DOWN

NOLA

1995 - Elektra Records

A CURA DI
ALBERTO BIFFI
31/08/2018
TEMPO DI LETTURA:
9

Introduzione Recensione

Philip Hansem Anselmo nasce a New Orleans il 30 giugno 1968. E credete a chi vi scrive, non c'era altro modo per iniziare questo articolo. Phil era un ragazzo difficile, e come tutti i ragazzi difficili (o nella grande maggioranza dei casi) inquietudine e irrequietezza hanno una causa. Il padre, gestore di diversi bar ama così tanto il suo lavoro da esserne assorbito. Non solo... oltre a gestire i bar ne diventa anche "cliente", arrivando ai limiti dell'alcolismo. Phil, evidentemente a briglie sciolte, nel tentativo di spaventare la sorella (o attirare l'attenzione dei genitori) appicca un incendio all'interno della loro casa. Risultato? Fugge, trovandosi letteralmente senza una dimora. Vaga per le strade di New Orleans appigliandosi a tutto quello che trova fuori e dentro di sé. La passione per la musica lo aiuterà non poco. Appassionato, anzi... innamorato del sound catacombale e sulfureo dei Black Sabbath (se solo il giovane Anselmo avesse saputo che nel 2000 avrebbe addirittura inciso un brano con il suo idolo Tony Iommi, per il primo disco solista del chitarrista inglese... ) ma anche dell'urgenza nervosa dell'hardcore/punk più estremo, Philip si avvicina al metal di Venom, Slayer e Judas Priest. Dotato inizialmente di una vocalità ben diversa da quella alla quale siamo abituati ad accostarlo, il cantante ottiene un posto nei Razor White, clone-band dei Judas Priest che spesso ne propone anche cover. Parlavamo di una diversa vocalità rispetto a quella più estrema della quale comunque Philip è stato un caposcuola? Pensate a un giovane Anselmo impegnato in acuti ultrasonici, tipicamente NWOBHM. Non riuscite a "visualizzarlo con le orecchie"? A "sentirlo con la mente"? Ok, inutile dirvi di ascoltare 'Cemetery Gates' dei Pantera, la conoscerete a memoria. Andate su youtube e cercate 'Razor White - 1987 demo full'. Preparatevi ad uno shock. Noi vi abbiamo avvertito. Philip era dotato di una voce pazzesca, capace di essere melodica e al contempo aggressiva, ma sopratutto in grado di produrre acuti spiazzanti. Era il 1987 quando i texani Pantera, orfani di Terry Glaze, lo chiamarono per diventare il titolare del microfono. Per l'inquieto Philip era l'occasione della vita... lasciare la sua amata Louisiana per tentare la fortuna altrove. L'incendio appiccato alla sua casa era spento da anni, ma dentro di lui quel fuoco bruciava ancora e solo il muoversi continuamente, il dedicarsi a mille progetti riusciva - solo in parte - a placarne le ustioni. Era il 1988 quando  i Pantera pubblicano 'Power Metal', ancora pregno di quelle sonorità glam/hard rock dalle quali il gruppo iniziò comunque ad allontanarsi, anche (e sopratutto) grazie a Philip, un vero animale da palco e un cantante poliedrico e camaleontico, in grado di adattarsi a qualsiasi sonorità. Era il 1990 e il mondo metallicamente musicale cambiò in modo drastico. Epicentro del terremoto sonico: Texas. Il produttore Terry Date diede vita al "sound Pantera", generando negli anni (decenni?) a venire, una serie di cloni e imitatori. Le leggi non scritte del "nuovo" metal? Chitarre iper compresse, batteria triggerata, un basso finalmente in primo piano e una voce... la voce di Phil... potente, aggressiva, melodica. Nel 1992 esce 'Vulgar Display Of Power', ovvero la bibbia del nuovo corso del metal mondiale. Non era thrash... non era death metal. Spazzava via tutte le band in circolazione con un sound fresco, primitivo ma tecnico, in grado di riportare in auge quegli assoli di chitarra cancellati da anni di grunge. Per tutti i "veri metallari" che disprezzano i Pantera, vorremmo ricordare che il metal, l'hard rock, il carrozzone del rock, pieno di eccessi, belle donne, sorrisi e divertimento sfrenato, fu spazzato via dalle sonorità provenienti da Seattle, che predicavano (come il punk) la possibilità di fare grande musica senza troppi mezzi tecnici, senza strumenti costosi e irraggiungibili. Serviva un refresh nello stantio mondo del rock, ma servirono anche i Pantera. Con la band texana si tornava agli eccessi e ai fasti degli anni 80, con spogliarelliste, birra, assoli da shredder e tour estenuanti. I fratelli Abbot rievocano i Van Halen, con un batterista eccezionale e un chitarrista rivoluzionario. Alla voce un istrione... e si ha una rock band perfetta. Dopo 'Far Beyond Driven' (1994) i problemi di Phil con alcol e droga si fanno davvero invalidanti. La band lo costringe a ripulirsi per poter nuovamente lavorare insieme. Dopo l'abbandono del tour del 1995, il cantante si riunisce alla band, salvo poi allontanarsi ancora, forse all'apice del suo periodo autodistruttivo, in preda ad alcol ed eroina. E' in quel momento nel 1995,  che Phil Anselmo torna ad essere Philip Hansen Anselmo. Torna a New Orleans e riprende un progetto nato e morto (in seguito agli impegni dei musicisti coinvolti) anni prima. Dalle paludi della Lousiana Philip fa riemergere una creatura chiamata Down, pregna di tutte quelle sonorità che l'hanno sempre guidato quando era solo contro il mondo. L'americanità esasperata del Texas lascia il posto alla prevalenza creola della Lousiana, il whiskey e la birra vengono spodestate dal Sazerac (5cl di Cognac, 1cl di Assenzio, 1 zolletta di zucchero e 2 gocce di Peychaud's bitter), la sabbia dalla palude. Qui sono gli amici di una vita a creare musica: Pepper Keenan dei Corrosion Of Conformity alla chitarra, Kirk Windesterin dei Crowbar ad occuparsi di ben dieci corde, la chitarra ed il basso, Jimmy Bower dei grandi Eyehategod alla batteria e Todd Strange, sempre dei Crowbar che si unisce alla band in qualità di musicista live. Qui non c'è country (grande amore dei fratelli Abbott che sublimeranno con il disco dei Rebel Meets Rebel, insieme al mito del country David Allan Coe, supportati dal basso di un altro membro dei Pantera: Rex Brown), qui c'è molto, moltissimo blues. Qui non ci sono (per ora) gli stadi, ma i fumosi e multietnici bar di New Orleans. Gli amici jammano, e possiamo solo immaginare l'odore di sudore, di alcol e di fumo che i Nostri riuscivano ad emanare completamente presi dalla loro musica, tra i miasmi della palude e i profumi del voodoo. Da quelle lunghe, notturne, estenuanti e appaganti jam session nacque NOLA (New Orleans, LA). Interamente pensato e arrangiato da Anselmo e Keenan, prodotto dagli stessi Down e da Matt Thomas, registrato tra il 29 agosto 1994 e il 22 gennaio 1995 agli Ultrasonic Studios di New Orleans, il disco viene pubblicato il 19 settembre 1995 via Elektra. E il nostro articolo inizia proprio da qui.

Temptation's Wings

"Temptation's Wings" (Sulle ali della tentazione): NOLA si apre nel modo più sperato ma inaspettato. Un riff di chitarra molto aperto che viene subito doppiato con un'armonizzazione che ci farà compagnia per tutto il disco, andando a rappresentare un punto fermo del chitarrismo dei Down. La voce di Anselmo è quella nella sua versione novantiana, ovvero esasperata, tirata sulle tonalità alte ma sporca di nicotina e alcol. Un Anselmo ancora potenzialmente in grado di cantare molte cose, forse non tutte, come ad inizio a carriera, ma per ora ancora in grado di poterla modulare su tutte le influenze che lo seguono e accrescono musicalmente sin da ragazzino. Contestualizzando la sua musica, il suo mood, il suo personaggio e il suo incredibile talento, il Phil Anselmo del 1995 è ancora inarrivabile per molti dei suoi colleghi (e spesso detrattori). Abituati alla velocità e alla violenza sonora dei Pantera, l'essere catapultati in un mood completamente sabbathiano, lento, sulfureo, carico di pathos e profumi vintage, ci coglie alla sprovvista... ma ci rende immediatamente felici. La Washburn di Diamond Darrel e i suoi amplificatori Randall, lasciano spazio all'amplificazione storica e polverosa di ampli Fender e Orange, a chitarre Gibson e Fender Telecaster. La mastodontica batteria Tama, l'ingombrante uso della doppia cassa da 24", lascia spazio alla Ludwig di Jimmy Bower. C'è voglia di tornare indietro... di tornare alle proprie radici (sprofondate nella palude)... e non solo musicali. Si percepisce sin da subito una magia, un sound incredibile e spontaneo, nato dalla passione per lo stoner, il doom, il blues, lo sludge (che è poi l'estremizzazione di tutto quanto appena scritto, imbastardendolo con l'hardcore più marcescente), il metal e il rock tutto. Si sente odore di legno, di sigarette, di marijuana, di rum e whiskey. Si sentono strisciare i serpenti e si vedono i coccodrilli attendere le loro prede semi-immersi nelle loro acque torbide. Intorno a metà brano, esattamente al minuto 2:33, parte una sezione a due chitarre armonizzate davvero da pelle d'oca. Keenan e Windstein si incontrano con le loro sei corde, rievocando la tradizione folk rock americana. Un finale in crescendo con Anselmo a guidare il brano in un pachidermico sludge, tra urla e la ripresa del main riff. Il testo può essere interpretato in mille modi, ma il senso che più sentiamo vicino all'interpretazione di Anselmo - il suo stesso autore - ci porta verso le tentazioni e la cadute. Il domandarsi quanto delle nostra sfortuna è frutto delle nostre scelte, e quanto del fato avverso. "Ho dato la mia vita alla ragione, ed ora sto guardando la vita che va". "Il mio spirito sta cadendo a pezzi". Anselmo sembra scrivere un diario con questo brano, dove ammette i suoi problemi con le dipendenze  (in quel periodo, lo ricordiamo, al loro apice). Sembra parlarci di come si sia sentito in cima al mondo, ma ora è tutto così lontano e distante... "To be a king that is left behind". Sembra voler reagire o meglio... ammette di provarci: "non riesco a scuotermi dalle ali della tentazione", "Guardo gli altri e mi chiedo perché?". E poi, tristemente ammette di essere lo stesso fautore delle sue disgrazie: "Nutrire il mio cancro". Nutre il suo cancro... le sue dipendente. Il primo pezzo di questo 'NOLA' si rivela un brano grandioso, che ci riempie di speranze per un probabile capolavoro. Siamo carichi, eccitati e al contempo appesantiti da sensazioni contrastanti. Tristezza, malinconia, oscurità. 


Lifer

"Lifer" (Ergastolano) è la seconda traccia di questo masterpiece intitolato 'NOLA'. La parola d'ordine è solo una: riff. Tony Iommy ha insegnato tanto a questi uomini che ci sembra di visualizzare da ragazzini, nella loro stanza, o magari nel granaio di famiglia, con un bong e un vecchio e malandato giradischi che suona 'Black Sabbath, Vol.4' (25 settembre 1972, Warner Bros Records). Li vediamo imbracciare gli strumenti e imparare sui loro brani, per poi decidere che si è "troppo grandi" per suonare una musica così vecchia, e si creano estremizzazioni, evoluzioni. Poi questi ragazzi cresciuti, all'apice del successo con le loro band, si ritrovano... bevono, fumano... e quando prendono in mano vecchi strumenti dimenticati, suonano vecchia musica mai dimenticata. Ce l'hanno nel DNA, ce l'hanno fatta ascoltare in mille modi: mascherata, coperta, modificata, accelerata, sporcata. Ma è sempre LEI. Ora con i Down è nuda, libera. Anselmo in questo brano punta sull'impatto, con grida quasi purificatrici e liberatorie. C'è tanta Birmingham in questo pezzo, e tanto tanto blues e nero soul. Un riff reiterato, circolare, ossessivo, una sorta di mantra voodoo che ci gira nella testa, se ne impossessa e ne diventa padrone. Tutto in un riff... in un maledetto riff. Un brano che ci disorienta dopo la prima traccia, ma la bravura dei Down è avvicinarci a quel sound southern e paludoso che fino ad ora è stato messo a disposizione solo degli stomaci forti. I Down rielaborano il sound dei Crowbar e dei Corrosion Of Conformity epurandolo dai picchi hardcore e dalle estremizzazioni sludge. I Down suonano in modo "commerciale". Ebbene sì, se commerciale significa pop e pop significa popolare, i Down riescono a rendere maggiormente accessibile un sound fangoso, "stoned", che puzza di birra e incenso, sino ad ora un qualcosa di underground, un suono che rompeva le barriere tra gli appassionati di metal, di blues, di doom e di hardcore. I Down suonano tutto in modo spontaneo, senza pensare a mosse commerciali, questo è palese. Sopratutto Phil ha venduto moltissimo con i Pantera ed ora ha solo un bruciante desiderio di redenzione, di recupero del suo spirito... di quell'anima che cita spesso nei testi di NOLA. In 'Lifer' sembra parlare del suo passato: "Una bocca da sfamare?", "Finalmente libero, io sono il passato". "Sto ridendo... alla mia salute". Quando cita il sangue, il "suo" sangue, sembra parli della sua identità, le sue radici per troppo tempo lontane dal suo spirito: "il mio sangue sta svanendo". Poi ci racconta di come sia riuscito comunque a tirare avanti, conquistando nuove identità, nuove realtà a lui lontane: "il mio sangue sta bramando il tuo mondo".


Pillars Of Eternity

Jimmy Bower ci accoglie a braccia aperte con il suo drumming asciutto, essenziale ma dannatamente ritmico e ricco di groove. Phil Anselmo ci regala ancora una prestazione acida, muriatica, urlando a squarciagola su un riff nuovamente influenzato dai Black Sabbath, prima che le chitarre si uniscano nell'ennesima, stupenda armonizzazione. Non solo, si scambiano gli assoli donando al brano un dinamismo fantastico. Splendidi vibrati di settantiana memoria arricchiscono il riff che risuona sul rullante di Bower, quanto di più distante dai trigger di Vinnie Paul possa esistere. Qui tutto è valvolare, analogico, microfonato, cantanto, jammato, improvvisato, suonato e risuonato con veri strumenti finché tutto non suona nelle dita come nella testa e nel cuore. Anche qui il riff è ripetuto, reiterato, fatto girare continuamente ma in mille modi diversi. Questa è la capacità dei Down, l'aver appreso dagli dei (musicali) del passato la lezione principale. Non importa cosa suoni... ma "come". Serve passione, groove, idee e talento. I Down ne hanno da vendere. Suonano lo stesso riff per 4 minuti, il tutto facendocelo assorbire a livello epiteliale, senza avvelenarci. Ci propinano un veleno a piccoli ma continue dosi, non solo rendendoci immuni, ma dandoci anche piacere. Si comportano come il serpente corallo, tipico delle loro zone. Non attacca mai l'uomo, ma se manipolato direttamente morde iniettando il suo potente veleno (con un LD50 pari a 1,3 mg/kg). Noi li manipoliamo eccome i Down, vogliamo ascoltarli, imparare i loro brani, scoprire cosa combinano questi grandi musicisti tutti insieme. Il testo di "Pillars Of Eternity(I pilastri dell'eternità) è più strutturato e meglio sviluppato rispetto ai due precedenti brani. Più poetico, più esoterico e pregno di quel paganesimo infarcito di cristianità, o cristianesimo influenzato dal culto della madre Terra. Leggiamo insieme: "Un creato fatiscente si sgretola tra i miei palmi. Nella mia bocca, assaggio dell'amara sabbia", "Vino, musica, donne, parto. Ciò deflora la Madre Terra. Semina, raccolto, come i pianti di lei .Semi che germogliano, semi che generano quest'alberi agonizzanti". Phil sembra lanciare anatemi verso l'umanità, dichiarando che si dissolverà nella polvera (come tutto e tutti), e che l'unica cosa che resterà sarà il suo odio, o forse è il suo odio la causa della sua morte: "Svanisci, svanisci, Io provo odio. Morirò nel cuore della mia dissolvenza". Anselmo aggiunge una parola singola... staccata da tutto il resto: "vero". Quasi a sottolineare il suo essere trasparente, vero, reale, privo di filtri agli occhi di tutti e della musica. Quasi un giustificare il suo ritorno alle origini, del suo sangue (altra parola ricorrente) e della sua musica. Essere vero.


Rehab

"Rehab(Riabilitazione)Un brano liricamente pesante, che non lascia spazio ad interpretazioni: 'E sto morendo...", "Vale la pena essere rianimato?". Sembra quasi un Phil Anselmo sconfitto quello che canta questo brano. L'italo-americano appassionato di pugilato sembra gettare la spugna. "Datemi delle medicine...", "Sto affogando nel dolore". Un urlo disperato, una richiesta d'aiuto. Avrà provato davvero queste sensazioni mentre scriveva il testo? O era riferito a qualche mese o qualche anno prima? Sappiamo che nell'anno di uscita di NOLA Anselmo toccò forse uno dei punti più bassi delle sue dipendenze e il solo pensarci, leggendo questo testo, ci lascia davvero l'amaro in bocca. "La lunga giornata mi ha abbattuto, sono ubriaco e mi brucia la testa". Poi il rifiuto: "non ho bisogno di nessuno". Per cosa? Per vivere o per morire? Musicalmente questo brano è pregno di blues, ma non quel blues preso dagli americani e imbastardito con il rock e la cultura bianca. Qui si parla del blues creolo, quello nero, quello carico di dolore (vista anche l'importanza del testo)... quello "vero" come diceva lo stesso Phil in 'Pillars Of Eternity'. Qui Anselmo è più vero che mai. Canta divinamente, non con la gola, con il diaframma o con la testa. Qui canta con la pancia, con il cuore, con ogni parte dolente del suo corpo. Non mancano ovviamente i riff sludge, e tutto il brano è caratterizzato da note ricorrenti, lunghe, strazianti, che ancora una volta rendono il tutto mesmerizzante e lisergico. 

Hail The Leaf

Altro pezzo pe(n)sante. Altro brano pregno di sofferenza, dubbi, pentimenti, consapevolezza, forza e debolezza. Ancora un Anselmo che affronta i suoi demoni. "Nel fiume coraggioso non riesco a navigare". Qui sembra che Philip si renda conto che il suo aspetto così forte, il suo carisma e la sua attitudine non bastino per vivere in un mondo dominato da coraggiosi, da gente che fa la scelta giusta, che segue la "retta via". Sembra che si renda conto che non è quasi di questo mondo, che non sia in grado di reggere lo stress, i problemi che una normale quotidianità ci mette di fronte. "La sensazione solitaria che potrei non riuscirci". Eccolo... il Phil che da fuoco a casa sua e poi, per non affrontare le conseguenze scappa, preferendo affrontare l'ignoto piuttosto che rischiare una punizione conosciuta. "Lascia che mi calpestino... fatto/drogato/ubriaco". "Da solo, piangerò". Forse il testo più disperato di Anselmo, per una musica tesa, carica di tensione, che non risulta triste o deprimente, ma solo drammatica e nervosa. Si arrende, ammette di aver buttato il suo tempo e parte della sua vita: "Ho solo fumo". Il testo finisce in modo quasi drammatico: "Niente più tristezza, niente più sofferenza, niente più guai". Se è questo che si augurava il Phil del 1995 e se pensiamo che il 13 luglio del 1996 avrà un overdose di eroina che lo porterà vicino alla morte... c'è di che farsi venire la pelle d'oca. NOLA dei Down resterà per sempre un album profetico, un urlo di dolore lanciato dalla propria terra, dalla propria casa, circondato dai propri amici. Come scrivevamo poche righe sopra, la musica di "Hail The Leaf" (Ode alla foglia) è drammatica, dura, scatta come un uomo dai nervi scoperti. Come un drogato in astinenza. Forse musicalmente il brano meno ricco di sfumature, il più diretto, dove i riff della coppia Keenan/Windstein cercano per la prima volta di fare del male gratuito. Evidenziamo una parte centrale in cui sono ancora il drumming carico di groove di Bower a spadroneggiare e un finale in cui Anselmo duetto con la sua voce insieme alla chitarra di Keenan, in pieno stile settantiano.


Underneath Everything

"Underneath Everything"  (Al di sotto di ogni cosa)Un incipit che sembra evocare i The Blues Brothers. Un riff che è uno standard del blues e che qui viene preso di peso e reso... pesante. Si sentono anche armonizzazioni vocali (doppiate dallo stesso Anselmo) che non possono non farci pensare agli Alice In Chains, così come ancora una volta le chitarre viaggiano in coppia, irrobustendo i riff suonati all'unisono e "cantando insieme" quando devono affrontare fraseggi caratterizzanti. Qualitativamente non è un brano eccelso ma sembra proseguire il corso autodistruttivo iniziato da 'Rehab' e proseguito con 'Hail The Leaf'. Qui Phil Anselmo è sfacciato, shockante. "Mi arrendo, è abbastanza". "Riportami indietro dalla guerra (con chi? NDR)... e dal Signore". "Sono sotto la mia vita" "Sollevare il monolite". Phil si sente schiacciato, oppresso. Continua a ripetere: "I give up". Mi arrendo. Anche questo pezzo non risulta musicalmente tra i più ispirati, un insieme di blues estremo e sludge metal. Anselmo non riesce a cantare in modo melodico i suoi testi più intimisti, quasi che abbia paura che la gente abbia il tempo di capirli, di assorbirli. Preferisce sfogare le sue paure gettandocele in faccia, urlandole fuori dai suoi polmoni pieni fumo, dal suo fegato gonfio e dalla sua gola che nel giro di pochi anni non riuscirà più ad essere quello strumento poliedrico e camaleontico al quale eravamo abituati. Anselmo estremizzerà sempre di più le sue proposte (innamorandosi poi del black metal norvegese), ma già qui, in questo NOLA, da prova di saper bene come disintegrare le sue corde vocali un tempo indistruttibili. 4:46 minuti sono forse troppi per questo brano, che risulta davvero un urlo costante contro il mondo, un ammissione di debolezza nascosta da un ruggito assordante. A contrastare il tutto, una triste e malinconica chitarra acustica termina il brano... nemmeno a dirlo la voce di Phil è assente, sarebbe stata troppo nuda senza l'ausilio delle distorsioni.


Eyes of the South

"Eyes of the South" (Gli occhi del Sud). Sembra quasi che il buon Phil, dopo un trittico di nera disperazione, veda finalmente la luce, l'amore e la speranza. Questo si percepisce anche musicalmente e Phil pur urlando ancora a pieni polmoni riesce a modulare ottime linee melodiche pregne di whiskey, blues e sigarette. Qui le chitarre non sono armi, ma mezzi per comunicare emozioni. Difficile (conoscendo il brano) non volare direttamente al minuto 3:19, dove la chitarra solista di Keenan si lancia in un assolo straziante e melodico, caldo, vellutato. Un esercizio sulla scala pentatonica che risulta comunque di buon gusto. Phil canta pulito sopra la chitarra, doppiando la sua voce in modo quasi "beatlesiano". Subito spezza l'incantesimo con la sua voce tirata e arsa dal fumo e dal sole della Lousiana. Sembra che la sua terra, il buon Phil, se la porti dentro. Sole, caldo, umidità, scontri razziali, tempeste, paludi, natura. Ci troviamo tutto nella sua vocalità e nello spettro di emozioni che riesce a mostrarci e farci empaticamente provare. Il testo stesso è un sali-scendi emozionale. Phil ci illude, anzi no... lui è "vero". Ci casca anche lui: "Maledizione! Questa volte è vero. E' un amore che sento". "Lascio i miei guai a smaltire in strada... e lasciare che il sole sia ancora sulla mia faccia". Sembra davvero che Philip questa volta sia redento, salvato dall'amore per qualcosa... o qualcuno. "Il sud è cieco, ma lei mi da tanto sollievo per il mio dolore". Una donna? Un farmaco? O peggio, ci stiamo illudendo che non stia parlando di una droga? Abbiamo la sfera di cristallo... recensendo oggi, un disco del 1995, possiamo sapere cosa successe dopo e rileggendo tutto con questa chiave, non possiamo che capire, ed esserne terrorizzati. Solo recentemente Phil Anselmo si è operato alla spina dorsale, rilasciando in un intervista una dichiarazione secondo la quale la sua dipendenza dalle droghe era dovuta alla ricerca di aiuto per sopportare il dolore che lo perseguitava da anni (e per molti anni a venire). Rileggiamo ora, dopo questo breve viaggio nel futuro, quella frase già analizzata: "Il sud è cieco, ma lei mi da tanto sollievo per il mio dolore". Inquietante. Ne abbiamo una conferma con i versi successivi: "(lei) non mi permetterà mai di tornare ad essere un uomo sano di mente, quindi per favore... lasciatemi morire. Lasciatemi morire lì". 

Jail

Un testo così breve per un pezzo così bello. Ve lo riportiamo per intero:

"One day, the strain
I've never felt like this before
Our lives capsized, one man will give back
Be calm my love
Why don't you kneel for me?
I write for sight
One day you'll find me in the corner
More sublime, but I still never died before".

La sua traduzione:
Un giorno, la tensione.
Non mi sono mai sentito così prima
Le nostre vite si sono capovolte, un uomo restituirà
Sii calmo amore mio
Perché non ti inginocchi per me?
Scrivo per vista
Un giorno mi troverai nell'angolo
Più sublime, ma non sono mai morto prima".

"Jail" (Galera) è un chiaro tributo a 'Planet Caravan' (Black Sabbath, 'Paranoid', 1970, Vertigo Records). Bongo, chitarre acustiche e un Phil Anselmo che qui non può che sussurrare. Qui davvero, se avesse usato anche "solo" la sua normale e melodica voce pulita (per quanto ormai si possa considerare "clean") avrebbe coperto tutto, avrebbe reso musicalmente sporco un brano quasi onirico. Sembra di trovarsi davvero in una baracca sulla palude, illuminati da lanterne a petrolio e candele, dove un officiante, un santone, aspira una misteriosa sostanza da una pipa ricavata da ossa umane, per poi soffiarci il fumo sul viso. Sentiamo tutto in modo ovattato, esattamente come la voce di Phil in questa 'Jail', così distante... ultraterrena. Vediamo la stanza girare, donne di colore che ballano intorno a noi, risate, grida, ritmi ipnotici. Ma forse questi sono davvero all'interno del brano. Ormai la realtà e la fantasia si mescolano in questo insieme di blues, voodoo, musica etnica. Il titolo parla di una prigione... ma il testo risulta davvero criptico anche a causa di espressioni tipicamente dell'America del sud.  Phil, quando chiede: "Perché non ti inginocchi per me?" sembra chiedere una preghiera per lui, lui che sta per morire: "...  ma non sono mai morto prima". "Un giorno mi troverai nell'angolo" può essere interpretato non come "alle corde", ma bensì come "morto", riposto in un vaso, cremato. O nell'angolo di un cimitero. Suona come un: "saprai dove trovarmi per sempre (più sublime)". Un brano stupendo che rende questo 'NOLA' ancor più prezioso. Un disco che traccia dopo traccia si conferma come un qualcosa di storico.

Losing All

Si parte con un Phil Anselmo che presenta il pezzo: "this one is called Losing All (Perdendo tutto)". Bellissimo. Sembra di essere in sala prove, magari con amici dei Down presenti per la jam. Tappeti a terra, sigarette, alcol, cani che girano tra gli amplificatori scodinzolando tra cavi e chitarre. E Phil si rivolge agli amici... a noi, per presentare questo pezzo che andrà sul disco. Inutile dire che anche questa volta l'influenza primaria sono i Black Sabbath di 'Black Sabbath, Vol. 4' e questa volta il pezzo ispiratore è 'Supernaut'. Fraseggi armonizzati e Anselmo che inizia modulando la sua voce roca su un pezzo diretto, immediato, potente, memorizzabile. Qui Ozzy, Geezer, Tony e Bill sono quanto mai presenti, tra riff settantiani stacchi di batteria studiati sui dischi della band inglese e rallentamenti sulfurei. Si torna alla disperazione, qui diventate vera e propria autocommiserazione. Phil, scrive parole che non danno adito ad interpretazioni che non siano chiare e lapalissiane. "Ho pensato di andare, perdere tutto. Sono il signore della miseria. Sono il re della collina. Sono un uomo distrutto del mondo". "Sto perdendo tutto. Pistola alla testa. Sto perdendo tutto". Qui Phil sembra addirittura pensare al suicidio. Una pistola alla testa per un uomo che dall'esterno, agli occhi del mondo musicale ha tutto... anche demoni e maledizioni. Ma forse non lo pensava davvero, quello che era ancora il cantante dei Pantera, forse era solo un testo. Già. "Le mie ossa sono rotte. Sto perdendo tutto". Phil si lascia "scappare" anche un chiaro e diretto "fuck" mentre canta e, badate bene, questa parola non è inserita nel testo. Non è una cosa da poco, ma sta a significare che Phil evidentemente l'ha improvvisata in fase di registrazione, dimostrando che il testo che canta è dannatamente sentito. Parla di lui e lui non lo canta, ma lo sputa contro il mondo. Oppure, come dicevamo, cerca solo di urlarlo il più forte possibile per farsi sentire.


Stone The Crow

Il primo singolo estratto da 'NOLA', il pezzo più commerciale, il brano per il quale i Down fecero un videoclip, la canzone più assimilabile e vicina alla tradizione rock americana. In poche parole forse il brano più bello che i Down abbiamo mai scritto e una canzone che tra 20 anni sarà annoverata tra i classici del rock a stelle e strisce. Qui sentiamo l'umidità di New Orleans, ci viene quasi istintivo schiacciare le zanzare sul nostro collo abbronzato ("redneck") dopo il lavoro quotidiano nei campi. Usiamo un airboat (quella barca utilizzata per andare nelle paludi, con una grossa elica posteriore) per attraccare alla passerella in legno di un bar fatiscente. Entriamo per berci qualche birra gelata mentre una donna molto grassa sta preparando dietro al bancone un piatto a base di coccodrillo e della jambalaya (un piatto cajun simile alla paella). Un anziano sdentato sta osservando dei ragazzoni che accordano gli strumenti e quando attaccano con "Stone The Crow(Non è successo nulla) la magia è completa. Questo è quello che si prova e si visualizza ascoltando questa stupenda canzone. Il titolo della canzone significa "non è mai successo un caz*o". Ancora una volta si legge un testo decadente, apparentemente scritto da un uomo sconfitto che mentre è ubriaco piange su sé stesso scrivendo una sorta di di ammissione di colpe. Ricordate il parallelismo con il pugile che getta la spugna? Più si avanza nell'ascolto dei testi di "NOLA" e più sembra che quella spugna sia in volo, lanciata dalla mano dell'allenatore e pronta ad atterrare sul ring decretando non la sconfitta... ma la resa. Per essere sconfitti si combatte e si lotta, per arrendersi basta smettere di lottare. "Vengo incolpato, vengo denigrato. Sono giudicato ingiustamente". Vittimismo. "Non sono mai morto prima d'ora", una frase ripetuta altre volte in questo disco. "Scivola attraverso infinite novelle una vita di dolore scritta a mano". Che frase stupenda. Drammaticamente poetica. Una vita che scivola, scorre attraverso mille storie, mille facce, mille avventure. Una vita colma di dolore, di brutti ricordi e difficoltà affrontate. "Scritta a mano"... senza l'aiuto di nessuno. Mai. Musicalmente si sente l'influenza di un brano come 'Albatross' dei Corrosion Of Conformity, pubblicato solo un anno prima e contenuto nel bellissimo 'Deliverance' (27 settembre 1994, Columbia Records). Chitarre armonizzate, fraseggi che più americani non si può, colmi di feeling, di blues, di rock statunitense. Un brano al quale basterebbe togliere un poco di distorsione per poterlo spacciare come uno standard southern rock. Nel video prodotto per questo singolo possiamo vedere Pepper Keenan imbracciare una splendida Fender Telecaster, con la quale si esibisce in un assolo suonato con i testicoli, con il sangue delle sue vene che fornisce la corrente e lo stomaco che funge da amplificatore. Quanti musicisti "metal" sanno suonare in questo modo? Un pezzo dal ritornello stupendo, dal break centrale in cui i chitarristi si "sfidano" e suonano armonizzati in piena tradizione settantiana (poi mutuata dal metal ottantiano). Ma è proprio l'intreccio e la fusione delle chitarre che caratterizza l'intero brano. Arpeggi, fraseggi, assoli, riff... nulla è lasciato solista e solitario, ma tutto viene doppiato, armonizzato, incastrato, e tutto signori miei, funziona magnificamente. Un pezzo che tutt'oggi dal vivo riesce a far esaltare migliaia di persone. Ci sarà un motivo no?


Pray Fot The Locust

Ci si avvicina alla fine di questo viaggio nell'America del sud. "Pray Fot The Locust" (Prega per la locusta) è un breve divertissement di poco più di un minuto. Un effetto di fade-in ci porta come un vento lontano il suono di una chitarra acustica che arpeggia in modo nervoso, supportata da un tappeto di tastiera che tiene gli accordi principali utilizzando un effetto che si chiama 'choir' (coro). Anche qui, il brano è ispirato direttamente da un altro capolavoro contenuto in 'Black Sabbath, Vol.4'. 'Pray For The Locust' ha moltissimi punti in comune con 'Laguna Sunrise': l'assenza di percussioni e basso, la sola chitarra acustica sorretta dalle tastiere e, non ultima, la breve durata. L'ennesimo tributo di Anselmo & Co. A un disco che definire seminale è poco. 

Swan Song

"Swan Song", il canto del cigno... quale titolo più triste. Un brano che musicalmente non rappresenta sicuramente l'apice di questo disco. Dobbiamo davvero dirvi chi ci ricordano? Ovviamente i Black Sabbath, che impregnano di nero catrame ogni riff di questo brano (e del disco tutto). Ancora quei passaggi chitarristici che Keenan sembra aver portato direttamente da quel capolavoro che risponde al nome di 'Deliverance' (uscito quasi esattamente un anno prima). Qui lo sludge metal è davvero "soft", ovvero resta quasi sempre su up-tempo valorizzati dall'ottima produzione e sopratutto dal non incaponirsi sulle frequenze basse. Qui i cantini delle chiarre vengono usati eccome, anzi, immaginiamo che l'imparare a suonare su questo disco sia davvero un ottimo esercizio per molti chitarristi in erba (e non ci riferiamo al forte uso di marijuana durante le jam session tra Keenan e Anselmo). Assoli melodici, groove, riffing roccioso, arpeggi, armonizzazioni, strumming, e tanto, tantissimo senso ritmico. Il testo oscilla ancora tra l'auto-commiserazione: "(riferendosi a Dio)... hai riso di me? Io, ora solo?" e i riferimenti all'auto-distruzione: "le pillole, il davanzale della finestra, lama di rasoio, grande fuga". Ovviamente la "grande fuga" è il suicidio, l'estrema scelta finale... forse la più codarda e Phil lo capisce (non la chiamerebbe "fuga" altrimenti). Stila un breve elenco dei modi in cui potrebbe fuggire dai problemi, dalle dipendenze. Lasciarsi alle spalle le debolezze commettendo un debole atto, rialzarsi dalle cadute della vita per gettarsi nell'infinita caduta dell'oblio. "... per uccidere il dolore, per darmi alla terra".


Bury Me In Smoke

Giungiamo al termine di questo fantastico disco intitolato 'NOLA'. "Bury Me In Smoke" (Seppelliscimi nel fumo) non è forse il pezzo migliore per chiudere questo masterpiece. Ci saremmo aspettati qualcosa di epico, magari di sperimentale o molto violento; al contrario addirittura, una ballata evocativa che andandosene in fade-out ci avrebbe lasciati come in un dormiveglia indotto da qualche sostanza, qualche rito o forse semplicemente qualche bicchiere di troppo. 'Bury Me In Smoke' è forse il pezzo maggiormente "post-hardcore" dell'intero disco, o chiamatelo sludge o hardcore con influenze doom. Chiamatelo come volete ma questo brano è "solamente" una mazzata tra i denti, un grosso truck americano sospinto da un grosso motore diesel che qui è rappresentato da un testo nichilista e ancora una volta quasi completamente senza luce. Durante la strofa non si può parlare di un grande lavoro chitarristico e sicuramente siamo almeno a 3 dischi di distanza da 'Stone The Crow', ma qui si punta all'essere monolitici. Riff stoppati con qualche variante prima di un ritornello dove Phil canta in modo pulito su tonalità minori e cupe. La bravura di Anselmo è nel saperci sorprendere. Su armonizzazioni e fraseggi melodici canta come un demone e su sonorità potenti e quadrate come in questo brano utilizza una vocalità più "clean" e modula maggiormente la propria voce su belle linee melodiche. Un pazzo... un artista. A meno di 5 minuti il pezzo sembra volgere sul finale, con il main riff reiterato in modo circolare e ipnotico mentre Keenan si lancia in assoli improvvisati. Ci aspetteremmo davvero un fade-out ma il counter del lettore ci indica che mancano ancora 2 minuti. Arriva davvero un fade-out... il riff si allontana e sparisce... per poi tornare in fade-in, e sparire questa volta per sempre. Un brano non brutto, anzi, ma che onestamente sembra più un filler che un brano degno delle altre tracce. Liricamente si torna ai pensieri di morte, al voltarsi indietro e guardare la propria vita getta, per una volta non sprecata: "non rimpiangere le regole che ho infranto". Alla fine del suo viaggio intimista e introspettivo, sembra che Phil sia convinto ancora di morire, ma sembra rilassato, tranquillo ma non rassegnato. Solo sembra capire la cosa. "Ho una via di fuga, devo usarla per ritenermi soddisfatto prima di andarmene", "sotto il mondo aspetto il mio destino". Di cosa parla? Dell'ennesima sostanza da usare (la via di fuga) per darsi tregua, pace, sollievo prima della morte? Phil scrive tutto questo, ma qui, in 'Bury Me In Smoke' sembra vedere le cose con un altro spirito, forse quello di un uomo che ormai non può tornare indietro, o forse quello di un uomo che non ha più rimpianti. "Quando morirò, seppelliscimi di fumo".

Conclusioni

Un disco che nessuno si aspettava. Phil Anselmo scappa dai suoi demoni, scappa dai Pantera, scappa dai suoi fan e dal Texas, scappa dalle luci dei riflettori, scappa dai giganteschi festival e dagli sconfinati palchi. Phil Anselmo scappa dalla riviste, scappa dallo stress di dover essere il frontman di una band che sembra inarrestabile. Ha iniziato così il giovane Philip no? Scappando da una casa in fiamme. Prova a scappare anche dalle sue dipendenze ma queste lo inseguono, lo braccano. Phil si rifugia nel posto che il suo cuore e la sua mente gli dicono essere il più sicuro: casa sua. Phil torna tra gli amici di una vita, torna in un luogo che non lo vede come "il cantante dei Pantera", ma come un figlio del sud. Anselmo si immerge nelle sue paludi, tra coccodrilli, serpenti e creature notturne. Fuma, beve, si rilassa camminando a piedi nudi sulle assi di legno del patio di casa sua. Camicia di flanella e cani scodinzolanti attorno a lui. Si beve tra amici, e come succede tra musicisti dopo qualche birra ci si trova a jammare, a sognare progetti o riesumarne di vecchi. Tutto è figlio della condivisione amichevole nonché della placida calma bucolica: un'immersione pressoché totale in una situazione al limite del "reset" che al nostro Anselmo fece solo che bene; troncare di netto con una vita che lo stava lentamente consumando e riducendo ad un robot alimentato per via chimica. Presenziare ora a questa intervista, ora a questa rassegna stampa. Concerti enormi e milioni di persone da intrattenere, pena la pubblica lapidazione. Obblighi contrattuali, scadenze da rispettare, pressioni circa l'uscita di nuovo materiale... costrizioni che sommate di certo riuscirono a traghettare Phil verso un'oasi felice, volendo sforzarsi di vedere il lato buono della sua "fuga". Un'oasi in cui è lui a comandare e non certo un contratto, non certo un manager od un agente preoccupato di far rispettare un termine contrattuale imposto dai suoi superiori. Lontano dalle nevrosi, lontano dallo stress e distante anni luce dalle altrui pressioni. Un animale selvaggio non può vivere in gabbia per troppo tempo, ed il Nostro ce lo ha ampiamente dimostrato. Questo NOLA appare sin da subito un disco nato in modo rilassato, senza pressioni o forzature. In questo disco si sente chiaramente (si percepisce) che ogni musicista coinvolto suona esattamente come vorrebbe e non come dovrebbe. Nessuna regola dall'alto e nessun ingerenza esterna. Solo... la libertà giusta e sacrosanta, concessa di diritto ad un gruppo di amici intenti a divertirsi in una sala prove, fra birra e risate, trascorrendovi un'intera notte, percepita come un pugno d'ore e nulla più. Musica creata per compiacere il creatore e non per scalare le classifiche, od assicurarsi quanto meno un disco d'oro o di platino. Rifacciamo: in questo NOLA si sente chiaramente che questo disco è nato senza pressioni... esterne. Sì, perché il nostro Phil ha cantato questo disco come se fosse una possibilità di redenzione, come se ogni urlo spingesse fuori dalla proprie vene tutto quel veleno inoculato, da ogni poro tutto quell'alcol ingurgitato. Si sente che il disco è nato spontaneamente insomma, ma questo non significa che non porti con sé delle maledizioni, delle ombre, degli esorcismi mal riusciti. NOLA è il viaggio introspettivo di un uomo che torna alle proprie radici, musicali e non, che si circonda da persone che conosce e che lo rassicurano con la sola presenza. NOLA è un ammissione di debolezza, ma anche il tentativo di riscatto di un uomo che ha tutto da perdere, ma sembra pensare di non aver nulla... o forse è un uomo che non ha nulla (ormai) da perdere perché ha avuto tutto. Questo disco è stato un fulmine a ciel sereno, un lavoro altamente influenzato dalle sonorità che hanno formato i musicisti coinvolti, i quali poi hanno negli anni estremizzato  il tutto producendo nuovi ibridi, nuovi figli deformi nati da incesti musicali. Ma tutto è un cerchio, tutto torna alle origini e questi musicisti tornano sui propri passi, togliendo strati alle loro idee, togliendo orpelli alle loro creature... si torna indietro nel tempo. NOLA è una versione moderna di 'Black Sabbath, Vol.4' che di moderno non ha nulla. Non ha i suoni, gli strumenti, l'attitudine. Qui tutto puzza di stantio... anzi... profuma di "old" come un old tennessee whiskey. Tutto "vibra" in questo disco, vibra come  stagionati legni risonanti di strumenti vintage. I Down hanno rianimato un sound che ha sempre fatto parte del DNA dei musicisti rock, con quell'insieme di zolfo (il rock è la musica del diavolo no?), accordi, melodie e dramma. Non importa che ascoltiate black metal, hard rock, blues o death metal, NOLA è un disco che prima ancora di essere ascoltato con le orecchie viene percepito dalla nostra ipofisi. Un lavoro che ci va a colpire nell'essenza dell'essere musicisti, stimolandoci in modo atavico con le sue pentatoniche, elettrizzandoci in modo ancestrale con il suo rock primordiale, grezzo, e ignorantemente sopraffino. Una volta terminato il disco molti di voi prenderanno in mano una chitarra per emularne i riff, altri si berranno una birra alla salute di Phil mettendo sul piatto un vinile dei Black Sabbath. In entrambe i casi la musica ha vinto.

1) Temptation's Wings
2) Lifer
3) Pillars Of Eternity
4) Rehab
5) Hail The Leaf
6) Underneath Everything
7) Eyes of the South
8) Jail
9) Losing All
10) Stone The Crow
11) Pray Fot The Locust
12) Swan Song
13) Bury Me In Smoke