voce canta parole talmente tristi che un bambino non dovrebbe sentire. Al minuto 02:37 si paventano suoni acidi e minacciosi, usciti come uno stormo di pipistrelli dal castello di tastiere. L'idilliaca atmosfera generata dalla chitarra lentamente viene avvolta da una nebbia funesta. Le pennate del basso ci arrivano dritte allo stomaco, i fil di batteria si lasciano dietro una scia di paura. Anche la voce si sporca leggermente, ormai l'atmosfera fiabesca di inizio brano è stata sopraffatta. Ora le sonorità spurie Wilsoniane hanno preso il sopravvento, facendoci piombare nelle tenebre. Si respira un'aria malsana. Spesso siamo convinti che le nostre vite siano al di sopra di ogni cosa, vivendo con un cuore ceco, ignorando il dolore di chi purtroppo, a causa di una malattia è diverso da noi, ignorando che anche chi è diverso da noi ha i propri sogni, ha una propria vita che vuole portare avanti ad ogni costo. Il brano sembra spirare intorno al minuto 4, lasciando il campo ad uno sconclusionato strumming di chitarra. La prima idea è di non essersi accorti di essere passati al brano successivo, ma non è così, stiamo ancora ascoltando "Hope" e ci troviamo di fronte all'ennesimo cambio atmosferico e ritmico. Gracchianti accordi di chitarra si oppongono ad una raffinata ritmica jazzata, ricamata da velati pad di tastiera. Con classe i nostri aumentano i bpm. Sinceramente non riesco a trovare parole per descrivere il lavoro del tentacolare Angelo Carmignani alla batteria. Una disinvoltura, una sfrontatezza e una classe nell'eseguire tempi così complicati la ricordo solamente in due grandi batteristi, quelli che per chi scrive sono i migliori in assoluto del panorama musicale mondiale, ovvero gli alieni Bill Bruford e Phil Collins degli esordi. Nicola Pedreschi ci ipnotizza con un azzeccatissimo riff di tastiera che si incunea prepotentemente nel nostro cervello, pronto ad essere fischiettato. Si respira una spensierata aria dal piacevole retrogusto settantiano. L'ammaliante melodia lanciata dalla tastiera viene intelligentemente sfruttata al meglio e ripresa dalla voce. Con l'aria spensierata assunta dal brano in questa seconda parte i nostri ci presentano le uniche creature che ingenuamente non fanno caso allo stato di salute di K e continuano (giustamente) a trattarla come se nulla fosse. Ai bambini non interessa in che maniera lei respira o come cammina, non interessano le parole della sua canzone, ma si uniscono in coro alla melliflua voce della sfortunata eroina. I bambini non fanno caso alle ombre che si nascondono dietro al suo viso, a loro non importa da dove provieni, loro pensano solo a giocare in armonia e con amore con tutti, è questo di cui ha bisogno K per alimentare una speranza utile a portare avanti la sua dura battaglia. Il Tastierista di Barga torna nuovamente a sorprenderci con un articolato assolo che insieme all'indescrivibile lavoro della sezione ritmica ci fa rimembrare i primissimi Yes. Chapeau. Quando il brano sembra sfumare, il quartetto nato all'ombra della Torre Pendente parte nuovamente in quarta per un pazzesco interludio strumentale che fa da bridge all'ultimo frammento di questa notevole suite. Al minuto 7:53 il Chitarrista Pisano porta nuovamente la calma con un malinconico arpeggio. Siamo alle battute finali, il Cantastorie Toscano chiude in maniera poetica il brano disegnando un triste dipinto. Una bambina impotente cammina nella sua stanza, illuminandola con la brillante luce emanata dai suoi splendi occhi blu. Da sola canta una triste canzone che parla di incubi, incubi che se ci fosse una giustizia divina, nessun bambino al Mondo dovrebbe avere. Ma K è consapevole che le voci dei bambini che in coro si aggiungono cantando la sua canzone spazzano via l'oscurità dandole una speranza e cancellando le ombre dal suo volto.
K.
Dopo questa dose di emozioni andiamo ora a scoprire la title track "K." Primo singolo estratto dall'album, corredato di videoclip. Siamo di fronte ad un brano oscuro e melanconico dove emergono prepotentemente le influenze dell'Albero Dei Porcospini ma anche la voglia di esplorare nuove sonorità sperimentali che attanagliò i Marillion fra il 1998 ed il 2001. Curiosamente il brano inizia con un gioco di volumi da parte della chitarra, affiancato poi da un inquietante tema di tastiera che sarà poi fondamentale per tutta la canzone. Dopo alcuni secondi, chitarra e tastiera iniziano a dialogare nella medesima oscura e diabolica lingua. Pochi ma ben assestati colpi di gran cassa seguiti dalla corpose note del basso simulano un singhiozzante cuore giunto ormai ai suoi ultimi istanti di vita. Siamo immersi in una spessa coltre di malinconia che ci fa prigionieri. Il brano cresce lentamente, l'aggiunta di una acida dose di distorsione rende il clima ancora più lugubre, l'inquietante tema di tastiera si fa largo fra le interminabili corse sulle pelli dei tom tom, entrandoci nella testa come un'atavica entità lovecraftiana. Per dare spazio alla voce, al minuto 01:37 il brano cala di intensità, ma permane imperterrita l'aria malsana, sostenuta stavolta in maniera egregia dalla sola sezione ritmica. In questo brano, che si colloca perfettamente a metà disco, per la prima volta viene fuori tutta la rabbia repressa causata dalla grave malattia che ha colpito K. La rabbia dovuta all'impotenza di un atroce destino che ha stroncato troppo presto la vita di una giovane ragazza solare, la rabbia dei familiari, la rabbia dell'amica del cuore e di chiunque le stia intorno, gente che lentamente la vede svanire nel suo letto. In questo brano, anche la nostra eroina sembra aver perso la forza di combattere, ormai stanca di affrontare una guerra persa in partenza. Questa momentaneo abbandono getta nello sconforto totale anche chi le è vicino. Svaniscono i sogni e i progetti. Presa dallo sconforto, in maniera impotente K ci confessa di essere stanca di aspettare e non vede l'ora di andarsene. Queste poche strofe vengono rese ancora più strazianti da oscuri rumori che fuoriescono dal castello di tastiere immerso nelle tenebre e dalla ottima performance di Lorenza Catricalà, che con malinconia segue all'unisono i deliranti passi di Nicola Pedreschi. Dopo queste due strofe Lorenzo Gherarducci ci graffia con un lancinante assolo che sembra uscito dalle viscere dell'Inferno, inseguito dall'inquietante tema di tastiera, il tutto accompagnato da un indescrivibile lavoro da parte della sezione ritmica. Il finale è pazzesco, i nostri ci catapultano in un manicomio invaso da pazienti fuori controllo che corrono all'impazzata. La doppia cassa ci martella in maniera incessante, tastiera, chitarra e basso girano attorno al tema portante lasciandosi dietro una scia di paura e delirio. Il brano termina in maniera brusca, come tagliato a metà, lasciandoci con la voglia di sentirlo nuovamente, come se l'inquietante tema di tastiera avesse un demoniaco potere di assuefazione. Mi sento in dovere di spendere alcune parole sul videoclip che accompagna questo notevole pezzo. Si tratta di un filmato di altissima qualità prodotto dalla MatWopFilms, azienda toscana specializzata nel montaggio di materiale cinematografico. I pisani della mia generazione non tarderanno a riconoscere la location, si tratta della mitica Villa del Lupo di Arena Metato, in passato una villa abbandonata risalente alla fine del XVIII secolo, immersa in un lugubre bosco dove la vegetazione ha preso il sopravvento, e contornata di mille leggende che parlavano di fantasmi e di figli illegittimi sepolti vivi nello scantinato. Luogo infestato dove, quando Playstation e affini non esistevano ancora, i giovani di Pisa e dintorni amavano trascorrere le serate, sfidando la paura e andando alla ricerca di oscure presenze. Ah, gli anni '80!! Purificata da eventuali entità maligne, restaurata e bonificata la vegetazione che la circonda, oggi la villa è una affascinante residenza dove si celebrano matrimoni e cerimonie varie. Il videoclip si sposa alla perfezione con le deliranti sonorità del brano. In maniera psichedelica vengono alternati inquietanti fotogrammi che sembrano usciti dalla mente di un pazzo, la tranquilla camminata di due amiche nel mezzo del bellissimo giardino della villa durante una grigia giornata autunnale e spettrali apparizioni dei membri della band. Improvvisamente le due ragazze si ritrovano in una triste camera da letto, dove la povera K con una flebo al braccio si avvia lentamente fra le braccia della Grande Mietitrice, lasciando l'amica del cuore sola e in preda ad una crisi di rabbia e sconforto di fronte al letto vuoto.
Lost In A Lullaby
Con la successiva "Lost In A Lullaby (Persi In Una Ninna Nanna)" perlomeno nella prima parte del brano, musicalmente i nostri riportano un po' di quiete dopo la tempesta. La valente sezione ritmica è protagonista in questo inizio brano con un ritmo jazzato, ricco di scale e note sparate dal basso dell'ottimo Marco Carloni. Dal cielo piovono leggeri come glitter delicati accordi di pianoforte e note arpeggiate. Successivamente Lorenzo Gherarducci getta un amo invitante, ammaliandoci con un tema di chitarra che ci entra subito in testa, molto vicino a quelli con cui i maestri Howe e Hackett incantavano i loro fans mezzo secolo fa. Dopo questo minuto in cui si sprecano classe e qualità entra in scena il Cantastorie Di Barga, che ci apre una finestra sull'abitazione di K, dove lo strazio e lo sconforto stanno prendendo il sopravvento. Nella strofa è ancora protagonista la sezione ritmica, il basso ci incanta con un sinuoso giro dove si sprecano scale e glissati, mentre gli altri strumenti si limitano a riempire i pochi spazi lasciati vuoti dal formidabile duo formato da Angelo e Marco. Come suol dirsi, la classe non è acqua. La finestra spalancata ci mostra una K che priva di appetito e ormai rassegnata; o dorme o prova a combattere, lasciando sempre la Tv accesa a farle compagnia. La terribile malattia viene dipinta come una bestia demoniaca che si è impossessata di K, che gli lacera cuore e mente, rendendola a tratti apatica e irriconoscibile. Suo fratello, ha bisogno di rivedere la luce scintillante dei suoi occhioni blu, ha bisogno del suo sorriso contagioso, ingredienti essenziali per poter continuare a combattere la terribile bestia che giorno dopo giorno la sta divorando a piccole dosi, morso dopo morso. Il ritornello è guidato dell'azzeccato tema di chitarra sentito ad inizio brano, seguito all'unisono con una malinconica armonia vocale dal duetto Nicola-Lorenza. I familiari di K si sono persi all'interno di in una ninna nanna, stanno cercando di destare K dal sonno apatico in cui è piombata, il suo momento non è ancora arrivato, c'è ancora tempo per combattere tutti insieme, uniti da un profondo legame d'amore. Al minuto 02:40 la scena è tutta per Lorenzo Gherarducci, che ci incanta con un prolungato assolo di chitarra che punta tutto sulla classe e la melodia. Un altro passaggio del chorus ci separa da una prolungata coda strumentale che cresce lentamente. Il formidabile duo ritmico incalza il ritmo gradualmente, seguiti da un raffinato riff di chitarra, che improvvisamente si fa acido e gracchiante, aprendo le porte ad un gran finale che ci trasporta nel bel mezzo della battaglia che vede K e i suoi cari da una parte e la letale demoniaca bestia dall'altra. Nicola Pedreschi riesce a farsi largo nella babele di suoni acidi con uno psichedelico assolo di tastiera dal suono spurio che ci trascina prepotentemente verso il burrascoso epilogo.
Faintly Falling
Con la struggente "Faintly Falling (Cadendo lentamente)" torna la calma, una malinconica ballata d'altri tempi interpretata magistralmente in tutta la sua interezza dalla brava Lorenza Catricalà. Il dolce e delicato suono della chitarra suonata con le dita apre la traccia numero 6. Il cullante arpeggio si fonde con le delicate note del pianoforte, accompagnando l'ottima Lorenza che entra in scena con sensualità mostrandoci lo strazio della storia d'amore di K e della sua anima gemella, una storia d'amore effimera purtroppo vicina ad un evitabile tristissimo capolinea. C'è voglia di fuggire, mano della mano, di volare lontano nel cielo, immersi nel candore delle stelle e trasportati dal vellutato volo di mille falene, innocui ma spettrali insetti che in passato venivano definiti dalla tradizione popolare veri e propri messaggeri del fato. I due innamorati sono bramosi di volare lontano dalla mortale presa della inesorabile malattia che imperterrita continua il suo processo di distruzione. Non vi è tempo per le lacrime, ma solo per amore e abbracci, immersi nella notte. Qui il messaggio di vivere le giornate più intensamente possibile non è riferito alla sola protagonista e a tutti coloro che la circondano, ma è un lampante invito che riguarda tutti noi. Dopo un breve arcano interludio, con classe entrano inscena anche basso e batteria, che inevitabilmente ci rimandano ai tempi d'oro del progressive rock con raffinati fil e precise note di basso mai fuori luogo. Nicola Pedreschi incastona perle di pianoforte e vellutate spruzzate di archi messe al posto giusto che trasportano in alto la struggente performance di Lorenza. La brava Cantante Calabrese con un'angoscia contagiosa ci canta che con moltissime probabilità alla fine dell'Estate non ci sarà più nessun "noi", è questa la toccante frase che Nicola ha scelto per sottolineare che ormai K è molto vicina al capolinea, e con lei tutte le storie intraprese durante il suo troppo breve cammino, storie e progetti fragili come i sogni di un bambino, pronti ad infrangersi da un momento all'altro. Le tristi trame degli archi accompagnano Lorenza, per la giovane coppia non c'è più tempo da perdere, ma è difficile uscire dalla folta coltre di nebbia malinconica che li ha imprigionati. Un sibillino interludio strumentale in crescendo spinge sempre più in alto la Cantastorie Di Chiaravalle Centrale che con uno struggente vocalizzo si appresta a recitare gli ultimi tristi versi con una buona dose di grinta. E' ancora una volta lapalissiano il messaggio lanciato dalla band toscana: la vita è dura, ogni giorno è una battaglia, dobbiamo essere capaci e determinati a ricavare più sostanza possibile dal tempo che abbiamo a disposizione. Le vite di tutti sono dure, i giorni di ognuno di noi sono battaglie da superare per andare avanti. Il triste pianto degli archi e un melanconico arpeggio ci accompagnano inesorabilmente verso la fine di un brano che ci ha provocato una buona dose di brividi.
Rain Over Gentle Travellers
Purtroppo siamo giunti all'epilogo di questo coinvolgente e melanconico concept album, epilogo che coincide con l'ultimo viaggio per la sfortunata eroina che si è ritagliata un piccolo spazio nel cuore di ognuno di noi. Dall'alto dei suoi 9:37 minuti, "Rain Over Gentle Travellers (Pioggia Sopra I Viaggiatori Gentili)" è il brano più lungo del platter, nonché, se la mente non mi inganna, il più duraturo mai composto dal combo pisano. Anche in questo caso possiamo parlare di una mini suite divisa in tre tronconi ben delineati. Per oltre tre minuti e mezzo siamo incantai da uno struggente monologo che vede protagonisti Nicola Pedreschi ed il suo pianoforte. Siamo in una calda notte di mezza Estate, baciata da una piacevole brezza estiva che assieme ai tristi accordi del piano, spazza via i rumori notturni provenienti da una città semideserta. K sente la sua vita scorrere via velocemente, percepisce che il "futuro" purtroppo è una dolce canzone che non imparerà mai a cantare. Parole toccanti che confermano quanto Nicola sia bravo anche con la penna. La piacevole brezza estiva entra dolcemente nella cameretta di K attraverso la finestra, lei con la mente si lascia trasportare via dal venticello verso strade desolate, che vanno oltre la vita, disperdendo nel buio cosmico sogni infranti e paure. Al minuto 03:49, in fader si paventa un rapido crescendo degli strumenti che apre le porte ad un deciso arpeggio di chitarra. La sezione ritmica guida prepotentemente la locomotiva che ci porta a ritroso nel tempo, subito dopo che è stata diagnosticata la terribile malattia. K ha combattuto come una guerriera ogni singolo giorno, senza paura e piena di speranza, con il Sole e con la pioggia. A seguire sopraggiunge un deciso bridge strumentale. I caustici accordi della chitarra si fondono con gli spaziali effetti sparati dalla tastiera. Dopo una seconda strofa, il bridge sembra ingigantirsi come una mostruosa creatura. Si respirano momenti di puro progressive rock di altissima qualità. Una azzeccata progressione di accordi si fonde con i fantascientifici tappeti di tastiera, trasportandoci lontano nell'immensità del cosmo. Brividi. Attorno al minuto 6 ha inizio la terza ed ultima parte del brano, annunciata da sibilline note di chitarra. Basso e batteria ci tengono sospesi nel tempo ad attendere il ritorno del Cantastorie di Barga. Le forze stanno ormai abbandonando K, che impotentemente percepisce la vita che gli sta sfuggendo via. E' vicina ad esalare il suo ultimo respiro, la Grande Mietitrice è venuta a prenderla, per accompagnarla gentilmente verso un altro posto, dove le sue sofferenze giungeranno finalmente al termine. Gli occhi si chiudono lentamente, ma nonostante la sfortunata eroina si stia spengendo, rimane imperterrito un sorriso dipinto sul suo volto. Sorride perché non vuole sembrare di fronte ai suoi cari un guerriero che alza la bandiera bianca, lei riesce a trovare qualcosa di positivo anche nei suoi ultimissimi istanti di vita, è curiosa di scoprire cosa ci sarà oltre. I suoi occhioni blu si spengono lentamente, ha inizio il suo viaggio verso lidi misteriosi. Lorenzo Gherarducci ci fa venire la pelle d'oca con un melanconico assolo di chitarra che a tratti ci ricorda il memorabile solo di "Firth of Fifth", accompagnato dalle evoluzioni del Drummer Pisano e da un suggestivo giro di basso ricco di funamboliche scale e slap. Una leggera pioggia di note arpeggiate e pochi accordi di pianoforte ricoprono le vellutate note dell'assolo. Gli strazianti lamenti della sei corde ci portano dolcemente per mano verso il finale strappa lacrime. K vuole cantare per un ultima volta la sua canzone insieme ai suoi cari, vuole vederli sorridere per un'ultima volta, prima di volare via per sempre, lasciando un vuoto incolmabile nel cuore di chiunque abbia avuto la fortuna di conoscerla. Difficile trattenere le lacrime in questo coinvolgente finale, che nonostante il triste epilogo, ci lascia con un sorriso dipinto in volto, proprio come voleva la nostra sfortunata eroina.
Conclusioni
Anche questa volta gli Eveline's Dust ci hanno messo di fronte ad un prodotto di eccellente qualità. "K." Non è un album che va "sentito", ma un album che va "ascoltato", magari in penombra ed in cuffia e tutto di un fiato, meglio seguendo le liriche, che per chi scrive, sono il fiore all'occhiello di questo coinvolgente concept album. Il combo pisano continua imperterrito per la sua strada, convinti delle loro idee, proponendoci un progressive rock vecchio stampo rivisitato in chiave moderna, senza eccedere in virtuosismi fini a se stessi nonostante abbiano tecnica da vendere. Ma oltre ad una invidiabile tecnica strumentale, i nostri hanno anche un cuore e una mente dai quale escono le composizioni, hanno tanta classe e talento, una miscela esplosiva grazie alla quale hanno saputo delineare un loro stile ben definito che li distingue dalle ormai fin troppe band copia dei Dream Theater o dalle tristissime seppur valide cover band. Ormai anche in Italia gran parte delle band che salgono su un palco possiedono una tecnica eccellente, in virtù delle numerose e valide scuole musicali sparse lungo lo Stivale, ma sovente mancano di inventiva, cuore e talento, è questa la causa per cui molti gruppi musicali non riescono ad uscire fuori dall'ormai straripante calderone musicale italiano. Io stesso, se ribatto a macchina il capolavoro "It", non posso certo definirmi il "nuovo Re del brivido". Ascoltando l'album è fin troppo semplice scoprire la mole di lavoro che c'è stata dietro. Ogni singolo frammento di ogni singolo brano è arrangiato in maniera certosina e con classe eccelsa, del resto le note sono sette, dodici se contiamo i semitoni, sono gli arrangiamenti a fare la differenza. Ascoltandolo a fondo possiamo percepire di come tutto il gruppo abbia lavorato alacremente sugli arrangiamenti. Un accordo di piano azzeccato, un fatato sospiro del flauto o uno schiamazzo del sax, un ammaliante riff di chitarra o un ipnotizzante tema di tastiera, affascinanti passaggi da parte della sezione ritmica, tutti piccoli dettagli che messi assieme fanno di ogni traccia un piccolo gioiello. Nicola Pedreschi, nonostante abbia una timbrica vocale che non prevede acuti e vocalizzi riesce ugualmente a conquistarci, disimpegnandosi in maniera egregia nel complicato doppio ruolo di cantante tastierista, doppio compito che vi assicuro esegue perfettamente anche in sede live. Da brividi le liriche, come del resto alcune parti di chitarra. Lorenzo Gherarducci si conferma un chitarrista atipico rispetta alla media nazionale, come lo erano i maestri Howe e Hackett, suonando con il cuore senza abusare della pedaliera e trovando sempre la giusta soluzione senza risultare mai invadente. A tratti è difficile trovare parole per descrivere il lavoro di Angelo Carmignani dietro alla batteria, forte di una notevole spalla come Marco Carloni, preciso e deciso con il basso. "K.", che vi ricordo è uscito l'8 Aprile del corrente anno per l'etichetta Gep Records è stato registrato e mixato ai Redroom Recording di Nodica, ridente cittadina ubicata nel lungo monte pisano, mentre per la masterizzazione i nostri hanno viaggiato sino alla provincia di Varese, per la precisione a Busto Arsizio, dove si trovano i professionali studi di masterizzazione Elevenmastering. Tutte le composizioni, la produzione ed i certosini arrangiamenti sono opera della band. Merita un approfondimento la nuova etichetta che ha accolto gli Eveline's Dust sotto la propria ala. La Giant Electric Pea Records è un'etichetta indipendente con sedi a Londra e Berlino fondata dai membri degli IQ Michael Holmes e Martin Orford in cooperazione con Laurence Dyer e Thomas Waber già a capo di altre importanti etichette come Inside Out Music e Superball Music. Chi ascolta progressive sa di cosa parlo. Nata nel 1993 come etichetta indipendente per pubblicare l'album degli IQ "Ever", ben presto è diventata una delle più importanti etichette indipendenti nell'ambito del progressive rock, annoverando nelle proprie fila band del calibro di Spock's Beard, IQ, Jadis e Threshold, nonché sua maestà John Wetton (R.I.P.). Oggi, dei padri fondatori sono rimasti Holmes e Waber, affiancati da Rob Aubrey, direttore tecnico ed ingegnere del suono e Peter Huth, direttore marketing. Se un'etichetta del genere ha deciso di accogliere i nostri Eveline's Dust fra le loro fila, è sintomo che hanno intravisto in loro enormi potenzialità. L'artwork è stato affidato nuovamente a Francesco Guarnaccia, talentuoso giovane fumettista nato all'ombra della Torre Pendente che aveva illustrato brillantemente il precedente lavoro, con il suo inconfondibile stile colorato e tondeggiante. Ma stavolta però l'artwork non è ammaliante come nel caso dell'ottimo "The Painkeeper", infatti nel front di copertina troviamo una sola lettera K. in rosa shocking su sfondo nero, idem per il retro, dove con il medesimo colore troviamo il nome e i membri della band, i titoli ed altre poche note. Ma essendo in clima pasquale, la sorpresa la troviamo all'interno, dove scopriamo una bella tavola disegnata da Francesco Guarnaccia, il quale ha riprodotto con il suo stile inconfondibile una triste sala di attesa di un ospedale, dove una quindicina di pazienti attendono la chiamata del dottore. E' fin troppo facile identificare la nostra K tra tutti i pazienti afflitti da dolore e disperazione, tutti sono avvolti da una comprensibile nebbia di tristezza e preoccupazione, con gli occhi socchiusi, spenti, privi di vitalità. Tra di loro emerge una ragazza dai lunghi capelli neri, con gli arti colpiti da una evidente malformazione; ora capiamo il tipo di malattia che la ha colpita e gli inopportuni sguardi di chi la incontrava per strada. Ma lei non è triste come il resto degli occupanti della sala, i suoi occhioni azzurri brillano illuminando la sala d'attesa, nei suoi occhi possiamo leggere la parola speranza, cosa che non scorgiamo nello sguardo di nessun altro paziente. Che dire, consiglio vivamente "K." agli amanti del progressive rock o a chi è in cerca di nuove realtà musicali nostrane che esulino dagli standard dello Stivale. L'album mi ha conquistato, non subito come il suo predecessore, ma dopo approfonditi ascolti. "K." è acquistabile sul sito della GEP Records, compratelo, ascoltatelo profondamente e non ve ne pentirete. Un doveroso in bocca al lupo agli Eveline's Dust per l'imminente tour europeo, forza ragazzi, continuate così e non cambiate mai.
2) Fierce Fear Family
3) Hope
4) K.
5) Lost In A Lullaby
6) Faintly Falling
7) Rain Over Gentle Travellers