METALLICA
Atlas, Rise!
2016 - Blackened Recordings
FABRIZIO IORIO
28/11/2016
Introduzione Recensione
Dopo i singoli "Hardwired" e "Moth Into Flame", usciti rispettivamente il diciotto di agosto ed il ventisei di settembre, i Metallica avevano promesso ai fan il rilascio di un terzo ed ultimo assaggio prima dell'uscita vera e propria del nuovo lavoro in studio. Come giorno per l'ultima anticipazione viene scelto nientemeno che Halloween, la vigilia d'ognissanti. Il trentuno di ottobre, quindi, la promessa è stata mantenuta. "Atlas, Rise!" va a completare l'operazione promozionale atta ad anticipare "Hardiwired... To Self Destruct", ed è uno dei tanti brani presenti nell'album ad avere un minutaggio per così dire importante, arrivando a toccare i sei minuti e mezzo di durata. Curiosamente, come anche nelle altre due song, tra i crediti non figura il nome di Kirk Hammet; questo fatto risulta piuttosto strano, e se da una parte sappiamo benissimo quanto il motore ed il carburante dei Metallica siano sempre stati James Hetfield e Lars Ulrich, Hammet in qualche modo ha sempre contribuito alla costruzione dei brani, mettendoci molto del suo. Un campanello d'allarme? Un'assenza pesante? Vedremo in seguito. Certo è che l'operazione singoli, anche in questo caso, non è stata trascurata nemmeno di un dettaglio. Con il rilascio di questo brano, infatti, i quattro cavalieri davano addirittura in omaggio (in occasione, come detto, della festa di Halloween) una speciale maschera raffigurante la copertina del disco; un gadget che, sul suolo italico, è stato distribuito solamente in due negozi specializzati di Roma e Milano. Questa maschera non ha solamente la funzione di cimelio per i fan, ma contiene anche un codice per ascoltare con trenta minuti di anticipo (rispetto all'uscita ufficiale), proprio "Atlas, Rise!". Ad essere sinceri, la curiosità di ascoltare (anche) questo nuovo brano era salita alle stelle; non tanto per il fattore curiosità nel sentire altro materiale dopo così tanto tempo, ma per il fatto che i primi due episodi erano stati decisamente convincenti. "Hardwired", diretta, breve e piuttosto grintosa (anche se forse un po' troppo lineare); e "Moth Into Flame", caratterizzata da una bella prova da parte dei nostri, sfoggiante un bel riffing work ed un grande ritornello. Il quale, sicuramente, potrà diventare un classico del gruppo, poco ma sicuro. Esattamente come per questi episodi, inoltre, anche nel caso di "Atlas.." viene girato un videoclip: ma a differenza dei due precedenti, dove si vedeva la band suonare in uno spazio angusto e buio, in questo caso i Four Horsemen vengono ripresi direttamente in sala prove, insieme o separatamente, assorti nell'intento di mettere insieme il brano in questione. Possiamo dire che arrivati a questo punto, ovvero dopo aver sentito due brani e tre con questo, dovremmo iniziare per lo meno a capire in che direzione i Metallica vogliano andare con questo nuovo lavoro. Vero che tre brani non sono molti per dare un giudizio complessivo, ma è anche vero che si dovrebbe intravedere un qualcosa che per lo meno ci possa fornire un'idea abbastanza precisa sulla direzione intrapresa dopo così tanto tempo "in silenzio". Con il passare degli ultimi anni si erano palesate molte ipotesi, alcune dele quali anche "foraggiate" da parte della band stessa; chi sosteneva che avremmo dovuto aspettarci un disco molto più vicino al "Black Album", o semplicemente il perfetto proseguimento artistico di Death Magnetic con sonorità magari più dirette e meno complesse. A giudicare dal minutaggio complessivo, non si può certo dire che i Nostri abbiano optato per un qualcosa di non complesso, ed un doppio album è sempre rischioso da immettere sul mercato. Comunque sia, siamo qui per raccontarvi la nostra impressione su "Atlas, Rise!"; per poi vedere, insieme, come sono effettivamente andate le cose.
Atlas, Rise!
"Atlas Rise (Rialzati, Atlante!)" parte con un riff interessante, sostenuto dai tom di Ulrich e da qualche colpo di rullante. Al termine di questa prima breve parte, ascoltiamo la chitarra di Hetfield; la quale, lasciata completamente sola, rievoca ricordi di una band al pieno della sua forma. Si riprende ancora per un momento con i tamburi di Lars e via discorrendo, in una riproposizione degli stilemi qui uditi. Risultando il tutto sinceramente un po' ripetitivo, mi sento di dire. Male non sarebbe stato, qualora l'insieme fosse stato accorciato il giusto. Una introduzione lunghetta che però fa partire piuttosto bene il cantato di Hetfield, sostenuto da una buona ritmica. Anche la prova del singer non è male, ma si perde un pochino nel chorus, anche se sul finale il nostro riacciuffa una buona grinta. Se con i precedenti brani si andava a toccare, seppur in maniera diversa il tema dell'autodistruzione, qui il discorso viene deviato in maniera molto intelligente. Stiamo parlando della figura di Atlante (Atlas, nelle antiche lingue), ovvero il titano che fu condannato a sorreggere l'intero mondo con la sola forza della nuca e dei suoi arti. Il perché Zeus decise di assegnargli questa terribile punizione è subito spiegato: durate la battaglia intrapresa dai titani e Crono contro il padre degli Dei dell'Olimpo, Atlante cercò proprio sul più bello di rubare il trono a Zeus, il quale punì dunque il titano, decidendo di non infliggergli la morte ma anzi di relegarlo a subire delle atroci sofferenze. Il brano fila liscio senza troppi problemi, ed anche il lavoro di drumming risulta abbastanza convincente; ad onore del vero, Lars sfrutta forse troppo il suo rullante durante il ritornello, ma a colpire maggiormente è la ritmica di James, sempre bella granitica e rocciosa. Si sente anche un minimo di coinvolgimento da parte di Hammet ma giustamente lo si attende al varco per testare le sue doti da solista. Il nostro titano compie uno sforzo tremendo nel sostenere questa palla gigantesca, e le sue gambe con il passare del tempo iniziano a cedere, la sua intera figura a soccombere. "Come ci si sente, da soli", abbandonato da tutti nella sua sofferenza. Sa che nessuno potrà mai dargli una mano, nemmeno per poco. Varie leggende narrano di quando Ercole chiese ad Atlante di cercargli i pomi d'oro, ed in cambio l'eroe avrebbe sostenuto al suo posto l'enorme peso del mondo. Una volta portatogli questi pomi, Ercole con astuzia riuscì però a convincere il titano a sostenere nuovamente la volta celeste. Oltre i danni le beffe, un calvario che non ebbe mai fine. E così, provato, il mostro inizia a maledire chiunque, vuole addirittura che la morte vada a fargli visita, anche se non arriverà mai. Viene così raggiunto dall'odio più profondo, provato verso chi lo ha portato a tanta sofferenza, verso chi lo ha condannato in questo patema per l'eternità. Arriviamo ad un punto in cui il brano prende una piega decisamente diversa e soprattutto più convincente; Una bella parte strumentale composta da un riff molto incisivo e da un refrain accattivante spianano la strada al tanto atteso assolo da parte di Hammet, il quale trova un giusto equilibrio tra il "vecchio ed il nuovo", sfoderando una prestazione sicuramente di buon livello. Si prosegue con una seconda parte (sempre strumentale) molto bella, dove le due chitarre tessono una tela sonora quasi malinconica che va a sottolinearne la sofferenza del nostro titano. I vari richiami al passato si sentono in qualche modo, e vengono integrati piuttosto bene in un contesto particolare come può essere questo pezzo. Brano che risulta essere un po' più elaborato dei suoi predecessori con una buona dose di grinta, che a volte però si perde in passaggi meno riusciti. Un pre chorus discreto introduce ancora una volta il ritornello che viene espresso dalla band in maniera più grintosa. Si va verso la conclusione, dove troviamo l'ultima sezione sonora molto ben caratterizzata dal duo Hetfield/Hammet, i quali danno vita ad una bella cavalcata finale che va quasi ad esaltare la resistenza di Atlante, con una base più accentuata e sicuramente riuscita. Ottima anche la sezione ritmica con un Rob decisamente affidabile, impegnato a svolgere un grande lavoro di accompagnamento, e Lars che sembra finalmente lasciarsi andare picchiando come un matto sul suo crash, per poi reindirizzarsi sul classico combo charleston/rullante, per concludere il brano con i colpi di tom uditi all'inizio. Diciamo subito e senza timore che Atlas Rise poteva essere un grande brano, ma si rivela alla fine solamente un buon episodio. Questo perché certe soluzioni per allungarne la durata potevano essere tralasciate in favore di un qualcosa di più semplice e diretto, senza dover per forza cercare chissà quali meccanismi per cercare di colpire. Infatti, troviamo una prima parte mediocre, con dei buoni spunti "inesplosi", sempre intenti a fermarsi sul più bello; di contro, una seconda parte decisamente più riuscita con una grinta di fondo molto interessante ed anche un cantato decisamente più aggressivo, capace di rendere il tutto molto più fluido e trascinante. La linea generale adottata è però questa: ed i risultati possono essere tanto riusciti quanto estremamente dannosi. Il rischio è quello di stancare l'ascoltatore con una prolissità generale che non fa bene ai brani, i quali potrebbero essere davvero interessanti qualora venissero in un certo qual modo "ridimensionati" quel tanto che basta.
Conclusioni
Giunti alla conclusione, dobbiamo ribadire ciò che è stato detto poc'anzi. Il brano in sé non è male, anzi gode di spunti decisamente interessanti, ma la sua troppa lunghezza ne mina l'efficacia finale. E' soprattutto l'inizio, o meglio, la prima parte a funzionare poco, debole di una ripetitività a volte quasi fastidiosa ed una prova generale non proprio brillentissima dei Nostri. Il discorso cambia notevolmente passata la metà del brano in questione, dove troviamo un bel modus operandi che vede chitarre molto più incisive ed una sezione ritmica notevolmente sopra le righe. Per quanto riguarda il cantato, vale poi lo stesso discorso: il buon James Alan Hetfield inizialmente si propone con una timbrica normale per i suoi standard, ma nella seconda parte pare ritrovare una spinta in grado di farlo decisamente decollare. In "Atlas, Rise!" possiamo trovare dei passaggi tipicamente Maideniani, delle incursioni thrash vecchio stampo tanto care alla band di Ulrich e soci, ed ovviamente si assapora quel "nuovo" corso che i 'Tallica avevano intrapreso / re-intrapreso molti anni fa e che ora cercano lentamente di affinare, con questo nuovo disco. La differenza sostanziale rispetto ai due singoli precedenti, oltre nell'elevata durata, consiste nel fatto che "Hardwired" e "Moth Into Flame" erano in qualche modo molto dirette e se vogliamo furbe, ma decisamente degli ottimi esempi di come sono i quattro cavalieri al giorno d'oggi. Questa song sembra voler ricercare a tutti i costi quel qualcosa che possa spiazzare l'ascoltatore, un metodo per farci esclamare "Hey, geniale questo passaggio". Ed invece, la continua "ricerca", soprattutto all'inizio, si dimostra essere troppo presente e diluita, anche quando effettivamente non ce n'era affatto bisogno. Il rovescio della medaglia, per farla breve: ed infatti, quando la band gioca "semplice", il brano funziona; eccome se funziona. Un vero peccato, perché siamo dinnanzi ad un episodio che poteva e doveva essere reso al meglio. A questo punto, se in fase di introduzione avevamo detto che dopo tre singoli avremmo potuto avere un quadro più completo su questo nuovo percorso discografico, ci troviamo a dover smentire in parte questa affermazione. Sinceramente non possiamo avere ancora una visione definitiva, e qualche dubbio giustamente lo si può avere. Dopo questo brano corredato da relativo video, la band annuncia che ci sarà un video per ogni canzone presente nel doppio disco, e stiamo parlando di ben dodici video tratti da altrettanti brani. Anche questa è un'operazione "diversa" che probabilmente in futuro verrà copiata da altre band. Sicuramente bisogna dare atto ai Metallica di non aver paura di osare, e questa è una caratteristica che ormai è stata consolidata dal e nel tempo. Tra cambi di stile e di approccio alle composizioni, i quattro di Frisco non si sono mai tirati in dietro e se ne sono sempre fregati di quello che la gente pensava e tutt'oggi pensa di loro. Anche perché hanno la piena consapevolezza che dal vivo sono sempre una macchina da guerra (e da soldi), motivo per il quale la gente continua e continuerà a seguirli. Concludendo, "Atlas, Rise!" è un buon brano che però non raggiunge in termini qualitativi i due singoli precedenti