DIMMU BORGIR

Godless Savage Garden

1998 - Nuclear Blast

A CURA DI
FABRIZIO IORIO
03/10/2015
TEMPO DI LETTURA:
7

Introduzione Recensione

A solamente un anno di distanza dall'uscita del sorprendente "Enthrone Darkness Triumphant", i norvegesi Dimmu Borgir danno alle stampe un sostanzioso Ep dal titolo "Godless Savage Garden". Registrato nel 1997 presso i prestigiosi "Abyss Studios" sotto la supervisione di Peter Tagtgren, in questo lavoro troviamo l'esordio di Astennu come secondo chitarrista (nelle prime cinque tracce) ed anche di Mustis alle tastiere (brani 6 ed 8), i quali troveremo anche nel lavoro successivo, ovvero il full-lenght "Spiritual Black Dimensions", loro esordio in full-length vero e proprio. Per il resto, tutta la formazione di "Enthrone.." mantiene il proprio posto, compreso Stian che suona le parti di tastiera nel resto delle track in cui Mustis non è accreditato. Dato che abbiamo detto che si tratta di un Ep corposo, diciamo subito che ci troviamo di fronte ad un lavoro di ben otto tracce, di cui tre in versione live ovvero: "Stormblast", title track dell'omonimo disco uscito nel 1996, "Master of Disharmony" ed "In Death 's Embrace" contenute a a loro volta in "Enthrone Darkness Triumphant". Non finisce qui, perché è presente una curiosa cover di "Metal Heart" dei maestri teutonici dell'heavy metal nudo e crudo, gli Accept, band capitanata fino al 1997 dal carismatico Udo Dirkschneider, i quali presentarono il pezzo in questione nell'omonimo e sesto disco della band, datato 1985 ed uscito per la "Portrait Records" (curiosamente registrato ben un anno prima della sua uscita).Nell'EP sono presenti altre quattro song che tra l'altro sono le prime del disco; troviamo una prima traccia partorita durante le sessioni di registrazione di "Enthrone Darkness Triumphant" ma non inclusa nel suddetto disco, ed una seconda ed una quarta traccia (ovvero "Hunnerkongens Sorgsvarte Ferd Over Steppene" e "Raabjorn Speiler Draugheimens Skodde"), contenute nell'album d'esordio "For All Tid" che vengono ri-registrate appositamente per questa occasione. Le tracce che invece destano più di una curiosità sono i due inediti, ovvero "Moonchild Domain" e "Chaos Without Prophecy", poste rispettivamente come traccia di apertura e terza song. Tante piccole perle, dunque, che vengono racchiuse in questo disco che fa da perfetto spartiacque in attesa del nuovo full-lenght che verrà pubblicato esattamente un anno dopo.

Moonchild Domain

"Moonchild Domain", oltre ad essere la traccia di apertura, è anche il primo brano inedito. L'inizio è lento e disturbante con chitarre belle corpose che incutono un terrore sonoro, accompagnato da tempi ossessivi e lentissimi di batteria. Le tastiere sopraggiungono da lì a breve in simultanea con il primo ruggito da parte di Shagrath, che con rinnovata cattiveria detta un aumento generale di velocità senza comunque mai essere fuori luogo. Una doppia cassa velocissima introduce una seconda strofa bella carica di negatività, mentre Astennu si presenta con alcune parti "atipiche" di chitarra che si sovrappongono alla perfezione con il resto della band. Passata una prima sfuriata, troviamo una parte veramente affascinante e di grande sapore melodico, dove una tastiera suggestiva si fa strada verso note poetiche ed inquietanti, che con l'aiuto degli altri strumenti divengono accentuate di un'emotività passiva che prende il sopravvento sull'ascoltatore. Arriviamo ad una sezione piuttosto veloce dove possiamo notare una voce leggermente filtrata da parte del singer, per poi tornare a tratti all'epicità della parte strumentale precedente, solamente interrotta da un assolo di chitarra molto altisonante e prolungato. Subentra la voce di Silenoz che praticamente spiana la strada ad un urlo devastante da parte di Shagrath, per poi partire con blast-beat martellanti ed un tappeto tastieristico che cerca di smorzare un po' la violenza riuscendoci solamente in parte. Un ottimo brano di apertura che richiama molto il disco precedente per quanto riguarda le atmosfere in generale e che pone le basi, soprattutto a livello chitarristico, per quello che sarà il prossimo album. Nel testo viene citata la figura di una strega, nello specifico si parla di una certa Eliza, ma non è dato sapere se il riferimento alla contessa Bathory (il cui vero nome, Erzsébet, è spesso reso in europa con il corrispettivo Elizabeth) sia in qualche modo messo in collegamento, nonostante in seguito vengano descritti tutti una serie di macabri rituali alla quale la donna era dedita, oltre all'uccisione di giovani ragazzi per scopi magici (adoperare il loro sangue per ottenere la vita eterna). Lei è portatrice di orrori, seleziona i bambini innocenti con estrema cura circondandoli di affetto per potersene circondare, allevarli e poterne così deviare la mente in modo da costringerli a fare ciò che vuole. Pone molta cura anche ai malati ed ai deboli, in modo da portarli in tentazione con una facilità estrema. Il suo destino è nelle proprie mani, e per fermare i suoi sortilegi malvagi l'unica soluzione è metterla al rogo.

Hunnerkongens Sorgsvarte Ferd Over Steppene

Passiamo al primo remaster, "Hunnerkongens Sorgsvarte Ferd Over Steppene", originariamente presente (nella sua versione originale) nell'album di esordio della band, e subito notiamo una pulizia del suono che stravolge quasi completamente il senso di angoscia che nutriva la song originale. Si parte subito fortissimo con una doppia cassa spezza ossa ed un blast-beat penetrante, sino a quando il singer emette la prima strofa. Si viaggia velocissimi fino alla conclusione del primo verso per poi assestarsi su sonorità tipicamente melodiche dal retrogusto gotico e passionale. Le tastiere in questo caso svolgono un lavoro importantissimo per reggere la struttura del brano, il quale gode di una profondità molto incisiva nonostante la registrazione sia più piena e corposa. La voce di Silenoz è malvagia all'inverosimile e va a prendere il posto del compagno Shagrath alternandosi dietro al microfono. Una traccia sostanzialmente non distante dall'originale a livello di struttira, che gode sicuramente di un lavoro di restauro non indifferente  e che mantiene quell'anima oscura di cui godeva tutto il disco di esordio, seppur come già detto la pulizia sonora depaupera il contesto di quella carica al 100% negativa che potevamo udire in "For All Tid". Nel testo viene citato il barbaro Attila, l'ultimo imperatore della dinastia degli Unni, il quale aveva come unico scopo il porre fine all'impero romano. Il personaggio protagonista delle lyrics, che va a ricordare tali gesta, avrebbe voluto far parte di queste spedizioni: "Avete combattuto nelle steppe, avete devastato le montagne, avete ottenuto vittorie sotto le tempeste, oh Attila, prendi me nel tuo esercito". Egli annovera l'imperatore come proprio idolo indiscusso. Ora tale guerriero è proprietà delle tenebre più oscure dove potrà dare sfogo a tutta la propria furia distruttiva, messa al servizio del male più devastante. Si attendono in seguito tutti quei guerrieri assetati di morte che Attila ha forgiato per diventare degli strumenti di morte, in modo che anche nell'aldilà si continui a combattere fino ad arrivare alla vittoria.

Chaos Without Prophecy

Con "Chaos Without Prophecy" arriviamo a parlare del secondo ed ultimo inedito presente in questo Ep. Colpi di tom e note di tastiera epiche introducono questa nuova song, il tutto è intramezzato da una doppia cassa che in un paio di occasioni spinge il suono melodico verso territori inaspettati. Il cantato è lento ed aggressivo ed il solito tappeto di tastiera ne evidenzia il momento quasi catartico e ossessivo. Una leggera accelerazione la si evidenzia mano a mano che si prosegue con l'ascolto e con l'introduzione di strofe leggermente più pesanti e sostenute vocalmente. Si ritorna come ad inizio brano con una ritmica lenta e depressiva che viene interrotta da una assolo spiazzante e non troppo elaborato che introduce una parte talmente soffocante di chitarra ritmica, la quale risulta imponente, proprioo da togliere il respiro. Quando Shagrath ricompare, l'impostazione disturbante non accenna a diminuire anzi, viene enfatizzata all'inverosimile nonostante il tentativo da parte di Tjodalv di smorzare un po' la tensione con qualche accelerata improvvisa. Tentativo che in parte riesce ma presto si torna a respirare un'aria tenebrosa con una ritmica che appesantisce l'atmosfera fino allo sfinimento. Sembra di avere la sensazione di non riuscire più a reggersi in piedi dopo un'estenuante cammino, cammino che porta dritto verso l'oblio. Anche in questo caso parliamo di una traccia molto ben riuscita che riesce a coinvolgere perfettamente l'ascoltatore mantenendolo costantemente su filo di una crisi depressiva. Un giovane sovrano è destinato a portare il caos, la profezia non mente. Quando finalmente arriva il suo momento egli è pronto a compiere il proprio destino. E' pronto per iniziare il proprio percorso imbracciando la spada verso un luogo che sostanzialmente non esiste, un luogo chiamato "creazione" (forse possiamo cogliere una sorta di riferimento biblico ed intendere il principe come una sorta di anticristo). La sua parola e la sua volontà porteranno la fine di questa profezia, compiendo così il proprio destino nell'attesa di creare il caos. Il re bambino ha trovato il proprio obbiettivo e con un colpo di spada, che sancisce l'inizio dell'ascesa del male. Il disastro ha inizio e ormai è sotto gli occhi di tutti quanti, nessuno potrà fermare la volontà del male. 

Raabjorn Speiler Draugheimens Skodde

Arriviamo alla riedizione di "Raabjorn Speiler Draugheimens Skodde", in cui ritroviamo la stessa magnifica introduzione ideata da Stian Aarstad, letteralmente da brividi. La batteria è impostata su mid-tempo penetrante ed affascinante e la chitarra di Silenoz emerge in maniera ponderata ma efficace. Il primo cantato è travolgente e dopo una prima strofa piuttosto breve le ritmiche sono leggermente più sostenute rispetto alla versione originale. Una doppia cassa particolarmente esasperata ci introduce ad una seconda strofa che ne prepara una parte strumentale bellissima e piena di fascino con una sezione ritmica più pomposa che mantiene intatto lo spirito melodico e altrettanto pesante di cui è dotata questa stupenda song. La voce è praticamente identica all'originale, ma a risultare spettacolare è proprio la simbiosi tra gli strumenti che risultano essere l'uno il completamento dell'altro. Breve ma emozionate, riesce ancora una volta a suscitare quelle vibrazioni esasperate che sembrano non svanire mai. Nell'immagine di trovarsi soli ed abbandonati sulle cime di una montagna norvegese, improvvisamente veniamo avvolti da una fitta nebbia nella quale, nel silenzio più totale, possiamo udire echi di lamenti strazianti. Le anime sfuggite dai corpi di chi è stato giustiziato vagano senza sosta in queste cime, nell'attesa che qualcuno o qualcosa li possa condurre verso la sospirata pace eterna. Anime tormentate da sensi di colpa che troveranno la pace eterna solamente quando avranno raggiunto quella interiore, lasciandosi trasportare ed abbracciare verso le calde fiamme infernali. Il rifugio è stato finalmente raggiunto ed ora si potrà lasciare alle spalle ogni tipo di preoccupazione vivendo finalmente nella serenità più oscura.

Metal Heart

"Metal Heart" è la cover dell'omonima canzone partorita dagli Accept. Iniziamo subito col dire che l'introduzione dell'originale è veramente, già di per se, "oscura". Con quella chitarra e quel sottofondo inquietante, difatti, si presta molto bene ad essere coverizzata da una black metal band. La versione riproposta, difatti, prende spunto proprio da questa introduzione per avviare una basa ritmica prevalentemente simile alla sua controparte ma con un cantato in scream che, se vogliamo dirla tutta, non stona del tutto, effettivamente, ma non riesce ad essere particolarmente coinvolgente come del resto è l'ugola ruvida di Udo. L'assolo posto a metà brano è sicuramente più altisonante e rende molto bene in fase di ascolto grazie ad una accurata attenzione nei particolari ed a qualche nuova trovata a livello personale che non stravolge minimamente il lavoro fatto dalla band teutonica, anche se quello dei tedeschi risulta essere più curato. Il brano prosegue praticamente identico fino alla conclusione e vede una sostanziale riduzione della durata di quasi un minuto. Una buona cover, diciamo in sostanza che non aggiunge e non toglie nulla, risultando essere comunque godibile anche in virtù del fatto che è praticamente perfetta per smorzare un po' i toni, che fin qui raggiungono un livello piuttosto elevato in termini di qualità. Il disco, come detto in fase di introduzione, venne pubblicato nel 1985 ed il testo ipotizza che nel più lontano 1999 la razza umana sia ormai destinata alla morte, all'estinzione più totale. I medici divulgano la notizia e scoppia il caos, e l'unica maniera di sopravvivenza è un cuore di metallo,che sia indistruttibile. Un oggetto senza vita fatto di acciaio che potrà salvare migliaia e milioni di vite, tramutandoci quasi in delle "macchine". Un testo dunque che parla di un futuro distopico ma al tempo stesso è anche una dichiarazione da parte della band, un inno al loro ed unico credo, ovvero il Metal. Il cuore metallico è quello che batte dentro ogni metallaro degno di questo nome e loro sono qui a testimoniare e ad urlare questa fede, in modo che non si spenga mai e che venga alimentata sempre di più. 

Stormblast

Arriviamo dunque alle tre tracce live presenti in questo Ep e partiamo con la bellissima "Stormblast". Con un fragoroso applauso da parte del pubblico, Shagrath introduce la traccia e dopo i consueti tocchi di charleston si parte veloci e potenti. Le tastiere (in questa traccia accreditate a Mustis), seppur brevemente, emergono alla grande e l'urlo del frontman dà il via alle ostilità nella maniera più malvagia possibile. I suoni risultano un po' impastati e la doppia cassa  un po' soffocata, ma queste pecche a livello sonoro non influiscono sul risultato finale, anche se la voce dello stesso Shagrath tende a coprire un po' troppo i vari strumenti. La band non conosce sosta e continua magistralmente nel proporre un brano che ormai è diventato di culto. Il rallentamento generale posto verso la fine del pezzo (e quasi totalmente strumentale) conferisce finalmente un posto di primo piano agli strumenti che questa volta vengono più valorizzati. L'atmosfera in generale è ben assestata per rendere al meglio e l'immagine che si può vedere, quella di una "Stormblast" suonata nell'oscurità, può solamente rendere felici. Il testo richiama la cima di un monte come esempio metaforico della scalata della nostra anima attraverso un percorso non privo di insidie. Le forze del male sono lì ad attenderci, e nonostante le intemperie ed il calar delle tenebre, sono lì immobili ad aspettare il nostro passaggio. Vogliono mostrarci veramente cosa si cela una volta varcati i cancelli dell'inferno; all'apparenza tutto sfarzoso e luccicante, una beltà che trae inequivocabilmente in inganno rivelandosi una trappola per chi crede ancora nella fede e chi si ferma semplicemente alle apparenze, credendo magari di trovarsi in paradiso.

Master of Disharmony

Direttamente dal full-lenght "Enthrone Darkness Triumphant" come la successiva, abbiamo ora "Master of Disharmony", la quale parte subito devastante con urli terrificanti e batteria a cannone. Quando sentiamo la prima strofa i toni si smorzano un po', ma appena Shagrath termina di cantare la sezione ritmica riparte alla grande senza lasciare superstiti. Come nella traccia precedente, la voce tende a coprire gli altri strumenti che vengono apprezzati solamente quando la voce non è in campo. L'impatto comunque è terrificante e la song in questione si presta benissimo in ambito live. Molto bello ed apprezzato è il momento che precede l'assolo con un equilibrio di suoni molto ben bilanciati e lo stesso solo, anche se un po' troppo alto di volume, rende piuttosto bene. Si apprezza il lavoro notevole di Tjodalv dietro le pelli, che come un rullo compressore massacra la doppia cassa senza un minimo di sosta. Gli applausi finali da parte dei presenti sono d'obbligo e la prova dei nostri norvegesi davvero di grande spessore. Quello che vogliamo realmente non è la beatitudine, la pace eterna o chissà quale pacifica baggianata; realmente e senza troppi giri di parole, il nostro desiderio primordiale ed istintivo è quello di compiere qualsiasi azione, qualsiasi gesto di sfogo senza che nessuno ci rimproveri qualcosa. Questo possiamo solamente trovarlo nel regno di Satana, il quale ci permette di esaudire i nostri desideri senza aver nessun tipo di rimorso. In cambio Lui chiede solo lealtà e costanza nel condurre una guerra verso il regno dei cieli.

In Death's Embrace

Passiamo ad una song che è un vero pezzo da novanta, ovvero "In Death's Embrace". Un urlo agghiacciante dà il via alla sezione ritmica ed alle bellissime tastiere (anche questa volta suonate da Mustis), e anche se la velocità proposta è di gran lunga superiore in questa prima parte rispetto a quella su disco, risulta comunque comprensibile e molto emozionante. Il singer divora il microfono con rinnovata cattiveria per poi lasciare libero sfogo agli strumenti che conducono gli spettatori verso un viaggio musicale magico e pericoloso. Quando Mustis sale in cattedra con un solo di tastiera molto convincente, ecco che veniamo travolti nuovamente dalla voce disumana di Shagrath che spazza via ogni dubbio sulla reale resa dal vivo della band. Continuiamo con una grande parte strumentale, anch'essa piuttosto accelerata, e con un ultimo vagito il singer lascia spazio ad un assolo che sinceramente non ricalca fedelmente quello proposto in studio ed anzi, sembra quasi improvvisato lasciando un po' perplesso l'ascoltatore. Sul finale la band si risolleva e punta dritto sulla violenza con tanto di ringraziamenti finali e strumenti intenti a loro volta a dare il giusto tributo ai fans accorsi al loro spettacolo. Il Dio tanto osannato è finalmente pronto ad accogliere le anime smarrite, ma non sa che il demonio è li pronto a tendergli un agguato. Sarà così lui a chiedere pietà e supplicare la grazia inginocchiandosi al cospetto di Satana, riconoscendolo come unico e solo sovrano delle anime. Viene presa in riferimento anche la figura, o meglio il simbolo del pentagramma, il quale è considerato il simbolo perfetto per rappresentare il male. I Dimmu Borgir ne citano l'uso immaginario, come uno strumento per evocare demoni e spiriti maligni che preleveranno l'anima prescelta e la condurranno verso un percorso di purificazione fino ad essere in grado di varcare le soglie dell'inferno.

Conclusioni

In definitiva possiamo parlare di un gran bel lavoro, che stuzzica veramente i fan della band norvegese. I brani live sono piuttosto ben registrati, sicuramente con qualche ritocco in fase di produzione, ma riescono a catturare molto bene l'attitudine live della band che sa veramente come coinvolgere i propri fan. La cover degli Accept è piuttosto curiosa e se vogliamo anche inusuale e non certo di facile reinterpretazione, ma parliamo in sostanza di un brano che viene coverizzato abbastanza bene, reso piuttosto personale ma senza stravolgerne la base e non forzandone troppo il contenuto. Si capisce molto bene, in questo senso, quanto l'apprezzamento della band verso formazioni piuttosto lontane dal loro genere sia fonte di ispirazione e di ammirazione, un tributo sincero proveniente da chi anni prima ha contribuito in modo indelebile a forgiare ed estremizzare un genere divenuto colonna portante nell'universo Metal, soprattutto grazie al lavoro fatto da gruppi come Accept e chi come loro negli anni '80. Troviamo anche le riedizioni di due brani storici inclusi nel loro debutto e devo dire che fa veramente piacere riascoltare delle tracce così coinvolgenti che hanno segnato l'inizio di un cammino artistico veramente notevole, e che sono ancora in qualche modo legate nell'anima della band in maniera inconfutabile. Vorrei soffermarmi particolarmente sui due brani inediti, soprattutto Moonchild Domain, la quale è una traccia veramente incredibile ed affascinate: con i suoi passaggi di tastiera epici, con le ritmiche malvagie e penetranti è sicuramente il pezzo forte del disco. Chaos Without Prophecy, invece, è molto più ragionata e semplice se vogliamo, ma contiene un'anima oscura che raramente si sente in brani così lenti e melodici. Anche qui la melodia è a tratti predominante e l'atmosfera generata è il fulcro su cui ruota tutta la song. Un ottimo EP quindi, che va a toccare praticamente tutta la carriera fin qui avviata dalla band, con qualche sorpresa e soprattutto con quella voglia di evolversi che da qui a qualche album si tramuterà definitivamente. In attesa dell'uscita di quella piccola gemma non priva di novità quale "Spiritual Black Dimensions", un ottimo antipasto per placare l'attesa e le anime tormentate. 

1) Moonchild Domain
2) Hunnerkongens Sorgsvarte Ferd Over Steppene
3) Chaos Without Prophecy
4) Raabjorn Speiler Draugheimens Skodde
5) Metal Heart
6) Stormblast
7) Master of Disharmony
8) In Death's Embrace
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