EUROPE
The Final Countdown
1986 - Epic Records

SIMONE D'ANGELO SERICOLA
30/04/2018











Introduzione Recensione
"1986: the year everything happened!". Scorrendo le note del libretto che accompagna la raccolta "Europe 1982 - 2000", che fornisce una descrizione cronologica della storia degli Europe, è questa l'affermazione che leggiamo. Non si potrebbe essere più d'accordo. Il 1984 era stato l'anno in cui un tastierista di ruolo, Mic MIchaeli, aveva fatto il suo ingresso in formazione, trasformando così il quartetto in un quintetto ed, ancora, li aveva visti fare fronte con successo alla defezione di Tony Reno, sostituito dietro le pelli da Ian Haugland, in modo da poter continuare e portare a compimento il "Wings of tomorrow tour". Vi ho già parlato, in sede di recensione di "Trilogy" del Maestro Yngwie J. Malmsteen, della così detta "regola del terzo album" e delle conseguenze che generalmente, nel bene e nel male, comporta per la carriera di una band. Per loro sarebbe accaduto nel 1986, che sarebbe stato l'anno in cui i ragazzi avrebbero fatto il grande salto, quello che avrebbe salutato il loro ingresso nel giro che conta, che li avrebbe portati alla notorietà, alla fama a livello mondiale. Quel periodo li avrebbe catturati nel momento in cui la crisalide divenne farfalla! Trasformazione, questa, tanto agognata dai cinque giovani svedesi quanto auspicata da chi gli ruotava attorno. Quanto fatto in precedenza aveva lasciato intravedere delle potenzialità con spunti davvero interessanti, quanto interessanti, però, era difficile immaginarlo; il gruppo infatti non sapeva ancora che stava per dare vita ad un album epocale, uno dei più riconoscibili lavori musicali di tutti i tempi. Un'autentica benedizione! Non tutto, però, è sempre così lucente e lieve: la grandezza ed il successo che saranno riconosciuti a questo terzo capitolo discografico sarebbero stati infatti destinati ad accompagnarsi per sempre ad una sorta di "maledizione" per i suoi autori, chiamati continuamente a doversi confrontare con esso nel corso delle decadi. Partiamo però dall'anno precedente, che è quello in cui i cinque avrebbero cominciato a lavorare seriamente a quello che sarebbe stato il loro terzo e più conosciuto full-lenght. Nel 1985 la band entra nuovamente in uno studio di registrazione, per la precisione i Soundtrade Studios di Solna, comune svedese situato nella contea di Stoccolma, per la prima volta in compagnia dei due nuovi componenti, per produrre il singolo "Rock the night", con l'aiuto dell'ingegnere del suono Ronnie Lathi. Come b-side si decise di registrare una nuova versione di "Seven doors hotel". Il progetto degli Europe fu proprio quello di ri-registrare brani dal loro primo album, con l'intento di dotarli di una produzione che rendesse giustizia alla qualità delle composizioni, ma la realizzazione non fu possibile per mancanza di fondi; un vero peccato perché la programmazione vedeva "The king will return" come secondo pezzo da sottoporre a restyling; le energie quindi si sarebbero concentrate su "Rock the night". E' proprio durante la lavorazione di quella traccia che Thomas Erdtman li raggiunse per comunicare loro una entusiasmante novità: un contratto da firmare, una delle tappe in assoluto più ambite da chiunque scelga di fare della musica la propria professione. Addirittura una major, precisamente la Epic, si fece avanti, un'occasione ghiotta, perché si tratta di una label storica, che ha da sempre nomi di livello mondiale nella propria scuderia. Un'etichetta così blasonata si porta dietro comunque delle implicazioni: il contratto infatti è corposo, consta di un centinaio di pagine, perché chi lo propone è qualcuno di peso all'interno dell'industria musicale e quindi, comprensibilmente, cerca di coprire ogni aspetto della collaborazione per avere delle garanzie e trarne i maggiori profitti possibili. Presi dall'entusiasmo i cinque non leggono nemmeno per intero il contratto, l'euforia li porta a firmare quasi ad occhi chiusi e la cosa avrà ripercussioni sui futuri lavori, John Léven afferma: "Avremmo dovuto leggere attentamente il contratto!". A dimostrazione della crescente popolarità in patria, una curiosa e totalmente inaspettata richiesta giunge agli Europe: un regista, tale Steffan Hildebrand, ha in mente di realizzare un film, un corto più che altro, dal titolo "On the loose", incentrato sulla relazione tra due giovani svedesi, Peter e Nina e chiede ai ragazzi se siano interessati a comparire su pellicola nella parte di loro stessi; chiede loro, ovviamente, anche di occuparsi della colonna sonora. Joey in particolare trova la cosa interessante e pensa subito di utilizzare "Rock the night" a tale scopo. Quasi totalmente da solo, occupandosi di tutti gli strumenti, servendosi solo di una drum machine, compone altre due canzoni, una è "Broken dreams" e l'altra riprende il titolo del corto, "On the loose", in cui mette lo zampino John Norum suonando l'assolo di chitarra. Il plot è piuttosto scontato. Peter e Nina sono una giovane coppia svedese, di Katrineholm (comune facente parte della contea del Sodermland), città in cui è ambientata la storia; la ragazza si occupa di manutenzione di treni e rotaie, il ragazzo è un saldatore insoddisfatto del proprio lavoro che sogna di trovare una migliore occupazione. Come se non bastasse, a rendergli la situazione ulteriormente insopportabile sta per arrivare in città, per una tappa di un tour, un gruppo Hard Rock il cui cantante ha avuto una relazione con Nina in passato: il suo nome è Joey e la band che guida si chiama Europe. Come ho già detto, i cinque recitano una parte nel corto, che li vede darsi da fare on stage. E' così che con la mente piena di pensieri Peter ferisce per incidente un suo anziano collega, Frasse, impersonato da Jerry Wiliams (al secolo Sven Erik Fernstrom, singer svedese che in una scena canterà "Working class hero" di John Lennon), ustionandolo con la saldatrice e scappa via dalla fabbrica. Il pomeriggio stesso, mentre si trova in un locale in compagnia della sua ragazza, arrivano gli Europe e subito Joey e Nina si appartano per ricordare i vecchi tempi; Peter si allontana infuriato, deciso a non assistere all'esibizione, ma poi la sera, ubriaco, entra lo stesso e dà in escandescenze, rincorso dalla sicurezza e calmato poi da Frasse, che lo porta a casa sua e lo fa ragionare, aprendogli la mente. Tutto si risolve per il meglio, una classica storia a lieto fine, col giovane che aiuta anche la band a far ripartire il tour bus in panne, salvando così la prossima gig. Niente di trascendentale, anzi, la pellicola è piuttosto banale, non entusiasma i ragazzi, John Léven dice: "Uno dei peggiori film mai fatti nella storia!", ma, stranamente, è apprezzato da molti, al punto tale da rivelarsi un successo. Il singolo realizzato a supporto della track-list , benché composto da tracce scaturite dalla penna di Tempest, viene pubblicato a nome Europe, contro il parere del resto del gruppo, che nulla vuole sottrarre all'operato del singer. E' qui evidente il modo in cui opera chi si occupa di management, nel cercare di realizzare profitto; musica e film si aiutano a vicenda, perché probabilmente la presenza del gruppo nella storia narrata in "On the loose" spinge la gente a guardare il film, che, di rimando, dà modo di far ascoltare le nuove tracce composte ed infatti del singolo vengono vendute 90.000 copie. Un buon risultato che trasforma "Rock the night" nella prima grande hit degli ex Force in patria. Sfruttando l'onda di successo generata dall'accoppiata film-singolo, i ragazzi decidono di partire per un tour intitolato, giocandoci un po' su, "On the loose tour". E' un tour più ambizioso dei precedenti, programmato per avere luogo nei palazzetti dello sport, venues più capienti dei posti in cui si erano esibiti fino ad allora. Anche per questo, i mezzi a loro disposizione, in termini di strumenti, luci, impianto audio ed effetti scenici, sono maggiori e di qualità superiore. Nonostante l'euforia e la determinazione, il tour si rivela un mezzo fiasco perché, troppo frettolosi nello sfruttare l'esposizione dovuta all'esperienza con il regista Hildebrand, non hanno nuovo materiale a sufficienza da proporre ai fans. Le nuove composizioni sono infatti solo tre, nello specifico "Carrie" (che qui viene eseguita nella versione originale in cui fu concepita all'inizio, vale a dire solo piano e voce, una versione curiosamente preferita dalla band, lontana ad ogni modo da quella che di fatto entrerà nella storia), "Danger on the track" e "Love chaser". Con così poca nuova "mercanzia", il pubblico reagisce piuttosto male e diserta le date; Il tutto viene comunque portato a compimento, dopo di che arriva il tempo di prendersi una pausa. E' allora che, dopo un incontro con la nota rivista giapponese Burrn!, vengono messi al corrente che il Paese del Sol Levante è in trepidante attesa di un loro nuovo album, cosa comprensibile se si tiene presente che lì erano piaciuti da subito, fin dall'auto intitolato Europe. Il Giappone è sicuramente una piazza importante, ma non l'unica purtroppo, c'è anche l'ovest da conquistare. Gli U:S:A sono un traguardo altrettanto importante, ma più difficile, data la nota diffidenza con cui in generale gli yankees trattano chi viene da fuori. L'entusiasmo per gli apprezzamenti dal Giappone e il desiderio di fare breccia anche in America spingono i cinque ad impegnarsi ancora di più nella realizzazione di un nuovo full-lenght, al quale avevano già cominciato a lavorare. Non basta, bisogna pensare anche ad un produttore più esperto, di caratura mondiale possibilmente, qualcuno che sia in grado di prendere e plasmare le idee del gruppo in modo tale da ottenere il risultato più sorprendente possibile. I nomi che si vagliano sono diversi, tutti noti. Il primo è il tedesco Dieter Dierks (fondatore dei Dierks Studio situati a Colonia), che ha iniziato la sua attività negli anni '70, producendo i lavori dei connazionali Tangerine Dream e Nektar, entrambe formazioni di Progressive Rock, per poi raggiungere fama e successo come produttore di un altro nome di peso uscito dalla Germania: gli Scorpions. In un primo momento si mostra piuttosto interessato, ma poi cambia idea decidendo di occuparsi dei Twisted Sister, reduci dal successo di "Stay hungry" del 1984 (il loro più noto lavoro) ed in procinto di portare in studio i brani che andranno a comporre la track-list di "Come out and play". Gli altri presi in considerazione sono il britannico Tony Platt, uno con un palmares da incutere quasi timore e, anche, il canadese Bruce Fairbrain, molto noto anche lui e divenuto nel tempo uno dei più richiesti in ambito Hard'n'Heavy. Entrambi declinano l'offerta, addirittura il secondo dice che i pezzi preparati dagli Europe mancano di mordente, sono privi di potenziali hit, a riprova del fatto che, a volte, anche i professionisti non hanno l'orecchio in grado di riconoscere una buona idea. Poco male per lui, ad ogni modo, dato che Fairbrain si dedicherà quindi alla produzione del prossimo album di un altro gruppo campione di Hard Rock melodico che, come "The final countdown", vedrà la luce nel 1986 e cioè "Slippery when wet", album sbanca classifiche dei Bon Jovi, a tutt'oggi il loro più grande successo, con gli oltre 33 milioni di copie smerciate in tutto il mondo. La scelta ricade infine su Kevin Elson, ingegnere del suono per i Journey e con all'attivo il ruolo di produttore per altre famose formazioni dello stesso genere, nomi come, oltre al succitato gruppo statunitense, diversi lavori dei Mr. Big ed anche la colonna sonora del film Terminator di James Cameron realizzata da Brad Fiedel. Gli stessi Europe in futuro lo chiameranno per produrre il loro come back album "Start from the dark". Il produttore li porta nei Powerplay Studios di Zurigo, perché, come dice Tempest. "Aveva già operato in quegli studi in passato, sapeva quindi come utilizzarli al meglio", ma non è solo quella la ragione ed a rendercene edotti è sempre lo stesso singer, che rivela: "Dormivamo all'interno degli studi stessi, in modo da non avere altre distrazioni e stare concentrati sul lavoro!", indice forse del fatto che nell'aria si respira un'atmosfera particolare, che si comincia ad avere la sensazione che il materiale a cui si lavora ha quel quid in più in grado di dare frutti rigogliosi. Al momento di entrare in studio le tracce che andranno a comporre l'album sono più o meno tutte pronte, alcune, come "Rock the night" ed "On the loose" hanno solo bisogno di un arrangiamento più rifinito ed un sound migliore, più brillante; altre erano già state eseguite dal combo in sede live come inediti durante il tour di "Wings of tomorrow", si tratta nello specifico di "Ninja", "Love chaser" e "Carrie", la quale vedrà il passaggio dalla versione originaria che, ricordiamolo, prevedeva solo voce con accompagnamento di pianoforte, alla versione definitiva che tutti conosciamo. C'era anche "The final countdown" naturalmente, accompagnata da "On broken wings", che non sarà inclusa nella track-list finale, andando invece a ricoprire il ruolo di b-side del singolo di "The final..."; solo "Cherokee" viene scritta una settimana prima di entrare in studio. Come più volte ha affermato, il singer la compone in un momento in cui è attratto ed ispirato dalla storia dei nativi americani, famoso il videoclip promozionale del brano. Mentre il gruppo lavora alacremente ai brani, accade un imprevisto, in quanto Joey è colpito, proprio alle corde vocali, da un virus causato da una reazione allergica ai prodotti farinacei e deve quindi fermarsi per far fronte all'emergenza che, oltre ad un periodo di riposo forzato, lo costringe pure ad introdurre dei cambiamenti nelle sue abitudini alimentari. Torna quindi a casa, in Svezia, per curarsi e quando le condizioni glielo permettono, si esibisce, seppur con 38 di febbre, dal vivo in un programma per la TV Svedese, uno spettacolo di Noiesmassakern, con lo Swedish Metal Aid, un progetto che riunisce i musicisti delle scena Hard'n'Heavy svedese per raccogliere fondi da devolvere alla popolazione dell'Etiopia che in quel momento si trovava in una difficile situazione di emergenza, di carenza alimentare. La canzone che questo enorme gruppo canta si intitola "Give an helpin' hand", la cui scrittura era stata commissionata proprio a Tempest. E' possibile visionarne il video su YouTube, un documento quasi storico che dimostra, insieme al progetto Hear n aid ideato da Ronnie James Dio (metallari riuniti per beneficenza), sfociato nella traccia "Stars", come i musicisti Metal non siano affatto quei figuri brutti, sporchi, cattivi adoratori del maligno e dediti ad ogni tipo di perversione come ancora si tenta di far credere, ma siano in realtà sensibili a temi come la povertà et similia. Né più né meno degli artisti di altri generi musicali, con la differenza, secondo me, che i frutti del loro lavoro siano più appetitosi di altri progetti mossi dagli stessi intenti che hanno però goduto di una più ampia pubblicità ed esposizione pur partorendo opere non così eccelse come la narrazione giornalistica mainstream spinge a credere; mi riferisco evidentemente a "We are the world", ma il parere è strettamente personale. I sei vocalist principali dello Swedish Metal Aid sono sei, tra cui lo stesso Joey, gli altri sono Robert Ernlund dei Treat, Malin Ekholm delle Aphrodite, prima Hard Rock band svedese composta totalmente da ragazze (anche se altrove viene accreditata come presente al progetto S.M.A. la sorella minore di John Norum, Tone), Tommy Nilsson degli Easy Action, Joakim Lundholm dei 220 Volt e Bjorn Lodin dei Bedlam, accompagnati da un coro di 150 musicisti svedesi. A produrre il singolo, il chitarrista degli Easy Action, un nome che incrocerà ancora il cammino degli Europe in futuro: Kjell Hilding Lovbom, conosciuto nell'ambiente musicale come Kee Marcello. Dopo un breve periodo comunque Joey prova a cantare nuovamente per portare a termine il lavoro, dal momento che le parti vocali sono le ultime a dover essere incise. Si reca quindi a Solna, nei Soundtrade Studios e, sebbene ancora febbricitante, incide la title-track, fa un buon lavoro, ma purtroppo non può andare oltre, i problemi con la voce continuano, le sue corde vocali non sono ancora pronte. Una delle soluzioni che si decidono di adottare è quella di abbandonare per un po' i climi rigidi della Scandinavia e recarsi in un posto più caldo, sperando che il sole dia una mano, arriva quindi il trasferimento in Florida per un breve soggiorno. Da lì si reca poi ad Atlanta, dove raggiunge il produttore in uno studio della città, perché vuole provare ad incidere altre tracce, non può farne a meno, questo break forzato si sta rivelando quasi una tortura. Il brano a cui si dedica è "Ninja", lo prova e lo riprova, ma, nonostante il risultato sia tutt'altro che deludente, proprio lui non è soddisfatto dalla resa della sua voce. Il momento non è dei migliori, una voce che funziona a fasi alterne non è proprio la prospettiva migliore per chi, come professione, ha scelto quella del cantante, così il giovane si demoralizza e comincia a pensare che non potrà realizzare il suo sogno di calcare i palcoscenici in giro per il mondo. Tutto ciò getta anche ombre poco rassicuranti sulla sorte di tutto il platter perché il tempo trascorso ha già comportato lo sforamento del budget stanziato dalla casa discografica per l'utilizzo degli studi, label che ha già sborsato un milione di corone svedesi e che ovviamente si aspetta di vedere risultati, soprattutto quelli che si presentano sotto forma di carta dal colore verde. Un incaricato della Epic, Lennie Petze, si reca in studio per sincerarsi circa lo stato dei lavori ed ascolta la title-track e, voui perché ha l'orecchio allenato, vuoi perché la canzone in questione, oltre alla "maledizione", si porta dietro anche una parte di benedizione, con cui fa il paio, ritiene che quello che ha appena ascoltato è ottimo, si convince che vale la pena consentire alla squadra di continuare e raddoppia il budget iniziale. Rincuorato da questa iniezione di fiducia, Tempest riacquista il sorriso e fa di tutto per risolvere la questione; decide quindi di rivolgersi ad un maestro di canto, nello specifico Bo Sydow, ed inizia un training attraverso il quale l'insegnante lo istruisce su come utilizzare al meglio la sua voce senza affaticarla troppo. Al termine di quel percorso la situazione è totalmente differente, Joey usa nel modo più appropriato le sue corde vocali e, una via l'altra, registra tutte le otto tracce mancanti e completa le sue parti facendo un ottimo lavoro. C'è però ancora qualcosa che ritarda la pubblicazione dell'album; benché tutti i brani siano ormai già pronti, quasi come cavalli scalpitanti dietro i cancelli prima di una gara, manca, importante anch'esso, l'elemento visivo che consente l'identificazione fisica del platter, un richiamo non trascurabile per il raggiungimento di un numero di acquirenti più alto possibile: la copertina. La sua realizzazione era stata affidata al disegnatore americano Les Katz il quale però non l'aveva ancora completata. Cosa fare a questo punto? Il tempo stringe, si è già aspettato per consentire al cantante di far fronte alla sua situazione, ora però non si può più, altri ritardi non sono più consentiti. Si decide quindi per la pubblicazione del primo singolo, l'ormai mitica opener (che avviene il 14 febbraio del 1986), che fa il botto in patria raggiungendo immediatamente la prima posizione delle classifiche. Parte quindi da casa propria, inevitabile ormai, il The final countdown world tour", precisamente dalla città di Gavle, il 29 aprile del 1986; gli Europe sono carichi di energia ed entusiasmo e l'adrenalina scorre copiosa già dalle prime note del brano di apertura dello show, purtroppo però a causa della mancata pubblicazione del full-lenght, dovuta ai ritardi di Les Katz, il gruppo sta portando on stage brani che il pubblico non conosce ancora (un tour per altro considerevolmente costoso, tenendo conto che l'esborso monetario per ogni data si aggirava sulle 100.000 corone), per questo tutti i posti in cui si esibiscono sono pieni solo per la metà. La situazione si protrae per quasi tutte le tappe svedesi, ma, proprio lo stesso giorno dell'ultima, a Solna, quasi ironicamente, la città in cui avevano iniziato a lavorare al disco, un anno prima, arriva la release ufficiale. Accantoniamo per il momento le cronache per dedicarci all'analisi del contenuto di questa pietra miliare dell'Hard Rock melodico, ricordando la data di pubblicazione, il 26 maggio 1986, avvenuta sotto l'egida della Epic Records; gli studi in cui (in un arco di tempo che va dal settembre 1985 al marzo dell'anno successivo) fu registrato, cioè i Powerplay Studios di Zurigo, i Soundtrade Studios di Stoccolma, i Mastersound Studios di Atlanta ed infine i Fantasy Studios di Berkeley.

The Final Countdown
"The Final Countdown" (Il conto alla rovescia finale) "E' il tipo di canzone che scrivi una sola volta nella vita!", "E' una canzone come "Stairway to Heaven", durerà per sempre. Sai, un inno Rock!", "Ha una sorta di gancio così speciale; voglio dire, dal primo momento in cui l'ascolti dici "Wow, cos'è!?". Amici, amiche, non lasciamoci distrarre dal celeberrimo giro di tastiere pomposo, trionfale, inesorabilmente catchy, che dà avvio alla traccia. Pur se fin dal primo secondo rende assolutamente riconoscibile la canzone, anche all'orecchio meno smaliziato, consentendo di inquadrare in un sol colpo titolo, gruppo, album di provenienza, finanche decennio di pubblicazione (anche da parte di chi è nato un paio di decadi dopo); anche se gli autori stessi ne danno i giudizi che ho appena riportato, affermazioni, comprensibilmente spavalde (rispettivamente di Michaeli, Norum e Léven), il processo creativo che porta alla genesi di quello che diventerà il brano simbolo degli Europe, aprendo loro le porte del successo, garantendogli la fama mondiale e, di fatto, sancendo definitivamente il loro ingresso nella storia, parte da prima della pubblicazione del loro esordio discografico, quando la formazione non era ancora quella che all'unanimità viene considerata quella classica, e non è affatto facile, in quanto durante la sua stesura incontra ostacoli che fanno vagliare al gruppo non solo l'eventualità di non utilizzarla come singolo apri pista per l'imminente platter, ma addirittura quella di accantonarla del tutto. L'origine di questa canzone è piuttosto nota ai più. Se andate su Wikipedia leggerete che a commissionarla a Joey furono i titolari di una discoteca chiamata Galaxy ai quali serviva un sottofondo musicale con cui intrattenere gli avventori in attesa dell'apertura, nel pomeriggio. Vero a metà, nel senso che dalle dirette parole del singer scopriamo che c'era un ritrovo abituale per loro in Berns' Salonger in cui era situato un nightclub che erano soliti frequentare, a cui la musica serviva per intrattenere i clienti prima dell'apertura, che era fissata per la mezzanotte. L'anno è il 1981, Mic Michaeli non è ancora parte della band, ma è un tastierista loro amico e proprio a lui l'allora Joakim chiede in prestito una tastiera per fare quanto gli è stato richiesto. E' nella casa dei suoi genitori che l'allora diciottenne era solito comporre i pezzi per il gruppo, in una stanza adattata alla bisogna: "E' questa la stanza in cui lavoravo. C'erano degli speaker prima, un equipaggiamento per la registrazione, ma in sostanza non è cambiato molto. Qui preparavo i demo per il gruppo. Scrivevo e provavo di notte, quando i miei famigliari dormivano.", in un altro angolo della casa invece ha l'illuminazione; dice infatti: "Sedevo qui, generalmente con una tastiera o una chitarra ed è proprio qui che mi venne l'idea di quel riff! Pensai che generasse un'atmosfera tale da rimandare alle colonne sonore dei film o per l'introduzione a qualcosa.". Apparentemente sembrerebbe finita lì, perché dopo aver esaudito la richiesta, il ragazzo non pensa più di tanto a quanto ha appena fatto, fino a quando una sera, proprio in attesa di entrare nel nightclub in questione, gli altri ragazzi della band che sono con lui hanno modo di ascoltare quel suono. Le porte del locale si aprono separandosi, come quelle di un ascensore e sempre Joey spiega: "Conoscevamo i propietari e loro usavano quel pezzo di musica quando le porte del locale aprivano a mezzanotte; subito pensammo che fosse un bel suono,è molto potente, molto ipnotico, ti assorbe!". Ne sono letteralmente investiti, in particolare è John Léven ad esserne maggiormente colpito, confermando la sua affermazione che ho riportato più su, ammette infatti: "Chiesi cos'è questo? Interessante! E Joey mi rivelò che l'aveva realizzata lui. Gli dissi che avrebbe dovuto riprendere l'idea per farne una canzone!". Così il singer comincia a lavorarci su appena tornato a casa, perché si è appena reso conto delle enormi potenzialità di quel semplice riff nato quasi per caso e per tutto un altro scopo: "Avevo già il riff - spiega - cominciai così a cercare la melodia. Arrivato al cambio di accordo divenne un po' malinconico, come un vecchio brano della tradizione folk scandinava!". Così, grazie all'impegno del vocalist, "The final countdown" comincia ad avere una struttura significativa; John Norum interviene suonando le parti di chitarra che ritiene si sposino bene col pezzo eseguendo un ritmo che egli stesso definisce galoppante, precisando che è il tipo di cosa che si può ascoltare nei lavori di un gruppo come gli U.F.O., una delle loro maggiori influenze. Se le cose filano lisce con la chitarra, lo stesso non si può dire per la batteria, per la quale si dibatte sul tipo di tempo che da questa deve scaturire, se lento o più sostenuto. Joey propende per quest'ultima soluzione, in quanto ritiene che un ritmo più dimesso avrebbe portato la canzone per tutt'altro sentiero, l'avrebbe resa più rigida. A riprova della situazione di stallo, stanno le parole di Ian Haugland: "Provammo per tutto il giorno per trovare le parti di batteria. Combattemmo tutto il giorno e non riuscivo a trovare il groove adatto al pezzo. Il produttore suggerì di provare solo un'ultima volta e di riprendere il lavoro il giorno successivo... proprio all'ultima take funzionò!". E' anche il momento in cui discutono sull'opportunità di tenere il brano o meno, cui accennavo prima, in quanto il lavoro e le energie che ci stanno spendendo su è quasi demoralizzante; arrivano a ribattezzarla, non proprio scherzosamente, "The final breakdown", perché, rivela sempre il cantante, per giorni ognuno ha da dire la sua in merito: "Dovremmo fare questo! Dovremmo fare quello! Forse dovremmo lasciarla perdere del tutto!". Vediamo quindi come il brano è strutturato. Fin da subito veniamo catturati dalle keys, con quel piglio a loro modo battagliero, che rendendo onore al titolo, dà l'impressione di qualcosa di imminente, come dei missili in procinto di partire da una base militare verso un obiettivo nemico. Da racconti di chi all'epoca era più grande di me, pare che un ruolo nell'attribuire questo significato da "tragedia imminente" a "The final countdown" lo abbia giocato la "Guerra Fredda", che nel decennio ottantiano vedeva inasprirsi le tensioni fra le due superpotenze contrapposte, U.R.S.S. e U.S.A., tanto da portare, proprio nel 1986, Reagan e Gorbacev ad incontrarsi per trovare una soluzione alla situazione, che sarebbe dovuta passare anche dalla riduzione dei rispettivi armamenti nucleari (incontro conclusosi con un nulla di fatto). Presto si sovrappone un'altra linea di tastiera, quella dell'arcinoto riff, pomposo ed epico, che, magnificamente, ci porta al punto in cui l'energia accumulata esplode quasi con un boato, preannunciato da una batteria in rullata e subito seguito dalla cavalcata di chitarra. Sempre Michaeli con i suoi tasti d'avorio ci guida trionfante fino al punto in cui la tensione si smorza ed inizia la strofa vera e propria. Qui il contributo delle keys cambia, da quel leggendario giro passano infatti ad eseguire solo accordi di accompagnamento, mentre a mantenere la traccia galoppante sono basso e batteria. Anche la chitarra si limita ad intervenire di tanto in tanto con accordi lasciati suonare a lungo. E' proprio qui che Joey esordisce con voce drammatica, quasi sofferente; nella seconda parte di strofa la sei corde torna ad essere più presente grazie al palm muting, perché si sta raggiungendo nuovamente la tensione che verrà scaricata nel refrain, in cui trova il suo climax, ed in cui torna prepotentemente a farsi sentire l'onnipresente giro di tastiere; refrain che, storico, si presta ad essere cantato a squarciagola e con toni da battaglia. Tutto si ripete identico nella seconda strofa, fino alla parte centrale del brano, solo la voce diviene più "decisa" e ci lascia, con un potente urlo, alla rullata di batteria che, con una combinazione più serrata fra tom, rullante e doppia cassa, ci consegna all'assolo di Norum, composto da quattro cellule dal sapore classicheggiante [suonate in trentaduesimi], tre ascendenti, che dalla posizione centrale del manico salgono verso i tasti più alti, ed una discendente, che torna all'altezza del settimo tasto, dopo la quale assume toni più bluesy, il tutto ripetuto un'altra volta. Torna quindi l'irrinunciabile riff di tastiera, mentre con stop and go gli altri strumenti ne enfatizzano gli accenti. La conclusione è sfumata, con la ripetizione ad oltranza del refrain, sia per quanto riguarda gli strumenti che per quanto riguarda la voce. Il testo, che racconta dell'abbandono del pianeta terra per sfuggire all'olocausto nucleare, è ispirato, come tutti sanno, al brano "Space oddity" di David Bowie, il leggendario Duca Bianco. La vicenda narrata è quella di un viaggio a bordo di una nave spaziale per abbandonare il pianeta terra perché una guerra di enormi proporzioni, che si combatterà probabilmente con armi nucleari, sempre più potenti e pericolose, è all'orizzonte. Il sempre più concreto pericolo costringe così gli abitanti del pianeta a mettersi in salvo cercando di approdare su di un pianeta che possa rivelarsi ospitale. Una volta in viaggio si chiedono se torneranno mai alle loro case e se, in caso di risposta affermativa, le cose potranno essere le stesse. La destinazione è il pianeta Venere e forse lì qualcuno li sta già aspettando. Sentono già la nostalgia di casa, ma sono ben consapevoli che quello è il conto alla rovescia finale, la catastrofe è inevitabile. Song calata perfettamente nel contesto dell'epoca a livello di politica internazionale. In apertura, ed in poco più di cinque minuti, gli Europe sparano il primo colpo di cannone di un disco destinato a creare sussulti, ma vedremo più tardi come e quali.

Rock the Night
"Rock the Night" (Scuoti la notte) è il secondo passaggio, quello che alcuni nel combo volevano come singolo d'assalto. Bisogna dire che in effetti è una traccia più arrembante della title-track, per lo meno per il fatto che è più diretta e parte subito in quarta. Certo, non si tratta di un riff di Class Metal, ma l'Hard arriva prima rispetto alla traccia che la precede. Senza introduzione e privo di fronzoli, così è l'attacco, con tutti gli strumenti che attaccano insieme, ma subito sono batteria e chitarra a prendersi la scena per un attimo, la prima con ripetute rullate in crescendo, la seconda con accordi in power, mentre una seconda chitarra "gioca" con la barra del tremolo. Quando però si reinseriscono tastiere e basso, il ritmo del pezzo emerge; è soprattutto Léven a stabilire la musicalità. Quando invece la strofa ha inizio, sempre il basso diviene pulsante, accompagnando la batteria che procede canonica. Tastiere e chitarre dividono il loro lavoro fra accordi intervallati da pause ed altri più legati fra loro. Cosa serve per rendere un refrain immediatamente intrigante ed irresistibile? Semplice, tornare al riff d'assalto con cui "Rock the night " ha esordito e qui, in cui c'è anche la voce, esplode in tutta la sua bellezza. Dopo la canonica ripetizione di strofa, si arriva al punto caldo del brano, quello in cui la sei corde può spiccare e mettersi in mostra, che è però preannunciata da una fase preparatoria: urlo di Joey, rullata di batteria, poi solo colpi di gran cassa e Norum che si prepara al decollo quasi strapazzando la leva del tremolo e, dopo che tutti abbiano dato il via con piglio marziale, finalmente si alza in volo con un assolo da dieci e lode, che inizia nella parte alta (dall'ottica delle note) per poi spostarsi rapidamente ai primi tasti e risalire rapidamente e con grande fluidità verso le note basse,ma non finisce qui perché, come ci hanno abituati i virtuosi dello strumento (categoria in cui rientra anche il nostro, benché nel suo playing tenda a non estremizzare questo aspetto), si torna subito lì dove il solo era iniziato per un'altra dose di note eseguite in corsa. E' questa anche una song in cui sono presenti più assoli di chitarra, altri due per l'esattezza, intervallati dall'intonazione a pieni polmoni del ritornello, da parte di un Tempest carico, votato a far fede rispetto a quanto dice il titolo, una dichiarazione d'intenti. Se il secondo momento da protagonista dell'axeman si divide fra una parte più lenta e caratterizzata ancora da u buon uso del tremolo, seguita da una più scoppiettante, l'ultimo è una valanga di note eseguite con plettrata stupefacente, che dai primissimi tasti delle corde basse risale vertiginosamente alle alte, spostandosi di parecchi tasti in direzione dei pick-up e, precisi come un orologio svizzero, al suonare dell'ultima nota, anche gli altri danno l'ultimo colpo. Le liriche lascerebbero pensare ad un riferimento al film "On the loose", anche se forse quello che emerge di più è la rabbia giovanile tipica dell'età che i ragazzi avevano quando realizzarono il brano. Ci viene descritto infatti come protagonista un ragazzo che è passato attraverso situazioni personali fatte di rabbia, cambiamenti, forse frustrazioni, ma non sufficienti a fargli perdere la lucidità e farlo impazzire. Sente però una forza particolare dentro di se, un sentimento che lo fa sentire furibondo in ogni più minuscola parte del suo corpo, un qualcosa che riconosce perché non è la prima volta che l'avverte. Sono sensazioni, emozioni, quasi contrastanti, ma che si presentano inesorabili e che non si possono evitare e sono destabilizzanti, in modo particolare quando non si sa nemmeno bene cosa si vuole davvero. A volte si riesce a farvi fronte, tirando il freno per fermare quella tempesta che imperversa dentro di noi, altre volte no e si vive in balia di queste emozioni, in quanto non è possibile non averne. L'unica cosa da fare è vivere la strada e scuotere la notte fino alle prime luci del giorno, inteso come venire a capo della situazione con la soluzione rappresentata da quell'alba citata nel testo.

Carrie
Il primo momento morbido è un altro dei loro brani più noti, vale a dire "Carrie" (Carolina). Episodio, perfetto, che trasuda passione in ogni istante. Un gioiello da accendino (per i più giovani: una volta ai concerti, durante canzoni come questa, quando le luci di scena si abbassavano per creare l'atmosfera perfetta, la gente fra il pubblico levava il braccio e sventolava leggermente un accendino, in modo da avere la platea piena di fiammelle, segno di passione bruciante), di quelli che non si scrivono quasi più, per lo meno non a quei livelli qualitativi. Powerballad fra le più riuscite nella storia del genere Hard'n'Heavy, che, nonostante le decadi trascorse dalla sua prima diffusione in TV o radio siano ormai tre, non accenna a perdere un minimo del suo appeal e rapisce immediatamente dalla delicata e malinconica melodia con cui Michaeli dà inizio alla traccia, con quei tasti d'avorio che sembrano quasi fatati ed infatti il suono sembra a tratti fiabesco. Il fraseggio creato dal tastierista è di un gusto sopraffino e raggiunge l'apice nel finale, lì dove muta in una melodia di accompagnamento e cede la scena a Tempest, che con tono struggente ci "racconta" cosa dice a Carrie, qual è il messaggio che ha per lei. In un primo momento, forse come era stata concepita in origine, gli unici a farsi sentire sono Mic e Joey, ma, come è tipico di questo tipo di brani, poco prima del refrain ecco intervenire anche gli altri strumenti ed il tocco che trasforma una ballad in power emerge in tutta la sua forza: l'elemento più tipico è rispettato! Per quanto riguarda il ritornello, è addirittura sconcertante come la sua semplicità possa risultare tanto efficace. Nessuno dei musicisti strafa, l'accompagnamento è alquanto basilare, ma sono le note suonate, scelte con cura, che rendono al massimo e, soprattutto, si rivelano un ottimo appoggio per il coro. Sono proprio le voci che intonano il refrain a spiccare su tutto, rendendo magnificamente l'umore del brano, la sofferenza, lo sforzo che Joey sta facendo per chiarire la situazione con la fanciulla a cui si rivolge. Nella seconda strofa in particolare riesce con il suo cantato a trasmettere il suo tentativo, sembra proprio che dica: "Ti prego, ascoltami attentamente, voglio essere più chiaro ed onesto possibile!", diviene quasi implorante. Dopo il secondo, sempre stupendo coro, è il momento della chitarra solista di Norum che con il suo stupendo assolo, perfettamente in linea col mood del brano, ci dimostra cosa voglia dire essere un grande musicista che riesce ad esprimere con le note quello che altri sanno fare solo con le parole. Il suo fraseggio è melodico ed il miele scaturisce dalle sue dita, ma miele con un retrogusto amaro. Il finale di assolo viene enfatizzato e reso ancora più bello dal sovrapporsi di una seconda linea di chitarra armonizzata. Quando riprende a cantare, abbiamo modo di ascoltare un Tempest quasi arrabbiato. E' la ripetizione del coro che ci guida verso il finale con, di nuovo, solo voce, che quasi sussurra le ultime parole e keys, con il finale che torna ad essere quasi da fiaba. Quale è la storia che ci narra il brano in questione? La fine di una relazione, inevitabile, quasi scontata stando alle lyrics, con il giovane che dice addio a Carrie, cercando di farlo con tutta la delicatezza e l'onestà possibili. E' questo un tratto distintivo della scrittura di Joakim, un relazionarsi con l'altro sesso con serietà e rispetto, un approccio del tutto diverso rispetto a tanti suoi colleghi del periodo, in particolare quelli dei gruppi a stelle e strisce che nello stesso periodo stavano dando il peggio a livello di immagine pubblica e moralità, aspetto però bilanciato da capacità tecniche non contestabili nella stragrande maggioranza dei casi; una situazione del tutto diversa dallo stato della musica mainstream attuale, di derivazione Pop soprattutto che, secondo il parere di chi scrive, ha ormai raggiunto i più bassi livelli espressivi e qualitativi di sempre. E' allora in quel modo, con la sua onestà mista a cavalleria, che questo giovane dice alla ragazza che è finita e quelle luci che si abbassano cui accenna nel testo possono rappresentare il sipario che cala sulla loro relazione. Non c'è ragione per lei di piangere perché questo finale era prevedibile, entrambi lo sapevano, lui più consapevole di lei, la quale prova ad opporsi, ma trova lui deciso ad interrompere e le chiede infatti di non insistere. Il ragazzo si meraviglia di come lei non capisca (o si ostini a non capire), perché anche se stesse in silenzio i suoi occhi parlerebbero per lui: questo potrebbe essere il loro ultimo addio. Anche la ragazza è pura e limpida, infatti lui può quasi leggerne il pensiero, sa cosa lei vorrebbe dire, ma è deciso ad andare avanti nelle sue decisioni, sa di fare una cosa giusta e legittima perché non sente dolore, inteso forse come un senso di rimorso. Le dice chiaramente che le cose cambiano, è la vita che ci mette di fronte a nuove situazioni, di continuo, che forse si incontreranno ancora da qualche parte in futuro, ma in condizioni del tutto differenti. Quel "When lights go down" posto in chiusura dà proprio il senso di un sipario che cala definitivamente.

Danger on the Track
Con il mid tempo di "Danger on the Track" (Pericolo sul percorso) si torna al Rock. E' Michaeli a primeggiare in apertura con un fraseggio in evidenza sugli altri strumenti, i quali ne enfatizzano gli accenti. La progressione di accordi della strofa, che va a comporre la base su cui il cantato poggia, è essenziale e si ripete piuttosto allo stesso modo, ad eccezione di qualche minuscolo fraseggio di chitarra che spunta ogni tanto conferendo colore e di alcune progressioni ascendenti di tanto in tanto che creano una moderata tensione che viene scaricata nel bridge, quando l'ultima viene completata tornando a discendere, in cui possiamo sentire un'altra sei corde armonizzata. Ben concepita le serie di accordi che mette in risalto il refrain, strutturata più o meno allo stesso modo, in cui apprezziamo ancora di più la voce pulita e melodica del singer, coadiuvato dal coro, al termine del quale ecco emergere l'axeman con un breve assolo blueseggiante, che ci lascia alla seconda strofa, identica. Nella porzione centrale del brano, la riproposizione del riff di apertura ha il compito di preparare il terreno al "protagonismo" solista, questa volta diviso equamente fra keys e chitarra: la ritmica diviene leggermente più serrata, con plettrate in palm muting su corda singola, Michaeli esegue un assolo impostando il suono del suo strumento in modalità organo Hammond, tipico degli anni '70, probabile omaggio ai gruppi che hanno ispirato gli Europe da adolescenti, infatti sembra di ascoltare qualcosa proveniente da grandi bands di quel decennio; è poi la volta di Norum che sale sul podio con un bell'assolo, sempre di impostazione blues. Ancora il bridge precede l'ultimo ritornello ripetuto fino alla chiusura di traccia, con due colpi secchi e perentori. Ma di quale pericolo ci racconta il brano? Di un uomo che torna a casa per rivedere la sua donna che lo aspetta e dalla quale si è suo malgrado dovuto separare per necessità. Torna perché è tempo di onorare una promessa che le ha fatto prima di partire: farla diventare sua moglie. Una cosa che desidera ardentemente, così come la desidera la ragazza, che vuole passare la sua vita con lui. C'è però qualcosa che lo mette in allarme, infatti là nelle ombre della notte percepisce delle figure poco rassicuranti. Il pericolo però non proviene solo da davanti ma anche dalle sue spalle perché qualcosa gli dice che c'è qualcuno anche dietro di lui. Le sue impressioni erano giuste perché degli uomini lo circondano per derubarlo e poi portarlo via. Di fronte alle forze soverchianti avrebbe quasi voglia di arrendersi, ma alla fine reagisce e combatte, perché spinto dal desiderio bruciante ed inarrestabile di tornare fra le braccia della sua amata e tira fuori una forza che non sapeva nemmeno di avere, che è probabilmente la forza dell'amore. Così adesso i suoi aggressori giacciono sul terreno, senza vita.

Ninja
Più movimentata e decisa, "Ninja" vede la partenza contemporanea di tutti gli strumenti, con menzione speciale per il fraseggio di chitarra armonizzato che si staglia sul tappeto ritmico di basso e batteria e sugli accordi di tastiera. Joey esordisce con uno dei suoi vocalizzi, che imperversano per tutto l'album, e continua poi anche lui con una linea melodica più arrembante, ma non aggressiva, cosa dovuta forse agli appena superati problemi vocali. Per quanto riguarda la sei corde, la parte che Norum esegue è si Hard Rock, con ritmica moderatamente serrata, ma a causa della produzione un po' troppo levigata perde di incisività. La sezione ritmica va avanti lineare e senza virtuosismi particolari, solo le tastiere intervengono a tratti con accordi più pronunciati. Durante il bridge la ritmica alla chitarra rallenta cambiando in accordi in power lasciati suonare a lungo, mentre altre linee vocali intervengono per dare man forte a quella principale. Nel refrain invece torna a farsi sentire il riff di apertura che, essendo d'impatto, ben si presta ad essere riproposto. Non cambia il contenuto nella seconda strofa e relativo ritornello, solo nella fase che precede l'assolo di chitarra c'è un rallentamento nel ritmo e sentiamo l'axeman scalpitare iniziando a dare avvio alla sua corsa solistica, su un tappeto sonoro che assume caratteristiche quasi sinfoniche. Al ri indurirsi della ritmica, la stessa della strofa, è come se il Guitar Hero si trasformi in un animale che fugge da una gabbia che viene d'un tratto aperta e libero si precipita fuori correndo, ma è nel finale che è ancora più bello: la chitarra solista rallenta venendo doppiata nelle ultime note da un'altra sei corde armonizzata e ad aiutare tutto ciò a rendere meglio è la ritmica in sottofondo, con delle progressioni di note ascendenti che accrescono l'intensità della parte, la quale sfocia di nuovo nel bridge, seguito a sua volta dall'ultimo ritornello, quello decisivo che lascia il posto al finale che arriva secco ed immediato. Addirittura i leggendari sicari nipponici sono i protagonisti della traccia in questione, in particolare le leggende che ne narrano le gesta. Chi parla, infatti, non è un ninja, ma un ragazzo che vuole ascoltare la narrazione delle azioni di quei guerrieri così sfuggenti, provenienti da un Paese pieno di fascino e mistero com'è ancora oggi il Giappone, ancor di più trenta anni fa ed oltre. Ecco quindi che più le leggende ed i racconti proseguono più il giovane ascoltatore si infervora a tal punto da desiderare di vivere quei momenti, anche se questo dovesse comportare il dover cavalcare per i campi di battaglia al grido di guerra, con il rischio di buttarsi a capofitto verso il pericolo. Il sogno è quello di stare con fierezza al fianco del suo signore, è così che lo spirito del ninja sopravvivrà. Soggetto un po' singolare, senza dubbio, ma per alcuni aspetti comprensibile e vorrei provare a spiegarlo ipotizzando la fonte da cui le parole sono state ispirate: in quel decennio ci fu un'esplosione di interesse attorno a questa figura affascinante e pericolosa. Sulle TV locali ad esempio le pellicole riguardanti i ninja erano trasmesse quasi ogni giorno. Questo in Italia, ma non è escluso che anche nel resto del continente europeo la tendenza fosse la stessa e questo fatto avrebbe potuto influenzare anche gli Europe.

Cherokee
"Cherokee" (Cherokee) è il quarto ed ultimo singolo estratto dall'album e uno dei più epici episodi. Ispirato, come sempre ammesso da Tempest, alla storia dei nativi americani, si ricorda anche per il videoclip promozionale girato per aumentarne l'appetibilità e la diffusione. Proprio per il tipo di soggetto, a dare avvio al brano sono tamburi tribali (nel video possiamo vedere Haugland all'opera su una fila di timpani) che sembrano chiamare alle armi. Alla fine dell'ultima delle due serie di rullate intervengono, per un istante, voce e tastiere con una nota singola, mentre già sul finire della seconda, il volume di chitarra e keys si alza gradualmente fino a sfociare nella serie di accordi che saranno poi ripresi nel ritornello, mentre il vocalist urla contro il cielo, trasmettendoci già il senso di tragedia di cui si appresta a narrare. La parte di spicco è, soprattutto nella fase iniziale di strofa, quella del basso, che detta le coordinate ritmiche del brano con grande musicalità e gusto. Anche in questo brano il gruppo fa ricorso alle progressioni ascendenti usate sempre allo scopo di accrescere la tensione della narrazione ed, ancora, usa allunga ulteriormente quella che precede il refrain per raggiungere ancora meglio lo scopo; l'effetto è lo stesso, accumulare una tensione che, come una molla, verrà rilasciata nel ritornello, anche questo dalle caratteristiche di un uncino che, musicale in modo disarmante, si aggrappa alle corde emozionali dell'ascoltatore che non può non intonarlo sovrapponendosi alla musica che libera fluisce dalle casse del suo lettore. L'unico aspetto leggermente differente che possiamo notare nella seconda strofa riguarda la voce di Tempest, maggiormente calata nel contesto delle lyrics, nel rendere con più efficacia il destino della tribù indiana di cui ci narra. Lo sentiamo infatti più sofferente in alcuni passaggi, in modo da enfatizzare la narrazione. L'assolo di chitarra è uno dei punti in cui si raggiunge il climax, con un fraseggio dall'incedere lento ma estremamente fluido e potente, ancora doppiato nel finale da un'altra chitarra armonizzata. L'espressione massima del climax arriva però con il breve assolo di tastiere, in cui l'epicità viene accresciuta da un suono limpido e pomposo che trasmette immagini di sconfinate praterie in cui si svolgono le azioni di cui gli Europe ci raccontano. Fa quasi tirare il petto in fuori il modo in cui Michaeli arriva a concludere il suo momento di gloria (in cui per un attimo sei corde e keys si incrociano quasi), ma dispiace un po' dover sottolineare ancora una volta come, sempre a causa di una produzione troppo "addomesticata" per le classifiche, la parte ritmica delle chitarre che accompagna gli slanci solisti non renda giustizia ad un punto così intenso del brano, che altrimenti sarebbe risultato più incisivo e forte. Per il resto la canzone prosegue con l'incisivo refrain più volte ripetuto, ma con la differenza, questa volta, che la chitarra ne ripete e sottolinea le note, la si può sentire infatti fare quasi il verso alla voce che intona il "Cherokee". La tribù indiana, sfortunata protagonista della canzone, non è certo stata l'unica ad avere quella sorte, ma è stata scelta da Tempest perché probabilmente il suo nome è musicale e ben si sposa con la melodia del brano. Le vicende dei nativi americani sono state narrate da sempre, in molte pellicole del genere western si parla della loro soccombenza allo straniero bianco, avido, aggressivo, egoista ma in possesso anche di una tecnologia avanzata, impiegata per raggiungere i propri scopi. Uno di questi era quello di spingersi sempre più ad ovest degli U.S.A. per colonizzare il territorio ed edificare una Nazione e tutte le tribù indiane che vivevano lì da sempre furono loro malgrado coinvolte in questo disegno. Genti che vivevano in relativa tranquillità ed in armonia con la natura compresero ben presto che qualcosa sarebbe cambiato, che quello straniero, il viso pallido, presentatosi da principio come amico, non poteva in realtà essere creduto fino in fondo, che era arrivato non per condividere, ma per dominare. Per raggiungere il suo scopo ed appropiarsi delle ricchezze di quel grande continente, avrebbe fatto di tutto, anche spargere sangue innocente (è il riferimento al "Made the Nation bleed" del testo. Sempre più pressati, i nativi furono costretti a lasciare le loro case e spostarsi altrove, percorrendo, per giorni e giorni, pianure e vallate, sentieri che in passato erano magari di caccia o di guerra, ma che adesso sono sentieri di lacrime. L'invasore sarebbe però arrivato presto ovunque ed il vento che spira è un vento di cambiamento, sanno che presto non avranno più un posto da poter chiamare casa, né un altro nuovo a cui poter dare questo nome. La sorte dei nativi americani, definita da alcuni come il più grande olocausto della storia, è purtroppo nota a tutti. In ultimo c'è da ricordare che per girare il videoclip promozionale la band si recò in Almeira, Spagna, in una location non molto lontana da quella in cui il Maestro Sergio Leone girò il primo capitolo della così detta "Trilogia del dollaro" e cioè "Per un pugno di dollari".

Time Has Come
Quella che segue, "Time Has Come" (Il momento è arrivato) è, a parere di chi scrive, un altro degli episodi di punta di un platter da leggenda come questo, una powerballad dal gusto sopraffino, magnificamente concepita, suonata e cantata con la passione che si addice a questa tipologia di tracce, l'unica in cui possiamo godere di una chitarra che si esprime tramite arpeggi. Andiamo però con ordine, perché ciò che ascoltiamo da principio sono le romantiche tastiere di Michaeli, due diverse linee, una con accordi alla base ed un'altra in arpeggio; contemporaneamente Joey ci regala un'altra interpretazione da sogno, calandosi perfettamente nell'atmosfera del pezzo. Questo per quanto riguarda la prima parte di strofa, perché i due vengono presto affiancati dalla chitarra in clean tone, in arpeggi appunto e l'effetto romantico/malinconico si accresce divenendo però al contempo anche più caldo. E' proprio in questa fase che il vocalist raggiunge il top dell'espressività. E' un momento magico che invece di essere ulteriormente prolungato viene guidato verso un'esplosione di Hard Rock melodico da manuale (di scuola rigorosamente europea) con l'ingresso perfetto della sezione ritmica, in cui anche il lavoro di Norum muta in power chords in distorsione alternati ad un riff giocato sulle corde basse e questo assetto cromato ci serve direttamente il refrain, e qui la voce perde parte della sua dolcezza per farsi più forte, ma sempre pulita. Ogni meccanismo dell'ingranaggio funziona a dovere, ognuno dà il suo contributo per rendere al meglio quanto suggerito dal vocalist, unico compositore dei brani, ed è questo l'assetto che gli strumenti mantengono per la seconda strofa, mentre ad alzare ancora un po' il tono è proprio la voce. Si arriva così all'assolo che si manifesta attraverso un altra performance da incorniciare da parte di John, che mette dentro tutta l'anima per portare la canzone ancora più in alto. Non parte affatto con il piede sull'acceleratore, ma divide il solo in una parte costituita da quello che ha più il sapore di un riff, ai primi tasti del manico, ottimamente coadiuvato da Léven che ne scandisce le misure e Michaeli che crea effetto con dei ripetuti crescendo di volume. Le diteggiature si spostano poi alle corde alte, quasi a fine manico, dove si snoda il fraseggio vero e proprio e possiamo sentire il basso tornare a pulsare un po' di più e ad aumentare in musicalità. Da lì Norum alle posizioni di partenza per una manciata di plettrate più rapide ma misurate, per concludere ancora con melodia. Poi è ripetizione del refrain fino alla conclusione sfumata. Questa è una traccia in cui la potenza è ben bilanciata rispetto a quelle che l'hanno preceduta, nel senso che la distorsione di chitarra riesce ad avere un senso maggiore. Tenendo presenti tutte le tipologie di persone cui il testo fa riferimento, ciò di cui gli Europe ci parlano qui è probabilmente il bisogno di tornare a casa dopo un lungo periodo d'assenza, per sentire ancora il calore della famiglia, l'affetto che essa esprime, che sia la casa dei genitori o quella in cui una persona amata e che ci ama (una compagna, ma potrebbe essere chiunque) è in attesa di poterci rivedere ed abbracciare. E' quello che desidera ardentemente un marinaio, lontano per mesi e mesi, in su una nave in mare aperto, non importa se durante il servizio militare o per recarsi in acque più ricche di pasce, il tempo lontano da casa è comunque molto. Lo stesso dicasi per lo straniero, in giro per il mondo per i più svariati motivi. Ancora più comprensibile per il soldato, che è ferito e più di chiunque altro brama di essere circondato dall'affetto dei suoi cari, posto in cui più di qualunque altro si sentirà ristorato. Singolare forse la situazione di un triste sognatore, in quanto lui potrebbe sentirsi lontano da casa in ogni modo. Forse però, il testo ha un qualcosa di autobiografico, un riferimento alla situazione di chi, come i componenti di una band, deve passare lunghi periodi on the road per portare il proprio show sui palchi del mondo e forse quel riferimento al momento di tornare a casa è nato proprio durante le tappe di un tour.

Heart of Stone
"Heart of Stone" (Cuore di pietra) è un Rock moderato, in cui i ritmi sono quasi rilassati. Non c'è alcuna necessità di correre ed infatti la sezione ritmica, motore costituito dall'accoppiata Hugland-Léven, scandisce il tempo con parsimonia, trend a cui la chitarra ben si adatta. Le tastiere di Michaeli, con quel sound dal sapore tipicamente ottantiano, conferiscono tratti leggermente pomp per poi mutare in un sottofondo più dimesso durante la strofa. Anche nella semplicità del brano i ragazzi riescono a creare una certa dinamicità ben espressa nella gradevolissima scelta della progressione di accordi in cui si snoda la traccia e su cui l'ottimo Tempest si muove perfettamente a suo agio; solo Norum divaga occasionalmente dal percorso comune uscendo dal coro con degli abbellimenti posti in alcuni punti strategici. La canzone ha buoni spunti melodici che emergono maggiormente durante il refrain che si apre maggiormente alla melodia, frutto anche di un coro di voci ben congegnato. La linea non muta nella seconda strofa, simile alla prima, ma è l'assolo confezionato dal chitarrista che consente alla traccia di elevarsi, composto com'è da diverse "anime" ottimamente miscelate e condensate in pochi secondi. Si parte infatti da una cellula più blueseggiante per poi passare ad accenni Funk quindi fraseggi classicheggianti per terminare poi con il ritorno al Blues nell'ultima, più rapida, sezione; sotto anche la ritmica si modifica e diviene un po' più dinamica in modo da far risaltare ancor di più il momento: un piccolo capolavoro all'interno della canzone. Il finale, come da copione, è la classica ripetizione del refrain fino alle ultime battute. Quanti si saranno trovati nella condizione descritta da "Heart of stone"? Molti sicuramente, è uno dei momenti della vita che tutti attraversiamo, con cui siamo chiamati a fare i conti più volte nel corso della nostra esistenza. Non riuscire a capire perché d'un tratto ciò che c'era fra due persone si rompe, non riuscire a farsene una ragione ed avere, almeno nelle prime fasi, sempre nella mente le nitide immagini di ciò che fu e vedere ancora ovunque il volto dell'altra persona, sentirne ancora la presenza nei gesti di tutti i giorni. E' un sentire che, ovviamente, domina quello dei due che non ha posto fine alla relazione che ingenuamente pensava che tutto era destinato a durare nel tempo, quello che, quasi con testardaggine, spera in un futuro riavvicinamento. Nel frattempo, però, vive in quel limbo fra speranza e consapevolezza, un limbo che lo lacera e lo fa camminare senza forze, senza spirito, come se fosse uno zombie e spera che l'altra si renda conto che lei è l'unica di cui si preoccupi, l'unica persona di cui gli importi davvero e resterà ad aspettarla anche se lei ha un cuore che ormai è diventato duro e freddo come la pietra.

On the Loose
"On the Loose" (In libertà), penultima traccia, è quella in cui il lato più duro e veloce del gruppo emerge in pieno ed anche quello in cui possiamo finalmente godere di una chitarra come Hard Rock comanda. E' proprio questo strumento a dare il la, con il volume che si alza gradualmente consentendoci di ascoltare l'accordo suonato; sembra il rombo del motore di un'auto in corsa e la si può quasi vedere quella macchina, si percepiscono quasi le fiamme che scaturiscono dal tubo di scarico. Arrivano i power chords ai quali si uniscono subito basso e batteria con colpi perentori quasi a simboleggiare i battiti del cuore dell'ipotetico pilota dovuti all'adrenalina; adrenalina che lo pervade in pieno quando la sezione ritmica accelera i tempi e si precipita al seguito della chitarra ritmica. Godiamo subito di un fraseggio di chitarra proprio un momento prima che si inserisca anche la voce, più combattiva che nei brani precedenti. Dato l'umore del brano è più urlata e l'effetto di eco con cui è registrata ne aumenta l'intensità, quasi a voler significare lo scompiglio che il suo passaggio provoca. Chi sembra relegato in un angolo, almeno in questa fase, è Michaeli, che però riesce a farsi sentire nel bridge e nel refrain e lega bene con gli altri strumenti conferendo un senso di pienezza, di completezza. La corsa prosegue con una seconda strofa dimezzata perché c'è quasi l'urgenza di rompere il muro del suono, non prima però di un attimo di preparazione al lancio ulteriore del bolide, che sembra un cambio di marcia, con Joey che urla la sua determinazione a sfidare il mondo. E' proprio in questo momento che la velocità aumenta ed è l'axeman a far aumentare i giri del motore con un assolo veloce e preciso in cui è possibile ascoltare un modo di plettrare che rimanda al grande John Sykes, una sicura influenza del giovane Norum, fan dei vari gruppi in cui il virtuoso britannico ha militato nel corso della sua carriera. La quantità di note vomitata dalla Stratocaster dello svedese fende inesorabilmente l'aria e si arresta solo per cedere di nuovo il passo al bridge ed all'ultimo ritornello, sempre nello stesso spirito di prima, fino alla conclusione secca che sta forse a simboleggiare che la macchina si allontana definitivamente dalla nostra vista scomparendo all'orizzonte. Il soggetto di "On the loose" sembra identificarsi ancora di più con quello dell'omonimo corto cui i cinque avevano preso parte, la descrizione sembra infatti rispecchiare la situazione di Peter, uno dei protagonisti. Ritroviamo qui alcuni degli elementi della sua situazione, anche se sono portati in una condizione più estrema; vediamo infatti un ragazzo che già vagabonda per le strade della città in cerca di qualche stimolo che lo interessi, ma gli è già chiaro che il posto in cui vive gli sta stretto e spera di fuggire da lì un giorno. L'ambizione che sente bruciare dentro gli fa sperare che un giorno diventerà qualcuno, che realizzerà qualcosa di importante. Per adesso però può solo sognare e per farlo liberamente si è quasi creato un mondo parallelo, un mondo di finzione in cui potersi sentire libero, vivere ad alta velocità, libero da catene sociali e convenzionali che potrebbero frenarlo. E' nell'ultima frase che scopriamo quella che è probabilmente la fiamma che gli brucia dentro, che lo fa ardere e che non lo fa desistere dai propri propositi: lo fa per qualcuno, forse un riferimento velato a Nina.

Love Chaser
Il platter si chiude con "Love chaser" (Cacciatore d'amore), pubblicata come singolo unicamente nel Paese del Sol Levante; una love song, come suggerisce il titolo. Una canzone sulla ricerca, sul bisogno d'amore, più che altro. Con un giro di tastiere che ha alcuni riflessi che lo fanno somigliare alla title-track, Michaeli dà il via a questa affascinante traccia,che ruota attorno a questioni di cuore, ma non manca di forza ed epicità. Subito lo raggiungono tutti gli altri e se chitarra e batteria sono più misurate nel loro contributo (la prima con una ritmica non serrata ma ben presente, la seconda con un ritmo piuttosto essenziale) il basso è un po' più vivace, come se andasse a trotto. L'inconfondibile ugola del lungo crinito platinato leader si appresta a narrarci quest'ultima vicenda con un timbro che unisce la sua nota passionalità ad una vena più sofferente. L'apertura melodica e catchy generata dalle voci in coro e dagli strumenti nel refrain non lascia scampo ed arriva dritta all'anima e riecheggia ancora nella mente quando, subito dopo di essa, la chitarra si esprime in un primo bel solo rapido ed evocativo che funge da elemento di transizione fra la prima e la seconda strofa, la quale segue pedissequamente quella che l'ha preceduta. Una breve variazione si ha alla sua fine, quando la chitarra viene lasciata sola per pochissimi secondi perché subito, in crescendo, evidente soprattutto sul rullante di Haugland, anche gli altri tornano e lanciano il secondo assolo di chitarra, quello principale, con un Norum decisamente ispirato che con diteggiature precise e velocissime, tanto da rendere quasi incandescente l'acciaio delle corde, senza perdere d'occhio la melodia, ci regala un altro momento di pura maestria. Il tempo di un altro bridge, seguito dal refrain ripetuto fino alla conclusione sfumata , impreziosito da un ending solo che gli fa da contorno, e ci avviamo alla definitiva conclusione di questo bel lavoro della band svedese. Per quanto riguarda le liriche, queste sono improntate a descrivere la paura che sia ha a volte di innamorarsi, di lasciarsi andare a questo sentimento. Nella frase di Joey "Tu decidi di aspettare dentro" potrebbe essere descritto proprio il comportamento di chi si chiude in se stesso, trincerandosi in un atteggiamento di difesa, con la paura dell'amore, pur rendendosi conto che da un lato il desiderio di amare ed essere amati c'è comunque, si avverte con forza. Quando poi si cede alla potenza del sentimento si vive, nelle fasi iniziali, con una certa diffidenza, la presenza di questa persona nella nostra vita è percepita quasi come un qualcosa che non ci convince del tutto, un'interferenza nel nostro abitus vitae. La connessione però comincia ad instaurarsi perché, oltre al suo respiro, possiamo sentire anche il battito del suo cuore, forte e nitido e non c'è da avere paura alcuna perché questa persona al nostro fianco ci fa vibrare l'anima. Se sappiamo riconoscere tutte questi aspetti allora siamo pronti per lasciarci conquistare del tutto e sarà come se l'altra persona avesse vissuto sempre al nostro fianco e sapesse tutto di noi.

Conclusioni
Torniamo quindi alla gig di Solna, quella che chiudeva le date del tour nella loro terra. Proprio quella sera la TV svedese si trovava nel luogo del concerto per filmare lo show ed è proprio lì che il videoclip di "The final countdown" viene realizzato, è quello che potete trovare su YouTube. Il video è la miccia che innesca l'inizio della vera ascesa del gruppo, i preordini per accaparrarsi il succoso platter cominciano ad essere numerosi, tanto che in pochissimo tempo le copie vendute sono già 100.000. Se vi ricordate, ho detto in apertura che l'idea di usare la canzone come primo singolo non era condivisa da tutti ed il più scettico era Mic Michaeli il quale racconta, con una punta di ironia: "Ricordo quando finimmo l'album, quando era terminato anche il missaggio, parlammo di quale canzone sarebbe dovuta diventare il primo singolo e qualcuno fece il nome della title-tack. Ricordo che dissi di no assolutamente, che no avrebbe funzionato e che avremmo dovuto usare "Rock the night" per il suo sound più heavy, ci rappresentava di più... mi sbagliavo!". Due mesi più tardi, a luglio, comincia anche a livello internazionale la campagna promozionale dell'album ed il primo feedback che i ragazzi ricevono arriva dall'Olanda, proprio nei giorni in cui si trovano in quel Paese per promuovere il loro lavoro fresco di stampa. Cominciano a realizzare quanto hanno appena fatto nel momento in cui, dice Joey: "Iniziammo a ricevere chiamate e fax in cui ci veniva comunicato che il singolo stava scalando le classifiche.", spetto confermato anche dalle parole di Adam Curry, all'epoca dj per la radio olandese Veronica, queste le sue parole: "C'erano molte Hair bands all'epoca, dall'America avevamo Bon Jovi, Skid Row, Motley Crue, anche in Europa c'erano le Hair bands... anche io avevo quel look all'epoca. Non ricordo esattamente quanto velocemente scalò la nostra top 40, ma arrivò al numero uno in 2 o 3 settimane!". Sempre in olanda, rivela Léven, hanno modo di ascoltare la loro canzone trasmessa alla radio; si trovano ad Amsterdam, all'interno di un taxi, quando una stazione trasmette "The final countdown", è una sorpresa enorme, proprio come succede nei film. Come un virus, dall'Olanda il successo si sparge per l'Europa e il singolo diviene numero uno in 25 Paesi e sempre il bassista osserva: "Prima avevamo seguito in Svezia e facemmo molti tour lì,ma poi il tour si estese a tutto il mondo e divenimmo molto occupati!". Presto arriva anche l'opportunità di realizzare un loro sogno: tenere concerti nel Paese del Sol Levante. Se cercate informazioni su Wikipedia a riguardo, leggerete che, dopo i connazionali ABBA, il secondo gruppo svedese in assoluto a suonare in Giappone sono stati proprio gli Europe... informazione errata, perché, appena un anno prima, una loro vecchia conoscenza, sempre proveniente dalla Svezia, aveva messo a ferro e fuoco il Paese con show trascinanti, un axeman che sarebbe assurto a status di autentica divinità in terra nipponica: Yngwie Johan Malmsteen! Ad ogni modo, i 4 shows tenuti lì sono un vero successo, tanto che per la straordinaria accoglienza il gruppo decide di pubblicare "Love chaser" come singolo unicamente per il mercato giapponese. Le prospettive sono rosee, tutto sembra andare per il meglio, ma non tutti sono contenti: John Norum comincia ad essere stanco di tutta la pressione che la promozione del platter sta comportando, tenendo presente anche che in molti casi devono partecipare a comparsate in canali musicali televisivi dei vari Paesi, in cui devono esibirsi in playback, una cosa orribile per un'ottima live band come la loro. Le ragioni più pressanti però sono altre. Per prima cosa, non ha mai fatto mistero di non apprezzare molto il modo in cui il sound ruvido del gruppo, quello degli esordi, sia stato snaturato per esigenze di marketing; a suo dire la chitarra è quasi scomparsa, soffocata dalle tastiere la cui presenza è diventata ingombrante, soffocante. Certo, la produzione del nuovo lavoro è a livelli elevati, la loro prima fatica discografica a beneficiare di una qualità di registrazione veramente professionale, ma il risultato è la relegazione della componente hard in un angolo. Ci sono dissapori con il manager Thomas Erdtman, di cui il giovane axeman pensa che si stia arricchendo col frutto delle fatiche del gruppo. Purtroppo alcune incompatibilità si sono create anche all'interno del combo, fra lui e Tempest, perché è questo che si occupa della scrittura dei brani e detta la linea; a riprova di ciò sta il fatto che il chitarrista ha proposto dei brani più duri che però non sono stati presi in considerazione. Annuncia così agli altri che intende tirarsi fuori, ma dà la sua disponibilità a proseguire il tour per dar loro modo di trovare un sostituto. Subito si comincia a pensare chi potrebbe essere in grado di rimpiazzare il loro amico ed il primo nome che viene in mente a tutti è quello di Kee Marcello degli Easy Action, proprio colui che aveva prodotto il brano che Joey aveva scritto per il progetto Swedish Metal Aid. Il manager contatta subito Kee, ma questi, che ha appena registrato un album con il gruppo, in cui crede, rifiuta. Le sue quotazioni non accennano però a scendere perché gli Europe non riescono a pensare ad un sostituto migliore di lui, non si danno per vinti. Erdtman non si arrende e prova a far cambiare idea a Kee indirettamente, chiedendo ad un'amica di quest'ultimo di convincerlo. Intanto il carrozzone del tour è sempre in movimento e sta attraversando i patrii confini per la seconda tranche delle date svedesi che terminano con la gig allo Ice Stadium della capitale. Parallelamente a ciò, il singolo continua a scalare le classifiche, raggiungendo la vette anche in Germania, allora ancora divisa in blocco est e blocco ovest, e sembra naturale recarsi nel Paese (la parte ovest naturalmente) per una serata in cui suoneranno solo davanti ad invitati selezionati, fra i quali giornalisti e case discografiche. Tutto sembra prendere una piega diversa quando, poco tempo dopo quella serata, il management riceve una chiamata: è Kee che ha valutato l'offerta perché si è reso conto che non approfittare di questa opportunità potrebbe rivelarsi un grande errore. C'è un problema però, non può unirsi subito al gruppo perché non conosce le sue canzoni ed ha bisogno di un po' di tempo per impararle, così l'entourage riesce a convincere Norum a restare ancora un po' per permettere al futuro chitarrista di prepararsi adeguatamente. John fa in tempo a prestare la sua opera per tutto il tour europeo, che li ha visti visitare molte città e che, alla fine, si conclude con uno show ad Amsterdam, il 31 ottobre 1986, che è anche l'ultimo con il loro vecchio compagno. Le due parti si separano amichevolmente e senza rancori, perché i ragazzi comprendono le ragioni di Norum ed anche lui può capire il momento magico che gli altri stanno vivendo. Fuori un asso della sei corde, dentro un altro! Ora Kee ha fatto il suo ingresso in squadra, suona in una band che sta cavalcando la tigre. Arriva quindi il momento di realizzare altri videoclip che contribuiscano a spingere la popolarità e vedono così la luce quello di "Rock the night", girato all'Hard Rock Cafè di Stoccolma e quello di "Carrie"girato in Inghilterra, entrambi visionabili su YouTube, in cui vediamo Marcello suonare parti ritmiche e soliste registrate su disco dal suo predecessore. I fans hanno ben presto la possibilità di vedere all'opera il nuovo acquisto il 12 dicembre in Germania durante una trasmissione televisiva, il Peters Popshow, in una serata che vedeva esibirsi anche altri artisti famosi, davanti a 16.000 persone. L'ascesa non pare accennare ad arrestarsi, il primo singolo pubblicato continua a raggiungere ed assestarsi sulle posizioni calde delle classifiche di altre Nazioni ed il 2 novembre è numero 1 anche nella terra di Sua Maestà Elisabetta II. Il nuovo anno viene inaugurato con un'altra serie di concerti Europei ed hanno anche l'opportunità di esibirsi nel leggendario Hammersmith Odeon, storico teatro della capitale inglese, quasi mitico per loro, perché le assi di quel palco sono state calpestate da molti degli artisti che li hanno influenzati, i loro idoli da ragazzini; proprio lì verrà registrato il loro live, il "The final countdown world tour". Sette furono le date italiane del carrozzone festoso portato in scena dagli ex Force, che addirittura saranno ospiti stranieri a Sanremo e "Domenica in". Il bilancio della vendita di quel fortunato singolo è positivo ed altamente incoraggiante, le copie vendute hanno superato i due milioni di unità e adesso non resta da fare altro se non partire alla conquista degli U.S.A., mercato importantissimo, in cui le prime due tracce del platter stanno godendo di un discreto airplay radiofonico ed anche dal punto di vista televisivo, dal momento che la giovane MTV ne trasmette regolarmente i rispettivi videoclip. Com'è noto però, quella grande dispersione geografica che sono gli Stati Uniti è difficile da conquistare, perché, come molti artisti hanno avuto modo di notare nella loro carriera, affermarsi in un posto, o anche uno degli Stati dell'Unione, non vuol dire affermarsi ovunque, succede spesso che di un gruppo famoso in New Jersey, ad esempio, non si conosca assolutamente nulla in Texas o in altri posti; aspetto a cui va aggiunto, come ho già accennato, il fatto che act provenienti da oltre i confini nazionali non sono mai stati accolti con calore ed entusiasmo, ad eccezione di pochissimi, mi vengono in mente i Fab Four. Per destare interesse lì è quindi necessario battere il Paese in lungo e in largo, cercando di coprire il più alto numero possibile di città ed è proprio ciò che fanno gli scandinavi, registrando il tutto esaurito in ognuna delle 23 tappe della serie di concerti americani, iniziate con la prima al Warfield Theatre di San Francisco, il 15 aprile 1987 e conclusesi con quella finale a Philadelphia il 17 maggio. L'ultima mossa per far definitivamente breccia nelle charts yankee è quello di pubblicare un singolo che abbia un appeal radiofonico ancora maggiore ed essendo quello degli U.S.A. un pubblico in generale più "facilone", più attento alla melodia di facile appiglio che a soluzioni più elaborate e raffinate, si deve proporre qualcosa che arrivi direttamente ai loro cuori. La scelta ricade su "Carrie", perché, in tutto il mondo e particolarmente nella terra dello Zio Sam, è un momento particolarmente propizio per le powerballads e la mossa risulta azzeccata perché il singolo si piazza alla terza posizione nella classifica di Billboard, superando così il primo, fermo all'ottava. Il tour termina con l'esibizione al Roskilde Festival (che fra quelli dell'Europa continentale è il più vecchio) tenuta nella città danese di Roskilde, il 4 luglio 1987. Il bilancio finale è assolutamente positivo: un singolo in cima alle classifiche di 27 Paesi, con 12 milioni di copie vendute ed un album che si è attestato sui 6 milioni di copie; il momento è decisamente magico. Terminata la trattazione del contenuto del disco e la narrazione delle cronache di quei giorni, possiamo adesso analizzare il l'impatto e la portata storica di questa release. Per chi scrive, questa terza fatica discografica degli Europe ha grande importanza; è grazie a questo lavoro che personalmente, anche se ancora bambino, mi resi conto all'epoca dell'esistenza della musica, intesa come prima fonte di interesse verso questa arte. Non divenni un appassionato di musica nel vero senso della parola, ma l'impatto visivo e il tipo di suono con cui questi ragazzi si imposero non passò certo inosservato. Era veramente difficile, per chi avesse un minimo di consapevolezza della propria esistenza, non sapere che al mondo ci fosse questo gruppo. Le suggestioni scatenate in me dalla title-track e da "Carrie", colpirono nel profondo e rimasero latenti fino a quando, qualche anno più tardi, quella per le note divenne una passione irrinunciabile. Il disco fu un successo e, aspetto che aiuta a comprenderne la popolarità, della title-track vennero fuori alcune parodie che forse in pochi ricorderanno perché, data l'inesistenza di social e quindi di un mondo costantemente connesso ed in comunicazione come quello di oggi, non godettero di una diffusione su scala più ampia. Commetteremmo un errore, però, se giudicassimo il platter solo in base a "The final countdown" e pochissime altre tracce; è indubbio che brani come quello e come "Carrie" e "Rock the night" abbiano un diverso peso specifico, ma gli altri capitoli non sono affatto trascurabili e ci danno la misura di un gruppo ispirato e votato a prendere il toro per le corna. Se da un lato una produzione finalmente all'altezza aveva portato ad un suono più morbido e levigato, dall'altro aveva dotato tutte e dieci le canzoni di una luce propria che le fa brillare ancora oggi, esaltandone il lato melodico e conferendo una freschezza che regge ancora dignitosamente bene dopo trentadue anni. Il risultato di tutti questi elementi sommati fu quello di un lavoro entrato di diritto nella storia della musica, della quale ha scritto una pagina importante e quello di definire un'epoca. Anche la copertina la cui realizzazione aveva allora ritardato la pubblicazione dell'album, giudicata poi, a lavoro ultimato, alquanto deludente, tanto da aver spinto Léven ad affermare: "E' patetico che la realizzazione di un disco debba essere ritardata a causa della copertina e poi questa non è nemmeno di classe mondiale!", è ormai entrata nell'immaginario collettivo come elemento distintivo un genere e di una decade ben precisi. L'aspetto negativo di tutto ciò è rappresentato dal fatto che purtroppo, per i più, gli Europe saranno identificati quasi esclusivamente con tre brani, sorvolando sulla loro produzione precedente e successiva. Ancora, data la loro immagine, da molti altri sono a tutt'oggi identificati con il mega-party degli anni ottanta, scena creata dai gruppi Glam Metal, con canzoni a base di donne, sesso, parties appunto, vita vissuta ad alta velocità. Una identificazione secondo me ingiusta, impietosa, perché se è vero che i testi delle loro canzoni non avevano riferimenti colti o politicamente impegnati, è altrettanto vero, come ho osservato più su, che il rapporto fra i due sessi che scaturisce dalla penna di Tempest è improntato su onestà e rispetto reciproco, diversa concezione rispetto a come lo intendevano molti loro colleghi. Volgendo di nuovo lo sguardo indietro, i cinque ragazzi avevano raggiunto il loro scopo, si era verificato per loro l'allineamento dei pianeti. Le loro vite erano cambiate ed in modo considerevole perché il prezzo del successo raggiunto sarebbe stato legato per sempre a "quel" brano, col quale saranno costantemente chiamati a misurarsi nel corso degli anni, riguardo al quale riferimenti nelle interviste non accennano a finire ancora oggi. Se Marcello era entrato a far parte del gruppo nel momento migliore, guadagnandone anche la notorietà personale, dispiace per Norum che ne era fuoriuscito all'apice del successo; la sua parte di storia, però, il buon John ormai l'aveva scritta! Guardando a quegli anni, l'ubriacatura generata dal successo è comprensibile, presto i ragazzi si sarebbero chiusi in studio per un nuovo album; è quasi ironico, però, dover constatare che un diverso ed amaro "conto alla rovescia finale" era purtroppo già iniziato!

2) Rock the Night
3) Carrie
4) Danger on the Track
5) Ninja
6) Cherokee
7) Time Has Come
8) Heart of Stone
9) On the Loose
10) Love Chaser


