DIMMU BORGIR
Abrahadabra
2010 - Nuclear Blast Records

FABRIZIO IORIO
06/01/2016











Introduzione Recensione
Continuiamo il nostro percorso attraverso la discografia dei Dimmu Borgir per analizzare l'ultimo (fino ad ora) album della loro grande carriera. Andiamo a parlare questa volta di "Abrahadabra", disco uscito a tre anni di distanza dal buon (ma non sorprendente) "In Sorte Diaboli", dove i Nostri si erano cimentati con il primo concept della storia della loro discografia. In questo nuovo lavoro è innanzitutto doveroso segnalare l'ennesimo cambio in line up. Questa volta si tratta della defezione di due pezzi grossi che tanto avevano contribuito alla causa della band norvegese, e soprattutto che avevano contribuito in modo decisivo allo sviluppo di quello che poi è diventato il sound definitivo, concretizzato dopo una evoluzione iniziata svariati anni fa. Stiamo parlando della fuoriuscita del bassista, nonché seconda voce, Ics Vortex, il quale con la sua ugola estremamente pulita aveva caratterizzato in modo indelebile alcune delle migliori canzoni del gruppo. L'altro membro ad aver abbandonato la scialuppa, o meglio ad essere stato allontanato, è il bravissimo tastierista Mustis. Una scelta a detta dello stesso frontman Shagrath maturata a causa della poca volontà dei due di partecipare attivamente agli impegni del gruppo (la vita extra-musicale, ovvero riunioni con il management ecc.) con conseguenti malumori che hanno portato a questa drastica decisione. Dato che anche Hellhammer ha concluso di fatto la collaborazione dopo il tour promozionale di In Sorte Diaboli, continua la scelta di non avere un batterista in pianta stabile. L'ossatura della band quindi, è composta da duo Shagrath (voce) / Silenoz (chitarra), e dall'ormai definitivo Galder (seconda chitarra) che ha messo in un angolo il suo progetto Old Man's Child per dedicarsi completamente alla causa della fortezza oscura. Per la registrazione di questo lavoro e per portare avanti il tour di promozione quindi, sono stati reclutati dei turnisti. Iniziamo parlando del ruolo ricoperto al basso, e parliamo quindi di Snowy Shaw, musicista svedese, il quale ha ricoperto il ruolo di batterista durante la propria carriera suonando con artisti di grande livello quali King Diamond, Mercyful Fate, Dream Evil e Momento Mori. Oltre ad essere un batterista, Shaw si è unito nel 2006 ai Therion cantando nell'album Gotich Kabalah partecipando anche al tour promozionale nell'anno successivo. Nel 2010 viene reclutato dai Dimmu Borgir per ricoprire il ruolo appunto di bassista e seconda voce ed infatti possiamo trovare le sue performance vocali in tre tracce presenti in questo lavoro. Terminato il tour rientrerà nuovamente nei Therion abbandonando così la band norvegese. Alla batteria invece troviamo il polacco Dariusz Brzozowski meglio conosciuto con il soprannome Daray, già all'attivo con un'altra black metal band sinfonica, ovvero i Vesania ed ex membro dei death metallers Vader. Per sopperire alla mancanza delle splendide voci pulite che erano magistralmente affidate a Vortex, viene reclutata come guest Agnete Kjolsrud ex componente della band hard rock Animal Alpha, coadiuvata anche da Garm (ex Arcturus e Borknagar) che presta la propria voce pulita per la traccia conclusiva di questo lavoro. Le tastiere vengono suonate da Gerlioz, all'anagrafe Geir Bratland, già tastierista dei norvegesi Apoptygma Berzerk e turnista di band come The Kovenant e Satyricon, nonché membro dei God Seed. Per aumentare considerevolmente le sezioni sinfoniche, la band si avvale inoltre, per questa specifica volta, dell'orchestra norvegese Kringkastingsorkestret e dei coristi provenienti dal coro di musica da camera Schola Cantorum. Non mancano nemmeno gli ospiti illustri: come chitarra solista della terza e nona traccia (accreditato poi fra i produttori del disco, assieme agli stessi Borgir) troviamo infatti Andy Sneap, storico membro dei thrasher inglesi Sabbat e dal 2008 chitarrista dei leggendari Hell, band di culto dellaNWOBHM Dopo queste novità per introdurre i vari cambiamenti in seno alla band, parliamo di un'altra curiosità, ovvero il titolo dell'album. Abrahadabra non è solamente la più famosa parola magica usata dai maghi, o presunti tali, durante i loro spettacoli; è un qualcosa di incredibilmente più profondo ed intricato. Trattasi infatti di una parola dalle origini esoteriche ripresa dall'opera filosofica di Aleister Crowley "The Book Of The Law". Crowley (Edward Alexander Crowley) fu un occultista, scrittore ed esoterista britannico, considerato tutt'oggi il fondatore del moderno occultismo. Venne etichettato da molti come un satanista, ma in verità egli era drasticamente slegato da ogni tipo di culto richiamante anche solo alla lontana il cristianesimo od il giudaismo. Le sue opere comunque furono di forte ispirazione verso chi professava il satanismo perché in molti suoi scritti si intravedeva una conoscenza occulta fuori dal comune, basata sul culto di noi stessi in quanto umani liberi da ogni tipo di condizionamento divino. Il suo libro ha un che di misterioso, dato che gli sarebbe stato comunicato da un'entità chiamata Aiwass che si sarebbe manifestata attraverso la moglie dello stesso Crowley, la quale venne identificata come il suo Santo Angelo Guardiano. Il libro della legge pubblicato nel 1904, è il principale sacro testo dell'abbazia di Thelema, ovvero la prima comune di Crowleyiani mai sorta, incarnata da un edificio simbolico fungente da tempio. La prima legge di Thelema è "Fai ciò che vuoi sarà tutta legge. L'amore è la legge, amore sotto la volontà". Aleister ha difatti sviluppato questa religione scrivendo moltissimo sull'argomento, pubblicando quelli che in definitiva possiamo definire come "I sacri libri di Thelema", i quali comprendono idee di misticismo ed occultismo occidentale misto alle filosofie orientali concentrandosi prevalentemente sulla Cabala. Insomma, gli ingredienti per un qualcosa di misterioso ci sono tutti, e l'unica perplessità riguarda questo massiccio cambio di formazione. Vediamo quindi di sentire questa nuova fatica e di vedere se l'attesa di tre anni verrà ampiamente ripagata.

Xibir
"Xibir", prima traccia di questo album, è introdotta da un rumore gutturale molto profondo ed oscuro, raggiunto da cori altisonanti e delicati, e da una leggera orchestrazione che riesce a suscitare un che di "mistico". Ad un certo punto la sinfonia diventa penetrante e aumenta considerevolmente di volume con il proseguo dell'ascolto. Tra strumenti a corda accompagnati da quelli a fiato, l'atmosfera inizia a farsi pesante e il coro di voci femminili ne aumenta l'intensità. Il volume si fa più pacato, quasi leggiadro, per poi concludere questa prima song del tutto strumentale che fa da vera e propria introduzione preparandoci per l'ascolto effettivo di questo atteso Abrahadabra.

Burn Treacherous
"Burn Treacherous (Nato Perfido)" si apre con una chitarra sporca e piuttosto strana che crea il presupposto per introdurre la voce di Shagrath, il quale più che cantare sembra parlare in maniera piuttosto insolita e non troppo convincente. Fortunatamente, dopo questa breve parentesi iniziale, sentiamo blast-beat abbastanza violenti e finalmente una voce in screaming abbastanza incisiva. Arriviamo ad un tappeto sinfonico molto buono e convincente che viene però purtroppo rovinato dalla voce filtrata dello stesso singer, il quale fin da subito inizia ad essere abbastanza ripetitivo. Torniamo sui tempi di inizio brano, ovvero lenti e sinceramente poco incisivi, dove troviamo questa volta il coro che canta il titolo del brano, risultando interessante e ben integrato con la struttura della song. Ad un certo punto gli strumenti smettono di esprimersi, e si sente una voce abbastanza inquietante che recita una sorta di preghiera oscura. Si riparte con una doppia cassa intermittente ed una voce filtratissima che segue le ritmiche musicali per poi fermarsi nuovamente a favore di un'altra voce, diversa dalla precedente, e si prosegue con una buona ritmica fino ad una sorta di caos sonoro dettato dalla poca congruenza che si può udire tra orchestra sinfonica e strumenti distorti. Si riprende con blast-beat velocissimi accompagnati da un riffing abbastanza pesanti ed il coro che nuovamente si fa sentire solo in occasione di ripetere il titolo della traccia. Questo episodio si conclude con una cavalcata sonora piuttosto piatta ed una orchestrazione che non arricchisce molto il finale, risultando a tratti forzata. Un brano che gode di qualche buona trovata e troppe situazioni dove regna un certa sensazione di caos e di incompletezza. Se da un lato infatti a volte risultano gradevoli alcuni passaggi atmosferici ed alcuni riff azzeccati, di contro abbiamo una "troppa" orchestrazione che di fatto toglie quel gusto malvagio e smorza una tensione che fa fatica ad emergere. Mediante questo brano veniamo trasportati in un luogo oscuro, abitato da anime dannate. Chiediamo di mantenere il nostro mondo con i nostri schiavi, in modo da poterli usare a nostro piacimento per fare ciò che vogliamo, proprio perché la malvagità di questa nostra vita non ci dispiace affatto. Ci sentiamo onnipotenti, e diciamo chiaramente che tutti farebbero dei miracoli per noi pur di accontentarci, così da lasciare le cose come stanno. Non capite, ci dicono i Nostri, siete troppo ciechi per poter vedere e capire quello che siamo in grado di fare. La nostra forza è comandare chiunque senza pietà per raggiungere i nostri scopi, e non importa se ci saranno delle vittime; il sacrificio è necessario per ottenere il massimo risultato. La perfidia è proprio questo, essere sleale e subdolo nel difendere le proprie idee a discapito anche della vita altrui. Essere malvagio è la base di tutto questo, e compiacersi per tale cattiveria è sinonimo di potere ma anche di pazzia. Il Male domina il mondo, chi fa del Male può ergersi su chiunque altro non sia in grado di abbracciare questa "fede". Conclusa la giornata, ci si stende nel proprio letto e paradossalmente si prega perché le cose volgano sempre al meglio, e senza alcun rimorso cerchiamo aria fresca e riposo per recuperare le forze in modo tale da ripetere il tutto nell'indomani, una nuova ascesa al potere scandita dalla malvagità. "Sono così, sono nato perfido ed otterrò il mio obbiettivo".

Gateways
"Gateways (Ingressi)" è il brano che vede la prima collavorazione con Andy Sneap e che un mese prima dell'uscita di questo Abrahadabra ha avuto il difficile compito di presentarsi come primo singolo estratto, con tanto di videoclip volto a presentare sostanzialmente la band rinnovata. Ulteriore ospite d'eccezione è Agnete Kjolsrud come seconda voce, per rimpiazzare l'ex Vortex. Il coro di apertura è maestoso, e viene amputato da una doppia cassa velocissima alimentata da una sezione sinfonica di buon livello. Le ritmiche si abbassano notevolmente diventando cadenzate e favorendo l'entrata in scena di Shagrath, il quale attacca con una prima strofa dallo screaming non troppo ispirato, ma recitato con l'ausilio di filtri vocali che fanno subito storcere un po' il naso. Il riffing di chitarra si fa pesante e viene accompagnato molto bene dall'orchestra sinfonica in modo da esaltarne le sonorità oscure che tanto avevano fatto la fortuna della band. Arriva il momento di sentire la voce di Agnete e bisogna subito dire che purtroppo risulta fastidiosa all'orecchio, con quella sua ugola gracchiante e poco profonda. Sicuramente non una bella presentazione, fatto sta che se l'intento era quello di dare spessore con una variante vocale femminile, l'obbiettivo è stato decisamente fallito. La batteria inizia a fare sul serio e viene percossa in maniera più decisa che in precedenza, mentre purtroppo la voce femminile risulta essere quasi fuori luogo e rischia di infastidire seriamente, compromettendo di fatto un brano che tutto sommato fin qui non è nemmeno male. I tempi rallentano vistosamente, la voce viene filtrata nuovamente in maniera piuttosto pesante, e sentiamo un assolo fortunatamente ben riuscito in quanto ad atmosfera, da parte di uno Sneap incredibilmente ispirato, capace di affiancare magnificamente sia Silenoz che Galder. Le ritmiche si fanno più cupe come ad inizio traccia e l'orchestra, che servirebbe ad accentuare questa oscurità, non riesce completamente ad immergere l'ascoltatore in quelle che dovrebbero essere le intenzioni della band. Un po' a sorpresa udiamo un po' di potenza dettata da blast-beat, un po' a voler dire che la band quando vuole può fare sul serio, ma ci si ristabilisce subito su territori più controllati dove fa nuovamente comparsa la voce di Agnete, la quale questa volta risulta essere piacevole all'ascolto ma rovinata da quei maledetti filtri vocali da parte di Shagrath che vorrebbero creare un contrasto e che invece sembrano essere un po' fuori luogo. Termina così un brano che di per sé non è male, ma che avrebbe sicuramente goduto di un qualcosa in più se la band non avesse cercato per forza di includere troppi elementi che alla lunga ne hanno minato la qualità finale. L'obbiettivo di queste liriche è quello di parlare della rinascita. Una sorta di rinascita rivista come i Nostri la intendono, dove le chiavi della libertà, della nostra libertà, appartengono solamente a noi stessi. Solo chi ha la volontà di vedere oltre le cose che ci si paiono davanti ha la possibilità di avvicinarsi alla rinascita, mentre chi vuole rimanere cieco per propria scelta, rimarrà tale e continuerà a soffrire in silenzio. Non esistono più regole, ormai quello che è stato è stato e nulla si può recuperare. Impossibile cambiare il corso di quello che le nostre scelte hanno determinato, dobbiamo invece essere sempre riconoscenti di questa libertà, lodarla, rendercene conto. Le scelte sono solo nostre e di conseguenza anche il destino è frutto delle nostre scelte. Siamo noi a dover scegliere da che parte stare, se essere donatori o becchini, se bloccare le porte o tenerle aperte, se essere un guaritore od essere falsario. Le chiavi del nostro destino appartengono a noi e dobbiamo renderci conto di essere il Creatore di noi stessi. Una specie di ubermensch se vogliamo, un superuomo di nicciana memoria.

Chess With The Abyss
"Chess With The Abyss ( A Scacchi Con L'Abisso)" si presenta subito con un riffing sporco che fa da preludio ad una sezione ritmica discreta e soprattutto spiana la strada a coro ed orchestra. Vengono alternate le vocals di Shagrath con quelle di Shaw, il che non sarebbe nemmeno male se non fosse che il tappeto sonoro che le accompagna non risulta molto intrigante ed è una sorta di pretesto per esaltare nuovamente le parti orchestrali che coprono gran parte della strumentazione. Il ritornello è piuttosto piacevole e le chitarre svolgono un buon lavoro di accompagnamento con una doppia cassa molto veloce e ben articolata. Il coro fa bella mostra di sé, mentre le voci continuano a susseguirsi in maniera un po' caotica e un po' fine a se stessa. Il drumming di Daray è assestato in maniera disinvolta e cadenzata, mentre la voce di Shaw si fa aspra e ben inerente questa volta alla causa del brano. Nuovamente Silenoz da sfoggio della sua bravura nel comporre brevi refrain ma efficaci e gradevoli, per poi ritornare sui binari iniziali salvo poi concludere con doppia cassa iper veloce con tanto di orchestrazioni conclusive. Un brano lineare, forse troppo, che non riesce a decollare per via delle variazioni che purtroppo non troviamo in questo pezzo. Il lavoro dei due chitarristi seppur di buona fattura, non basta per dare quella marcia in più che per lo meno a metà song avrebbe sicuramente giovato. Qui, dal punto di vista lirico, troviamo il racconto della nascita, anzi della rinascita, del male. Vecchi sogni ritornano a galla, o forse non solo solamente sogni. Il ricordo della sepoltura sotto sabbia ed argilla, il riaffiorare di quella sensazione di freddo che si provava toccando il suolo con gli arti paralizzati. Il male è bloccato all'interno di un utero e non vede l'ora di poter prendere vita al suo esterno. Il dolore offusca la mente e si sente un vuoto dentro all'intero di un ulteriore vuoto. Per scoraggiare il Demonio si cerca un raggio di sole, una qualsiasi fonte di bellezza naturale che con la sua serafica calma ci renderebbe quieti, capaci di poter tenere il male dentro di noi. Ormai è troppo tardi, il male è rinato e sarà, a detta del demonio, la nostra salvezza. L'oscurità nasce ogni giorno, ci avvolge nelle tenebre e cerca di portarci via con se ogni volta che cala il sole. E mentre noi non ci rendiamo conto realmente che ogni giorno potrebbe essere l'ultimo, Lui lavora nell'ombra per far affiorare dentro ognuno di noi quell'istinto primordiale atto a distruggere ciò che ci circonda, noi stessi compresi.

Dimmu Borgir
"Dimmu Borgir (Fortezza Oscura)" è la song che prende ovviamente il nome della band e si pone a metà dell'opera. Un bel coro iniziale ricrea un buon phatos in attesa dell'inizio effettivo della canzone. Il ritmo si assesta subito su un mid-tempo molto interessante, per poi aumentare brevemente di intensità con l'ausilio di doppia cassa non troppo veloce ed una chitarra che finalmente si fa sentire come dovrebbe. La voce del singer è leggermente alterata in alcuni momenti, ma è interessante sentire che finalmente anche Shagrath ci mette del suo per dare un'impronta ad un brano che si fa piuttosto interessante. Non ci sono aumenti sostanziali di ritmo, ma l'incedere ossessivo con l'orchestra che si gioca molto bene le proprie carte, riesce a catturare l'attenzione con una struttura non troppo elaborata ma di sicuro valore. La voce viene nuovamente caricata d'effetto, ma questa volta non è fastidiosa o fuori luogo: finalmente risulta non forzata ed utile alla causa. Una bella parte strumentale delicata per quanto possano essere le distorsioni chitarristiche del duo Silenoz/Galder, e i continui tocchi di ride da parte di Daray, creano una sensazione piacevole ed oscura, mentre le orchestrazioni sempre presenti, non pesano oltremodo più del dovuto mentre il coro si limita a ripete il nome del brano (e quindi della band) in maniera professionale. Al minuto 4:13 la traccia cambia leggermente volto, con doppia cassa velocissima e riffing violento, con una voce abbastanza convincente ed una parte sinfonica che viene esaltata sul finale e che ricrea uno stato opprimente fino all'arrivo di un drumming nuovamente importante ed un'ultima strofa che ne sancisce la conclusione. Finalmente un brano che emerge dalla mediocrità che, dispiace dirlo, fin qui regnava sovrana. Ottima la struttura, l'esecuzione e la bravura nel ricreare quell'alone misterioso che aleggia intorno alla fortezza. Il tutto sostenuto in maniera decisiva sia dal coro che dall'orchestra che questa volta non sembra essere messa li per forza, e che svolge un lavoro di accompagnamento non indifferente. Sulla nostra strada incontriamo il nostro destino, su quella strada che abbiamo scelto proprio per evitarlo. E' arrivata la chiamata alle armi, le forze della luce del freddo nord si assemblano con quelle della notte oscura del sud; e noi che siamo in concorrenza solamente con noi stessi dobbiamo imparare ad affrontare i veri pericoli della vita. Dobbiamo fare delle scelte importanti: quale ponte attraversare e quale lasciar bruciare? Non è una decisione facile e l'inganno è sempre dietro l'angolo, ma dobbiamo eliminare a tutti i costi i più deboli per non sentire più il loro fastidioso pianto. Per tutti quelli che sono rimasti in gioco non è facile comportarsi adeguatamente perché l'impulso di invocazione della fiamma nera è irrefrenabile. I nemici ad un certo punto si ritroveranno a fronteggiare la sconfitta. I nostri tuonano fieri, ci porteranno in luogo che non è fatto per sognatori, un luogo fatto di lava, dove deciderete se il fuoco è con noi o contro di noi, nell'ultimo caso bruciandoci per l'eternità. E' presente una frase in questo testo molto significativa, ovvero: "Quando il primo è l'ultimo e l'ultimo è il primo, sarete voi a scegliere cosa essere" che fa riferimento alla parabola evangelica in cui Gesù affermava "Beati gli ultimi perché saranno i primi ad entrare nel regno dei cieli". In questo caso non si parla di far parte del regno celeste, ma di quello opposto ovvero il regno del male. La differenza è che saremmo noi a scegliere da che parte stare e cosa effettivamente essere e credere. Una guerra senza fine, insomma, tra cristianesimo e chi ne vuole vedere la fine, una mattanza che non avrà un epilogo finché qualcuno non cadrà definitivamente.

Ritualist
Passiamo ad un'altra song interessante, ovvero "Ritualist (Ritualista)" la quale viene presentata immediatamente da una voce fuori campo che recita al contrario una frase il latino "In Nomine dei Nostri Satanas Luciferi" (In nome del nostro dio, Satana il portatore di luce). Un arpeggio molto delicato ci introduce ad un drumming furioso e da una voce malvagia che lascia spazio all'orchestra che con destrezza e strumenti a corda ci delizia con note intriganti accompagnate da vocalizzi effettati che non stonano più di tanto. Il brano è veloce, potente come i bei tempi andati, e poco importa se la furia viene spezzata dalle sinfonie, il risultato è veramente potente ed appagante. Shagrath sfoggia finalmente uno screaming cattivo al punto giusto e nonostante i ripetuti intermezzi per via vocoder, riesce ad essere convincente e disturbante. Le ritmiche rallentano a favore di una melodia forse a tratti un po' forzata, ma la sezione ritmica regge molto bene e non accenna ad alcun tipo di cedimento. L'ausilio della seconda voce di Snowy è efficace per dare una variante al brano, e seppur non intonatissimo (per scelta ovviamente) riesce nell'intento di rendere personale il tutto. La velocità diminuisce sensibilmente per dare spazio più che altro ad una parte recitata e piuttosto evocativa, la quale lascia subito spazio ad una buona cavalcata sonora che, complice un'orchestra di rilievo, riporta un po' di potenza al brano che si conclude con voce filtrata ed un ultimo sussulto da parte del coro. Un brano che, insieme al precedente, risulta essere tra i migliori dell'intero lavoro. Troviamo dei sacerdoti ormai devoti al male, atti a sacrificare vite umane nelle messe nere tramite riti esoterici. Questo si evince fin dall'inizio con la frase in latino recitata al contrario, dove si inneggia a Satana portatore di luce e speranza. Basta con chi ostacola il progresso religioso, chiunque manifesti carenza verso l'ambizione e la prosperità di Satana verrà ucciso. Cerchiamo di tagliare quelle catene che ci tengono legati a regole inutili e lasciamoci il passato alle spalle. E' tempo di abbracciare un nuovo credo, è tempo di invocare il demonio per purificarci e porre fine alle sofferenze. Se riusciremo a staccarci da inutili credenze e da false verità vedremo le cose molto più chiaramente ed il prossimo passo sarà quello di trovare un nuovo orizzonte, una nuova verità. La nebbia ha oscurato i nostri occhi per moltissimo tempo, ma ora che il velo che ricopriva la nostra vista è stato finalmente tolto, ci è finalmente tutto più chiaro. L'orrore per la nostra razza è solamente il primo passo verso la devozione per il male; chiunque osi opporsi e si rifiuti in qualche modo di seguire la linea tracciata per noi, verrà giudicato dai sacerdoti che non esiteranno a darci in sacrificio per rafforzare Satana e purificare le anime dannate.

The Demiurge Molecule
Passiamo alla settima traccia, parliamo di "The Demiurge Molecule (La Molecola Demiurga)": troviamo un inizio piuttosto strano da parte della strumentazione. La sezione ritmica, con tanto di orchestra, si presenta infatti con una ritmica "intermittente" e sinceramente poco ispirata, dove si cercano soluzioni che sinceramente non hanno necessità di esistere all'interno della band. Dopo questa parentesi, la song cambia volto con un ritmo cadenzato e si trascina stancamente verso territori sinfonici non proprio ispirati, complice ancora una volta una voce alterata che trova poco senso in questo contesto. Il coro, da parte sua, quando viene chiamato in causa fa sicuramente il proprio dovere, ma è il resto che tende a non funzionare. Shagrath prova con il suo screaming a sollevare un po' le cose, ma il problema è che sostanzialmente non canta e si limita a recitare una strofa che incide poco nel suo insieme. Al minuto 3:28 veniamo sorpresi da una bella dose di epicità dettata dal fatto che l'orchestra svolge un buon lavoro di maestosità, il tutto unito ad un coro che si sposa molto bene con tale sonorità, rovinata nuovamente da un cantato non certo all'altezza. Nuovo cambio di stile se vogliamo, con una doppia cassa abbastanza interessante ed una chitarra che cerca di distinguersi ma non riesce nell'intento, lasciando troppo spazio ad orchestrazioni e ad un parlato che non aggiunge nulla in termini pratici. Senza troppi giri di parole, ci troviamo davanti ad un pezzo senza capo né coda, caratterizzato da troppi cambi di stili che non centrano l'uno con l'altro e fanno perdere ogni tipo di attenzione già al primo ascolto. L'orchestra è troppo in primo piano, le chitarre sono inesistenti e la voce inascoltabile. E' bene precisare che il Demiurgo citato nel titolo stesso del brano non è altro che una figura filosofica e una divinità descritta da Platone nel Timeo, scritto intorno al 360 a.C., opera in cui vengono approfonditi i tre problemi che stanno all'origine della creazione ovvero: quello cosmologico (origine dell'universo), quello fisico (la struttura materiale) e quello escatologico (la natura umana). Ed è l'origine il tema centrale di questo testo, dove la vita dell'uomo ha inizio così come quella del bene del male con tutti i suoi demoni. Non siamo ancora pronti per distinguere cosa è bene e cosa è male, e non sappiamo nemmeno da che parte iniziare per vivere. Si, perché questa è un'altra vita e non quella che intendiamo con tanto di nascita e morte. Questo è un nuovo inizio, con pelle sintetica e ferite che si chiuderanno alla vista ma che continueranno a procurarci estremo dolore. Dovremo convivere con il nostro abisso, e un nuovo giorno dovrà passare ancora prima che la notte ci riporti a casa. Inizia così il nostro viaggio tra il tempo e lo spazio non curandoci di quello che rimarrà alle nostre spalle ed accoglieremo la nascita di ogni nostro nuovo simile, per un nuovo inizio e per una nuova era.

A Jewel Traced Through Coal
"A Jewel Traced Through Coal (Un Gioiello Che Risplende Nel Carbone)" viene introdotta da dei suoni quasi tribali per poi esplodere in un bel riffing di chitarra con il supporto abbastanza imponente dell'orchestra ed in particolare di grancasse molto profonde. La chitarra di Silenoz inizia a fumare e viene trattata con violenza, lo stesso si può dire della batteria, la quale viene maltrattata selvaggiamente. Le vocals sono piuttosto feroci senza però raggiungere un livello veramente malvagio. Dopo una partenza al fulmicotone i tempi si smorzano in maniera forse esagerata per dare spazio solamente all'orchestra e ad un coro che viene sorretto solamente dalla sezione ritmica, frangente che risulta oltremodo fuori luogo data la bella partenza di questa song. Si riprende con un'altra strofa abbastanza interessante, così come interessante è la trama chitarristica offerta dai nostri che ha un sapore death metal e sinceramente si addice abbastanza bene per la sostanza del brano, ma forse non altrettanto per quanto riguarda la band. Viene chiamata in causa ancora una volta l'orchestra sinfonica e seppur svolgendo un lavoro comunque di spessore, quest'ultima rovina in parte la potenza che a tratti viene sprigionata, con soluzioni evitabilissime che avrebbero sicuramente giovato all'economia sia del pezzo che del disco se adoperate diversamente, senza troppa magniloquenza / invadenza. In conclusione siamo nuovamente di fronte ad una song che ha delle potenzialità, ma che le spreca in maniera eclatante con soluzioni poco felici. L'inclusione forzata dell'orchestra si rivela un'arma a doppio taglio, e se le intenzioni della band sono quelle di dare epicità ai loro pezzi, dovrebbero anche limitarne l'uso in determinati frangenti. La beatitudine, quella tanto promessa da chi vuole guidare le nostre menti verso territori imposti senza farci decidere effettivamente la strada da percorrere mediante il nostro libero arbitrio, è solamente un illusione. Un orientamento debole provoca conseguenze disastrose, e se ormai non abbiamo più un pastore che ci conduca verso il destino da noi scelto, le immagini del nostro percorso ci appaiono davanti agli occhi. Siamo consapevoli ormai di aver sopportato fin troppo tutte quelle menzogne professate da presunti predicatori che, con false risate e vergognosi sorrisi, ogni giorno ci portavano verso la distruzione mentale. Il tesoro che si cela dietro ognuno di noi non si trova facendoci soggiogare da altri; bisogna cercarlo con la sapienza e la pazienza accumulata nei secoli, quella tipica di chi prima di noi si recò in luoghi perduti per meditare e ritrovare il proprio io. Mai fermarsi alle apparenze dunque, bisogna scavare a fondo in ognuno di noi per poter capire realmente chi siamo e come siamo fatti. Ognuno di noi è rivestito di "carbone", ma guardando con attenzione senza fermarsi alle apparenze si può trovare uno splendido gioiello che risplende e brilla di luce propria.

Renewal
Parte piuttosto forte "Renewal (Rinnovo)", secondo pezzo con ospite Andy Sneap; il brano parte con un giro spietato di batteria e riff di chitarra che fanno da malvagio sottofondo. La musica cambia immediatamente con un assolo un po' forzato, una batteria discretamente incisiva ed un'orchestra che si limita ad accompagnare la musica senza esserne per forza la protagonista. Shagrath prova con una prima strofa ad essere cattivo, ma purtroppo con la voce non troppo ispirata ed un accompagnamento che sinceramente aiuta poco, non riesce nell'intento di spaventare l'ascoltatore. Si riparte con blast beat furiosi ed una doppia cassa velocissima, mentre questa volta le vocals paiono essere un po' più interessanti. Quando però si sovrappongono allo scream cori ed orchestra, la sensazione di caos inizia a diventare un poco sopportabile ed oltremodo confusa. L'uso di Shaw come supporto vocale in certi frangenti, sembra avere un effettivo scopo e bisogna dire che risulta essere una variante piuttosto piacevole, anche se a rovinare un po' l'atmosfera ci pensano ancora una volta le vocals filtrate che ormai sono purtroppo diventate una costante. Batteria e chitarra vengono fermate bruscamente con intervalli costanti e precisi, mentre il basso si fa sentire senza sosta fino all'arrivo di un chorus che risulta essere un po' pacchiano e sempliciotto se vogliamo, il quale non aiuta certo la buona riuscita finale di una song che sembra avere molte idee sfruttate però malissimo. Un altro solo di chitarra schizofrenico ci viene proposto con una brevissima durata, per poi riproporre un ritornello poco incisivo e sinceramente discutibile. Le frasi di aperture sono le seguenti: "Abbiate il coraggio di non ostacolarei miei desideri, abbiate il coraggio di non ostacolare il mio percorso, abbiate il coraggio di non fingere di leccarvi le ferite". Lo stato di grazia a cui eravamo abituati è ora sostituito da uno stato di smarrimento e disperazione. Ma è anche un momento di riflessione, dove le certezze vengono meno a discapito di considerazioni che tendono a far riflettere. Il percorso che ognuno di noi è destinato a compiere viene scelto da noi stessi e non deve trovare ostacoli. Chi vuole a tutti i costi intromettersi nel nostro cammino dovrà alla lunga rassegnarsi perché non potrà cambiare l'evolversi delle cose. Le decisioni sono ormai prese da tempo e anche se non saranno delle più felici, è inutile fingere di leccarsi le ferite per poter porre in qualche modo rimedio. Bisogna accettarne le conseguenze e guardare sempre avanti, facendosi forza per proseguire verso la nostra strada. La purezza, così come la intendiamo, la si può trovare solamente al momento della nascita; in questo caso parliamo di rinascita vera e propria dove a discapito delle ombre prende posto finalmente la luce. Per capire veramente il vero valore della luce e quindi della vera voglia di ricominciare a vivere, è necessario navigare nell'ombra più oscura per capire quanto sia importante vivere nel migliore dei modi. Un testo insomma che si discosta moltissimo da quanto fatto fin qui dalla band, e che ribalta praticamente il concetto di rinascita che passa dall'abbracciare l'oscurità ad evitarla con tutti i suoi compromessi.

Endings And Continuations
"Endings And Continuations (Finali E Continuazioni)" è l'ultima traccia di questo album, la quale ci presenta un ulteriore ospite: Ricky Black, accreditato come slide guitar. Il pezzo si presenta con suoni di temporali e sottofondo mistico che ne fanno da introduzione, un'introduzione che arriva fino al minuto e quindici, per poi lasciare spazio a strumenti, orchestra e prime scream vocals, il tutto piuttosto ben amalgamato e compatto. Il ritmo non si spinge troppo su lidi tipicamente ferrati, e il lavoro orchestrale ben si presta per conferire un'aurea interessante al contesto. Arriva il momento di picchiare duramente, e tra blast beat particolarmente ferini e riffing taglienti, ritroviamo la voce d'effetto che rovina un po' l'atmosfera, anche se si tratta fortunatamente di un brevissimo episodio. Con sorpresa troviamo le voci pulite di Garm che regge gran parte del lavoro con una prestazione direi ottima accompagnato da una sinfonica non invadente che si limita a trasportare la sua voce verso una direttiva ben precisa ed interessante. Ancora una bella bordata sonora ci attende al varco, e se comunque la velocità cede un po' il fianco verso il finale risultando un po' prolisso, ci pensa nuovamente Garm a risollevare le sorti con un'altra breve apparizione. Il brano si conclude sussurrando il titolo dell'album Abrahadabra, il quale si dimostra essere una buona conclusione per un disco non molto ispirato. Da un futuro ormai paradossalmente antico arriva l'infinito perfetto, dove l'energia vitale è praticamente perfetta e studiata per durare. L'evoluzione ormai ha raggiunto il proprio culmine ed è pronta per farsi strada attraverso nuovi e prossimi mondi. Un'ulteriore testimonianza di rinascita, dove cerchiamo di fuggire da queste gabbie che imprigionano il nostro spirito per fare in modo di espandere i nostri orizzonti interni ed esterni. Non sarà un percorso facile, anzi sarà costellato da difficoltà e delusioni, ma è proprio da questo che nasce questo messaggio di rinascita. La volontà di ritrovarsi spiritualmente e fisicamente deve dare quella spinta che serve una volta concluso un ciclo vitale, ricominciando anche dall'inizio un nuovo percorso che porterà ad una nuova vita.

D.M.D.R.
Arriviamo ad analizzare un brano atipico per i Dimmu Borgir, ovvero "D.M.D.R. (Dead Men Don't Rape) (I Morti Non Violentano)" cover della industrial metal band proveniente da Oklaoma, gli G.G.F.K (Global Genocide Forget Heaven). L'intro elettronico è leggermente diverso dall'originale, ma mantiene comunque inalterato l'effetto estraniante che vuole trasmettere. Se il brano originale è totalmente elettronico con parti dub step lente ed ossessive, nella sua controparte vengono aggiunte una batteria con blast beat piuttosto ben integrati e riffing veloci di chitarra con una alternanza di voci originali filtrate e voci (sempre effettate) da parte dello stesso Shagrath. Il tutto è abbastanza insolito e farà sicuramente storcere il naso a più di un estimatore della band norvegese, anche se al contempo risulta essere un esperimento abbastanza riuscito. Anche il poco uso dello screaming si sposa bene nel contesto, dando una personalizzazione non fine a se stessa del brano. Il testo parla di un abuso sessuale, di una notte che sembra non voler passare mai. Sembra essere una notte come molte altre, ma qualcosa sta per accadere. Il vento caldo soffia tra la pelle, l'orologio con il suo ticchettio scandisce lo scorrere del tempo. Un abuso si sta per consumare e l'odio inizia a manifestarsi. Qualcosa proprio non va, non esiste più un sentimento e solo la morte del criminale potrà ridare la luce ad una vita oscurata. I morti infatti non violentano, il suo gioco sta per terminare solo che lui ancora non lo sa. Io sono uomo, ma non un uomo come te, questo dice il testo; tu che vali meno della merda che esce dal tuo orifizio ora assaggerai cosa si prova una volta premuto il grilletto. Ora capisci cos'è il dolore reale, una volta morto sputerò sulla sua tomba e la riempirò di escrementi. Proverai tu stesso cosa significa essere violentato, dove a violentarti saranno i vermi che invaderanno il tuo corpo, perché ricorda, i morti non violentano. Se vogliamo possiamo dire che il tema trattato si può benissimo integrare con il contesto del disco dato che anche qui parliamo di rinascita. Una rinascita dopo aver subito un abuso è forse più difficoltosa di qualunque altra cosa, ma solo con la forza di volontà si possono superare certi traumi. Non importa se per farlo bisognerà ricorrere alla violenza, a noi ci è stata tolta una parte importante della vita ed è giusto che quella dell'aguzzino venga spezzata per mano della vendetta, naturale o "procurata" che possa essere.

Perfect Strangers
"Perfect Strangers (Perfetti Sconosciuti)" è la cover del brano dei Deep Purple contenuta nell'omonimo disco uscito nel 1984 e che segnò il ritorno della band dopo la separazione avvenuta in seguito alla morte del chitarrista Tommy Bolin nel 1976. Un ritorno alle scene dopo ben nove anni di assenza che segna il ritorno nella band di Ritchie Blackmore, il quale dopo aver sciolto i Rainbow decide di ricontattare gli altri membri della band per un ritorno in grande stile. L'introduzione di tastiere è pressoché identica, mentre l'attacco di chitarra è decisamente più potente. L'attacco vocale da parte di Shagrath è ovviamente differente anni luce dalla splendida interpretazione da parte di Ian Gillan, ed il singer viene aiutato in maniera considerevole da Shaw, il quale da una interpretazione personale al brano con una prova vocale che si avvicina a tratti al reverendo Manson. Una parte inedita viene data dalla batteria, la quale si cimenta in una doppia cassa alternata che non si dimostra particolarmente efficace alla causa, ma che comunque dona un tocco personale per non far risultare il brano uguale alla sua controparte. Il ritornello, da parte sua, è abbastanza ben confezionato, mentre sul finire troviamo ancora quell'alternanza di doppia cassa e chitarra che viene sostenuta da una buona dose orchestrale che non guasta affatto nel ricreare un po' di atmosfera oscura senza snaturare il sound originale. La durata complessiva della song non si discosta molto da quella proposta dalla band di Hertford aggiungendo giusto una ventina di secondi. Una cover che nel complesso risulta piacevole e piuttosto ben fatta, senza ovviamente toccare la bellezza originale composta da Blackmore e soci. Le liriche trattano la storia di un uomo misterioso che appare e scompare nella vita delle persone. Quando dal passato e dopo una lunga assenza decide di tornare, prende la decisione di rimanere nell'anonimato perché dentro di se sa benissimo che prima o poi dovrà ripartire senza lasciare alcuna traccia di sé. Dobbiamo rimanere dei perfetti sconosciuti insomma, e se un giorno sentirai le mie parole nel vento vorrà dire che è arrivato il giorno in cui capirai il perché siamo stati così lontani ma al tempo stesso incredibilmente vicini. Quest'uomo sa che deve rimanere nascosto in silenzio, ma vuole ricordarci che la vita è preziosa per sprecare lacrime che si perdono poi nella pioggia.

Gateways (Orchestral Version)
"Gateways (Orchestral Version)" è la versione ovviamente orchestrale della terza song presente in scaletta in questo Abrahadabra. Infatti l'inizio fatto di cori è prolungato in maniera evidente, mentre l'attacco dell'orchestra sinfonica risulta essere più delicato senza l'ausilio di strumenti distorti. La traccia è un esibizione direi impeccabile di strumenti a corda quali viole, violini e violoncelli che si ergono ad assoluti protagonisti. Un calo di volume volto ad abbracciare sonorità meno altisonanti, e possiamo apprezzare a pieno l'intensità ed il lavoro svolto da questi elementi di indiscussa professionalità. Agli strumenti a corda in questo passaggio che sembra essere identico al precedente, si aggiungono quelli a fiato per poi placarsi nuovamente, per riprendere gradualmente con tocchi di grancassa mai troppo esagerati, fino ad una bella sezione dove non si viene investiti con volumi troppi alti, ma lasciano un sapore quasi enigmatico che si spegne con la conclusione di questa versione strumentale.

Dimmu Borgir
"Dimmu Borgir (Orchestral Version)" è l'ultima bonus track contenuta nell'edizione limitata a forma di maschera illustrata in copertina. Apertura coristica con qualche colpo di percussioni prolungate danno il via agli strumenti a corda che vengono accompagnati da un coro interessante. I picchi di volume vengono registrati nel momento in cui i coristi pronunciano la parola Dimmu Borgir per poi farsi abbracciare nuovamente da una orchestra piacevole. Entrano in scena i tromboni per pochi istanti e in questa veste si posso udire perfettamente, dato che nella sua versione metal sono un po' nascosti dalla una sezione ritmica. Sentiamo anche un Gong e l'intensità cala notevolmente per poi riprendere con ancora più vigore creando una sorta di phatos generale che cattura per qualche istante. Le musiche si fanno notevolmente più minacciose e l'esecuzione da parte dei musicisti chiamati in causa è praticamente perfetta. Il brano si chiude con un colpo secco di cassa che pone fine a questo lavoro di grande ambizione ma a conti fatti piuttosto altalenante come contenuti.

Conclusioni
In definitiva, sembra che i Nostri da una parte si siano seduti un po' sugli allori, mentre dall'altra dimostrano di voler continuamente evolvere la propria proposta. Nel complesso siamo di fronte ad un lavoro che ha richiesto undici mesi di lavorazione e a livello compositivo/musicale non si può criticare eccessivamente la band, la quale comunque ha dimostrato quanto meno di volerci provare. Il problema, a mio avviso, è che sono state sacrificate troppe cose a livello sonoro ed atmosferico come per esempio le chitarre stesse. Troppe volte vengono coperte dalla marea di sonorità sinfoniche che minano la malvagità che da sempre contraddistingueva la band, quella capace di creare capolavori come "Enthrone Darkness Triumphant" o bei dischi come "Death Cult Armageddon". L'utilizzo di un'orchestra sinfonica non è certo una novità per i Dimmu Borgir, infatti già da "Puritanical Euphoric Misanthropia" in avanti questo espediente è sempre stato un elemento portante per la riuscita di certe soluzioni, il problema è che in questo disco se ne fa un uso fin troppo massiccio che rischia ed anzi riesce purtroppo, in certi casi, a creare un caos piuttosto che ad avere una funzione attiva. L'aggiunta del coro è una aggiunta che ci può anche stare, anche se in certi casi non se ne sentiva un reale bisogno. Per quanto riguarda le new entry (anche se solo come session man), diciamo che Daray fa un buon lavoro dietro le pelli anche se non si avvicina minimamente ai suoi illustri predecessori (vedasi Hellhammer, Nicolas Barker e lo stesso Tjodalv), Shaw al basso si distingue comunque non tanto per l'utilizzo del proprio strumento quanto per le sue vocals che quando vengono chiamate in causa svolgono comunque un buon lavoro. Non si può invece dire lo stesso per Agnete Kjolsrud che risulta piuttosto fiacca e fastidiosa all'ascolto nonostante le rare volte (fortunatamente) nelle quali fa la sua comparsa. Altro punto dolente, a questo punto, è la voce stessa del singer Shagrath. Si, perché se in "Puritanical Euphoric Misanthropia" e "Death Cult Armageddon" filtrare la voce in alcuni frangenti aveva realmente un senso in quanto conferiva un valore aggiunto per come erano strutturate le canzoni, con il successivo "In Sorte Diaboli" si era già incominciato ad intravedere la volontà dello stesso frontman di abusare di questa trovata, per un non si sa quale preciso motivo. In questo "Abrahadabra", purtroppo, si è sforato il limite, e in molte delle tracce il frontman risulta essere totalmente fuori luogo rovinando di fatto anche gli episodi migliori. Analizzando nel complesso, però, non possiamo dire di trovarci di fronte ad un brutto lavoro dato che comunque lo sforzo per pubblicare qualcosa di maestoso alla fine si sente, e se il risultato non è quello sperato è comunque un disco che merita per lo meno la sufficienza. I testi hanno subito una notevole metamorfosi e talvolta vanno controcorrente sia con il genere sia con la band stessa. Più che altro direi che "Abrahadabra" è un'occasione sprecata ed è il frutto di un cambio netto di line up (con l'allontanamento di elementi cardine) e della volontà di proseguire in tre come ossatura finale. Ora attendiamo l'uscita di una nuova release per vedere se la vena compositiva del gruppo abbia ritrovato la strada o se i Nostri vorranno proseguire su questi territori.

2) Burn Treacherous
3) Gateways
4) Chess With The Abyss
5) Dimmu Borgir
6) Ritualist
7) The Demiurge Molecule
8) A Jewel Traced Through Coal
9) Renewal
10) Endings And Continuations
11) D.M.D.R.
12) Perfect Strangers
13) Gateways (Orchestral Version)
14) Dimmu Borgir


