DIMMU BORGIR

Puritanical Euphoric Misanthropia

2001 - Nuclear Blast

A CURA DI
FABRIZIO IORIO
03/06/2015
TEMPO DI LETTURA:
9

Recensione

Continua il nostro viaggio attraverso il percorso discografico dei norvegesi Dimmu Borgir con il quinto album in studio, dal titolo "Puritanical Euphoric Misanthropia". Questo disco segna un ulteriore cambiamento stilistico da parte della band, discostandosi molto dai lavori precedenti, pur rimanendo in un certo senso ancorato a sonorità tipicamente black, ma con qualche innovazione a livello sonoro ed una proposta che miscela suoni tipici del genere con soluzioni che a tratti rasentano il thrash. La band, in questo platter, collabora con l'orchestra sinfonica di Goteborg, prediligendola in gran parte alle soluzioni dettate dai sintetizzatori. La registrazione e la produzione vengono affidate questa volta, a Frederik Nordstrom ed ai suoi "Fredman Studios". Anche in questo caso, troviamo dei cambi piuttosto significativi a livello di line-up, con la fuoriuscita del bassista Nagash e dell'ottimo batterista Tjodalv, i quali, rispettivamente, danno vita il primo  ai Covenant (monicker poi tramutatosi in The Kovenant), dediti inizialmente ad un black sinfonico indirizzatisi in seguito verso un metal molto sperimentale ed elettronico, ed il secondo  ai Susperia, altra band che tra le proprie fila vede l'inclusione di artisti provenienti da Satyricon ed Old Man's Child. Al loro posto vengono reclutati nientemeno che: Ics Vortex al basso ed alle backing vocals (già presente come ospite nel disco "Spiritual Black Dimensions") e Nicholas Barker, batterista di grandissimo talento e violenza, che ha militato nei Cradle of Filth e milita tutt'ora nei devastanti Lock Up, oltre aver collaborato e ( ed in molti casi collaborando tutt'oggi) con numerose formazioni. Altro abbandono è quello del chitarrista Astennu; o meglio, il nostro viene praticamente licenziato dalla band stessa, ed al suo posto viene arruolato Galder (Thomas Rune Andersen), leader indiscusso della symphonic black metal band Old Man's Child. Cosa dobbiamo aspettarci quindi da Shagrath e soci? Sostanzialmente, un disco potente e veloce, che potrà forse far storcere il naso a chi fino ad ora ha apprezzato le uscite precedenti.. ma che risulta oggettivamente devastante sotto il profilo prettamente musicale, e che farà felice comunque chi cerca in un album eguali dosi di cattiveria e melodia. Attenzione, però: se precedentemente il sound dei nostri ruotava attorno alle atmosfere disperate, con passaggi di tastiera gotici ed evocativi, in questo caso tali atmosfere passano leggermente in secondo piano, preferendo puntare più su un impatto tipicamente in your face, contornato da sinfonie e da passaggi tastieristici che comunque rimangono, in un certo senso, la colonna portante della loro proposta. Vediamo quindi di scoprire cosa si cela dietro questa rinnovata formazione e in quale direzione sembrano volersi muovere i nostri ragazzi norvegesi.

"Fear and Wonder" è un'intro di rara bellezza, che oltre ad aprire il disco, praticamente ci presenta l'orchestra sinfonica in tutto il suo splendore. Tre minuti di archi, violini, e violoncelli che donano già inizialmente un'atmosfera quasi surreale al tutto, e che fungerebbero da perfetta colonna sonora per un qualsiasi film horror. La pulizia del suono è praticamente perfetta ed in questo breve periodo si viene avvolti da una rilassatezza quasi esasperata, che al tempo stesso risulta oltremodo disturbante e corrosiva. La tensione sale man mano che si prosegue con l'ascolto, con aumenti di volume e toni che si alzano prepotenti verso l'ignoto e servono, soprattutto nel finale, a fare da collante per l'inizio della prima vera song dell'album, ovvero "Blessing Upon the Throne of Tyrrany". La traccia parte con un colpo secco di batteria e un riff tagliente, per poi presentarsi definitivamente sui nastri di partenza con una violentissima sfuriata sonora; nei primi venti secondi viene praticamente a galla tutta l'attitudine devastante che la band ha intenzione di propinarci durante tutto l'ascolto dell'album. Barker sembra una belva infuriata tanta è la violenza con cui picchia sulle sue pelli, e Shagrath inizia con una prima strofa, dove possiamo notare subito un leggero cambiamento espressivo. Se nei precedenti album la voce era maligna nel vero senso del termine, qui si limita ad usare uno scream decisamente meno malvagio, ma comunque potente e convincente. Dopo una prima breve parte assolutamente annichilente, un breve riff introduce un doppio pedale violento e ritmiche serrate, per poi trovarci di fronte ad un rallentamento generale dettato da chitarre non eccessivamente pesanti, con un sottofondo sinfonico che svolge il giusto compito di accompagnare il brano, risultando mai sopra le righe o offuscando il lavoro della sezione ritmica. Si riprende alla grande con un'altra strofa di grande spessore, che viene interrotta da una mazzata sonora disarmante, con blast-beat iper veloci ed un'inclinazione al massacro che lascia attoniti. La voce di Shagrath, per la prima volta, viene filtrata in maniera piuttosto pesante, ma fortunatamente non fa perdere in alcun modo fascino che la contraddistingue e non distoglie l'attenzione verso un pezzo che fino a qui coinvolge musicalmente come pochi. Una parte strumentale con doppia cassa che appare e scompare con una facilità disarmante, e le due chitarre che avvolgono in contemporanea l'ascoltatore, finalmente troviamo un brevissimo solo di tastiere che spezza il ritmo generale, il quale si prepara a riesplodere in maniera controllata ma con grandissimo impatto. A questo punto fa la sua comparsa un assolo di chitarra che non ha il tipico sapore black, ma che, coadiuvato dal lavoro del resto della formazione, è integrato alla perfezione e arricchisce ancor di più questa seconda traccia. Ad un certo punto ci troviamo davanti ad una sospensione quasi temporale, con una vocals ancora leggermente filtrata ed un sottofondo partorito da Mustis, che ricorda lande desolate ed abbandonate, mentre il singer continua la sua performance in maniera piuttosto canonica e senza spunti di altissimo livello. Il tutto e si prepara ad avviarsi verso la conclusione, notiamo ancora qualche effetto sulla voce del singer ed un ultima parte strumentale, breve ma decisamente azzeccata, per una canzone che mette in chiaro subito le cose e gioca a carte scoperte, non nascondendo nulla circa la direzione intrapresa dai nostri. Bellissima e coinvolgente, è sicuramente tra le migliori del disco. Il testo riprende le tematiche antireligiose che la band continua ad affrontare praticamente in ogni sua uscita: in questo caso viene acceso un importante riflettore su come il comportamento della gente venga praticamente infettato da tutto quello che la religione cristiana è intenta a farci credere da secoli. Si vengono a creare pensieri i quali sono il risultato dell'influenza che si vuole a tutti i costi esercitare sulla mente della gente, per far si che si crei una soggezione di massa, con il conseguente plagio dell'anima e cambiamento di stile di vita. Ci si concentra sulla figura di sacerdoti, il cui abito nasconde la vera personalità e il vero scopo che si cela dietro a queste vesti, così immacolate ed importanti, ma che di fatto nascondono una sorta di volontà di abuso di potere mentale, da esercitarsi  contro persone deboli e bisognose a tutti i costi di qualcosa a cui aggrapparsi per poter alleviare le proprie sofferenze e i propri problemi quotidiani. Anche tra questi presunti profeti di bontà si celano degli individui spregevoli, inclini al peccato, che non si fanno scrupoli a violentare, a trasgredire e a compiere ogni possibile peccato. L'apparenza spesso inganna, e se si viene dunque a sapere che certe assurdità sono compiute da coloro che dicono a noi, paradossalmente, di condurre una vita il più possibile pura e lontana da qualsiasi tentazione, allora i credenti possono dire di essere rappresentati realmente nel peggiore dei modi. Un vento freddo, gelido e suadente, apre la terza traccia, "Kings of the Carnival Creation", mentre piano piano affiorano le prime timide note di tastiera. Si parte con Shagrath che alterna il classico scream ad una voce filtrata, con doppia cassa che va quasi a singhiozzo; la sezione ritmica, in questo frangente, si arresta bruscamente ogni qualvolta Nicholas toglie i piedi dai pedali. Al minuto 1:03 arriva la prima bordata sonora con tanto di martellamento generale: si riprende sostanzialmente come la prima parte, con voce filtrata, sfuriate impressionanti e alternanza sonora, che tengono alta la tensione durante l'ascolto. Arriva una breve pausa, dove sentiamo solamente il charleston di Nick e le tastiere di Mustis, le quali aprono, in sostanza, le porte per l'ingresso dell'orchersta, che con raffinata maestria accompagna il singer nella sua performance malsana. Bellissimo il refrain di chitarre, ma soprattutto è splendido l'accompagnamento sinfonico, da applausi a scena aperta. La sezione ritmica riparte a "macinare" come se niente fosse, e dopo una strofa sempre sulla falsariga delle prime, udiamo ancora uno splendido accompagnamento a corde, che di fatto prepara Ics Vortex con le sue backing vocals, splendide, e quasi toccanti. L'assolo è leggero e non certo di stampo black metal, ma è praticamente perfetto per spezzare il ritmo. Ecco che troviamo un solo di tastiere accompagnate dal solito charleston, e un sottofondo orchestrale architettato alla perfezione. Shagrath ci avvolge nuovamente con la sua voce, mentre un'altra splendida parte strumentale ci colpisce più che per velocità, per raffinatezza esecutiva. Sul finale, tutta la furia della band emerge prepotente, e ci colpisce quasi di sorpresa, lasciando attoniti ed indifesi. Splendida song, che con la precedente, forma una doppietta eccezionale puntando all'impatto emotivo. Essendo piuttosto sperimentale a livello vocale, può risultare piuttosto inusuale, ma è veramente degna di ogni attenzione. Un tema "filosofico", questa volta, viene trattato nelle lyrics: la maschera dietro cui si cela la creazione e tutto ciò che ammiriamo, nasconde atroci battaglie nonché carestie. Non esiste di fatto la pace, quest'ultima è stata creata unicamente per "ricaricare le armi" e continuare più forti la crociata verso il cristianesimo. Le "paludi di misantropia" qui citate vanno a simboleggiare la disperazione e l'odio verso il genere umano, un genere che è votato all'odio e all'autodistruzione, e che non accenna a cambiare abitudine. Fin da tempi remoti, l'uomo è stato incline ad ogni tipo di violenza verso se stesso, uccidendo i propri simili e cercando di primeggiare su coloro i quali  siano stati sommariamente ritenuti indegni e deboli, considerati tali proprio dall'uomo stesso. Dall'evoluzione fino ai giorni nostri, le cose non accennano a cambiare, anzi cerchiamo motivazioni e metodi sempre più cruenti e devastanti per seminare morte. Quasi avessimo un sentimento represso e masochista, dal quale traiamo goduria e soddisfazione, letteralmente amiamo veder soffrire il prossimo. "Godersi la sofferenza, la sanità mentale viene prosciugata"  in questa frase è racchiuso il succo dell'intero discorso. Si gode nel veder soffrire chiunque e viene quasi offuscata la sanità mentale delle persone. Avviene dunque che i sensi vengono avvolti da una spirale di assoluta soddisfazione, quasi un labirinto da cui non si può uscire. E questo è pericoloso per la sopravvivenza della nostra razza. "Hybrid Stigmata - The Apostasy" parte con una buona partitura sinfonica, dove delle urla seguono nell'immediato. La voce di Shagrath è filtratissima, mentre l'orchestra continua nel proprio lavoro di sottofondo, donando grande ricchezza atmosferica. Quando inizia il cantato vero e proprio, le chitarre si fanno veloci e la doppia cassa di Barker diviene martellante fino all'esasperazione; i toni non si alzano più di tanto, si preferisce donare risalto ad una parte sinfonica che compie egregiamente il proprio lavoro. Le tastiere fanno la loro comparsa, la ritmica (alternanza di charleston con pedale e rullante) è piacevolmente efficace, e la parte musicale è davvero ben fatta. Ecco che i toni si fanno più pesanti, con chitarre magnetiche e nuovamente la voce di Shagrath, il quale più che cantare tenta di narrarci qualcosa. Nell'immediato, ci troviamo di fronte ad un'altra breve parte sinfonica/strumentale, che apre le porte ad uno scream mai troppo esagerato, senza alzare il ritmo di una virgola. Vortex fa la sua comparsa praticamente in solitaria, accompagnato solamente dal suo basso e dal drumming di Nicholas, risultando molto coinvolgente e riuscendo a cambiare in un certo senso il volto della song, rimanendo al contempo in linea con il brano. Ritorniamo alle sonorità di inizio brano, con ottime parti strumentali, e la voce filtrata, quasi mostruosa, che aiutata da un lavoro maniacale dietro le pelli, ci accompagna verso la conclusione, momento in cui sentiamo l'orchestra in solitaria, la quale nel suo breve lasso di tempo concesso in questo finale, chiude un brano non molto potente a dir la verità, ma caratterizzato da buone trovate, che comunque riescono a farsi apprezzare. In questo testo viene accentuata la definizione di misantropia: il totale disprezzo e mancanza di fiducia verso l'uomo viene rappresentato con una immagine, nella quale vengono raffigurati due volti che cercano di sfuggire l'uno dall'altro. E' come trovarsi davanti ad uno specchio dove la nostra immagine viene riflessa, immagine dalla quale cerchiamo di fuggire ad ogni costo. Cerchiamo dunque, tanto ci disprezziamo, di scappare da noi stessi. "Nato senza vita in un modo in coma", è il riferimento che viene fatto sempre a noi stessi, nel momento in cui ci rendiamo conto di quanto siamo disprezzati, e di quanto disprezziamo il mondo in cui viviamo. Un mondo pieno zeppo di imbroglioni che si nascondono dietro a delle maschere atte a celare la vergogna presente dietro, sul loro vero volto. Il tutto orchestrato per compiacere loro stessi e vivere di falsità ed ipocrisie. La via che procede imperterrita verso la morte può essere l'unica soluzione per sfuggire da questo marciume, e cerchiamo di assicurarci che questo percorso sia almeno soddisfacente, e che ci lasci definitivamente alle spalle la creatura mostruosa che risponde al nome di uomo. Per alcuni potrà essere la fine, per altri un nuovo inizio, fatto sta che rimane comunque l'unica via di uscita. "Architecture of a Genocidal Nature" ha un inizio piuttosto incalzante ed equilibrato, fino a quando Shagrath fa la sua comparsa. Infatti la velocità aumenta esponenzialmente con doppia cassa a martello e riff velocissimi, a supporto dell'entrata in scena del vocalist. Dopo una prima strofa, troviamo una breve ma intensa parte composta da tastiere e batteria, una parte che sfocia di seguito nello splendore definitivo, con l'arrivo di tutta la sezione ritmica e dello screaming del vocalist. Ottima parte atmosferica che si fa apprezzare sul finale, con una voce filtratissima e strumentazione particolarmente effettata e decisamente coinvolgente. Una pausa dettata da un solo di tastiere sinistre, e troviamo una voce quasi pulita, che si trasforma (grazie ad un effetto vocoder imponente) in qualcosa di disturbante e particolare. Nick detta i tempi perfettamente ed accompagna Mustis in questa sua nuova solitaria espressione, che si infrange contro un muro sonoro implacabile, quando le chitarre e la batteria decidono di pestare sul serio. Ancora una volta, troviamo un rallentamento significativo, ma in questo caso l'accompagnamento risulta essere più pesante, e la voce consona al momento generato dalla band. Un'altra soluzione moderna e filtrata, coinvolge questa volta tutti gli strumenti, risultando curiosa ed al tempo stesso bellissima e vincente. Si riparte alla grande, e questa volta la doppia cassa di Barker macina battiti velocissimi che accompagnano basso e chitarre in maniera esemplare, mentre Shagrath recita l'ultima strofa in maniera pressoché perfetta e graffiante. Qualcosa è stato creato per spazzare via l'umanità in tutta la sua forma. Una creatura che incarna il male più puro, ed alimentata dall'odio di noi umani, quello che proviamo l'uno per l'altro, giusto per intenderci. Questo essere malvagio emerge dalle profondità della terra e si accanisce contro la nostra razza, provocando morte e piogge di sangue. Lo sterminio sarà totale, e tanto devastante da cancellare definitivamente ogni traccia del nostro passaggio, non dando alcun riferimento sulla nostra permanenza su questa terra. Ogni civiltà verrà cancellata, ogni nazione distrutta, ogni essere umano non avrà alcun scampo di sopravvivenza. Questa creatura è costretta a fare tutto ciò, perché è stata creata sostanzialmente dal male che si cela in noi stessi, e verso il disprezzo per la vita che ci accomuna. Incredibile come si possa arrivare a tutto ciò, a sputare letteralmente su un mondo che ha offerto ed ha ancora da offrire moltissimo, ed è impensabile constatare come facilmente si riesca a ripudiare un genere, quello umano, di cui noi tutti ne facciamo parte. Questa è la giusta punizione per il nostro egoismo e la nostra superficialità. Arriviamo dunque a parlare di "Puritania", ovvero della song più sperimentale dell'intero disco, e fin qui dell'intera discografia dei Dimmu Borgir. Inizialmente sentiamo come delle frequenze disturbate, che introducono una batteria incalzante ma molto discreta, con un sottofondo parlato ed assai filtrato. Entra in gioco la chitarra ritmica, che risulta essere potente e monolitica nello spargere un riffing immediato ed avvolgente. Nell'immediato sentiamo solamente le tastiere e l'incedere deciso della batteria, con una ritmica marziale e pesante. L'orchestra è perfetta nel ricreare un'atmosfera distruttiva ed apocalittica, mentre Shagrath, sempre con voce filtrata all'inverosimile, inanella perle di malvagità ed oscurità. Si ripete nuovamente come un loop ossessivo, la ritmica e l'interpretazione fin qui proposta, dando proprio una sensazione di devastazione mai fine a se stessa. Il tutto non risulta mai veloce, e non troviamo nessun accenno di accelerazione, proprio per creare una situazione soffocante, che vuole e riesce a colpire l'ascoltatore sostanzialmente con un impatto atmosferico/disturbante generale; e ci riesce benissimo, nonostante sia una traccia molto inusuale. Il brano si conclude con ancora delle frequenze distorte, e con una voce gracchiante che ne decreta la fine. A livello vocale non è una song propriamente cantata, piuttosto diciamo che risulta recitata, con tutti i filtri del caso, ma dobbiamo dire che pur essendo piuttosto particolare riesce a catturare l'attenzione, ponendosi come un ottimo brano spartiacque inserito appunto, a metà del disco. Questa creatura, non è altro che il nostro sub-conscio che prende vita e ci mette davanti la dura realtà. Autoproclamandosi come entità superiore, ci fa capire che le guerre, il dolore e le bugie sono provocate da noi stessi. Così come siamo gli artefici delle nostre paure più remote e della contaminazione stessa del nostro pianeta. Siamo ridotti a spazzatura, ed è giunto il tempo di fare pulizia totale, pulizia che avverrà mediante lo sterminio di una razza che ha saputo solamente spargere odio e cattiveria, in un mondo che ci ha offerto tutto per poter vivere serenamente. Questo fa riflettere sulla condizione della razza umana, la quale al giorno d'oggi continua imperterrita con il proprio egoismo, e con il disprezzo di se stessa. Incredibile come una specie evoluta come la nostra, dotata di intelligenza superiore, non riesca ancora oggi a domare i propri istinti remoti, provando eccitazione nel veder soffrire il prossimo, e nel vederlo soccombere. "Indocrination" parte subito all'attacco con una violenza inaudita, con tanto di blast-beat e riff dal sapore tipicamente black. Dopo una breve strofa caratterizzata da un ottimo gioco di doppia cassa da parte di Barker, si ritorna a pestare violentemente per poi rallentare in maniera non troppo vistosa, con le tastiere a farla da protagonista. Si riparte senza lasciare un minimo di fiato, con un'ottima sezione ritmica che si frantuma quando Mustis attacca con le sue tastiere dal sapore gotico. Una parte strumentale ben caratterizzata spezza un po' il ritmo forsennato che fin qui ha caratterizzato questa prima parte di song. Pausa quasi inaspettata, e questa volta è l'orchestra ad essere protagonista in solitudine, mentre la voce effettata di Shagrath la fa da contorno. A questo punto ci ritroviamo a sentire nuovamente una violentissima parte musicale, che colpisce soprattutto per efferatezza e cattiveria, che si stoppa nuovamente a favore di un'altra brevissima parte orchestrale, per poi riprendere a picchiare duro, anzi durissimo, fino ad arrivare ad una sezione sinfonica di grande effetto emotivo che rallenta bruscamente gli schemi e lascia agli strumenti il compito di concludere, in maniera lenta ed oppressiva, un brano assolutamente violento e soprattutto quasi inaspettato dopo la parentesi particolare del brano precedente. Sicuramente un pezzo tra i più riusciti, che riesce a contenere ed amalgamare perfettamente, violenza sonora e grandi atmosfere, senza tralasciare la grande prova dei musicisti coinvolti, che riescono a colpire per precisione ed esecuzione. I nostri riescono a creare un vortice devastante da cui è impossibile sfuggire, e soprattutto ritroviamo quell'attitudine tipicamente black che, fino ad ora, abbiamo appena percepito. Qui si va a toccare il vuoto interiore che l'umanità ha coltivato con il tempo, perdendo ogni qualsiasi voglia di rifarsi una vita. Tutto risulta come un guscio vuoto e pronto a sgretolarsi, ogni forma di vita viene privata di anima, dagli esseri pensanti ai vegetali, insomma le creature di ogni genere sono destinate a questo triste epilogo. Si cita la frase: "Le pecore hanno bisogno di un pastore per affrontare il disprezzo della terra",e quest'ultima vuole ribadire un concetto molto semplice e diretto: molta gente non riesce ad accettare tutto questo decadimento, e sono in tanti ad aver bisogno di una "guida" che faccia capire loro la gravità di certe situazioni, e la reale malvagità che si cela dentro ognuno di noi. Nemmeno la fede più pura riesce a dare, però, un minimo di speranza, ed è destinata a crollare come un castello di sabbia costruito nel deserto più arido. Nulla potrà impedire l'involuzione che siamo destinati ad affrontare e che abbiamo creato noi stessi. Rassegnazione e disperazione, saranno le uniche emozioni che saremo destinati a provare. "The Maelstrom Mephisto" parte con un giro violentissimo di batteria che continua con doppio pedale sparato a raffica. Shagrath è particolarmente malvagio e gli strumenti sono taglienti come non mai. Una sorta di diminuzione di velocità spiana la strada al singer che sembra essere particolarmente a proprio agio, con uno scream a volte leggermente un po' forzato per la verità, ma che comunque riesce a tenere alta la tensione. L'orchestra fa la sua comparsa in maniera efficace, senza essere invadente, lavorando in sordina e donando una bella atmosfera generale. Vortex si propone con le sue clean voclas particolarmente ispirate, con un chorus davvero ben fatto che serve anche a "staccare" per un po' le ritmiche molto pesanti. Si riprende in maniera violenta con tanto di voce a tratti filtrata e un sottofondo di tastiere molto pungenti e particolari. Sul finale di canzone, un riffing tagliente ed una serie di accordi che, insieme alla batteria, chiudono una traccia diretta, senza troppi fronzoli e pesante al punto giusto. Mefisto è un essere immortale, un demone che accompagna le anime nell'aldilà. Il suo vortice ci avvolge per condurci verso gli Inferi, di cui lui è il sovrano assoluto. E' anche il sovrano della menzogna e cerca di impossessarsi delle anime più pure, circuendole in ogni modo e maniera. Ci mette davanti la verità senza mezzi termini, dicendoci che il peccato della vita è la vita stessa e che ogni azione, ogni decisione, è il frutto corrotto della nostra anima. La morte ed il lutto si devono tramutare in una gioia e non in disperazione, perché verremo guidati in una dimensione dove non esiste il peccato, dove tutte le malvagità saranno contemplate e serviranno ad alimentare il regno dei morti. Quando si intravede in penombra il castello infernale, viene fatto notare che il terreno e tutto ciò che ci circonda è di un nero oscuro ed opprimente, ed il tutto viene paragonato all'opera di un pittore che non ha possibilità di scegliere tonalità o variazioni cromatiche, quasi fossimo costretti ad osservare questo panorama offuscato, senza aver una minima possibilità di vederne la luce. Inizia particolarmente violenta la prossima "Absolute Sole Right", che non il suo ritmo forsennato richiama molto la song precedente, anche se risulta un po' più controllata. La voce è particolarmente efficace, e dopo una prima strofa in cui la voce si sovrappone, il ritmo si abbassa notevolmente a favore di un impatto meno diretto e più atmosferico. Barker sembra non aver alcun cedimento nello spremere i suoi pedali, mentre le chitarre si fondono alla perfezione, creando uno stato oppressivo e malefico. La voce, ancora una volta, viene leggermente alterata da effetti sintetici, e un riff solitario di chitarra ne introduce una parte piuttosto schizofrenica e caotica, che riesce a conferire un alone demoniaco e maledettamente efficace all'insieme. Si riprende come ad inizio brano, ma questa volta troviamo un martellamento generale più complesso, e l'introduzione delle tastiere da parte dell'onnipresente Mustis arricchisce di molto questo frangente di traccia, ed in generale tutta la canzone. Si rallenta nuovamente, ma questa volta in maniera repentina, con le atmosfere sulfuree ad essere protagoniste, mentre la sezione ritmica, tra stop improvvisi e ripartenze, offre una prova di assoluto spessore mentre il tutto va a concludersi in maniera imponente, con un ultimo verso recitato dal singer, per poi lasciare sfumare i compagni fino alla fine della song. Brano piuttosto convincente, che ha dalla sua una buona parte sinfonica, ma che a livello strettamente musicale, pur risultando comunque molto apprezzabile, non ha quel momento spiazzante o quella impronta che lo possa far emergere dal resto dell'album. Si parla della morte, la quale ha una sorta di "contratto" con la nostra vita. Sa quando giunge il momento, per ognuno di noi di lasciare questa terra, ella ha con l'umanità come un legame di sangue dal quale non si può sfuggire, fortissimo ed indissolubile. Quando arriva la nostra ora, i cieli si tingono di nero, le acque diventano rosso sangue e la nebbia avvolge il crepuscolo per accoglierci e preparare la via dell'inferno. Il mondo terreno ormai non ci appartiene più, non è più una cosa nostra; il nostro mondo ci ripudia per tutte le oscenità ed i disagi che gli abbiamo inconsapevolmente o consapevolmente creato, e per questo non vede l'ora che avvenga la nostra dipartita. Una sorta di rivincita dei più deboli, lo sbeffeggiamento verso coloro che non hanno avuto alcun rispetto verso la propria terra e verso l'umanità stessa. Bagni di sangue devono essere compiuti, per una fede ed una croce che ha generato tutto questo odio e violenza verso tutti e tutto. Gli inferi sono li che ci aspettano con ansia, in attesa di mostrarci la via della verità e della vera redenzione. Dobbiamo pagare per le nostre azioni, e la punizione finale sarà quella di trovarci davanti al male, puro ed incontaminato, che gioirà nel vedere il massacro che abbiamo compiuto in nome di un falso dio, ma che ci punirà per aver creduto ad un qualcosa che credevamo giusto, e che invece si è rivelato per quello che è, decretandone la nostra fine. Arriviamo a parlare di "Sympozium", brano che parte in maniera imponente, accompagnato dall'intera orchestra di Goteborg che compie un lavoro certosino nel ricreare attimi di toccante corrosività. Shagrath con il suo screaming è molto convincente e dopo una prima strofa, ed una brevissima parte narrata, si riprende inizialmente in maniera meno ossessiva, con tastiere molto efficaci che con un continuo tintinnio si rivelano alquanto disturbanti. La velocità è in continuo aumento, con tanto di batteria a martello, che evidenzia ancora una volta la bravura del drummer. I toni si fanno più pacati ma più disturbanti, quasi come i nostri volessero cambiare volto alla song, con riff che richiamano più un thrash moderno, ma che risulta completamente perfetto per la struttura del brano. Anche in questo caso le tastiere, nella loro breve comparsa, riescono a fare in modo di risultare quasi spirituali ed avvolgenti. Ad un certo punto troviamo le orchestrazioni, accompagnate unicamente da Nicholas, e la voce del singer che parla in maniera minacciosa, un insieme che non fa altro che attendere le clean di Vortex, che risultano più efficaci che mai, con una base in mid-tempo bellissima, che ne accentua l'espressività. Si rimane in sospeso con i tempi, in attesa che la sezione ritmica e (soprattutto) Mustis ci regalino un passaggio molto affascinante fatto di emozioni contrastanti. Al quarto minuto i nostri riprendono le ritmiche di inizio brano, ovvero toni veloci e terrificanti, e dotati di una grandissima atmosfera lugubre, che viene spazzata via dalla progressività musicale violentissima, che chiude uno dei migliori brani dell'intero lotto. Una prova sicuramente superlativa, che regala all'ascoltatore un episodio affascinante e molto coinvolgente, che ha il pregio di farsi riascoltare più volte, senza un minimo cedimento. La follia più atroce, nella forma più estrema, non lascia scampo. Qualsiasi cosa muore, si raggrinzisce, e deve affrontare un lungo percorso fatto di tempeste ed ostilità di ogni genere. Il cielo è costretto ad inchinarsi alla verità, una verità fatta di odio ed orrori, dove non esiste alcun tipo di salvezza e di speranza. Ognuno di noi è condannato alla stessa orribile sorte, la morte: che venga per mano di qualcuno, per malattia o per qualsiasi altra motivazione, siamo tutti condannati a morire. L'insanità mentale viene messa a dura prova, non solo per quello che succede intorno a noi tutti i giorni, ma anche da quello che ci aspetta una volta oltrepassato il mondo dei morti. Vengono menzionate le stigmate, le quali in questo caso, vengono nascoste per non far vedere la sofferenza che proviamo. Viene materializzata innanzi a noi una visione, una sorta di fantasma, uno spirito che ci vuole probabilmente guidare verso chissà dove. Abbandoniamo questa entità per intraprendere la strada del male, dove non ci sarà più il risveglio sperato, ma solo una lunga e tortuosa via, verso la sofferenza totale. "Perfection or Vanity" è un'outro strumentale, posto a chiusura di questo album. Tre minuti abbondanti, dove la batteria di Nicholas è costante nel suo incedere lento ma preciso, le chitarre sono pacate e mai fuori schema, ed il tutto è arricchito da un sottofondo orchestrale di pregevole fattura, dove strumenti a corda incorporano alla perfezione l'intera ossatura del brano. Non un cambio di tempo, non una soluzione spiazzante, solamente una bella e riuscita parte strumentale, che si fa apprezzare chiudendo gli occhi, assaporandone l'essenza.

Bonus Track:

"Burn in Hell", presente nell'edizione digipack, è una cover di un brano dei glamster Twister Sister che si presta molto bene alla causa del disco, sia a livello musicale (con ovviamente i consueti "aggiornamenti" atti a rendere il pezzo perfetto per essere inserito in un disco dei Dimmu Borgir) ma soprattutto a livello testuale. Arriva come un'esplosione il primo riffing, con una batteria pesante, ed un leggero assolo accompagnato da rintocchi di campana, che fanno tanto agonia. La voce è graffiante e leggermente forzata, e dopo una prima strofa praticamente recitata, esplode la song con le clean di Vortex. Ritmo incalzante ma mai esagerato, con un basso ben distinguibile e un'interpretazione spettacolare da parte della band. I continui intermezzi di Ics donano varietà alla proposta, mentre il ritornello è semplicemente spettacolare. Ancora una volta è il bassista a fare la sua comparsa, con una voce che va oltre le aspettative ed un assolo tipicamente metal, che ne conferisce estrema attenzione. Battiti ripetuti di rullante e voce sempre pulita che si spinge verso territori e toni piuttosto alti, vengono raggiunte da Shagrath che sembra essere un demone infuriato, tanto è la cattiveria proposta. Il brano sfuma verso la fine, lasciando un'ottima impressione su questa cover molto ben eseguita e piuttosto personale. Bruciare all'inferno, questo è il principale messaggio che vuole lanciarci la song. Veniamo accolti in una terra dove qualcuno ci tende la mano, accompagnandoci verso le porte dell'inferno e narrandoci per filo e per segno tutte le sue tristi vicende. Dice di non poter credere a tutte le cose sbagliate che ha fatto, e che ha vissuto sul filo del rasoio; ha rischiato di bruciarsi giocando con il fuoco, pur non essendosi fino a quel momento mai bruciato.. la fortuna non è eterna, però, ed adesso è arrivato il suo momento, e dovrà bruciare a fuoco lento all'Inferno. Ci dice che ora sta a noi decidere il proprio destino, di farlo prima possibile prima che sia troppo tardi; lui ha già sbagliato ed ora dovrà pagare. Ci ha fatto vedere ciò che ci aspetta se prenderemo una strada sbagliata ed ora, consapevoli di ciò che ne conseguirebbe, dovremo cercare di fare una vita sicuramente migliore della sua. Ha giocato con il male, ed ora è condannato, dovremo evitare di giocarci a nostra volta per non finire come lui.

In conclusione, diciamo subito che probabilmente ci troviamo di fronte alla miglior formazione che i Dimmu Borgir abbiano mai avuto, e gli innesti in pianta stabile di Vortex e soprattutto di Barker alla batteria sono assolutamente un'arma vincente. Quest'ultimo si rende protagonista di una prova superlativa, un'instancabile macchina da guerra che non lascia nulla al caso. Un album che non bisogna assolutamente paragonare alle produzioni precedenti dei nostri norvegesi, perché è indubbio che le differenze siano per certi versi più che macroscopiche. Una produzione sicuramente più pulita che ha tolto un po' di quella aurea malvagia che avvolgeva i lavori passati, questo forse è da sottolinearsi, ma in definitiva questo "Puritanical Euphoric Misanthropia" va preso per quello che è, ovvero un grandissimo disco, pieno di soluzioni vincenti e suonato veramente bene. Alcune tracce sono autentici capolavori musicali, altri sono ottimi esempi di quello che la band è diventata con questo platter. La novità di introdurre un'intera orchestra sinfonica arricchisce sicuramente tutto il lavoro svolto, senza che questa componente risulti mai invadente, anzi dona ai nostri un valore aggiunto e comporta quella che si può definire un'ulteriore maturazione o cambio di rotta. Il black metal sinfonico degli esordi ormai è un flebile ricordo, certo, ma non si può non riconoscere la voglia di personalizzare e di evolvere un sound di non facile assimilazione. Disco che dividerà sicuramente chi li ha apprezzati tempi addietro, ma che raggiungerà nuove schiere di fans e farà conoscere la band a livello mondiale. I temi trattati spaziano dalle consuete battaglie anti-cristiane al totale disprezzo per la razza umana, intesa come entità dedita all'odio ed al massacro. Una discesa verso gli inferi particolare, che va a toccare l'animo nel profondo, facendoci fare un forte esame di coscienza. Detto ciò, rimane un disco consigliatissimo per chi vuole avvicinarsi alla band, mentre per chi li ha adorati unicamente nei primi quattro lavori, consiglio di dare comunque un ascolto e di trarre le proprie conclusioni. Nel bene o nel male, questi sono i Dimmu Borgir.

1) Fear and Wonder (intro)
2) Blessing Upon the Throne of Tyranny
3) King of the Carnival Creation
4) Hybrid Stigmata – The Apostasy
5) Architecture of a Genocidal Nature
6) Puritania
7) Indocrination
8) The Maelstrom Mephisto
9) Absolute Sole Right
10) Sympozium
11) Perfection or Vanity (outro)

Bonus Track:

12) Burn in Hell
(Twisted Sister cover)

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