EUROPE

Europe

1983 - Hot Records

A CURA DI
SIMONE D'ANGELO SERICOLA
13/01/2017
TEMPO DI LETTURA:
7

Introduzione Recensione

Amici, amiche, mettevi comodi, perché quella che sto per raccontarvi quest'oggi è una delle più affascinanti e significative avventure di tutta la storia della Musica. Una vicenda che può essere considerata assolutamente paradigmatica, in quanto in essa rientrano le diverse sfaccettature che caratterizzano il music biz: nascita, ascesa, affermazione, apice e fama, caduta, oblio, resurrezione. Una vicenda legata a doppio filo con la storia di un singolo dal successo planetario, che ha varcato i lidi propri del genere di appartenenza, l'Hard Rock, per assurgere a patrimonio musicale mondiale, al punto tale da oscurare tutto ciò che di qualità era stato espresso prima e quello che, sempre di qualità, verrà dopo. Croce e delizia di un gruppo che a quel brano deve la sua gloria riconosciuta nelle decadi ma che, anche, è destinato ad essere legato indissolubilmente ad esso, vita natural durante ed anche oltre, dal momento che quasi sicuramente la forte eco di quella canzone sopravvivrà alla cessazione dell'attività della band. Un tipico caso di "...il gruppo di...". Ma procediamo con ordine, dal momento che di quell'episodio ci occuperemo in futuro. E' degli Europe che vi parlo oggi, e fondamentale è inquadrare il luogo in cui è ambientata la storia: la Svezia, Paese in cui la cultura musicale viene tenuta in grande considerazione, dal momento che lo studio della musica nelle scuole non è affatto relegato in angoletto che si limita a due ore settimanali, previste unicamente nella scuola media, come qui da noi. Gli strumenti di cui sono previsti lo studio e la pratica in Svezia sono tre: due obbligatori ed uno a scelta. Questo fa si che alla stessa età, un adolescente in Italia abbia più probabilità di passare i pomeriggi con il joystick fra le mani piuttosto che con uno strumento, mentre uno svedese abbia più probabilità di mettere su un gruppo. Inoltre le strutture per suonare, sia in privato che in pubblico, sono molto più numerose e, non meno importante, attrezzate. Una situazione umiliante per un Paese come il nostro che si vanta di essere fra quelli che ha inventato la Musica. Questa diversa e più seria valutazione della ricchezza, in termini di cultura, che dalla musica può derivare, ha permesso a quello Stato, fin dagli anni '60 '70, di ricoprire un ruolo di prim'ordine nel panorama musicale mondiale, capace di reggere il confronto con i colossi che da sempre spadroneggiano nelle classifiche di tutto il globo: U.K. e U.S.A. La Svezia è stata infatti capace di lasciare un segno tutt'altro che trascurabile, indipendentemente dagli esiti commerciali, in quasi tutti i generi, in termini più propriamente Pop, come il caso degli ABBA (il quinto gruppo più venduto di sempre dietro a nomi come Beatles, Michael Jackson, Elvis Prisley e Madonna), Pop/Rock come i Roxette, Hard Rock melodico proprio degli Europe. Senza dimenticare la nascita di tendenze e filoni musicali affermatisi con forza quasi ovunque: ricordiamo che il fenomeno dei Guitar Heroes è nato si negli U.S.A., ma ad opera di un giovanissimo prodigio svedese della sei corde che aveva unito all'irruenza tipica dell'Hard'n'Heavy solide basi classiche; o ancora la più grande Doom Metal band di tutti i tempi, quei Candlemass capaci di creare un modello imprescindibile per chiunque voglia professarsi adepto del suono oscuro. Senza dimenticare il Death Metal melodico made in Sweden, che vedeva "contrapposte" la scuola di Stoccolma e quella di Gotheborg; oppure la città di Bollnas che fu per un certo periodo autentica fucina di bands Metal, non dimenticando poi una delle più apprezzate e singolari realtà del Prog mondiale, gli Opeth. E' proprio il caso, poi, di ricordare un'altra grande realtà svedese, un autentico nome da leggenda: i Bathory. Senza andare a sviscerare nel dettaglio la scena musicale dei '70s, in cui si muovevano gruppi progressivi come Kaipa e Biskaya, basti tener presente che il Paese scandinavo lasciò una traccia anche all'interno della N.W.O.B.H.M. in quanto nella leggendaria compilation "Metal for Muthas" era compreso un brano di un gruppo svedese: la E.F. band. Questo è quindi il panorama in cui iniziano a muovere i primi passi coloro i cui volti un giorno il mondo sarà abituato a vedere sulle riviste ed in tv. Del primissimo nucleo di quelli che diventeranno gli Europe fanno parte quattro ragazzi nati nei sobborghi di Stoccolma In realtà uno di loro, il chitarrista John Norum, ha origini norvegesi, precisamente dalla città di Vardo, ma quando aveva circa un anno di età i suoi genitori decisero di trasferirsi in Svezia. Sin da giovanissimo inizia ad esercitarsi alla chitarra, tratto questo che lo accomuna ad un altro grande asso svedese. E' evidente da subito che il ragazzo ha talento per la musica, infatti è in grado di imparare molto in fretta. Adolescente, diviene, insieme al batterista Tony Niemisto, uno dei membri fondatori di una band chiamata WC che suonava cover di band di Hard Rock britannico, U.F.O. e Thin Lizzy su tutti. La band ha vita breve, ma a qualcuno proprio non va di rinunciare a suonare, così Peter Olsson , che dei WC era il bassista (che avrebbe suonato anche con Yngwie J. Malmsteen nei Rising Force e, prima ancora, nella loro primordiale incarnazione, i Power, divenuti poi Powerhouse) convince Norum a riformare il gruppo, in cui rientra anche Niemisto. Benché Norum sia dotato di una discreta voce, i ragazzi si rendono conto che sarebbe preferibile avere nell'organico un cantante vero e così offrono il posto di vocalist ad un ragazzo proveniente da un'altra band svedese, i Roxanne. Il ragazzo accetta di buon grado, ma propone di cambiare il nome del gruppo in Force. Così un nuovo elemento entra in formazione, è un buon cantante, ha idee, si chiama Joakim Larsson, ma qualche anno più tardi tutto il mondo lo conoscerà con il nome di Joey Tempest. Il nuovo arrivato comincia subito a darsi da fare, proponendo agli altri ragazzi dei brani composti con la sua chitarra acustica. Messi insieme un po' di pezzi, i ragazzi registrano delle demo da proporre alle varie case discografiche, ma per tutta risposta ricevono porte sbattute i faccia. Quando Olsson abbandona la band a causa di dissapori sorti fra lui e Joakim, i Force decidono di contattare, in qualità di bassista, un allora chitarrista ritmico di nome John Léven per saggiare la sua disponibilità a far parte del gruppo come motore ritmico. A questo punto si verificano degli avvicendamenti di cui vi ho già parlato in sede di recensione riguardante "Marching out" di Malmsteen, in sostanza uno scambio di bassisti, con Léven che entra a far parte dei Rising Force ed il compianto Marcel Jacob che passa nei Force, con i quali scrive il brano "Black journey for my soul" che con il titolo di "Scream of anger" sarà una traccia metallica che farà bella mostra di se nell'album "Wings of tomorrow", il secondo pubblicato a nome Europe. Questo scambio non dura molto, lo spazio di qualche concerto, e tutti e due tornano alla propria band, con Léven che parla di un dispotico Yngwie e di ritmi serrati di lavoro, cosa che molti confermeranno nel corso dei decenni. La possibilità di farsi notare nasce in occasione di una competizione, la Swedish Rock Championship, organizzata da Thomas Erdtman che era anche il fondatore dell'etichetta Hot Records, una competizione aperta anche a gruppi privi di label; premio: la possibilità di arrivare finalmente al tanto agognato contratto discografico. In un primo momento i ragazzi pensano di partecipare e registrano un demo di cinque tracce, ma poi decidono di non andare avanti e non inviano il nastro. A loro insaputa però, Anita Katila, l'allora ragazza di Joey, invia il materiale e fra tutte le cassette che arrivarono in redazione, la loro fu scelta per partecipare alla competizione. Galvanizzati dalla notizia, i ragazzi iniziano a fare sul serio, per arrivare alla prova preparati al massimo. Questo è anche il momento in cui Joakim propone di cambiare il monicker perché, secondo lui, serve un nome più riconoscibile che abbia una valenza "universale"; nascono così gli Europe. Quello è anche il momento in cui il cantante decide di scegliersi un nome d'arte più facile da memorizzare per i non svedesi, da ora in poi si chiamerà appunto Joey Tempest. E' dello stesso avviso il batterista che sostituisce il suo cognome con quello più agevole di Reno. Il contest è un successo, gli Europe vincono come miglior gruppo e Larsson e Norum si aggiudicano anche un premio personale, rispettivamente come miglior cantante e miglior chitarrista. Il combo inizia così le registrazioni del primo omonimo full-lenght, che sarà pubblicato nel 1983; un lavoro, come ho già accennato, influenzato dalla scena Hard del Regno Unito, mostrando di possedere buone capacità compositive. Per essere un debutto l'album è un discreto successo a livello mondiale e frutta alla band un tour di circa 30 date, anche questo fortunato. Il loro nome inizia a circolare, la loro fama è anche quella di buona live-band, con un tratto distintivo rispetto ai leoni della N.W.O.B.H.M. che sta affermandosi quasi ovunque, cioè essere caratterizzati da una maggiore melodia, cosa che un giorno consentirà di includerli nel filone dell'Hard Rock melodico. Un episodio importante per il raggiungimento della fama avviene grazie ad una giornalista giapponese, Masa Itho. Secondo la "leggenda" la signora si trova a Londra quando, in un negozio di dischi, nota il platter degli svedesi. Incuriosita lo acquista e se ne innamora. Lo fa ascoltare ad una sua vecchia conoscenza, T.T. Tsutsumi, titolare della casa discografica Victor Records, che si interessa al gruppo ed ottiene da Erdtman la possibilità di distribuire l'album in Giappone, nel quale riscuote un grande successo. Ho parlato di avvenimento importante riferito al Paese del Sol Levante ed è bene fare una precisazione: all'epoca avere un grande successo lì era sinonimo di consacrazione a livello mondiale. Andiamo quindi ad analizzare il contenuto del platter, ricordando che la data di pubblicazione è il 24 febbraio 1983, per l'etichetta Hot Records e prodotto dallo stesso Erdtman, Erik Videgard e gli Europe

In The Future To Come

La traccia con cui gli ex Force ci presentano il loro primo full-lenght è "In The Future To Come (Nel Futuro Che Deve Venire)", dura come le altre della loro primissima produzione. Già dalle prime battute si può ascoltare l'influenza che la cultura musicale classica ha avuto sul sound di molti gruppi provenienti da quelle latitudini, anche se in misura minore rispetto a quanto proposto da altri acts e soprattutto dal loro illustre connazionale. L'esordio degli strumenti è infatti alquanto solenne e potente come la Musica Classica  ha insegnato. Tripudio di piatti di batteria, e note secche degli altri strumenti. Subito però si cambia, dopo tre urla di Tempest, parte la batteria di Tony Reno in doppia cassa, con chitarra ritmica e basso con un ritmo galoppante, mentre due linee di chitarra solista si occupano di intervenire con un fraseggio armonizzato. Anche la voce di Joey, ancora lontano dal divenire il frontman smaliziato e carismatico che tutti abbiamo imparato a conoscere, è più aggressiva in queste prime releases, ed infatti si armonizza bene con l'irruenza delle linea melodica della strofa, anche se viene in parte "rovinata" da un effetto eco a mio avviso troppo ingombrante. Spiccano, come ho già detto, le parti dure degli strumenti, in special modo batteria e chitarra. Belli i controcanti degli altri membri del gruppo nella parte di transizione che precede il ritornello, parte caratterizzata anche da un rallentamento del ritmo ed una bella apertura melodica. Quando la voce scandisce le parole del titolo, sullo stesso ritmo di apertura del brano, tornano a farsi le linee di chitarra armonizzate dell'inizio. Questa parte viene ripetuta identica, ma questa volta abbiamo modo di ascoltare l'assolo di chitarra di Norum, un assolo che esordisce con un bel fraseggio armonizzato, per poi continuare con una linea unica e chiudersi ancora con chitarre armonizzate. L'axeman dimostra di essere già dotato di notevoli capacità tecniche nonostante la giovane età, all'epoca infatti non aveva ancora vent'anni, in ciò confermando quanto dicevo nell'introduzione, aspetto che lo accomuna in un certo senso all'altro grande chitarrista svedese. Le note solenni dell'inizio tornano a farsi sentire prima della strofa finale, identica alle altre. Solo nel finale abbiamo una parte leggermente rallentata, con cui la traccia si conclude. Un buon biglietto da visita, indubbiamente! L'argomento trattato in questa prima traccia è la minaccia di una guerra che potrebbe porre fine all'esistenza dell'umanità sulla terra, cosa a cui non si pensa nei periodi di benessere, in cui tutto è bello e sembra destinato a durare per sempre. Gli Europe ci parlano infatti di gente spensierata che per molte generazioni ha ignorato il pericolo di un conflitto, ma quell'unica guerra che potrebbe scoppiare coglierebbe tutti di sorpresa. Il nostro narratore però è pronto a proteggere la sua amata dagli orrori delle battaglie, anche a costo di perdere il senno. Poi però si rivolge al Signore chiedendogli come sarà la vita in un mondo devastato, se sarà ancora possibile conservare un briciolo di umanità e sopravvivere. Finché si può vedere, finché si può ancora sentire, finché i sensi ci assistono ancora insomma, può ancora andare bene, ma come sarà il futuro? Un testo sicuramente non positivo, ma non dimentichiamoci che all'epoca della pubblicazione del disco il mondo era in piena guerra fredda, e l'ipotesi guerra mondiale non era certo da scartare.

Farewell

Il charleston di Tony Reno introduce la seconda traccia "Farewell (Addio)", subito si uniscono gli altri strumenti, con un bel lavoro delle chitarre: infatti mentre una suona gli stessi accordi del basso, un'altra linea esegue un riff intrigante che continua anche quando il ritmo degli altri strumenti si fa più serrato, conferendo al tutto un suono molto Hard Rock sulla scia dei Rainbow post Dio misto ai Thin Lizzy, ma in generale riconducibile all'Hard britannico da cui il gruppo è stato indubbiamente influenzato e che in quegli anni dettava legge a livello globale. La voce del frontman in questo brano appare più convincente che in quello di apertura, molto è dovuto alla rinuncia di aggiungervi degli effetti. Questa scelta la rende più in linea con il sound ruvido del pezzo. Prima del refrain è prevista una parte di transizione in cui intervengono due linee di chitarra armonizzate che accompagnano efficacemente la voce. Durante il ritornello la batteria continua nel suo lavoro, mentre chitarra e basso procedono in stop and go per poi suonare un paio di accordi più prolungati per la parte conclusiva del ritornello. Con gli Europe ci troviamo di fronte ad una band che non stravolge la struttura dei brani, che rimane grosso modo quella della progressione strofa-ritornello strofa ritornello sezione solista strofa-ritornello, tranne casi alquanto isolati. Abbiamo quindi la ripetizione della strofa e del ritornello, al termine del quale interviene nuovamente la parte posta in apertura. E' qui che un urlo di Tempest lancia l'assolo di chitarra in cui Norum si rende autore di una prova brillante, con un torrente di note che riescono a risultare molto musicali. Al termine si riparte subito con la parte di transizione cui fa seguito il refrain ripetuto fino alla conclusione sfumata. Un'altra buonissima prova da parte di questi giovani musicisti. A livello lirico la seconda traccia ci pone di fronte alla crescita, alla maturazione di un giovane che compie il passo verso l'età adulta, quella in cui si prendono le decisioni che influenzeranno una bella fetta di vita. Si parte infatti dalla considerazione della beatitudine di quando si è fanciulli, in cui non si hanno responsabilità e tutto sembra più bello, se non altro sono anni più spensierati. Ora che però è cresciuto, il ragazzo sa che deve prendere delle decisioni e nel farlo si fa guidare dall'istinto perché sa che andrà bene comunque. Non sa dove andrà o cosa farà, ma non è minimamente preoccupato, il suo consiglio è infatti quello di essere forti e decisi. Rivolgendosi ad una ragazza le dice che deve andare, nonostante i suoi sentimenti, ma non esclude che un domani possano incontrarsi di nuovo.

Seven Doors Hotel

La terza traccia è una di quelle più conosciute della primissima produzione del gruppo, si tratta infatti di "Seven Doors Hotel (Hotel Sette Porte)" che viene introdotta da un delicato arpeggio di pianoforte, in tonalità minore, dal gusto classico. Una intro del genere potrebbe far pensare ad una traccia dal tono e dall'atmosfera più pacati, ma subito una rullata di batteria dà un cambio di rotta, seguono infatti a ruota gli altri strumenti con un riff killer, soprattutto da parte di Norum, con due linee di chitarra armonizzate, ma ben presto ne emerge una terza con un breve assolo poco prima della strofa. Questa è caratterizzata da una ritmica alquanto aggressiva, ed anche la voce di Tempest risulta più incisiva, con una nota: l'effetto eco di cui viene dotata questa volta risulta indovinato e conferisce alle parti vocali una maggiore profondità. Il basso invece nei brani del gruppo in questione si limita ad un accompagnamento senza troppi barocchismi cui siamo abituati ad ascoltare da altre bands del genere. La struttura in questo brano è un po' "ingannevole", soprattutto per chi non lo ha mai ascoltato, in quanto ad un tratto ci porta in una parte che sembra essere il ritornello, in cui si accumula una certa tensione, accresciuta dall'ingresso di un coro che genera anche una certa cupezza, ma proprio da qui riparte la strofa. Quando si giunge allo stesso punto, ecco che questa volta si sfocia nel refrain, il cantante scandisce le parole che costituiscono il titolo ed il coro si fa più presente; la tensione viene allentata, solo musicalmente però, dato che l'argomento trattato è tutt'altro che rassicurante. Seconda strofa, identica, compreso il breve assolo che ne precede l'inizio. Parlavo di struttura prevalentemente fissa nei brani del gruppo, tranne casi isolati, beh, proprio questa traccia è uno di quei casi; alla fine della strofa infatti, la struttura viene stravolta perché spunta fuori un fraseggio Neoclassico ascendente, ben eseguito da Norum con due linee armonizzate di chitarra, dapprima con basso e batteria che si limitano ad assestare colpi secchi e poi si lanciano in una cavalcata che conferisce più grinta a questa sezione. L'assolo è un altro centro perfetto del giovane chitarrista, in cui però, in cui si fa sentire anche un'anima più bluesy e viene chiuso con il medesimo fraseggio a cui viene dedicato un numero di battute dimezzato. Poi, per la terza volta, parte la strofa (sempre preceduta da un breve assolo alla sei corde), dimezzata rispetto alle altre due,ma con un ritornello più lungo ripetuto, fino a quando tutti gli strumenti insieme chiudono la canzone con un colpo deciso. Qui l'argomento trattato ci trasporta in ambito Fantasy, in cui un ruolo importante sembra essere ricoperto da un Hotel che sembra piuttosto un passaggio dimensionale, la porta attraverso la quale potrebbero spalancarsi sulla terra addirittura i cancelli dell'inferno. Quattrocento anni prima, forse durante in una battaglia contro le forze del male, un eroe morì per salvare la terra. Ora (nel 1981) sono state trovati degli indizi, dei segnali che il male sta per tornare, potrebbe toccare ad uno di noi la stessa sorte di quell'eroe di quattro secoli fa. Un ulteriore pericolo questa volta potrebbe arrivare da una bellissima donna che con il suo fascino potrebbe ingannare l'eroe predestinato, distoglierlo da quelli che sono i suoi compiti; un grave pericolo, perché il diavolo è pronto a comandare e non aspetta altro che un cedimento della volontà del nostro eroe.

The King Will Return

Dopo tre episodi votati all'Hard Rock ecco il primo brano che ci consente di prendere fiato "The King Will Return (Il Re Ritornerà)", primo tentativo di ballad che, a mio parere, si posiziona leggermente al di sotto rispetto agli altri capitoli che compongono questo primo platter. E' Tony Reno ad introdurre la traccia con due colpi di batteria, con cui continua a sottolineare gli accenti in questa prima parte e Norum esordisce con chitarre armonizzate, note singole su corde singole dall'effetto di lamento, mentre sotto un'altra chitarra, acustica, si produce in un arpeggio. Rullata sul timpano e può partire la strofa sorretta da un accompagnamento minimale di basso e batteria; ciò che caratterizza la traccia è il lavoro della chitarra che accompagna la voce, facendole quasi da contraltare, cosa ancora più evidente nel refrain a cui si arriva dopo una breve parentesi più scarna in cui insieme alla voce possiamo ascoltare solo il charleston e qualche piatto, mentre sul finale l'atmosfera è resa più drammatica da un organo in sottofondo. Dopo la consueta ripetizione si giunge all'assolo di chitarra che, in linea con l'atmosfera generale della traccia, risulta meno spericolato dei precedenti, ma pur sempre una dimostrazione di ottima preparazione dell'axeman che riesce a trasmettere un'atmosfera di tristezza, che a tratti si avvicina alla disperazione. Quindi di nuovo la stessa parte ascoltata già nell'introduzione e ultima strofa a seguire, con il refrain che quest'ultima volta viene allungato con la chitarra che ha qui ancora la possibilità di accompagnare la voce con i fraseggi armonizzati già ascoltati in precedenza fino alla conclusione sfumata. Qui gli Europe si cimentano con l'argomento epico, raccontandoci delle gesta di un re compiute allo scopo salvare la sua gente. Il suo regno è stato attaccato di sorpresa, un attacco fulmineo che non ha lasciato scampo a lui ed ai suoi sudditi. Hanno subito una sconfitta umiliante ed il re, con la morte nel cuore, decide di partire per alla ricerca degli assalitori e vendicare la sua gente. Il popolo confida nel suo re, sa che tornerà vittorioso con un grande tesoro e seminerà il terrore fra i nemici. Dopo due anni fra la gente comincia a circolare la notizia che il sovrano sta tornando e tutti sono felici perché in quel lasso di tempo sono stati privi di una guida sicura ed hanno vissuto nell'incertezza del domani. Quella che all'inizio era solo una voce diviene realtà: il re scende dalla collina per tornare nel suo regno e tutti piangono do gioia ed ora che il castello dei nemici è avvolto dalle fiamme, lontano, loro possono ricominciare a vivere come un tempo sotto la guida sicura del sovrano.

Boyazont

"Boyazont" è uno strumentale, fra i pochissimi della loro produzione, un pezzo in cui a farla da padrone sono le chitarre, come per tutto quello che abbiamo analizzato fino ad ora, aspetto dovuto anche al fatto che sarò l'ingresso di un tastierista in pianta stabile nell'organico a togliere spazio alla sei corde. L'inizio è in crescendo ed alquanto arrembante, con una ritmica di chitarra e basso non veloce, ma metallica e decisa; stesso discorso per la Reno che picchia sulle pelli con accenti da battaglia. Il lavoro di chitarra ritmica e basso rimane grosso modo identico, salve alcune progressioni di accordi sui finali dei riff, mentre la batteria muta nel più classico accompagnamento in 4/4. A mettersi maggiormente in mostra è appunto il riff di chitarra, due linee per l'esattezza, come sempre armonizzate, con un fraseggio angoscioso, nel senso di atmosfera trasmessa, non certo in riferimento al gradimento. In questo riff la tensione viene mantenuta alta in maniera efficace "giocando" col tono oscuro e oppressivo che forniscono le note basse, sul finale sembra sul punto di esplodere da come tutti gli strumenti sembrano convergere sul medesimo punto. Stupendo tema che viene ripetuto, con la piccola differenza che proprio all'inizio fa capolino una terza linea di chitarra che si produce in un accenno di fraseggio. Alla conclusione di questa ripetizione viene mantenuta una nota lunga, ma la momentanea frenata viene interrotta da una rullata di batteria che subito muta il tempo partendo alla carica con tanto di doppia cassa schiaccia sassi. Basso e chitarra ritmica si lanciano subito all'inseguimento creando un efficace wall of sound. Ecco un'altra eccezione alla struttura pressoché fissa delle canzoni del gruppo scandinavo, proprio come in "Seven doors hotel". Su questo tappeto ritmico svetta la chitarra solista, con Norum libero più che nei brani precedenti di sfogare tutte le sue ambizioni da virtuoso. In questa seconda parte della traccia è infatti lui il protagonista esibendosi in un lungo assolo in cui le note sgorgano libere come acqua che prepotentemente fugge da una falla aperta in una diga. Come ho già detto, nonostante la giovane età l'axeman svedese è già dotato di una buonissima tecnica ed una piacevolissima melodia, tratto questo che lo accomuna a molti suoi colleghi che in quel periodo stanno emergendo un po' ovunque. Il finale è in crescendo, con una conclusione brusca e solenne come si conviene a composizioni del genere.

Children Of This Time

Con "Children Of This Time (Bambini Di Questo Tempo)" si torna al cantato ed a ritmi più serrati, oltre ché ad un sound più pesante. Ad esordire per primo è un riff di chitarra, che come scelta di suoni ricorda vagamente il primo album degli Iron Maiden e che più volte tornerà nel corso del brano a scandire i vari refrain, con basso e batteria che sottolineano gli accenti prima di mutare e lanciarsi in un ritmo galoppante (soprattutto viene valorizzata la linea di basso). Delle parole urlate dal cantante danno il via alla strofa ed anche la chitarra ritmica abbandona le corde alte in favore di quelle basse, cosa questa che metallizza notevolmente il risultato. Anche qui, come in "Seven doors hotel", la strofa muta in una parte di transizione che all'inizio sembra essere il ritornello, anche la progressione di accordi muta, ma si riparte invece con la strofa seguita dalla stessa transizione, con la differenza che alla fine, questa volta, abbiamo modo di ascoltare veramente il refrain che poggia sugli stessi accordi suonati all'inizio del brano. Qui Tempest viene coadiuvato da altre voci che rendono il risultato più corposo. La strofa, dimezzata, viene ripetuta fino ad una parte in cui il ritmo si arresta per un attimo e singole note imperiose fanno da trampolino di lancio per l'assolo di chitarra, che in realtà non è un vero e proprio assolo, ma un fraseggio armonizzato ripetuto più volte, quattro per l'esattezza e nell'ultima varia leggermente subendo un'accelerazione. Si riprende con la ritmica iniziale cui fa subito seguito la terza strofa, anche questa dimezzata come la seconda, seguita a sua volta dall'ultimo ritornello eseguito fino al punto in cui ancora vengono suonate delle note solenni arricchita questa volta da una fraseggio di chitarra abbellito da un calibrato utilizzo dell'eco, prima che il cantante, pronunciando il titolo, guidi tutti alla chiusura decisa della traccia. L'amore sincero, quello più puro, ci viene descritto qui, tratto distintivo delle love songs di Tempest, cosa che lo ha sempre posto su di un piano differente rispetto ad altri suoi colleghi (mi riferisco in particolare alla scena Glam)  meno rispettosi nei confronti dell'altro sesso, se così si può dire. Joey , rivolgendosi ad un amico immaginario, invita tutti noi a non ferire l'amata, a non illuderla e non deluderla. Devi essere sincero con lei riguardo ai tuoi sentimenti perché tu sei tutto per lei ed hai un posto speciale nel suo cuore. Se sarai sincero con lei, se le rivelerai i tuoi desideri, lei farà in modo che possano realizzarli. Sarai suo per sempre, come lei sarà per sempre tua.

Words Of Wisdom

Un tappeto di tastiere funge da apertura della semi-powerballad "Words Of Wisdom (Parole Di Saggezza)", tappeto che resta anche quando la voce ed una chitarra acustica arpeggiata danno avvio alla strofa. La melodia è delicata e godibile, l'atmosfera coinvolgente, nel primo refrain la chitarra mette da parte gli arpeggi e si affida ai classici accordi. La seconda strofa muta, in quanto fanno il loro ingresso batteria e basso, con un ritmo non invasivo, e fa il suo ingresso anche la chitarra elettrica al posto di quella acustica ed il sound inevitabilmente si irrobustisce, anche se non eccessivamente. A questo punto ci possiamo rendere conto del fatto che quello che nella parte acustica era sembrato il ritornello era in realtà una parte di transizione, perché quello vero e proprio abbiamo modo di ascoltarlo adesso, con una diversa progressione di accordi ed un ritmo leggermente più veloce. Il brano rallenta e ci porta al punto in cui Norum si può esibire in un altro lungo (oltre 40 secondi) e riuscitissimo assolo di chitarra. L'axeman riesce ad essere stupendamente equilibrato fra dimostrazione di capacità tecniche ed urgenza melodica, non appesantendo il brano.  Al termine di nuovo il refrain, ripetuto fino alla conclusione che sfuma pian paino. "Words of wisdom" sembra essere piuttosto una riflessione sull'esperienza del vivere che ci dà la preparazione di affrontare ogni situazione, un aspetto importante delle vita di ognuno, che si acquista solo imparando da tutto ciò che ci capita in vita. Non è certamente facile, il processo è lungo, infatti il protagonista della storia qui narrata sembra non riuscire ad affrontare un abbandono nonostante la vita vissuta fino a quel momento. Molte parole hanno attraversato la sua mente nel momenti in cui la sua amata lo ha abbandonato, ma fra tutte quelle parole non ne ha trovate di adatte per affrontare la situazione, per dire almeno qualcosa. tutto ciò che ha imparato fino ad allora non gli sembra sufficiente ,ma scava nella sua mene alla ricerca di errori che può aver commesso nel passato e che forse hanno portato a questa situazione. Non ha nulla da dire, non riesce nemmeno ad esprimere i suoi sentimenti, vorrebbe solo che dalla sua bocca uscissero parole di saggezza per fronteggiare la situazione.

Paradize Bay

Dopo i tono più rilassati di "Words of wisdom" il risveglio con "Paradize Bay (Baia Paradiso)" è brusco, caratterizzato da una ritmica hard, in cui gli strumenti procedono decisi a lasciarsi alle spalle la ogni delicatezza. Su questo tappeto sonoro si fa sentire la chitarra solista con un fraseggio potente e tagliente. Anche la voce si presenta più decisa, ben amalgamandosi al tono generale più duro anche se la velocità non è elevata, dal momento che, come tutti sappiamo, non è la caratteristica unica per decretare la cattiveria di un brano. Questa è una traccia che deve molto a quanto detto nei '70s, cosa evidente soprattutto nella sezione dedicata al refrain. Senza stravolgimenti questa parte appena ascoltata viene ripetuta, secondo il classico schema, ma alla fine di essa ancora una volta il chitarrista ci dimostra di essere quel grande axeman che il mondo imparerà a riconoscere; l'assolo è breve ma non meno fulminante di quanto proposto fino a questo punto, forse leggermente più veloce, ma ugualmente melodico ed in linea con il mood del pezzo. Subito riparte la strofa e questa volta sono due le voci che eseguono la parte vocale fino al ritornello che viene reso più potente dei precedenti grazie a colpi singoli ben assestati che aumentano la dose di metallo che già ci veniva riversata addosso. Dopo di che l'esecuzione del refrain continua nel modo classico fino alla chiusura secca e senza esitazioni. Ancora l'amore è l'argomento affrontato qui, quello complice che dà la forza di affrontare ogni situazione, quello che si prova quando la persona amata è al tuo fianco. La sensazione sarà quindi quella di completarsi a vicenda e di poter trovare il Paradiso. Quello che si prova è talmente bello che Joey si chiede se il luogo in cui si trova sia in realtà un mondo di fantasia ed ha quasi paura che tutto possa finire all'improvviso, come quando ci si sveglia da un bel sogno. Chiede quindi alla sua amata di dargli, attraverso la sua presenza, la prova che tutto quello che stanno vivendo è reale, perché lui ha vagato molto alla ricerca di se stesso, ma solo ora che si sono incontrati lui senta di essersi realizzato e non ha alcun bisogno di cercare altre risposte, perché sa di aver trovato la serenità che tutti cerchiamo. Rivolgendosi ala sua lei le dice che lui ci sarà sempre, perché l'amore li farà sentire come se vivessero in una baia paradisiaca.

Memories

La conclusiva "Memories (Ricordi)" sembra proseguire sulla scia della traccia precedente, cosa che si può notare sin dalle prime battute in cui tutti gli strumenti, con note singole sciorinate con potenza, sottolineano il cantato di Joey che parte subito, senza essere preceduto dalla benché minima introduzione. Dopo una veloce rullata di batteria i ritmi si fanno più serrati ed il sound si metallizza ulteriormente; la velocità aumenta sensibilmente e Tony Reno, che con la doppia cassa dà il ritmo di marcia, è il motore di questa locomotiva lanciata in corsa. Questa volta l'atmosfera, che qui è battagliera, non si stempera nemmeno nel ritornello, anzi acquista toni quasi epici. Se la batteria stabilisce il ritmo, c'è comunque da dire che Norum e Léven non si tirano certo indietro e anzi rispondono degnamente lanciandosi all'inseguimento di Reno. Dopo la seconda strofa e relativo ritornello, un'altra rullata di batteria ci introduce un coro dal tono classicheggiante e in parte dello stesso tipo è l'assolo di chitarra, suonando simile a quanto insegnato anni prima da Richie "The Man in Black" Blackmoore, anche se meno perfettamente fuso con la Musica Classica come nello stesso anno dell'esordio degli Europe al di là dell'Oceano Atlantico sta in realtà già facendo Yngwie con gli Steeler. Ad ogni modo, pur indugiando meno sul classico, essendo più legato al lato bluesy del genere, anche il buon John ci fornisce un assaggio della derivazione dai licks dei grandi Maestri classici. La strofa riparte subito, sempre aggressiva e veloce, fino al potente finale costituito da granitiche note singole. Un uomo in fuga dal passato è invece il protagonista di questa track e che idealmente si rivolge ad una persona, presumibilmente una donna , che ha abbandonato. Ad ostacolare il suo cammino soffia un vento di fuoco, ma lui vuole essere forte e continuare ad andare avanti. I ricordi del tempo passato riaffiorano alla sua mente e queste memorie che lo tormentano sono probabilmente il prezzo da pagare per aver preso la decisione di partire ed aver lasciato il suo amore senza preavviso. Ovunque egli si rechi, per mari o monti, i ricordi lo seguono e lo tormentano, il dubbio che il suo sia stato un errore lo tormenta, sa che deve trovare se stesso ed anche adesso che il sole si è coricato, nel buio della notte, un buio più nero del solito, cerca di essere forte per proseguire nella sua ricerca. Il dubbio che ci sia qualcosa di sbagliato in questa sua missione ogni tanto si insinua nella sua mente, ma subito si "ridesta" e procede perché in cuor suo sa che quella è la cosa giusta da fare. Le memorie del passato però sono qualcosa di cui non si libererà mai.

Conclusioni

Ecco che la prima fatica discografica degli Europe è giunta alla fine. Le impressioni non possono che essere buone, considerando anche il fatto che si tratta della prima esperienza davvero professionale per i quattro giovani musicisti, i quali dimostrano con il loro esordio di avere la stoffa per una carriera da Rockstar. Abbiamo potuto ascoltare il lato certamente più metallico della loro proposta musicale e la cosa non stupisce affatto dal momento che i ragazzi sono cresciuti ascoltando i grandi maestri inglesi, artisti che in quel momento continuavano a sfornare lavori in grado di influenzare la musica di tutto il mondo. Proprio al suono britannico si rifanno questi quattro giovanotti svedesi dimostrando di possedere idee dal buon margine di miglioramento e ragguardevoli capacità tecniche, soprattutto per quanto riguarda John Norum che sembra aver appreso bene la lezione di quanti lo hanno preceduto. Il giovane axeman certamente ha dimostrato di poter ben integrare il suo strumento nell'economia del gruppo senza soffocare il contributo degli altri componenti; i suoi fraseggi ed i suoi assoli risultano essere stupendamente bilanciati fra melodia e potenza, miscelati con sapienza a seconda del tipo di atmosfera espressa dal brano in cui compaiono. Assolutamente buono il suo lavoro sulle ritmiche che riescono a creare un suono compatto, discorso valido soprattutto per quanto riguarda le tracce più spinte. La sezione ritmica appare affiatata: Léven è essenziale quanto efficace, il suo basso non è impegnato in virtuosismi, ma all'occorrenza diviene pulsante, mentre Reno si dimostra essere il vero motore di una macchina in fase di rodaggio, ma che ben dimostra di poter correre decisa per chilometri e chilometri. La produzione non certo scintillante non va a penalizzare eccessivamente il lavoro e, cosa più importante, è abbastanza soddisfacente, al punto di permettere di cogliere la qualità delle composizioni. Teniamo presente che a quei tempi anche nel Paese scandinavo, benché la situazione fosse migliore di quella in Italia, gli studi di registrazione non erano ben equipaggiati per produzioni di Hard Rock e generi ancora più duri. Considerazioni a parte vanno sicuramente fatte per quanto riguarda il frontman, che nel corso degli anni non si limiterà ad essere semplicemente il tramite con il pubblico, ma dimostrerà di possedere un forte carisma e, fatto non così scontato all'interno del mondo Hard'n'Heavy, di essere autore quasi esclusivo della composizione dei brani, almeno fino ad un certo punto della vita della band. Non ultimo anche il suo aspetto, è doveroso dirlo, è un elemento che lo ha reso popolare nel tempo, ricordo ancora le espressioni sognanti dipinte sul volto delle ragazze anche solo al sentire pronunciare il nome del singer in questione; tuttavia ribadisco che la sua figura è stata da subito molto importante per quello che il gruppo sarà. Tornando  alla musica, in questo platter abbiamo avuto la possibilità di ascoltare brani non solo duri, ma anche primi tentativi di powerballads, che mostrano buoni spunti anche se lontani dallo scintillio che arriverà in futuro. Una buona partenza, indubbiamente. La prima salva è stata sparata, la corsa al successo per questo gruppo è appena iniziata!

1) In The Future To Come
2) Farewell
3) Seven Doors Hotel
4) The King Will Return
5) Boyazont
6) Children Of This Time
7) Words Of Wisdom
8) Paradize Bay
9) Memories
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