DIMMU BORGIR/OLD MAN'S CHILD

Sons of Satan Gather for Attack

1999 - Hammerheart records

A CURA DI
FABRIZIO IORIO
27/08/2015
TEMPO DI LETTURA:
8

Introduzione Recensione

A distanza di pochi mesi dall'uscita dell'ottimo Spiritual Black Dimensions, i norvegesi Dimmu Borgir diedero alle stampe uno split-cd dal titolo "Sons of Satan Gather for Attack", pubblicato per la "Hammerheart Records". A tale disco collaborarono i connazionali Old Man's Child, altra band dedita ad un black metal di stampo sinfonico formata nel 1989 e capitanata dal cantante/chitarrista Galder (Thomas Rune Andersen). La suddetta band nasce con il nome di "Requiem" ed originariamente proponeva cover di band come Metallica e Slayer. Successivamente, nel 1993, il gruppo decise di cambiare definitivamente nome e di proporre musica inedita e del tutto personale, abbandonando così definitivamente il ruolo di cover band. Lo stesso mastermind della band ad inizio carriera veniva identificato con il nome di Grusom, utilizzato per il primo ep e per il primo full-lenght, mentre dal secondo album ufficiale decise di adottare il nome d'arte Galder. Leader indiscusso, si è sempre circondato di ottimi musicisti per i primi lavori, per poi decidere di portare avanti da solo la sua creatura, e relegare qualche turnista di lusso per la registrazione degli album e per le sporadiche date live. Se per i Dimmu Borgir, con alle spalle quattro lavori di grande spessore, questo risulta essere una specie di arricchimento alla loro discografia, per gli Old Man's Child è più una sorta di collaborazione per far conoscere maggiormente la loro proposta ad un pubblico più vasto. Non che al tempo siano stati degli sconosciuti, tutt'altro, ma pur avendo pubblicato degli ottimi dischi come "Ill-Natured Spiritual Invasion" (terza fatica discografica datata 1998) non avevano raggiunto ancora lo status di band "famosa", come potevano esserlo i loro compagni. Le due band sono sempre state legate in maniera piuttosto importante; si va dalla partecipazione del batterista Tjodalv nell'album sopracitato, alla collaborazione con Bryniard Tristan al basso, ex Dimmu Borgir e rimpiazzato da Astennu, all'arruolamento di Nicholas Barker, fino al più importante inserimento dello stesso Galder in pianta stabile come chitarrista nella fortezza oscura, tralasciando quasi del tutto la band da lui creata. Quello che andiamo a trovare in questo L, sono quattro song dei Dimmu Borgir provenienti dall'Ep Devil's Path del 1996, tra cui Master of Disarmony pubblicata anche in versione accorciata sul capolavoro Enthrone Darkness Triumphant del 1997, la stessa Devil's Path e due versioni di Nocturnal Fear presa in prestito dall'album "Morbid Tales" del 1984 dei seminali Celtic Frost. Cinque invece, sono le song proposte dagli Old Man's Child e provengono dal loro primissimo demo intitolato "In the Shades of Life" del 1994. Una raccolta quindi, di due Ep provenienti da due band che operano lo stesso genere ma fondamentalmente diverse, accumunate da grande personalità e da una visione del black metal influenzata in maniera consistente da sonorità tipicamente sinfoniche.

Master of Disharmony

"Master of Disharmony", prima traccia per i Dimmu Borgir, ha il compito di aprire il disco. L'inizio è un'intro sulfurea e tetra, la accompagna l'ascoltatore per un minuto e quindici e che non è presente nella versione corretta che troviamo nel loro Entrone Darkness Triumphant. Le chitarre arrivano ad invadere i nostri padiglioni auricolari con qualche cadenza di batteria mai troppo spinta. La voce di Shagrath è malvagia all'inverosimile e le tastiere aiutano a creare quell'atmosfera lugubre tanto ricercata e di grande effetto, complice una registrazione di vecchio stampo dove i suoni risultano essere soffocati e tipicamente black metal. Si prosegue tra leggere sfuriate e rallentamenti di grande effetto per poi, intorno al quarto minuto, cimentarsi in un mid tempo a tratti spiazzante che riesce a cambiare volto alla song. Blast beat vengono sparati senza preavviso, annichilendo chiunque si trovi nel loro raggio d'azione, conferendo un cambio di tempo non indifferente che rende questo primo pezzo molto godibile e piuttosto personale. Da qui si può capire e senza fare troppi sforzi che le potenzialità della band verso una proposta ed una maturazione più complessa sono ad un passo dall'essere espresse; la capacità compositiva nonché tecnica dei Nostri viene a galla prepotente mettendo in risalto quelle soluzioni che da li a breve faranno la fortuna della band. Il teso si basa sulle tentazioni umane, e su quelle azioni tremende che vengono compiute come una sorta di valvola di sfogo, cercando nel contempo una salvezza e beatitudine che non possa essere compromessa da tali azioni (il solito limbo "bene / male"). Le false promesse e la fede pressoché inesistente, però, ci inducono a pensare che la vera salvezza per le nostre anime sia solo vincolata da un unico e supremo giudizio, che è e solamente quello dell'imperatore degli inferi: Satana. Con lui tutto è permesso, e finalmente non dovremo più seguire quelle squallide regole imposte da altri, ma anzi saremo liberi di fare ogni cosa che ci renda appagati, per quanto malvagia ed abietta essa potrà rivelarsi.

Devil's Path

Passiamo a "Devil's Path", song presa direttamente dall'omonimo Ep del 1996 contenente quattro tracce per una durata complessiva di diciotto minuti. La partenza è velocissima, con batteria sostenuta e chitarre a motosega; il cantato arriva praticamente nell'immediato con una ruvidità eccezionale, sostenuto da un tappeto di tastiere che sono messe quasi in secondo piano, ma donano una qualcosa di epico alla struttura di questa prima parte. Se fin qui il ritmo è abbastanza violento, al minuto 1:33 si rallenta in maniera considerevole con una chitarra che esprime accordi interessanti ed una sezione ritmica musicalmente efficace, per poi ripartire in maniera più veloce ma molto più controllata. Colpisce soprattutto il lavoro di Stian con le sue tastiere, mai efficace come in questo caso, dando quel qualcosa in più che ha dei tratti quasi sognanti e malefici. La band riprende a macinare violenza con una batteria velocissima e strumentazione iperveloce, mentre vocalmente viene riproposta la crudeltà di inizio brano. Quando la song è indirizzata a finire in questa maniera, ecco che troviamo un assolo molto bello accompagnato nuovamente alla perfezione dai tasti di Aarstad, che vanno effettivamente a concludere un'ottima traccia. Viene raccontato un breve tragitto di esistenza del demonio, nel quale egli diventa la salvezza per alcune persone che trascorrono una vita secondo lui indegna. Ha rinnegato le proprie origini per diventare male puro, è stato maledetto dalla vita stessa ed è divenuto un angelo caduto al servizio dell'oscurità, dove ora è un principe delle tenebre che vaga alla ricerca di anime da offrire al cospetto del regno degli inferi. La vita eterna alla fine è una benedizione, e solamente la dannazione risulta essere la vera via d'uscita, essendo reale, vera e senza quelle false promesse che vogliono a tutti i costi imporci. I patti sono chiari fin da subito; la nostra anima in cambio di eternità e liberi di fare qualunque cosa senza essere legati da nessun tipo di vincolo.

Nocturnal Fear

"Nocturnal Fear", presente anch'essa nell' Ep "Devil's Path", è una cover degli svizzeri Celtic Frost, presente nell' Ep "Morbid Tales" del 1984. Viene riproposta piuttosto fedelmente all'originale con quell'attitudine quasi punk che la contraddistingue. Ovviamente il cantato in screaming la rende più black metal ma il contenuto in se è pressoché identico con una registrazione leggermente più sporca rispetto all'originale. Il lavoro svolto dai Dimmu Borgir è di buona fattura ed il suono alienante al minuto 1:55 viene esaltato maggiormente dal lavoro di tastiera, per poi riprendere in maniera fedele fino alla conclusione del brano con tratti di cattiveria accentuati dalla performance di Shagrath, che rende al meglio nei momenti di maggior enfasi, scaturiti da soluzioni interessanti e coinvolgenti. Una cover dunque ben eseguita che non aggiunge praticamente nulla di diverso o di originale rispetto alla sua controparte, ma che troviamo adatta per questo tipo di produzioni, non sfigurando minimamente con il resto del prodotto. Il testo è molto interessante, e parla di questa creatura (il Tiamat, da cui prende il nome la famosa gothic band svedese capitanata da Johan Edlund) che è praticamente la dea delle acque salate, la quale unitasi con il dio Abzu (dio delle acque dolci) procreò dei piccoli dei. Tra questi, i gemelli Lahmu e Lahamu, a loro volta crearono gli dei dell'Alto e del Basso e di conseguenza finirono per dare alla luce Marduk (nome da cui prese spunto la black metal band svedese appunto chiamata Marduk). Quest'ultimo iniziò a creare problemi seri tra le divinità e Tiamat creò undici mostri per cercare di fermarlo, ma il suo piano fallì miseramente quando vennero uccisi tutti, Tiamat compresa. Dopo questa parentesi mitologica, le liriche si concentrano prevalentemente sull'evocazione di questa creatura, dove su un promontorio si fa frenetica la sua chiamata. La paura notturna penetra lentamente nelle viscere della terra, i venti si fanno consistenti e l'acqua più profonda inizia a muoversi impetuosa. Ecco che si manifesta nella sua più totale maestosità mentre le maree si fanno infernali e le tribù antiche si trovano nel caos più totale, mentre lei ride orgogliosa consapevole che non verrà più fermata.

Nocturnal Fear (Celtically Possessed)

"Nocturnal Fear (Celtically Possessed)è sostanzialmente la stessa traccia, cantata però in maniera sempre ruvida e graffiante, ma mai utilizzando lo scream. Anche i suoni delle chitarre sono più "leggeri" con una distorsione meno vistosa e se vogliamo ancora più sporca. Le liriche sono identiche e ricalcano per filo e per segno l'evocazione del Tiamat. L'unica differenza che si può trovare oltre alla diversità di suoni e di voce, è una durata impercettibile di una decina di secondi scarsi in meno, che ovviamente non va ad influire sul risultato finale. Risultato che sentiamo di dire sembra più essere un esperimento e un motivo in più di avere tra le mani questo lavoro piuttosto ricercato, con due versioni insolitamente distinte di una stessa traccia. I collezionisti probabilmente ringraziano ed è una piacevole variazione che si fa comunque ascoltare. Passiamo ora alle cinque song degli "Old Man's Child", provenienti come detto in fase di introduzione dal loro primo Ep "In the Shades of Life".

St. Aidens Fall

La prima traccia che ci viene presentata è "St. Aidens Fall" e inizia con un arpeggio piuttosto delicato e suadente con una batteria molto tranquilla e spensierata. Quando una prima distorsione di chitarra viene a galla, le tastiere compiono un lavoro molto interessante dal punto di vista melodico, e preparano un primo assalto sonoro che affiora con blast-beat e sei corde velocissime. La voce di Galder è sorprendentemente malvagia, un po' più "secca" rispetto al compagno della band gemellata, ma molto piacevole da ascoltare. I toni rallentano nuovamente come ad inizio canzone per poi riesplodere con una lezione di doppia cassa imponente ed un refrain contundente accompagnato dalla voce demoniaca del singer. Rintocchi di pedale scandiscono l'entrata di un tappeto tastieristico interessante fino quando veniamo travolti da voci sovraincise che combattono fra loro risultando altamente disturbanti mentre la velocità si fa più serrata. Una chitarra in solitudine aspetta solamente di essere raggiunta dalla sezione ritmica per concludere con urla laceranti e mid tempo sconcertante, una prima ed interessante canzone. Testualmente, ci troviamo davanti a delle liriche più patriottiche, dove vengono raccontate le gesta gloriose di valorosi soldati norvegesi, i quali mandati in mare aperto ed armati solamente di forte virtù e con un cuore d'acciaio, solcano i mari gelidi del nord in cerca di conquiste e contemporaneamente indotti a difendere la propria patria. Uomini coraggiosi dotati di una forza d'animo infinita, intendono far soccombere quelli più deboli che gridano pietà ed invocano la protezione di Dio Onnipotente. Non esiste speranza di sopravvivenza per loro e questo traspare inequivocabilmente dai loro occhi pieni di paura e vergogna. Al contrario, questi valorosi guerrieri hanno la vista iniettata di sangue: la morte ed il dolore da infliggersi, misti alla gioia di procurarne, vengono sprigionati sin dal momento della loro partenza. Torneranno vittoriosi da una missione che lascerà una scia di sangue infinita. 

Seeds of the Ancient Gods

"Seeds of the Ancient Gods" si apre con una chitarra ritmica lasciata sola, che con un primo accordo fa partire la sezione ritmica accompagnata da un suono di chitarra classica dal sapore ispanico. Le urla di Galder irrompono impetuose e una prima violenza sonora affiora inesorabile. Una brevissima pausa e si parte con una bellissima cavalcata strumentale raggiunta a breve dal cantato del frontman che non si risparmia a vomitare tutta la sua furia in maniera decisa. Dopo questa prima sfuriata si passa ad un cambio repentino di sound con una voce recitata ed il solito arpeggio a far da contorno, il tutto accompagnato da una chitarra distorta ma mai invadente. Il ritmo si fa serrato e violento e le tastiere riescono a dare quel tocco evocativo ed una marcia in più alla struttura generale in modo da non far scadere il brano in una sorta di monotonia. Si prosegue con un bel doppio pedale serrato ma non velocissimo ed un sound decisamente più pacato e misterioso, fino a che un assolo decide di smorzare un po' i tempi per poi riprendere a picchiare duramente fino ad arrivare a battute di rullante molto veloci che si interrompono a favore di un sound più controllato che volge al termine lasciando un'ottima sensazione appena dopo l'ascolto. Altra traccia molto interessante che assembla molto bene un impatto generalmente violento con un gusto alla melodia raffinato, abbinando il tutto in maniera incredibilmente convincente. Si prosegue con il racconto di questi guerrieri che versano sangue noncuranti delle sofferenze che arrecano ai malcapitati. Con le loro spade uccidono chiunque si trovi nel loro cammino e le loro mani vengono intrise di sangue non più puro. Da nord le battaglie infuriano, la loro terra ormai è circondata da una nebbia fredda e gelida ed una volta raggiunti e trovandosi davanti la morte, non resta che chinare la testa pregando i propri dei. Anche molti soldati perdono inevitabilmente la vita e muoiono come le stelle: risorgeranno però nella penombra, lasciando le tombe vuote, pronti a combattere nuovamente per un nuovo maestro ed un antico impero che non avrà mai fine. 

Manet Sorgfull Igjennom Skogen

 "Manet Sorgfull Igjennom Skogen" ha un inizio dettato da un arpeggio non troppo delicato per la verità, ma quasi frenetico, dove una voce parlata ne approfitta per introdurci la song in questione emergendo leggiadra sulle note convulse ma mai distorte. Improvvisamente, senza un minimo di pausa o di preavviso, si viene travolti da sonorità tipicamente black con sottofondo di tastiere molto ben eseguito. Il ritmo è piuttosto sostenuto salvo qualche piccolo rallentamento funzionale a far riprendere il brano in maniera impetuosa, verso un sound più ragionato ed evocativo. I suoni sinfonici sono molto delicati e la voce maligna di Galder si sovrappone ad una più pulita e narrante che cerca di sorprendere in parte l'ascoltatore. Tipiche sfuriate nordiche invadono la song e ad alimentare il tutto troviamo con piacevole sorpresa un coro molto ben assestato, che con il frontman e suoni delicati di chitarra introduce nuovamente una parte veloce e molto atmosferica che esalta momenti di pura follia musicale. Il riffing è tagliente e sporco al punto giusto e non fa altro che sottolineare la ruvidità vocale di un ottimo interprete che tra urla laceranti e decisi cambi di tempo, fanno decisamente apprezzare una song di sicuro impatto. In questo caso, il testo è cantato interamente in lingua madre, ovvero il Norvegese, e narra la riflessione di un soldato solitario conscio ormai della sua morte imminente. Le lacrime e la vergogna per non essere stato fedele al compiere il proprio dovere invadono i suoi occhi, ma è comunque pieno di orgoglio per aver salvato la propria dignità e soprattutto per aver rinforzato il regno di Satana. Sa di essere un guerriero valoroso, ed una volta solo si rende conto di essere una preda facile per il nemico; ma non si scoraggia e va avanti per la propria strada, sapendo benissimo che da un momento all'altro potrebbe lasciare la vita terrena per abbracciare quella infernale. Il suo viaggio accompagnato dalla solitudine si conclude inevitabilmente con l'arrivo della morte che ne prosciuga l'anima e ne lecca le ferite, ed è pronta a condurlo verso un luogo per lui più consono dove uomini valorosi avranno la giusta ricompensa. 

The Old Man's Child

Un riff granitico e molto pesante, introduce il brano "The Old Man's Child", song autoreferenziale che ha il delicato compito di essere quella che rappresenti al meglio la band. Se vogliamo analizzare bene questo attacco iniziale, possiamo tranquillamente dire che ha una impostazione tipicamente death, la quale comunque si fa dimenticare subito con l'aiuto delle solite e molto belle note di tastiera ed una rinnovata cattiveria nell'eseguire blast beat a raffica, ed una impostazione vocale ovviamente nordica. Le chitarre finalmente ritrovano l'impostazione black metal senza mai esagerare nell'esecuzione, mentre la batteria alterna momenti di furiosa doppia cassa ad altri più impostanti e ragionati. La voce non è molto presente ma la sezione ritmica riesce a reggere in maniera importante tutta la struttura del brano aiutata come di consueto, da una atmosfera sinfonica non indifferente. Si fa sentire lo screaming soprattutto verso il finale con un leggero eco vocale ed un abbassamento di tono, che risulta dare una maggior sensazione di malignità che si conclude con una strumentazione impazzita, che senza troppi fronzoli terminano un brano sostanzialmente corto non privo di qualche sorpresa. Nel testo vengono invocati gli dei del passato per poter varcare i cancelli dell'Ade. Il percorso fatto è stato pieno di insidie, lunghi percorsi nel freddo inverno nordico che lacerava la carne ad ogni passo attraverso una fitta nebbia dove in ogni angolo si celava un pericolo. Le mani impregnate di sangue dopo una guerra sanguinosa possono destabilizzare chiunque, ma non il nostro guerriero mai sazio di violenza, il quale non riesce a rinunciare a nessun tipo di conflitto. Le sue intenzioni più buie ed oscure renderanno il suo cammino verso il regno del male un qualcosa di irrinunciabile, consapevole del fatto che con l'aiuto degli dei del Nord riuscirà a possedere quella forza immortale tanto ricercata quanto sofferta. Ed è proprio allora che verrà accolto a braccia aperte ed incoronato mietitore di anime, raggiungendo così il proprio scopo e trovando finalmente la pace eterna. 

..Og Jeg Iakttok Dodsrikets Inntog

"..Og Jeg Iakttok Dodsrikets Inntog", quinta ed ultima canzone per quanto concerne la band di Galder, nonché ultima traccia di questa raccolta, si presenta con un'introduzione a dir poco spettrale e lugubre che non solo riesce a trasmettere le suddette sensazioni, ma anche uno stato di pace e calma apparente. Questa bellissima parte sinfonica e strumentale rievoca paesaggi innevati, che quasi ci permettono di "ammirare" le infinite lande norvegesi. Un arpeggio nebuloso introduce una sorta di breve narrazione e continua senza sosta accentuato da sinistri rintocchi di tastiera e da affascinanti suoni di flauti. Al minuto 3:30 assistiamo praticamente ad una colonna sonora che non sfigurerebbe in un film horror degli anni ottanta, con tanto di suspance e tensione che si riescono quasi a toccare con mano. Sul finire di questa traccia praticamente strumentale, udiamo dei colpi di tom atti a far balzare dalla sedia un qualsiasi ascoltatore, rendendo macabra una situazione di pericolo imminente. Diciamo che è una traccia un po' atipica, nel senso che non ci troviamo davanti a sonorità taglienti od a distorsioni di sorta, solamente grande atmosfera in grado di tener incollato chiunque in attesa di chissà quale trovata, dando una sensazione di disagio mentale che fatica a svanire anche dopo la conclusione della song. Il brevissimo testo recitato in norvegese è una sorta di testamento di chi sa che presto verrà trasportato nell'altro mondo. Rimasto solo senza amore, senza calore, senza ormai alcun tipo di sentimento, attende la morte come quasi una liberazione. Le rovine di una guerra conclusa possano essere le macerie della sua sepoltura, degna di chi è vissuto tra queste terre e che tra di esse vuole essere assorbito per l'eternità.

Conclusioni

Una raccolta dunque di due Ep ("Devil's Path" per i Dimmu Borgir"In the Shades of Life" per gli Old Man's Child) che vuole racchiudere l'essenza di queste due band nel periodo antecedente del loro massimo splendore compositivo ed artistico. Un inizio anche di collaborazioni che nel tempo si consolideranno nei vari cambi di line up che verranno effettuati dalle due band, con il più importante ingresso in pianta stabile di Galder nei Dimmu Borgir, come secondo chitarrista. Se da una parte i primi potevano contare comunque su un lavoro più di squadra nel comporre le proprie opere, il discorso non può certo valere per la band di Galder, essendo unico compositore e polistrumentista della propria creatura. Uno sforzo non certo di poco conto che però evidenzia una voglia smisurata di proporre un qualcosa di originale ma soprattutto di personale, in grado di raccontare storie coinvolgenti che sappiano tener alta la concentrazione lasciandoci musicalmente trasportare verso territori culturali magari ancora ignoti a molti. Il discorso vale anche per la "Fortezza Oscura" che con le loro trame infernali in pieno stile Norvegian Black Metal riescono a sconfinare attraverso il male più oscuro, complice una proposta uditiva di grande spessore per quanto riguarda le prime due tracce, e con una doppia rivisitazione non troppo personale per la verità, di un brano di culto come è effettivamente quella "Nocturnal Fear" resa celebre da quel genio del male che risponde al nome di Thomas Gabriel Fischer, che con la sua band ha saputo scrivere enormi e fondamentali pagine nella storia del metal, mescolando vari generi ed influenze che hanno reso i Celtic Frost una band di culto. L'importanza di questo lavoro dunque, risiede soprattutto nella scarsa reperibilità dei singoli Ep divenuti oggetti da collezione. Anche questo lavoro, purtroppo, non si trova facilmente in circolazione, aumentandone così di molto il valore sia in termini puramente affettivi che in termini strettamente legati al valore monetario. Da custodire gelosamente.

1) Master of Disharmony
2) Devil's Path
3) Nocturnal Fear
4) Nocturnal Fear (Celtically Possessed)
5) St. Aidens Fall
6) Seeds of the Ancient Gods
7) Manet Sorgfull Igjennom Skogen
8) The Old Man's Child
9) ..Og Jeg Iakttok Dodsrikets Inntog
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