DIMMU BORGIR
Dimmu Borgir
2017 - Nuclear Blast

FABRIZIO IORIO
11/04/2017











Introduzione Recensione
Sono passati ben sette lunghi anni dall'ultima uscita dei Norvegesi Dimmu Borgir, i quali si apprestano a tornare con due lavori che sembrano più altro cercare di placare questa lunga attesa. Ben ricordandoci poi di quanto precedente "Abrahadabra", datato 2010, avesse mostrato (purtroppo) dei limiti piuttosto grossolani non in grado di farci ben sperare per il futuro. In primis la scelta di non avere in pianta stabile un vero batterista di ruolo dopo l'abbandono del colossale Nicholas Barker, e se in "In Sorte Diaboli" la band vantava la collaborazione del fenomenale Hellhammer, i Nostri non hanno più preso in considerazione l'idea di trovare qualcuno che potesse fare parte della band a tutti gli effetti. Questa scelta non è da considerarsi solamente per il posto da batterista, ma bensì anche di bassista e tastierista. Anche in questi casi, dopo l'abbandono di Ics Vortex e del talentuoso Mustis (che fu praticamente cacciato), avvenuto in entrambi i casi dopo l'uscita di "In Sorte Diaboli", Shagrath, Silenoz e Galder presero la decisione di trasformare i Dimmu Borgir in una band comprendente solo tre elementi. Dicevamo che in questo 2017 possiamo ritrovare la band con due uscite, anche interessanti se vogliamo. Una, e sicuramente la più interessante, è il doppio disco dal vivo dal titolo "Forces of the Northern Night" (prevista per il 28 di questo mese); mentre quello preso in esame da noi, in questa occasione, è la compilation nominata semplicemente "Dimmu Borgir". Sostanzialmente si tratta di una raccolta che va a toccare il periodo compreso dal 2007 al 2010, ovvero esattamente quel frangente in cui si iniziava a respirare aria di grandi cambiamenti. L'attesa per un nuovo lavoro di inediti in effetti inizia a diventare troppo lunga, dato che la band ha sempre abituato il proprio pubblico al rilascio di materiale con cadenza quasi annuale. Che essi siano inediti, ep o singoli, i Dimmu Borgir non hanno mai fatto mancare quel qualcosa che potesse tenere vivo l'interesse del pubblico, nonché l'appeal che il nome ha sempre suscitato in quest'ultimo. Il contenuto di questa compilation è subito detto: i primi due brani arrivano direttamente dall'album "Abrahadabra" e nello specifico parliamo di brani "Dimmu Borgir" e "Gateways", qui riproposti nella loro versione "spoglia", ovvero totalmente orchestrale. Brani che erano presenti nell'edizione "box di lusso" del suddetto disco. Interessante la terza traccia "Perfect Stragers", una cover della title track di un omonimo album dei Deep Purple pubblicato nel 1984, e presente come traccia bonus nella versione giapponese dell'ultimo album fino ad ora rilasciato dai nostri norvegesi. Altri due brani, "The Heretic Hammer" (destinata al mercato statunitense) e "The Ancestral Fever" (inclusa per il mercato europeo), provengono direttamente dall'edizione limited di "In Sorte Diaboli", mentre come ultima traccia andiamo a riscoprire in chiave live quella "Puritania" (inclusa nell'ottimo "Puritanical Euphoric Misanthropia") che risultava essere un piacevole e ben riuscito esperimento contaminato da suoni dal sapore vagamente industrial. In sostanza, siamo al cospetto di una raccolta di brani "bonus" che dovrebbe avere la funzione di dare all'ascoltatore una opportunità di ripassare e riscoprire una band che per troppo tempo non ha dato segnali di vita. Quindi non ci resta che ripassare insieme il contenuto di questa compilation, sperando che il prossimo album non si faccia attendere ancora molto.

Dimmu Borgir (Orchestral Version)
Si inizia dunque con l'auto celebrativa "Dimmu Borgir (Orchestral Version)" dove veniamo accolti dalle prime voci corali condite da qualche percussione ottenuta con il timpano sinfonico. I primi strumenti a corda iniziano a farsi sentire, i contrabbassi sembrano essere minacciosi nel loro imporsi, mentre viole e violini si muovono dolcemente ricreando una sensazione mistica e rilassata. L'archetto di pelle di cavallo, agitato sulle corde delicate di violino, viene maltrattato per qualche istante; per poi riprendere momentaneamente una direzione di apparente calma. I coristi continuano imperterriti ad arricchire il brano, con momenti di media tonalità che vanno ad assecondare i baritoni che donano quell'enfasi particolare e di piacevole ascolto. Il brano si rilassa ulteriormente, le note si addolciscono ed il volume cala prepotentemente fino a sentire i primi strumenti aerofoni che lasciano un po' di spazio alle tastiere che diventano assolute protagoniste. Il sound è sempre leggero, ma ad un certo punto i timpani iniziano a scatenarsi permettendo un breve momento di concitazione che termina con un gong, il quale riporta il tutto sui binari precedenti. Anzi, a dirla tutta la sensazione di leggerezza aumenta notevolmente, fino a che gli archi non decidono di mutare questa sensazione in un qualcosa di oscuro e tenebroso con soluzioni improvvise che mettono di fatto una certa tensione, prima di ascoltare una ulteriore apocalisse sonora. La resa è spettacolare, ed il finale segna con un tocco di classe l'inesorabile battaglia tra il cristianesimo e chi ne vuole vedere la fine. Questo brano è probabilmente il più significativo ed interessante all'interno di "Abrahadabra", e bisogna dire che anche solo sentendone la sua controparte orchestrale, quest'ultima si dimostra essere ben strutturata, ben suonata e molto ben arrangiata. La mancanza di qualsiasi tipo di distorsione data da chitarre o basso, e la mancanza soprattutto di una parte vocale, non influisce minimamente sul risultato finale, essendo di ottimo valore.

Gateways (Orchestral Version)
Passiamo al secondo ed ultimo estratto dall'ultimo lavoro datato 2010: stiamo parlando del primo singolo rilasciato all'epoca, dal titolo "Gateways (Ingressi)". Si inizia con dei cori prolungati che aumentano di intensità e volume riempiendo il suono in maniera molto efficace. I primi archi iniziano a farsi sentire ed il loro incedere è estremamente minaccioso. Viole e violini compaiono facendo la voce grossa, mentre i contrabbassi aggiungono quel tocco di oscurità che in sostanza riesce a rendere bene questo inizio dai toni tenebrosi. Un leggero calo di intensità permette un'atmosfera se vogliamo ancora più cupa, dove ad emergere sono alcuni strumenti a fiato, facenti una brave comparsa di sicuro effetto. Ad un certo punto, una svolta inaspettata fa in modo che il tutto si fermi per un secondo, per poi permetterci di ascoltare ancora dei bellissimi strumenti a corde coadiuvati da un coro di grande caratura. Altrettanto improvvisamente, invece di svoltare raggiungendo l'apice del climax, il brano torna sulle sonorità iniziali. Questo è un vero peccato, poiché tutto lasciava presagire il palesarsi di quel guizzo in più che avrebbe fatto decollare definitivamente la song. Altro cambio stilistico a favore di un sound più piacevole, dove un bel colpo assestato di piatti introduce ad una nuova parte bella pomposa ed altisonante; si arriva dunque alla conclusione, maturando comunque con un senso di incompletezza. Nulla da dire sulla qualità e sulla preparazione orchestrale, ma certi momenti (forse un po' troppo caotici e non troppo chiari sulla direzione da intraprendere) minano quel tanto che basta una prestazione altrimenti impeccabile. Diciamo subito che suona molto meglio questa versione orchestrale rispetto a quella originale, più che altro perché la band "esagera" nel proporre sonorità da sala quando queste stanno benissimo così come sono, ovvero da sole.

Perfect Strangers (Deep Purle Cover)
"Perfect Strangers (Deep Purle Cover) - Perfetti Sconosciuti" è un omaggio ai Deep Purple, come specificato in sede di introduzione. Anziché i grandi classici settantiani, i Dimmu Borgir decidono di pescare in un repertorio più "in là", andando quindi a chiamare in causa un disco del 1984. Anno che segnò il ritorno della band, dopo la momentanea separazione avvenuta a causa della morte del chitarrista Tommy Bolin, dipartita registrata nel 1976. Un graditisimo ritorno dopo ben nove anni di silenzio che segnò tra l'altro il ritorno in seno alla band di Ritchie Blackmore, il quale dopo aver deciso di sciogliere i Rainbow, decise di ricontattare gli altri membri della band per compiere di fatto un ritorno in grande stile. Una pressoché identica introduzione tastieristica con chitarre decisamente più pesanti, danno il via all'interpretazione vocale e personale di Shagrath, il quale ovviamente ha poco o niente a che fare con la splendida prova offerta all'epoca dal grande Ian Gillan. Pensiamo ad una sorta di uomo misterioso a cui piace entrare ed uscire dalle vite delle persone. Un continuo cambio di personalità, alla continua ricerca della persona giusta. Un flipper impazzito che lo vede insidiarsi nell'esistenza di chiunque, prima di trovare una giusta dimora. Lo stesso singer viene aiutato considerevolmente dal bassista e turnista Snowy Shaw, il quale lo ricordiamo per aver preso parte come turnista alle date live della band in occasione dell'uscita di "Abrahadabra". Tornando al testo, questo uomo misterioso decide di punto in bianco di tornare dal passato. Dopo una lunga assenza ritorna, dunque, e lo fa per rimanere; volendo contemporaneamente tenere un profilo bassissimo, rimanendo di sua decisione nell'anonimato più totale. Poiché sa benissimo che prima o poi dovrà ripartire e non vuole e non deve in alcun modo lasciare traccia di sé. Il drumming in questo momento è piuttosto incisivo, ed una doppia cassa alternata dona un po' di brio al brano, anche se (e detto sinceramente), questo innesto batteristico non è proprio utile alla causa stessa della traccia. Comunque risulta un piacevole diversivo, e si fa ascoltare a dovere. Ottima l'esecuzione del ritornello prima di tornare ad ascoltare questa doppia cassa in contemporanea ad una chitarra tutto sommato di buona fattura, ed il sound viene arricchito furbescamente da una sezione orchestrale che dobbiamo dire, funziona. Questa, chiamiamola entità, deve per forza rimanere un perfetto sconosciuto, solamente per permettere di capire che la vita è un bene prezioso, e che non va sprecata in lacrime che andranno poi perse per sempre nella pioggia. A tal proposito è presente un verso bellissima, meravigliosamente eloquente: "Se un giorno sentirai le mie parole nel vento, vorrà dire che è arrivato il giorno in cui capirai il perché siamo stati così lontani ma al tempo stesso incredibilmente vicini". Alla base di ogni cosa c'è il tempo. Il tempo per capire, il tempo per fare esperienze ed imparare dagli errori. Quando arriveremo a capire il senso del nostro percorso, allora capiremo il vero valore della vita.

The Heretic Hammer
Analizzati i primi tre brani provenienti da "Abrahadabra", è il turno dei due brani inclusi nella limited edition di "In Sorte Diaboli". Partiamo dunque con "The Heretic Hammer (Il Martello Eretico)", il quale si presenta con dei delicati suoni di tastiera che vengono raggiunti dalla voce filtrata di Shagrath, la quale si rivela alquanto minacciosa ed oscura. Dopo questa breve parentesi veniamo travolti da un blast beat furioso con tanto di sound pesantissimo ed avvolgente. Si da subito viene evocato il maligno nella sua forma più blasfema e pericolosa, e questo per far si che qualsiasi valore cristiano cada in un abisso senza fine. Questa prima parte è devastante, con una sezione ritmica impressionante ma al contempo sostenuta da un ottimo sottofondo sinfonico. Il brano riparte in quarta e non vuole proprio lasciare superstiti. E' il momento giusto per ricordare che ai tempi delle crociate, non tutti erano devoti al cristianesimo, e per cercare di convertire queste persone veniva usato qualsiasi tipo di mezzo di persuasione. Veniva inflitto del dolore fisico, si veniva umiliati in pubblico, il tutto per una religione che ai tempi era considerata come un qualcosa di imprescindibile. Satana, nella sua forma più malvagia, è alla ricerca proprio di queste persone che non credono in Dio. Il perché è subito detto; sono quelle più vulnerabili a livello mentale e la loro anima vacilla sull'orlo di un baratro, aspettando semplicemente quella spinta per caderci dentro senza mai più uscirne. Ora la song si prende una pausa, nel senso che le tempistiche rallentano quel tanto che basta per far respirare l'ascoltatore, ma la parte migliore viene offerta dall'ottimo Mustis che con le sue tastiere disegna un iperbole perfetta di sofferenza. Magistrale la parte strumentale che andiamo ad assistere prima di un ultimo assalto frontale che vede nuovamente la voce del singer carica di effetto. Il maligno vuole accaparrarsi queste anime, ed ha praticamente il terreno spianato per via di quella incertezza che non le fa avvicinare a Dio, quanto basta per permettere loro la giusta protezione. E' proprio l'odio verso questa religione imposta a tutti i costi ad alimentare il male, facilitandone praticamente l'ascesa. Il signore delle tenebre è in procinto di risorgere, e tenterà di imporsi sulle persone in modo da scatenare una vera e propria ribellione. L'intento finale è proprio quello, ma la cosa che lo fa eccitare all'inverosimile è la possibilità di vedere questa strage che sta per compiersi, assaporandone piano piano il sangue che verrà inevitabilmente versato. Il brano è veramente bello, potente e carico di atmosfera al punto giusto, ed è un peccato che non sia stato inserito nella tracklist ufficiale dell'album, data la sua grande carica. Qui si può trovare un po' di tutto circa l'essenza della band; dalla velocità ferale alle atmosfere più oscure, fino ad arrivare ad una conclusione che lascia estremamente soddisfatti.

The Ancestral Fever
Arriva il momento di "The Ancestral Fever (La Febbre Ancestrale)". Tocchi leggerissimi di ride ed una chitarra in continuo crescendo attendono colpi secchi di tom che danno di fatto il via al brano. La voce è ovviamente filtrata in questo inizio, ma viene lasciata finalmente libera quando la band si sfoga al massimo delle proprie capacità. Siamo al cospetto delle forze del male, prese come un' entità unica; puntano direttamente all'uomo per fargli capire che nella vita si può andare avanti senza per forza seguire delle regole. La cosa più importante è il cercare di non farsi plagiare in alcun modo, che al di là di promesse farlocche, il Male non garantisce praticamente nulla di concreto. Le urla di Shagrath si ergono imponenti con delle soluzioni che abbandonano quella parte Black tipica della band, per abbracciarne una più Thrash oriented che in quegli anni cercava di venir fuori. Come un fulmine a ciel sereno però, la band spinge al limite la propria creatura con un blast beat devastante che evidenzia la grande esperienza di Hellhammer, con tanto di vocals demoniache e chitarre martellanti. A metà brano si presenta Galder con un assolo molto deciso e ben strutturato, e riesce a spaccare in due il brano prima dell'ennesima ripartenza. Date queste premesse, la sostanza è che chiunque voglia abbracciare le forze del male per apprendere ogni tipo di verità, sarà il benvenuto. Chi si prostrerà dinnanzi a tale causa avrà il compito di illuminare chi ancora rimane sulla soglia dell'indecisione, mostrandogli tutte le baggianate che il cattolicesimo professa da anni. Si diventa una sorta di messaggeri insomma, con il compito di far aprire gli occhi alla gente, in modo da dedicare ed offrire la propria anima all'eterno maligno. Il pezzo continua con qualche cambio di tempo che a volte risulta un pochino forzato, e se da una parte quelle sezioni tipicamente estreme risultano essere molto interessanti e ben riuscite, dall'altra qualche soluzione più thrasheggiante e qualche macchinosità di troppo fanno si che questa "The Ancestral Fever" ne esca a tratti incompiuta.

Puritania (Live)
"Puritania (Live)" appartiene all'ottimo "Puritanical Euphoric Misanthropia" pubblicato nel 2001, e qui riproposto in chiave live durante l'esibizione in quel di Wacken. Si parte subito con un boato impressionante da parte del numerosissimo pubblico presente, il quale fa da perfetta introduzione all'inizio del brano. Delle ormai consuete frequenze radio disturbate danno il via alle danze, dove possiamo sentire sin da subito la precisione dietro le pelli di Nicholas Barker con la sua doppia cassa. Semplice, mai elaborata ma semplicemente perfetta nel suo scorrere liscia come l'olio. La voce si Shagrath è filtratissima ed è questa una delle peculiarità di tutto il brano. Il sound ha una leggera dispersione, e questo è normalissimo in un festival di tale portata situato all'aperto. Ma dobbiamo dire che la resa generale è più che soddisfacente. In tutto questo, il pubblico risponde molto bene e si fa catturare cantando insieme alla band. Decantando le opere del proprio sub conscio presentato sotto forma di strana creatura, la quale prende vita e vuole metterci davanti la cruda realtà. Egli si autoproclama come essere superiore, e questo i presenti lo percepiscono alla grande. Sembrano infatti in estasi nell'ascoltare un brano sicuramente atipico ma che riesce ad infondere un senso di smarrimento. Si cerca quindi di far capire a tutti che le guerre, le bugie ed il dolore che dobbiamo sopportare sono provocati nientemeno che noi stessi. Lo stesso singer incita la folla facendola partecipare con la sua spettrale voce "meccanizzata", atta proprio a modulare i versi di questa spaventosa creatura. Le tastiere a volte sono ben integrate, mentre altre volte si perdono via un po' per colpa di un volume che sembra voler fare le bizze. Le chitarre risultano un pochino impastate, mentre il basso è forse fin troppo alto a livello di volume. Considerazioni che per un brano live ci stanno tutte, e se dobbiamo tirare le somme è comunque reso piuttosto bene, lo ripetiamo. Siamo ridotti a spazzatura, dura lex sed lex: è quindi giunto il momento di fare una pulizia pressoché totale. Come attuare questa pulizia, dunque? Semplicemente sterminando una razza che ha non ha saputo cogliere quanto offerto dalla propria terra, spargendo odio e cattiveria non appena ne ha avuto la possibilità. Se pensiamo che il pianeta in cui viviamo ha cercato di darci il meglio per poter vivere tranquillamente, non facendoci praticamente mancare mai niente, la ricompensa che stiamo a lui offrendo è a dir poco spregevole. La band continua linearmente ad emettere le proprie sentenze, e se le parti orchestrali vengono affidate a campionamenti per ovvi motivi, bisogna riconoscere che sul palco i Dimmu Borgir ci sanno fare eccome. Sanno come intrattenere, sanno come esaltare e soprattutto sanno come allestire uno spettacolo sempre di livello. E se a tutto aggiungiamo il fatto che ci troviamo al cospetto di una song la quale è più che altro un esperimento, tra l'altro ottimamente riuscito, e ci facciamo trasportare attraverso la reale condizione umana che anche al giorno d'oggi spicca per egoismo e disprezzo della stessa, troviamo alla fin fine un quadro estremamente interessante.

Conclusioni
Siamo giunti dunque al termine di questa compilation, fra alti e bassi. Come prima impressione, primissima, dobbiamo purtroppo ammettere quanto fosse lecito aspettarsi qualcosa di più. Non fraintendete, il contenuto in sé è anche di buona fattura, ma dopo così tanto tempo di silenzio non sarebbe stato un reato aspettarsi per lo meno un EP contenente almeno un inedito. Un'operazione del genere avrebbe infatti messo in chiaro il fatto che i nostri norvegesi sarebbero stati in procinto di tornare con un nuovo lavoro; ed invece ci ritroviamo tra le mani nient'altro che una raccolta composta da qualche bonus track già presenti (fra l'altro) negli ultimi lavori, contenute nelle loro rispettive edizioni limited. Sembra più che altro che la band abbia voluto dire ai propri fan: Ehi, ci siamo ancora. Va benissimo, per carità; ma se pensiamo che i Nostri potevano dare sicuramente qualcosa di più, date le loro potenzialità, un'operazione del genere fa venire un po' di rabbia. Parlando del contenuto non possiamo non apprezzare la versione orchestrale del brano "Dimmu Borgir", il quale rende benissimo a livello di atmosfera, talmente coinvolgente e di grande fattura che tutto risulta semplice ed immediato, in grado di farci viaggiare con la mente verso lidi sconosciuti. La seconda proposta, nella fattispecie "Gateways", è un po' il contrario della sua precedente. Suonata bene ci mancherebbe, ma se già la versione presente su disco lasciava a tratti l'amaro in bocca, stessa cosa dobbiamo purtroppo dire della sua controparte orchestrale. A tratti è confusionaria, ma a volte riesce a diventare estremamente interessante. Un connubio che lascia piuttosto perplessi, insomma. Per quanto riguarda la cover dei Deep Purple non dobbiamo segnalare chissà quale preziosismo o scandalo. Semplicemente è una normalissima cover, senza infamia e senza lode. "The Heretic Hammer" detiene la palma per miglior brano degli ultimi anni composto dai nostri norvegesi, e ancora non mi spiego il motivo per cui non sia stato inserito nella track list ufficiale di "In Sorte Diaboli". Sicuramente avrebbe demolito qualsiasi brano presente, poco ma sicuro. "The Ancestral Fever" è un piacevole episodio che con la sua sferzata thrash vuole un po' diversificarsi dal resto dell'album, riuscendoci però solamente a metà. L'ultima "Puritania" è la perfetta dimostrazione di come anche nei brani più "strani", la band si sappia muovere eccellentemente bene in sede live. Di esperienza ne hanno ormai accumulata a sufficienza, e questa ne è l'ennesima dimostrazione. Concludendo, questa uscita sembra più che altro una operazione commerciale atta proprio a non far cadere nel dimenticatoio una band che, nel bene o nel male, ha avuto una grandissima importanza per il panorama symphonic black metal. Ovviamente non ci si dimentica di un gruppo di tale importanza e ci mancherebbe altro, ma sembra che i Dimmu Borgir abbiano avuto un po' paura di questa possibile eventualità. Qualcosa bolle in pentola e di questo ne sono più che convinto. Ora non resta che ascoltarci la doppia uscita live "Forces of the Northern Night", che si preannuncia mastodontica, nonché attendere pazientemente il rilascio del nuovo disco, che si spera non tardi troppo ad arrivare.

2) Gateways (Orchestral Version)
3) Perfect Strangers (Deep Purle Cover)
4) The Heretic Hammer
5) The Ancestral Fever
6) Puritania (Live)


