EUROPE
Secret Society
2006 - Sanctuary Records

CHRISTIAN RUBINO
25/04/2020











Introduzione recensione
"In passato abbiamo avuto un enorme successo e ora stiamo solo lentamente cercando di ricostruire le cose, ma devo dire che ci sentiamo quasi più a nostro agio solo adesso che siamo una rock band che lavora sodo. Quello era il nostro sogno fin dall'inizio. E quando abbiamo avuto quel "flirt" (diciamo) con il mondo "pop" dopo l'uscita di "The Final Countdown", a volte era quasi scomodo perché c'erano così tanti spettacoli, interviste e così tante sessioni fotografiche che la parte del musicista era dimenticata e messa da parte."
(Joey Tempest, intervista di David Felix per Rock Eyez)
Purtroppo questo nuovo lavoro delude ancora una volta le attese di chi credeva che la band scandinava ritornasse su suoi passi con un suono stile anni '80 alla "The Final Countdown". Già l'orribile copertina, fa intuire che qualcosa non va, soprattutto perché il logo del gruppo è insolito. La famosa e storica scritta "Europe" con le lettere a punta è sparita; in verità solo sulla lettera "O" si vede ancora, disegnata all'interno in piccolino, la famosa "E" a quattro punte. Il tutto per far posto a dei caratteri anonimi che non si addicono al loro grande nome e neppure al loro glorioso passato. Questo nuovo platter, riconferma quindi il nuovo corso musicale degli Europe? Sì, perché oltre alla dicitura del nome della band, lo stile della prima parte della loro carriera è distante anni luce dal ritorno in pista in questo nuovo millennio. Passati due anni dall'attesissimo ritorno, con il discreto "Start From The Dark" del 2004, abbiamo un nuovo lavoro discografico pubblicato il 26 ottobre 2006 e il settimo album in studio del combo di Upplands Vasby, intitolato "Secret Society". Se la precedente opera aveva scontentato lo zoccolo duro dei fan con un'ibrida unione tra l'hard rock e l'heavy metal moderno, questa nuova fatica porta il sound degli svedesi su direzioni opposte, creando un buon lavoro di melodic-rock che strizza un po' l'occhio anche agli anni '70: "Questo disco suona meglio ed è più vario musicalmente. Lasciamo semplicemente che le cose accadano naturalmente quando facciamo un nuovo Cd. Ci occupiamo di lavorare con persone di talento per registrare e mixare al meglio le nostre canzoni. Per noi quest'album è fresco e interessante (Joey Tempest, intervista di Yann G & Fab A. per auxportesdumetal.com)". Il frontman svedese prova ancora una volta a ritagliarsi un suo spazio e a catturare un po'di attenzione nella difficile scena del Melodic Metal internazionale, cercando di smorzare le polemiche sollevate dalla critica e da molti supporters, arrabbiati per il deludente ritorno dopo lo split del 1992. Innanzitutto, a dover di cronaca, bisogna dare atto che il singer vichingo è un cantante eccellente e John Norum è un chitarrista geniale. Quest'ultimo ha saputo imporre, su questo disco, le sue idee e le sue sonorità preferite, frutto dell'eccellente carriera solista e delle tante collaborazioni avute con vari artisti. Questa nuova fatica conferma apertamente la svolta nel suono degli Europe, anche se "Secret Society" è ancora un disco di assestamento, di ricerca di nuovi orizzonti, con un sound ancora in piena evoluzione, come per esempio negli arrangiamenti vocali che sono a mio parere troppo curati. Questa continua mutazione si percepisce anche nella sufficiente auto gestione della produzione del platter, mixato però dal bravo Stefan Glaumann (produttore dei Rammstein). Rileggendo i pesanti e negativi giudizi sui giornali e sui forum, che hanno accompagnato quest'uscita, si potrebbe pensare che la band sia completamente fuori strada e senza futuro. Forse avrebbero dovuto cambiare il moniker e ripartire, in santa pace, da zero ma ascoltando attentamente le undici canzoni sono convinto che invece "Secret Society" è un trampolino di lancio per una svolta epocale e sincera, che porterà in futuro nelle orecchie dei metalheads di tutto il mondo un ottimo e pregevole hard rock di stampo settantiano. Gli Europe, non curanti delle polemiche proseguono per la loro strada per superare i propri limiti e crescere così artisticamente verso nuove esperienze sonore. La strada è in salita e non è facile accontentare tutti ma il segreto è compiacere prima di tutto se stessi: "Alcune persone dicono "Oh, mi piacciono le cose vecchie!" e altri: beh, mi piacciono le cose nuove". Quindi abbiamo avuto due campi contrapposti, ma si stanno lentamente sciogliendo insieme ... questi due diversi punti di vista e i fan stanno iniziando ad accettare la progressione di Secret Society (Joey Tempest)". La scaletta del disco presenta una prima metà più energica e una seconda leggermente meno incisiva che esaminerò attentamente. I cinque europei con questo nuovo lavoro in studio fanno un passo in avanti o indietro? Lo scopriremo alla fine leggendo tra i solchi del disco.

Secret Society
S'incomincia con la title-track, una delle tracce più ostiche per i vecchi supporters ma che con ripetuti ascolti è uno dei migliori pezzi del disco per la sua originalità e per l'azzeccata melodia, seppur inusuale per il gruppo. La nascita di questa canzone è particolare. Scritta da Joey, il nome e la musica della song scaturiscono da una conversazione telefonica che il leader degli Europe ha con Robert Plant qualche mese prima della sua stesura. L'ex Led Zeppelin sta partecipando a uno show televisivo in Svezia e la trasmissione chiama Tempest per farli parlare. Il conduttore sa che Robert è uno degli idoli del singer scandinavo e mentre i due artisti discutono, in generale, delle band rock e dei tour che entrambi si apprestano ad affrontare, nascono allo svedese l'intuizione e l'idea, che tutti i musicisti devono restare uniti ... quasi come un legame nascosto o una società segreta. Robert e Joey non sono amici ma si sono incontrati alcune volte di sfuggito ma questa conversazione è appassionante per il nostro vichingo e "Secret Society" (Società segreta) rappresenta proprio l'unione che tutti i musicisti del mondo dovrebbero avere perché la musica ha il potere di riunire in pace tutti gli uomini del pianeta, senza alcun tipo di differenze: "Per me è una canzone molto speciale. È solo una di quelle canzoni che spicca davvero e ha un'atmosfera unica ... anche diversa dallo stile Europe e a tutti noi piace molto(Joey Tempest)". La traccia inizia con delle voci filtrate e con dei riff taglienti tra atmosfere blues-thrash e armoniche virate chitarristiche in pieno stile prog-power, dove i cambi di tempo sono convincenti, rilassanti e coinvolgenti. Bello anche il mini-assolo di tastiere del rinvigorito Mic Michaeli, che ritorna protagonista rispetto all'album precedente. Il buon groove di chitarra e l'ugola filtrata di Tempest fanno il resto e donano un tono evoluto al brano. La chitarra di Norum ha poi molto in comune con i pesi massimi dell'alternativo hard rock, come gli Audioslave e poco feeling con le sonorità degli eighties del suo illustre passato. Attenzione però! I nostri eroi nel proseguo dell'opera non si sbilanciano più di tanto rimanendo comunque sempre ancorati a un melodic metal di cui sono sempre maestri e dal quale sono profondamente legati.

Always The Pretenders
"Always The Pretenders" (Sempre i bugiardi) è una traccia vivace, una ballata
che non è neppure una lontana parente della strappalacrime "Carrie" ma dove si sente comunque il legame con il passato, con un bel refrain e un'ottima interpretazione vocale. Scritta a quattro mani da Tempest e dal fido bassista Leven, il brano è stato uno dei primi a essere creato all'inizio del processo di stesura ma l'ultimo a essere inserito in scaletta e addirittura all'ultimo minuto, modificato in alcuni accordi con l'aggiunta di qualche ritocco, che l'ha reso poi molto avvincente. Si apre dolcemente con la chitarra acustica per poi esplodere in un riffing robusto, in pieno stile Deep Purple, abbellito dalle tonalità pulite e intense di Tempest. La lirica è un'osservazione di ciò che è successo a New York l'undici Settembre del 2001 e di come, questa vicenda ha segnato forse e per sempre nel profondo le nostre anime: "Forse abbiamo esagerato e stiamo vivendo questa sorta di shock. Forse abbiamo rotto il sigillo e le crepe iniziano a vedersi. Forse abbiamo oltrepassato il limite. Forse abbiamo acceso la miccia; un'abitudine difficile da perdere". Questa è una riflessione che fanno i due artisti che si affidano solo ai sentimenti per superare questa immane tragedia: " Ero a Londra in quel momento e ricordo di essere stato con mia moglie ed è stata la cosa più strana che abbiamo mai vissuto"(Joey Tempest). È solo un triste ricordo ma l'ottimismo prevale nel ritornello, nel coro da gridare a squarciagola e un camion di emozioni trasforma il tutto in una super canzone d'amore, diventando così uno dei brani preferiti del nuovo album: "Tutto quello che posso ricordare sei tu, Dicendomi che c'è stato un incidente. Sempre i bugiardi, ho sempre pensato che l'amore c'è l'avrebbe fatta. Ogni giorno mi manca la tua innocenza". Colpisce il grande senso melodico degli Europe, come non succedeva da qualche tempo e la scelta del sentimento dell'amore, come unica arma per combattere l'odio e avere la pace.

The Getaway Plan
"Ehi, sono la voce nella tua testa. Un amico che una volta hai lasciato per morto. Sono stato occupato, ti sono mancato? Sono tornato per riempire il tuo vuoto". Con "The Getaway Plan" (Il piano di fuga) è toccata l'interiorità degli esseri umani che hanno perso la loro coscienza per strada per seguire il proprio egoismo e le cose futili di questo mondo. Questo è il primo vero high-light e uno dei migliori testi dell'opera, dove i cinque vichinghi ricordano a tutti che l'unica via di salvezza è di affidarsi alla propria coscienza: "Sono il brivido che ti corre lungo la schiena. Uno strano tipo dentro la tua mente. So che sei merce danneggiata, hai fatto il meglio che potevi. Penso che tu capisca che sono il tuo piano di fuga". La song si apre con un ruggito della chitarra di Norum, che dopo qualche secondo fa partire un riff rock fantastico e una melodia ultra accattivante. Il nostro guita hero è veramente indiavolato mostrando tutta la sua abilità con le sei corde in uno stile vicino ai mitici Rainbow e seguito a ruota da una sezione ritmica velocissima, con Leven ed Haugland capaci di macinare chilometri senza perdere un colpo. Il sound è settantiano, grezzo e orecchiabile, cucito proprio sulla pelle del chitarrista svedese e poco per la splendida voce di Joey che sembra non essere a suo agio nel tenere il passo del pezzo. La stessa cosa si può dire per la keyboard di Mic messa in castigo per l'occasione, ma per fortuna non mancano, comunque, dei grandissimi momenti, come l'assolo devastante dello stesso John, che ancora una volta conferma la sua bravura e la sua abilità. Il nuovo corso intrapreso dagli Europe mette in luce i loro gusti musicali e la loro sincerità. Non è poco per chi poteva ancora sfruttare la possibilità di scrivere canzoni pop rock e racimolare qualche spicciolo in più.

Wish I Could Believe
Adesso è il momento del primo mid-tempo del gruppo, scritto da Tempest e Michaeli, che non componevano qualcosa insieme da molto tempo e il risultato con questa traccia è molto interessante. La spirituale "Wish I Could Believe" (Vorrei poter credere), coglie nel segno per le sue liriche e meno per il suo suono in pieno stile blues. Purtroppo questa semi-ballata rock dallo stile moderno, sonoramente, è un gradino sotto rispetto ai precedenti brani esaminati. Il testo parla di come trovare la fede in questi difficili tempi, nelle nostre società consumistiche, egoistiche e fatte solo di apparenze. Dove trovi la fede? Nei tuoi cari? Nella chiesa? Con la tua famiglia? A volte è difficile riporre tutta la fede nella religione e la band affronta il problema in generale ma senza dare una soluzione o un consiglio: "Mostrami cosa non siamo. Deve esserci un piano per ogni uomo perché io, vorrei poter credere in Dio. Quindi potrei andare avanti ma so di non poter credere in Dio". Ian Haugland con i suoi tamburi da l'imput per l'ingresso del riff cadenzato e leggero di John, seguito dalla serena voce del biondo vocalist che leggermente introduce il ritornello di questo bel motivo AOR. Musicalmente la song ha un coro maturo, alcune interessanti idee stilistiche e un buon ritmo ma il tutto nella norma. Carino il suo suono rock and blues, dove il tastierista Mic Micheali accarezza delicatamente i suoi tasti, fornendo così in sottofondo un'ottima melodia. Una delle tracce più esistenziali dell'album, ma non la migliore in scaletta.

Let the Children Play
Questa traccia è un altro mid tempo appassionante, con un grande riff e con le corde vocali di Joey Tempest finalmente in grande spolvero, che lasciano spazio nel finale anche a un coro di bambini, come quello famoso di "Another Brick In The Wall" dei Pink Floyd". "Let the Children Play" (Lascia giocare i bambini) è una song di hard rock melodico ma anche complessa e persino progressive soprattutto per chi conosce benissimo la musica degli Europe. Gli autori: Joey e Mic regalano un po' di rock classico e retrò, che impiega del tempo per farsi assimilare, spianando la strada allo stile che il combo da qui a breve intraprenderà definitivamente e senza rimpianti nei successivi dischi. Nonostante tutto, il pezzo genera emozioni e una sincera spiritualità, che si manifesta nel testo, come se i nostri artisti stiano vivendo un momento particolare della propria vita, buttandosi nei ricordi familiari: "Mia madre diceva che era meglio restare in riga. Cercare la magia e aspettare il momento. Mio padre mi diceva sempre, devi lavorare davvero duro e rimanere una persona normale. Mio fratello, so che cosa avrebbe detto: lascia che i bambini giochino. Mia sorella vuole mostrarmi come cadere in piedi e dovrai sopportare degli imbrogli prima che tu ottenga quello che vuoi". Nulla di strano nella scrittura, ma quello che colpisce è la sensibilità che si percepisce nel sound e nella strofa del ritornello, in un connubio ben riuscito, dove emerge ancora una volta la ricerca della "fede religiosa", come unica ancora di salvezza in questo disastrato mondo: "Così Dio vuole dirmi che c'è un altro modo; lascia giocare i bambini! Non importa da dove veniamo ma da come ce ne andremo da qui. Sappiamo, dove vogliamo andare, abbiamo solo bisogno di un tracciato per arrivare li". Pezzo ben riuscito, riflessivo e da brividi!

Human After Hall
Non tutte le ciambelle riescono con il buco e "Human After Hall" (Umano dopotutto) è purtroppo l'anello debole del platter. Non bisogna farsi ingannare dall'orchestrazione classica che sfuma subito, all'inizio della traccia, perché un groove più originale e grintoso, con un coro moderno e non di vecchia maniera avrebbe potuto giovare meglio alla causa dei cinque musicisti. Questo è uno dei numeri più fiacchi di "Secret Society" perché il rock blues proposto è si robusto ma sa di già sentito. La ruvidezza della song si scontra con l'armonia in un connubio che non fa impazzire più di tanto e che vede ancora gli Europe alla ricerca di un equilibrio sonoro ancora provvisorio. Nel complesso la traccia è comunque intensa nell'avvincente duello basso-batteria, cupa e incisiva nei suoi riff Sabbatiani ma l'arricchimento maggiore è dato da un coro vecchia maniera di lacrimante emotività. Merita un elogio, la voce di Tempest che ha una forte timbrica blues e a tratti anche stretta per un'ottima interpretazione drammatica dei testi. La scrittura è il riconoscimento dell'imperfezione umana e soprattutto della band che si scusa con i supporter, mostrando tutta la propria onestà artistica: "Per ogni sogno che è andato via, abbiamo trovato la normalità. Per ogni cielo blu che diventa grigio, abbiamo trovato modi immaginari. Ti guardo e dove siamo. Dopotutto siamo umani". Song oscura e roccheggiante, che evidenza le varietà orchestrali della magica tastiera di Mic e sa, essere un po' coinvolgente nel refrain grazie all'ottimo lavoro nei tempi della coppia: Leven/Haugland, oltre al solito assolo demolitore della graffiante chitarra di Norum. Human After Hall tradizionalmente discende ancora dal precedente e mediocre album di reunion degli svedesi e non incide positivamente sull'intero lavoro. Fa sorridere un verso, dove Joey canta: "Dai, più di quello che hai senza paura e racconta la tua storia" e sinceramente non so se in quest'ultima fatica i cinque artisti ci siano riusciti del tutto. Dopotutto siamo umani e la perfezione non esistono nella musica come in nessuna cosa di questo mondo!

Love Is Not The Enemy
"Love Is Not The Enemy" (L'amore non è il nemico) è la classica canzone hard rock da suonare in sede live per il suo groove energico e adrenalitico. Al primo ascolto, la stranezza del pezzo, a pari della precedente traccia, sta nel fatto che il sound sembra provenire direttamente da un'uscita solista di Don Dokken, con cui il guitar hero John Norum ha militato per un po' di tempo. Forse si tratta di un pezzo nascosto o messo da parte e ripresentato in questo nuovo corso con gli Europe. Sembra che la canzone abbia avuto nella costruzione alcune idee disapprovate da Norum in passato e sulle quali l'amico e co-autore Tempest sente il bisogno di provare a cantare, negativamente, con troppi effetti mono sulla sua irriconoscibile voce. Il suono è comunque molto orecchiabile, con riff esasperati, che portano il marchio indiscutibile e le tipiche sfumature del chitarrista norvegese. Certo, non stiamo parlando di death metal melodico ma John qui offre una musicalità pop, mischiata con dei riff che potrebbero paragonarsi a quelli dei famosi svedesi In Flames. Deludente la voce, ancora una volta filtrata, del vocalist che perde di efficacia e le liriche che parlano del sentimento dell'amore verso il prossimo ma che in una strofa riprendono addirittura una frase storica di "The Final Countdown", che rimane sempre, come un tormentone, nella testa dei vichinghi: "The years keep on calling. Headed for Venus". Lo scritto parla comunque della consapevolezza che spesso l'essere famoso e ricco fa perdere di vista il senso e la difficile realtà della vita, portando a un egoismo cieco e distruttivo, che solo l'amore può riportare con i piedi per terra: "Distruggi le barricate, alza l'allarme. Abbiamo dimenticato come sentire. Rompi il silenzio, gridalo. Chiama gli angeli, c'è un amico nel bisogno. L'amore non è il nemico!" Fortunatamente il refrain è sufficiente e ricorda anche qui il materiale dell'opera precedente, avendo pochissimi spunti dello stile rock dei vecchi Europe, che cercano di essere quello che ancora non sono. La speranza è di convertire i vecchi e trovare dei nuovi adepti ma non è facile e bisogna avere fiducia: "Oh, puoi sentirlo, a qualcuno interessa"?

A Mother 's Son
Fortunatamente proprio quando si erano perse le speranze di udire una canzone made in Europe, arriva il tenero "A Mother 's Son" (Il figlio di una madre) guidato dal pianoforte in uno stile quasi orchestrale. Questo è un brano nato per caso, nello studio discografico. Joey è con i suoi genitori durante alcune registrazioni, e nelle lunghe giornate delle prove pensa al padre di Mic e alla mamma di Ian deceduti da poco. Il vocalist è preso da una strana malinconia e ricordando il dolore dei suoi amici, riflette sulla brevità della vita e alle persone care che rischiamo di perdere: "C'è una luce, un diverso tipo di luce quando chiudiamo gli occhi. Il figlio di una madre sa che non cammina mai da solo. Non importa cosa diventerà. Per quanto ci provi, non lo potrà mai restituire. La vita è troppo breve per il figlio di una madre". La morte fa arrabbiare il leader degli Europe e questo sentimento è riflesso benissimo nel testo della canzone: "C'è una rabbia, un tipo di rabbia silenziosa Che ti fa vivere, fuori proprio al limite. C'è un dolore, un diverso tipo di dolore. Sapere che il tempo cambierà tutto. Non puoi semplicemente fare finta di niente". Musicalmente, la traccia è una ballata sofferta, drammatica e infarcita di note melanconiche con un Tempest inedito, sconsolato e dimesso ma fautore di buone linee vocali. Tuttavia il pezzo, dalle venature prevedibili, è attenuato da alcuni discreti lavori di chitarra acustica, che accentuano la melodia e l'assolo di chitarra. Forse è un po' messo male nella scaletta perché merita più visibilità e sarebbe stato meglio inserirlo all'inizio dell'album. "Da un'idea che avevo su una chitarra acustica. L'ho presentato ai ragazzi e all'inizio, era un ritornello a tempo pieno ma John pensava che sarebbe stato meglio a metà tempo ... come il verso quindi, l'abbiamo cambiato e si è rivelato essere una bella traccia sia musicalmente che liricamente(Joey Tempest)". Lento, cupo e particolare nella discografia della band di Stoccolma.

Forever Traveling
Le emozioni del passato piombano incalzanti nella delicatezza di "Forever Traveling" (Per sempre in viaggio), tributo degli scandinavi alla città di San Francisco negli USA. Non sonoramente perché questa non è una traccia di trash metal ma piuttosto liricamente: "Questa è un'altra traccia che i ragazzi della band amano davvero ... me stesso incluso. Ha una sorta di senso melodico che ti riporta un po' ad alcune delle cose più vecchie degli Europe (Joey Tempest)". Il testo, parla dei ricordi della vita passata nella città californiana quando i nostri eroi hanno scritto lo sfortunato album "Prisoners In Paradise". Sono lontanissime reminiscenze di essere stati nella stupenda California nel lontano 1991, dove gli scandinavi ascoltavano in viaggio, alla radio, la bellissima voce di Steve Perry. Tempest e company non nascondono il desiderio di poterci ritornare: "Oh, io so solo dove voglio essere. Per sempre errante, viaggiando per sempre". La voce di Tempest è perfetta e finalmente non camuffata da nessun trucco da studio. La song inizia con una distorsione di chitarra che introduce un refrain orecchiabile di stampo americano, un coro ben riuscito e il fedele Norum che riesce questa volta a darsi una calmata, reprimendo i suoi travolgenti riff nei momenti salienti del pezzo. "Forever Traveling" è quindi una specie di tributo a Steve Perry e Neil Schon, che hanno dato molta ispirazione ai cinque musicisti nell'età adolescenziale. Joey Tempest e John Norum amano follemente la musica dei Journey e del citato Perry. Per un po' i cinque ragazzi hanno vissuto in "Lombard Street" a San Francisco, e quindi questa bella canzone è un bel ricordo e un omaggio all'America in generale. Pezzo che annovera la melodia più riuscita del disco per una grandissima canzone che farà sognare a occhi aperti i vecchi e i nuovi fan. Traccia da grandi emozioni e che esige di essere ascoltata rigorosamente in auto nei lunghi percorsi lasciandosi abbandonare ai ricordi più belli della propria vita.

Brave And Beautiful Son
"Brave And Beautiful Son" (Figlio coraggioso e bello) è forse il pezzo più anonimo delle complessive undici tracce perché presenta qualche piccola influenza degli U2 dell'ultimo e non esaltante corso, con riff hard rock non troppo convincenti e scontati per emergere e distinguersi tra migliaia e migliaia di band rock nel mondo. Anche qui la scrittura dalla song colpisce e fa riflettere. In generale, una certa critica superficiale afferma che è difficile prendere sul serio ciò che scrivono e cantano i musicisti rock e metal ai tempi d'oggi. In realtà è vero il contrario perché molte società Occidentali tendono a sminuire e a isolare i rockers e i metalhead che invece, spesso, affrontano seriamente una causa politica o umanitaria. Gli Europe, nel 2012, sono tra coloro, che cercano di smuovere le coscienze, con i loro testi e il loro sound. La lirica non denuncia qualcosa di specifico ma da alcune parole si percepisce l'amore verso il prossimo, che può essere il "diverso", come l'immigrato che scappa dalla guerra e dalla fame, il portatore di handicap o il povero che chiede l'elemosina in una delle nostre caotiche città. Le ipotesi sul significato delle parole possono essere tante, ma in realtà questa è una canzone che parla di altruismo ed è una delle tracce più personali del disco: "Non posso andarmene da qui senza fare nulla. Nella sua luce che brilla, cado a pezzi. Nella sua oscurità conquista il mio cuore. La sua anima coraggiosa e bella". Aprendosi con un riff moderno e schiacciante, la chitarra ha di nuovo qualcosa che pesca dal passato solista di Norum e dal suono molto statunitense. Le tonalità vocali sono intrise di tristezza ma sono sostenute da riff compatti ed effetti chitarristici efficaci, che dimostrano come John con il suo strumento sia uno dei migliori in circolazione. Joey Tempest non ha peli sulla lingua e non ha paura di chi sostiene, a torto, che i musicisti debbano stare zitti su alcuni temi e pensare solo a divertire il pubblico, cantando, se possibile, solo canzoni d'amore. Bella, a tal proposito, la strofa iniziale: "Bene, ecco a voi tutti cinici. Ecco le munizioni di cui avete bisogno. Ecco un'altra canzone sull'empatia. Per favore, pensate cosa volete". Alla fine il mitico vocalist chiude con una pillola di saggezza, che non ha bisogno di nessun commento: "Una risposta emotiva a volte è meglio di una intellettuale". Sante parole carissimo Joey!

Devil Sings The Blues
Un arpeggio di basso ispirato dai mitici Blue Oyster Cult chiude per fortuna bene il platter e conferma l'amore del gruppo per l'hard rock dei seventies e in particolare per i grandi Thin Lizzy. "Devil Sings The Blues" (Il diavolo canta il blues) è una cavalcata sostenuta da un gran lavoro di John Leven al basso e dalle incredibili atmosfere create dalla tastiera di Mic Michaeli, con John Norum che lascia ancora il segno con uno dei suoi assoli trascinanti e infuocati. La linea di apertura sa di grunge ma è implementata da alcuni riff alla Black Sabbat, con sfumature di blues che si legano benissimo al nuovo corso dei vichinghi. Il leader Joey Tempest nei versi cerca qualcosa che possa sostenere questo profondo cambiamento artistico e spirituale: "È come se non avessi mai vissuto. E il mio cuore è aperto e i miei occhi sono aperti. Oggi ti do la vita". Nel continuo del testo e nel ritornello del brano sembra averlo trovato: "E le mie braccia sono aperte e la mia fede è aperta. Oggi il diavolo canta il blues. Stasera la presenza di angeli riempie la stanza. Stasera il diavolo fa molta strada. Non ci sarà nessun accordo!". "Devil Sings The Blues" è uno dei momenti clou di questa fatica discografica sia testualmente, sia artisticamente, con del bel rock and blues e con un Norum scatenato che sviluppa un assolo di chitarrista di due minuti prima che la melodia si dissolva e chiuda le porte di "Secret Society". Un grande finale per un album che si rivolge in parte ai suoni seventies, cupi, nostalgici e in parte, a sprazzi, agli anni '80. Ci sono dei momenti acustici, molto rari nel passato degli Europe e sfuriate di rock moderno, con un Norum in stato di grazia, accompagnato da una buona interpretazione vocale di Tempest.

Conclusioni
Dopo aver riascoltato "Secret Society" mi sono ritrovato piacevolmente catapultato indietro nel tempo ed esattamente a quattordici anni fa. Per chi, come me possiede migliaia di dischi, non è facile pensare al luogo d'acquisto di ognuno, ma per questo platter ricordo benissimo, come se fosse ieri, il giorno in cui lo comprai nel negozio di un mio carissimo amico che ancora resisteva al crollo delle vendite ma che da lì a poco, purtroppo, avrebbe alzato "bandiera bianca". Era una mattina come tante e prima di scappare a lavoro e di prendere un caffè al bar, trovai il mio negozio di dischi aperto. Vidi davanti al bancone la sezione sulle nuove uscite Metal e rimasi colpito dalla terribile copertina degli Europe, raffigurante un uomo ben vestito, al centro di una stanza che da la mano a sconosciuti dietro le pareti. Guardando l'orologio capii che non avevo molto tempo a disposizione e in un attimo lo acquistai senza pensarci due volte. Avevo anche la possibilità di ascoltarlo e comprarlo dopo ma il mio primo pensiero, a parte fuggire in ufficio, fu quello che i vecchi metallari come me comprano ancora dischi a intuito. Certo non quanto una volta, ma il fascino di collezionare vinili e cd è ancora vivo e non potevo non aggiungere alla mia raccolta quest'ultimo parto in casa Europe. La seconda considerazione che feci dopo aver pagato, mentre mi dirigevo in auto, fu di essermi dimenticato l'ombrello in macchina perché pioveva a dirotto e dopo una serie d'imprecazioni pensai di aver fatto forse una cavolata ad aver comprato frettolosamente questo cd a scatola chiusa. Proprio così! Io che spendevo nella musica un sacco di soldi, ero stato preso dai dubbi e dai pregiudizi per aver letto commenti negativi su quest'ultimo lavoro degli scandinavi. La profonda verità è che il mio inconscio si fidava ciecamente del quintetto svedese nonostante avesse cambiato rotta musicale e in particolare avesse virato verso un rock più genuino e molto meno commerciale. Confesso di essere rimasto sorpreso positivamente della titletrack ma in generale di tutto il lavoro che evoca ancora oggi in me grandi emozioni e delle sensazioni positive. Gli Europe non sono gli ultimi arrivati nell'hard rock mondiale e se sono menzionati, solo per "The Final Countdown" non è colpa loro perché quello fu un modo per farsi conoscere all'estero ed avere comunque un successo meritato. A Tempest e soci si può rimproverare di tutto, ma ci sono due cose, dove sono inattaccabili: la prima è la tecnica musicale e la seconda è di aver avvicinato all'hard rock e al metal migliaia e migliaia di giovani. E questo non è un dato di poco conto. Sinceramente ammetto che l'evoluzione del suono è stata drastica e il fatto di aver abbandonato troppo in fretta lo stile ottantiano, che li aveva resi famosi nel mischiare l'AOR, l'hair metal e il melodic metal, ha scontentato parecchia gente. E' anche vero, però che alcuni brani di questa nuova fatica discografica non sono originali perché scimmiottano un po' i Deep Purple e i Thin Lizzy, altri sono nella norma per una band dalle enormi potenzialità che può fare di più. In "Secret Society", così come nel precedente "Start Of The Dark", il messaggio è chiaro: siamo una band rock che vuole ancora divertirsi ma che vuole suonare quello che si sente nel cuore e nell'anima. "Sento quest'album musicalmente più ampio con un suono migliore e anche un po' più di un disco moderno e fresco. Siamo sbalorditi! ?per usare una parola "funky" (ride). Siamo molto felici di poterlo fare e di essere molto fortunati a riuscire a farlo. Non sappiamo da dove venga! Abbiamo lavorato duramente, lavorato giorno e notte ed è arrivato e in questa fase della nostra carriera, per mettere in evidenza ciò che nella band consideriamo uno dei nostri migliori lavori ... è fantastico"!(Joey Tempest - intervista di David Felix per Rock Eyez).

2) Always The Pretenders
3) The Getaway Plan
4) Wish I Could Believe
5) Let the Children Play
6) Human After Hall
7) Love Is Not The Enemy
8) A Mother 's Son
9) Forever Traveling
10) Brave And Beautiful Son
11) Devil Sings The Blues


