EUROPE
Walk the Earth
2017 - Hell & Back

CHRISTIAN RUBINO
30/12/2019











Introduzione Recensione
Walk The Earth (Camminare sulla terra), è l'undicesimo lavoro in studio del gruppo hard rock svedese degli Europe, ma per essere puntigliosi, questo è il sesto album del nuovo corso artistico intrapreso dagli scandinavi nel 2004 con la pubblicazione del discreto disco "Start From The Dark", dopo lo split del 1992 che li aveva visti prendere strade soliste e parallele senza tanto successo. Da allora, i ragazzi, oggi uomini, hanno esplorato alcuni suoni moderni prima di spostarsi definitivamente verso un timbro rock molto classico, legato prevalentemente agli anni '70. In quest'ultima fase, il combo ha pubblicato cinque dischi e questo, come scritto prima, è il loro sesto platter da quando si sono riuniti agli inizi del nuovo millennio. Non sorprende quindi che nel 2017 questa sia una band forte e sicura dei propri mezzi, che fa rigorosamente la musica che ama, con un sound completamente diverso da qualsiasi cosa sia stata fatta prima in passato. Questa singolare e nuova variante artistica affonda profondamente le sue radici nelle influenze musicali derivanti dagli idoli di gioventù e capisaldi del rock internazionale, come i Thin Lizzy, i Rainbow, i Deep Purple, gli Uriah Heep i Led Zeppelin e i Black Sabbat, che misero le basi per la nascita mondiale dell'hard rock e dell'heavy metal. Non è un caso raro quello degli Europe perché questo stile classico ha ricominciato a rivivere anche con delle nuove band, come i Rival Sons e i Greta Van Fleet che sembrano provenire direttamente da quei pioneristici e importanti anni. Nell'edizione 2018 dei Grammy Awards negli Stati Uniti, considerati come l'equivalente dei premi Oscar nel mondo del cinema, gli Europe, grazie a questa nuova stampa, raccolgono meritatamente i frutti di questo loro ritorno alle origini. La band, infatti, è premiata e nominata, non a caso, come band "Best Hard Rock/Metal" e accolta in seguito anche nella Swedish Rock'n Roll Hall Of Fame. Ottimi riconoscimenti per una formazione che negli eighties aveva spopolato con il famoso e impareggiabile album di hard rock melodico, "The Final Countdwon", ma che poi si era dissolta nel nulla, sciogliendosi come neve al sole proprio per il fuoco di quell'enorme esplosione discografica e mediatica, che non era riuscita a gestire per vari fattori. Dallo scialbo ritorno nei primi anni 2000 per arrivare a quest'ultima uscita dei vichinghi, di acqua sotto i ponti ne è passata tanta e i cinque rockers, provenienti dal piccolo sobborgo di Upplands Väsby, vicino Stoccolma, si sono rimboccati le maniche e sono quasi ripartiti da zero, pubblicando delle nuove canzoni che li hanno rafforzati professionalmente e, umanamente, ma soprattutto li hanno resi padroni della loro esistenza e liberi di suonare la loro musica preferita senza compromessi di alcun tipo. Probabilmente il più grande errore dell'essere umano è di credere, in generale, di avere una propria identità permanente ma in realtà si cresce, si cambia, si fanno esperienze che portano a una lenta maturazione o al contrario a una crescita veloce non sempre percepita nell'immediato. Siamo pure circondati da continue trasformazioni, climatiche, naturali, sentimentali, fisiche e nel caso specifico anche musicali perché i nostri gusti non sono gli stessi di quando, eravamo bambini o adolescenti. Joey Tempest l'ha capito quando è entrato in una profonda crisi artistica ed esistenziale che l'ha segnato nel profondo dell'animo e l'ha portato a fermarsi per ritrovare se stesso, dopo lunghi periodi lontano dalla famiglia, dagli amici e dalle cose più care della sua vita. Con questo disco gli strumentisti proseguono in questa evoluzione artistica e naturale senza timore per un futuro che li vorrebbe un'altra volta protagonisti e inclini alla popolarità. Oggi il quintetto ha trovato finalmente e coraggiosamente un suo nuovo gusto musicale, influenzato dalle sonorità settantiane ma anche dalla voglia di personalizzarlo in una versione più aggiornata ai tempi attuali, facendo partecipi i propri supporters delle loro gioie, dei loro sentimenti e delle loro prese di posizione anche politiche in un mondo egoistico e superficiale che sembra andare sempre più alla deriva. Oggi gli Europe sono una band hard rock in continua evoluzione che fornisce costantemente album di grande qualità, dimostrando l'importanza di ritornare alle origini del rock aggiungendo un pizzico di proggy e andando a registrare quest'ultima opera nientemeno che nei mitici "Abbey Road Studios" di Londra. Gli artisti hanno utilizzato strumenti e attrezzature retrò dei leggendari studi, con il supporto dell'ottimo produttore e vincitore del Grammy Award, Dave Cobb. Chiariamo subito un punto, Joey e compagni non copiano le band dei seventies, semplicemente attingono le idee di quella particolare epoca e ovviamente si appoggiano più pesantemente alle loro prime influenze, piuttosto che cercare di spingere completamente il proprio sound verso qualcosa di moderno. Scelta saggia e istintiva, che in quest'ultima fatica fornisce la sensazione di rivivere veramente il clima sonoro degli anni '70, con l'aggiunta di un pizzico di musicalità tipica degli anni '80. Questo è anche l'album della definitiva rivincita e rivalutazione di Mic Michaeli, che in quest'occasione preferisce utilizzare maggiormente il suono tipico dell'organo Hammond, intrecciandolo alle sue pesanti e avvolgenti tastiere, mostrando così tutte le sue straordinarie doti creative e musicali. Il leader e frontman dei nordici, rispetto al suo celebre passato, imita spesso le tonalità vocali di Ian Gillan, creando un confronto con il Deep Purple molto evidente e adulatorio ma ci sono anche dei brani che si rifanno agli immortali Led Zeppelin o al classico suono di Ronnie James Dio, con molti cori abbastanza simili a quelli dei mitici Beatles. Non c'è solo l'album del ritorno in prima fila di Mic Michaeli, ma troviamo in quest'opera anche il lavoro di reciproca collaborazione tra tutte le altre rock star della band, che danno il loro validissimo contributo alla causa, come nel caso del virtuoso delle sei corde John Norum, che attrae l'attenzione dell'ascoltatore con riff unici e tipici del suo repertorio hard and blues. Ce anche l'amico e abile drummer Ian Haugland, che in una recente intervista a tal proposito ha dichiarato: "Credo che in realtà sia più divertente essere una rockstar oggi che non negli anni ottanta. Allora tutto era così folle, surreale e frenetico, che non avevamo il tempo di goderci realmente il successo. Oggi tutto è più rilassato, e abbiamo il controllo di tutto quello che riguarda la band, invece di avere manager fuori di testa e avide compagnie discografiche. Mi diverto davvero molto di più in questi giorni". (intervista di Ampelio Bonaguro per Coming Soon). A questo punto non rimane altro, che darvi solamente il benvenuto nell'analisi di tutti i nuovi e caldissimi pezzi dei leggendari vichinghi.

Walk the Earth
L'iniziale intro tastieristico mette subito i brividi perché sembra essere un gradito ritorno alle sonorità che hanno fatto amare gli svedesi nella prima parte della loro carriera. Dopo qualche secondo s'intuisce che è solo un miraggio sonoro e un'illusione perché la title track, grazie al tappeto di tastiere stese da Mic Michaeli, ai riff cadenzati di chitarra e alla voce soul di Joey Tempest, che canta energicamente con grande phatos, trasuda reminiscenze musicali legate a un'età importante del rock classico degli anni '80. Walk The Earth (Camminare sulla terra) è un apripista accattivante ma allo stesso tempo riflessivo che ha molto più da offrire rispetto alle influenze ottantiane dalle quali proviene, basti ascoltare il bello e riuscito coro catapultato direttamente dai seventies o l'abile John Norum che riesce, con la sua formidabile guitar, a diffondere un sound armonico, tradizionale e un'incredibile capacità di suonare pesante pur mantenendo uno stile old school piacevole, chiaro e nitido. La canzone scritta da Tempest, da Michaeli, da Dave Cobb e dal cantautore americano Aaron Raitiere è come detto un classico pezzo rock di buona fattura, che tocca nella scrittura un tema importante, come quello dei diritti umani non rispettati in parecchi Stati del mondo. Tutti noi dobbiamo manifestare e lottare per la vera libertà, per ogni uomo e per ogni donna di questo meraviglioso pianeta: "La luce del sole è un viaggio metaforico. Preso nel mezzo di un fulmine stiamo tutti scorrendo, cambiando con le maree in prima linea nel retro delle nostre menti". Questa è una canzone, ma soprattutto uno specchio che riflette la nuova immagine e il nuovissimo corso dei redivivi Europe. Una seconda giovinezza che porta il gruppo a suoni collaudati e tipici del vero rock and roll, tanto amato in gioventù e con un contorno di temi attualissimi che meritano di essere affrontati e difesi: "E camminiamo sulla terra, a testa alta per la vita che vogliamo. Si, dobbiamo combattere. Si, camminiamo sulla terra, come campioni con il cuore e l'anima". La song è una sinfonia cosmica che porta l'uditore in un lungo viaggio, attraverso lo spazio e il tempo, a meditare con la propria coscienza quanto sia stupido ed egoista l'essere umano. La razza umana, pur racchiudendo in sé qualcosa di divino, è distratta, insensibile e non comprende come il mondo appartenga a tutti senza nessuna distinzione di sesso, di razza, di religione o di diversità fisica e mentale: "La nostra coscienza pesa su tutte le nostre menti, così mettiamo a rischio i nostri cuori. Continuiamo a spingere, tenendo duro e abbattendo le differenze per creare la nostra casa". In teoria siamo tutti uguali ma provocatamente dovremmo considerarci tutti dei "diversamente abili" perché ci sono delle cose nella nostra vita che non siamo in grado di fare e invece additiamo sempre qualcuno come diverso perché non in grado, per sfortuna e per i suoi limiti fisici o mentali, di poter svolgere alcune funzioni semplici e fondamentali. Come un fulmine a ciel sereno, questo brano apre in modo quasi solenne l'album per poi, dopo pochi minuti, trascinarsi lentamente in uno stato di meditazione rilassante ma sempre battagliera, denunciando una collettività che continua a crogiolarsi nella propria vana gloria, circondata da tante ingiustizie, soprusi, dove tutti gli uomini vivono sotto lo stesso cielo e camminano sulla stessa terra.

The Siege
Una fiammata di calore accende il primo singolo The Siege (L'assedio), che con il suo sound cupo, ritmato, con i riff quasi distorti di John Norum e la rabbia che sviluppa nei suoi quattro minuti, trasporta indietro nel tempo ai mitici Deep Purple ma soprattutto nel lontano 1789 in Francia, alla presa della Bastiglia - simbolo dell'ancien régime - avvio della rivoluzione francese e inizio del movimento popolare, che scardina il vecchio regime monarchico cambiando violentemente la storia europea. Gli autori (Tempest, Michaeli, Levén, Chris Difford, Dave Cobb) ma in generale la band approfondisce le origini della nascita della moderna democrazia ma soprattutto cerca di capire in quale direzione stiamo andando in Occidente e devo dire, che in un certo senso, questa canzone è una specie di foto scattata in bianco e nero durante la rivolta popolare transalpina, che avrà un effetto domino sull'intera Europa. Nei testi s'intuisce tutto il rancore di Tempest & company per alcuni governi moderni che meritano di essere rimossi. Gli svedesi pensano a elezioni pacifiche o a referendum popolari, come una seria arma di lotta per cambiare e coinvolgere l'intero elettorato a prendere finalmente consapevolezza dell'importanza di un cambio radicale. Tutti devono andare al seggio elettorale e votare! Solo in questo modo, si può salvare la nostra moderna democrazia, dando il proprio contributo e allontanando il torpore verso una disattenta politica, che allontana spesso la gente dalla vita pubblica: "Non possiamo lasciar stare questa rabbia e questo governo perché per un altro giorno non possiamo sopportare questa presa in giro. Da quest'assedio nasce la nostra speranza. La rivoluzione deve essere vinta". Le tastiere orientaleggianti di Mic sono predominanti, seguite da una sezione ritmica robusta e precisa che da solidità all'intero pezzo. L'assolo di Norum è eccellente e l'interpretazione del vichingo singer è su buoni livelli canori, anche se la voce non è più ammaliante e pulita, come quella che abbiamo amato negli anni '80. Nella traccia colpisce anche l'ironia presente nelle liriche, dove si chiede aiuto persino al Padre Eterno: "Lance e rocce illuminano le nuvole cremisi, mentre scende la pioggia. Siamo in piedi orgogliosi. Voci che si alzano nella nebbia, nella notta più buia. Stanno chiamando a gran voce Dio". Insomma ancora oggi il fuoco ardente della "Libertà, dell'Egualità e della Fratellanza" riecheggia per bruciare le dittature ancora presenti in alcune parti del globo terrestre ma il motto non va dimenticato neppure dalle nostre attuali democrazie occidentali fondate su questi sacrosanti principi.

Kingdom United
A Runnymede il 15 giugno 1215 fu accettata dal re Giovanni d'Inghilterra la Magna Charta Libertatum. Fu redatta dall'Arcivescovo di Canterbury per raggiungere la pace tra l'impopolare re e un gruppo di baroni ribelli, garantendo la tutela dei diritti della chiesa, la protezione ai baroni dalla detenzione illegale, la garanzia di una rapida giustizia e la limitazione sui pagamenti feudali alla corona. Kingdom United (Regno Unito) è la terza traccia di questo profondo album che, quasi come un concept, vuole ripercorrere la nascita della democrazia occidentale nel vecchio continente e in particolare in Inghilterra: "A Runnymede arrivarono i baroni per costringere Re John a inginocchiarsi. Gli hanno fatto cedere parte del suo potere e così è nata la Democrazia. Da Azincourt a Waterloo ogni battaglia è stata fatta per mantenerci liberi. E ogni anno che passava è cresciuto il fiore della dolce Democrazia". L'apertura del brano è potente e robusta, quanto basta per far sobbalzare dalla sedia il fan più critico perché l'intreccio di chitarra, batteria e tastiera funziona meravigliosamente creando una melodia inquietante, completata da un ottimo coro e udite, udite.. dal suono del mellotron, strumento musicale a tastiera utilizzato tra la fine degli anni '60 e gli inizi dei '70, che in quest'occasione viene rispolverato dal fantasioso svedese Mic MIchaeli, capace con coraggio di ritornare ad un sound vintage e di alta qualità musicale. Dopo la successiva e finale strofa pessimistica sul futuro della - sovranità popolare - nei paesi Occidentali, con riferimento al futuro della Comunità Europea e in particolare sul referendum della Brexit in Gran Bretagna, succede qualcosa che lascia un po' l'amaro in bocca: "Ora quelle parole come la Storia svaniranno. Su un antica pergamena sfuocata da leggere. E come noi cediamo le nostre vite poi così morirà la democrazia. Dai prati alla città, le bandiere saranno tutte ammainate e all'orizzonte vedremo il tramonto della democrazia". Non è il testo, che lascia perplessi perché si tratta naturalmente di un pensiero negativo e personale degli scandinavi ma la conclusione della canzone. Quello che trafigge i timpani e il cuore è che, nel meglio della song, dopo il fantastico assolo dell'estroso John Norum, la band chiude all'improvviso il brano proprio quando il groove si fa interessante, con un sound hard rock diverso dal solito mischiato all'old school e al rock progressive, che rispecchia in pieno il nuovo corso degli Europe. Veramente un peccato non averlo sviluppato ancora per altri pochissimi minuti!

Pictures
Una parentesi di tranquillità e rilassatezza è data dalla semi ballata Pictures (Immagini), che con il pianoforte, i suoi delicati arpeggi di chitarra e un dolce coro sembra una canzone uscita dalla fervida mente del polistrumentista David Gilmour (ex Pink Floyd). Sembra che l'idea alla base di questa canzone girasse per la mente di Tempest già da qualche anno, tanto che il cantante aveva giò scritto una buona metà dei versi. Poco mesi prima dell'uscita di "Walk the Earth", a giochi praticamente fatti, mentre è casa dei suoi genitori il musicista è colto dall'ispirazione. "Pictures" viene completata di getto e presentata al resto della band e al produttore, cui piace così tanto - nella sua diversità e nelle diverse sensazioni che il brano trasmette - da tornare repentinamente al lavoro per includerla nel nuovo disco. Questa è una ballata prog, dove si nota lo stile del rock inglese degli anni '70 introdotto dal bravissimo produttore Dave Cobb, coadiuvato da Aaron Raitiere e dall'ispirato vocalist Joey Tempest, il quale, per l'occasione, riprende il testo della mitica song di "The Final Countdown", continuando a descrivere un uomo o l'intera umanità che lasciano il pianeta Terra fluttuando nell'universo infinito, tra passato e futuro in cerca del pianeta Venere: "Sono qui fuori dolcemente alla deriva. Lasciamo andare il futuro, sapendo che ieri non durerà. Fuggi nella luce della luna e nelle stelle cadenti fino a dove ti trovi. Le lancette dell'orologio si fermano, forse l'universo è insensibile. Venere brilla chiara e piacevole tra i molti soli della madre". È un lento che si rifà allo stile del compianto David Bowie e, come scritto prima, ai Pink Floyd, con una base di meravigliose tastiere che stendono un tappeto malinconico d'indelebili e dolcissimi ricordi. Memorie che sono anche la chiave per un inizio o una nuova vita: "Quindi inventerò storie per celare l'oscurità. Quindi dipingerò l'immagine. Guardo i colori, mentre si asciugano lentamente fuggendo nella luce della luna". La reminiscenza del passato è importante per costruire un futuro nuovo, dimenticando senza rimpianti, quello che si poteva essere o che si poteva fare.

Election Day
"M'interessa molto la politica, a casa si è sempre parlato di politica, ho le mie idee, ma vorrei che fossero tenute separate dalla musica. Penso che sia importante, però, che le persone si capiscano le une con le altre, come avviene nella comunità musicale: qui non ci sono confini, amiamo tutti la musica e apparteniamo tutti allo stesso gruppo. È come una società ed è strabiliante. Credo che il mondo debba essere un po' lo stesso".
- Joey Tempest, intervista di Giulia Guerra per heyjudemagazine.it
Il giorno delle elezioni elettorali è il momento più importante della vita democratica di uno Stato civile e in Election Day (Giorno delle elezioni) gli Europe affrontano con spirito e allegria questo momento fondamentale e necessario della vita pubblica, rifacendosi alle elezioni del 2016 di Trump negli Stati Uniti e della Brexit nel Regno Unito. La traccia, creata dal quintetto formato dal singer Joey Tempest, dal tastierista Mic Michaeli, da Chris Difford (cantautore e produttore), da Adam Lamprell (cantautore) e dal bravissimo Cobb, è un tripudio di tastiere seguite da una potente sezione ritmica, dove il batterista Ian Haugland prevale con il suo strumento sugli altri musicisti. Election Day è una song con un ritmo molto classico, un organo retrò e un ritornello settantiano molto nostalgico ed efficace. Il testo esprime, nelle liriche, tutto il dissenso degli svedesi sull'ignoranza e le false promesse del potere politico, che si prende gioco dei più deboli, lasciando molti dubbi ai votanti, fino all'ultimo giorno del silenzio elettorale: "Dove posso stare? Cosa dico? Cosa rimane alla fine ancora da spiegare. Penserò a qualcosa e poi mi deciderò. Il sipario si sta chiudendo. Questa volta non voglio stare dietro". Quello che colpisce nel pezzo, a parte l'assolo energico di Norum, è proprio l'inizio battente della batteria di Haugland, che seguito consigliato da Cobb, produttore e anche batterista, si esalta in una delle sue migliori performance del disco. Le successive strofe sono una seria riflessione sulla responsabilità del voto e una denuncia sulla poca informazione data dai media ai cittadini, che non sanno bene i programmi dei vari partiti politici: "Penso di sapere ma poi suppongo di non sapere, come posso decidermi e ancora votare e rimanere nel tuo gioco? Scappare via con il pensiero che la vita cambierà. È un banchetto di menzogne. Non c'è fuga il giorno delle elezioni. Hey! Dove devo firmare?" Questa canzone è attuale e di denuncia, soprattutto in Italia, dove per i forti giochi di potere e gli accordi sotto banco tra i partiti, si cerca sempre di non votare per eleggere un governo legittimato dal popolo perché ormai la vita pubblica è gestita in casa da una furba classe politica, continuando come scusa a tenersi stretta una legge elettorale assurda, che penalizza drammaticamente la nostra giovane democrazia. Tipica canzone hard rock che proposta dal vivo, è un assalto sonoro ai timpani e ai sensi.

Wolves
L'alienante Wolves (Lupi) è una traccia che sembra non c'entrare niente con l'album perché ha un sound quasi grunge, insomma uno scherzo dei vichinghi per fare storcere il naso allo spettatore più pretenzioso, abituato a sentire dai loro ultimi lavori un rock più classico e tranquillo. Le tastiere di Mic Michaeli danno un tocco leggero ma anche ripetitivo a questa canzone, aggiungendo un'atmosfera surreale e a volte anche sinistra. Un dispetto da parte del gruppo che, dopo un lungo e sicuro pedigree, non deve dimostrare niente a nessuno, libero di creare e pubblicare la musica che ritiene più opportuna senza seguire nessuna moda e, nessun piazzamento nelle classifiche. La song ha in se uno sdegno profondo e rimbombante che ricorda in parte le ultime registrazioni dei Deep Purple, ma che nel complesso sembra essere stata partorita nella Seattle degli anni '90 dagli americani Alice In Chains, con echi lontani, un'atmosfera psichedelica, riff tristi e oscuri. Le uniche note positive del brano sono l'assolo orientaleggiante dell'ottimo Norum e il testo perché "Wolves" ha un interessante contenuto lirico. Lo scritto racconta le difficoltà nel sostenere la verità in un mondo affamato di falsità e menzogne, dove si rischia di essere braccati dai tantissimi lupi in circolazione, pronti a farti perdere la reputazione o la fiducia in te stesso e nei confronti degli altri: "I lupi alla tua porta, gettano lunghe ombre oscure. I lupi alla tua porta ti uccideranno per quello che sai. E non posso fidarmi di nessuno o forse nessuno può fidarsi di me. Diventa peggio quando conosci le cose e la paura diventa radicata". Testo attualissimo, che gli autori (Tempest, Norum e Cobb) mettono in luce con un sound a tratti paranoico e ossessivo ma che rispecchia in pieno la nostra società: "E non posso affrontare nessuno o forse nessuno può affrontarmi. È dannatamente dura quando hai visto le cose e la verità non ti renderà libero". Disfattismo o assoluta realtà?

GTO
La traccia numero sette è GTO, uno strano titolo che fa riferimento alla Pontiac GTO (Grand Touring Homologated), un'automobile ad alte prestazioni prodotta negli Stati Uniti dal 1964 al 1974. In effetti, la song parte a tutta velocità con i cinque piloti degli Europe che non curanti dei limiti di velocità sfrecciano sull'autostrada della loro lunga e fortunata carriera senza fermarsi per non ricordare un passato glorioso ma difficile su molti aspetti da controllare. Occorre correre perché la vita è breve e non va mai rimpianto il passato. Il segreto è migliorarsi e andare avanti per scoprire nuovi aspetti dell'esistenza: "Dai, bruciamo questa strada sgombra. Non c'è tempo da perdere. Dai, lasciamo che la vita sia facile perché i momenti stanno passando". Pezzo metal, veloce e robusto che cambia la fisionomia dell'opera portandola dall'hard rock quieto degli anni '70 a un heavy metal influenzato dagli eighties ma anche da un suono contemporaneo, dove Haugland ai tamburi e Norum nell'assolo al fulmicotone, si scatenano con i loro formidabili strumenti, inseguiti dalla strana e camuffata voce di Joey. Ritornello energico, con sottofondo le lievi ma efficaci tastiere di Mic e uno scritto dal doppio senso, dove i nostri eroi scherzano non facendo capire che si sta parlando di una bella automobile ma al contrario di una donna: "Tu sei l'unica che conosco. Fammi uscire e fammi sentire vivo. Si accendiamo, la notte è nostra. Andiamo piccola, fammi sentire vivo. Yeah, fammi sentire vivo"! Velocità, libertà e strafottenza sono i principali ingredienti di questo furioso ma breve pezzo heavy metal, che meritava di superare i suoi scarsi tre minuti e mezzo di sfogo collettivo. "Dai, bruciamolo completamente, Nessuno è sul nostro cammino, con tutte le persone che girano e girano. Non lo sai che ce l'abbiamo fatta? L'abbiamo fatto"! Si, ma purtroppo presto per chiudere anzi tempo un groove così adrenalinico e trascinante che cattura per la sua forza dal primo all'ultimo secondo.

Haze
Della serie, voglio che questo disco non decolli e non diventi uno dei migliori album della storia degli Europe. Si proprio così! Tempest e Norum credo che abbiano fatto questo pazzo ragionamento inserendo questa possente e inconcludente song metal intitolata Haze (Foschia) nella parte finale dell'opera. Perché folle? In primis è un brano che per tutta la sua durata è sostenuto da chitarre distorte e cadenzate senz'anima, deprimenti e angoscianti. E in secondo luogo perché non porta a nulla di buono e concreto, distruggendo tutto quello che d'interessante si è sentito e ammirato nella prima parte della raccolta. Insomma, una particella estranea al disco che non si capisce da dove sia sbucata. Un filler che presenta, tra i tanti aspetti negativi, un reiterato ritornello, sempre se si può parlare di refrain, dove si sente urlare in continuazione la parola "Haze" con un sottofondo di sirene insopportabili e seccanti. Pure le strofe sembrano senza senso: "Entra strisciando nella foschia. Hey, hey, hey, hey". Al primo impatto sembra di sentire un'altra band e non i nostri eroi perché il ritmo è troppo confusionario e non ricordo di aver mai ascoltato niente del genere nel loro lungo e notevole percorso artistico. Solo Ian con i suoi velocissimi rullanti, riesce a emergere con la sua tecnica, dalla mediocrità generale e distruttiva della traccia. Probabilmente non hanno voluto prendersi troppo sul serio lasciando libero sfogo alle proprie fantasie, al proprio istinto e senza filtri di alcun genere. Del resto, il testo finale è un invito a entrare nelle loro menti per scoprire cosa si cela realmente nei loro pensieri: "Apri uno spazio nella mia testa. Nessun problema o tempo. Basta rallentarlo e tu arrivi velocemente. Entra nella mia mente". Peccato!

Whenever You're Ready
Il vivace hard rock della nona canzone Whenever You're Ready (Ogni Volta che sei pronta) salva dall'imbarazzo dell'inutile pezzo precedente, per un disco che fino a questo momento si era mantenuto su buoni livelli. Come per magia la settantiana e tirata "Whenever You're Ready" riporta i nordici al loro posto con un'iniziale e sprezzante chitarra, un efficace giro di tastiere e una precisa sezione ritmica capitanata dall'esatto basso di John Leven e, dal combattente ed esperto Ian Haugland dietro le pelli. Il sound è un ottimo connubio di stile tra i Deep Purple e i Led Zeppelin ma con un suono più potente, che ha come ciliegina sulla torta un validissimo assolo al fulmicotone di John Norum. Le strofe scritte dal trio: Tempest, Cobb e Raitiere sono semplici, sentimentali e frizzanti: "Lo fai diventare passionale. Continui a dare tutto ciò che hai per la nostra dolce fantasia. Sono qui, dove mi hai trovato prima. Ogni volta che sei pronta". Passione e eros si uniscono per un testo ancora a doppio senso che spinge gli Europe a tornare alle famose liriche tipiche dell'hair metal degli anni '80, dove il sesso e il rock and roll andavano a braccetto insieme: "Yeah, continua a muoverlo, tienilo forte. Non ha senso perdere ogni possibilità che abbiamo. Oooh ogni goccia di sudore, si avvicina al posto in cui hai sempre desiderato essere. Bene, io sono ancora qui, dove mi hai trovato prima. Ogni volta che sei pronta?.". Anche questa volta, la rapidissima durata della canzone inficia sul giudizio finale, che è quasi sufficiente perché, come nella maggior parte delle tracce in scaletta, il groove del pezzo è interrotto sul più bello quando invece poteva essere ancora approfondito.

Turn to Dust
Il meglio è lasciato per ultimo perché Turn to Dust (Trasformato in polvere), bilancia magnificamente i cambiamenti di ritmo e di umore sentiti per tutta la scaletta dell'album. L'idea di sviluppare questo tipo di canzone, in pieno stile anni '60, addirittura accompagnata, nel refrain, dal coro gospel di Oslo (Norwegian Blue Mass Choir) è stata per un decennio nella mente del frontman scandinavo, che dopo l'uscita del singolo Turn To Dust, ha lasciato questa dichiarazione alla stampa internazionale sul significato del brano: "Quando abbiamo registrato il nostro ultimo album, Walk The Earth, negli Abbey Road Studios, l'ispirazione è finalmente arrivata per finirlo. Originariamente un'idea e poi il grande lavoro in studio del nostro tastierista Mic Michaeli hanno completato il pezzo. Il video e la song dovevano toccare le emozioni e le osservazioni riguardanti la - Vita e la Morte - dei nostri cari e dei nostri amici, insomma il cerchio della vita, ma si è rivelato essere molto più di questo poiché il testo e le immagini seguono anche il drammatico viaggio del personaggio inserito nell'artwork della copertina del nostro album. Lavorare con Craig Hooper e il suo team di animatori è stato un vero piacere e dopo aver visto il loro lavoro in "The Surprising" dei Deep Purple, sapevamo di avere a che fare con dei veri visionari. Siamo molto orgogliosi del risultato, soprattutto perché è il nostro primo video animato in assoluto". Realizzare un filmato del genere non è stato assolutamente facile perché la song è molto stratificata, dalle tantissime emozioni sonore, dai significati profondi delle liriche e dai tantissimi sentimenti che suscita: "Tutte le cose che non ho mai scritto in lettere, che non ho mai inviato ma nascoste. Tutto il tempo che non ho passato con te è finito per sempre, ma non oggi. Non c'è bisogno di esitazione. La fine è la stessa per tutti noi perché ci trasformiamo in polvere". La band però c'è risuscita, decidendo che l'unico modo per rendere giustizia alla canzone era attraverso l'animazione virtuale, dove le immagini sono limitate solo dall'immaginazione dello spettatore finale. Questo è un lento rock, che in sette minuti, si basa su un meraviglioso organo, grandi riff di chitarra e una conclusione che sembra la fine di una classica canzone blues degli anni '40. Certo l'ascendente dei mitici Deep Purple e degli indimenticabili Led Zeppelin è ancora onnipresente ma gli svedesi riescono a mettere del proprio creando con i sontuosi tappeti tastieristici di Mic una toccante atmosfera triste e di ricordi, abbellita da uno sfavillante assolo di puro blues alla Gary Moore eseguito dal talentuoso e sottovalutato Norum, che sommati alla non facile interpretazione di Tempest valgono il costo del disco. Il messaggio del testo sembra molto deprimente ma in realtà è un monito per apprezzare le cose belle della vita, come i sentimenti e l'amore per chi ci sta vicino. Il tempo è tiranno e siamo tutti destinati a morire: "Con gli anni lacrime e scheletri si consumano. Proviamo a fermarlo ma il tempo scorre. Durante le nostre vite le situazioni cambiano. Quante cose non ho detto. La fine è la stessa per tutti noi. Ci trasformiamo in polvere". Godiamoci il presente e sperimentiamo del nuovo senza avere paura perché spesso il cambiare qualcosa della nostra esistenza ci permette di vivere meglio e con più gioia. Questo è un esempio perfetto di come gli Europe debbano suonare oggi dopo, i favolosi e unici anni '80 perché sono ormai un collaudato gruppo di decisi professionisti che forniscono reciprocamente il proprio contributo compositivo, dall'invidiabile esperienza e capacità tecnica.

Conclusioni
"Onestamente preferisco la dimensione odierna, dove ognuno collabora affinché quello che facciamo sia fatto il meglio possibile. Abbiamo una nostra etichetta e quindi possiamo avere il controllo totale della musica che facciamo. E' fantastico il coinvolgimento così come anche la responsabilità e la libertà di avere una nostra etichetta discografica possa scaturire da scelte che abbiamo fatto e delle quali siamo veramente tanto soddisfatti".
- Joey Tempest, intervista di Andrea Schwarz per Metal Hammer
I tempi delle Major che premono per importi un determinato sound o un determinato look è per fortuna lontanissimo e oggi gli Europe sono una libera e vera band metal che incarna in pieno lo spirito genuino del rock and roll. Tolto il trucco, i capelli lunghi cotonati e le ragazzine urlanti e innamorate sotto il palco, gli svedesi sono cambiati profondamente e non sono più quelli che producevano canzoni ultra melodiche e commerciali alla fine degli anni '80, come la mitica hit "The Final Countdown", che li ha portati ad un successo planetario ma per certi versi pesante e difficile da gestire. La scelta di mutare direzione non ha interrotto del tutto il legame con la loro storia artistica e neppure con una parte dei vecchi supporters, perché il loro sound ottantiano è rimasto ancora vivo ed è sempre riproposto in tour dal vocalist e leader della band: "Noi non possiamo fare altro che essere molto riconoscenti nei confronti di quella canzone, sappiamo al nostro interno che abbiamo scritto tantissima altra buona musica oltre a quella song ma va bene così, non è un qualcosa che non ci fa dormire la notte. Al tempo stesso ci sono canzoni che quasi vivono di luce propria, brani che hanno quel fortissimo appeal che riesce a rimanere intatto dopo anni di svariati ascolti. E ne avrà ancora nel futuro. Quelle poche volte che ci soffermiamo su questo, ci consoliamo pensando che è pur sempre una nostra canzone, una nostra creatura e amiamo suonarla dal vivo. Le siamo riconoscenti perché è grazie ad essa se siamo diventati una touring band e non posso che parlarne bene". Questa trasformazione anacronistica ha cominciato a prendere piede già ai tempi della reunion, per evolversi e arrivare, dopo discreti dischi, alla pubblicazione dell'ottimo lavoro di "Bag Of Bones", continuando con l'eccellente "War Of Kings" e raggiungendo la svolta coraggiosa di tuffarsi in sonorità prevalentemente settantiane e prog metal in quest'ultima fatica discografica. Da queste ultime tre opere, il combo in sala di registrazione ha sempre concepito le proprie canzoni nei migliori studios del mondo, sempre alla ricerca di qualcosa di particolare, pretendendo così che la propria musica fosse ricordata nel miglior modo possibile; né troppo moderna, né troppo fredda e neppure troppo metal, ma al contrario: calda e ricca di espressività. In questa scelta qualitativa hanno contribuito la maturità degli artisti e l'incontro con il produttore/musicista Dave Cobb, ingegnoso e preparato sulle attrezzature, e le tecniche di registrazione. Già da qualche anno collabora con i vichinghi nella creazione dei brani, diventando ormai sulla carta quasi il sesto elemento del gruppo nord europeo. La scelta dei moderni e memorabili Abbey Road studios di Londra non è stata casuale e neanche un capriccio di Joey Termpest, ma un aiuto per fare entrare il nuovo disco nell'atmosfera giusta e creare così un suono più vintage, nel luogo dove tantissimi anni fa incisero le loro opere di successo i Pink Floyd e i Beatles, utilizzando perfino alcune strumentazioni analogiche dell'epoca. Un altro spunto interessante è l'artwork di Walk The Earth, che fa pensare subito alla copertina dello psichedelico "The Dark Side Of The Moon" dei leggendari Pink Floyd. Forse una coincidenza? O gli Europe hanno di proposito copiato la copertina, registrando questo nuovo platter proprio nello stesso studio utilizzato dai famosissimi britannici? In realtà, pur ammettendo di aver usato la stessa console e alcune delle attrezzature adoperate per incidere quel mitico disco, il disegno di "Walk The Earth" è nato per caso, una mattina in sala di registrazione, grazie ad una t-shirt indossata da Cobb e forgiata dall'amico Mike Sportes di Los Angeles. La figura rappresenta un uomo che cammina in una sorta di luce, sopra una griglia, come se stesse passeggiando sulle montagne, sulla terra e sul cielo. Il triangolo sullo sfondo è un bellissimo e adorabile simbolo già sperimentato in passato dai cinque artisti durante il tour mondiale di "The Final Countdown", dove sopra le teste avevano tre triangoli e nella copertina del disco di "Prisoners In Paradise". A conti fatti, quest'ultimo album dei camaleontici svedesi si conferma un mesto e malinconico disco di hard rock classico, prodotto con sonorità tipiche dei seventies stemperate con sonorità attuali al passo con i tempi, che manca però di una canzone epica in grado di innalzare il livello generale del prodotto. Walk The Earth ha un fascino fulmineo ma è anche un album che bisogna ascoltare più volte per scoprirne l'essenza e la profondità umana e artistica. Ancora una volta gli Europe non deludono invitandoci a cambiare in positivo le nostre brevissime esistenze e a lottare coraggiosamente per difendere le nostre vite e i nostri diritti di cittadini del mondo.

2) The Siege
3) Kingdom United
4) Pictures
5) Election Day
6) Wolves
7) GTO
8) Haze
9) Whenever You're Ready
10) Turn to Dust


