DEICIDE
In the Minds of Evil
2013 - Century Media Records

PAOLO FERRANTE
15/02/2017











Introduzione Recensione
Dopo il rilascio di "To Hell With God" i Deicide decisero di non far trascorrere troppo tempo fra il nuovo disco ed il precedente, continuando la loro marcia verso la riaffermazione. Bestemmie garantite ed imprecazioni contro ogni dio / religione esistente, ecco che i Nostri risorgono ancora una volta tirando fuori dagli abissi infernali un nuovo album: "In the Minds of Evil" (2013), edito dalla "Century Media Records". Un album che molto fece discutere ancor prima di essere pubblicato, in quanto Asheim si lasciò andare a dichiarazioni altisonanti; rivelando nientemeno che l'intento principale dell'album era quello di riportare il sound dei Deicide alla vecchia gloria di album quali Legion! L'intenzione è insomma quella di disfarsi di tutte le influenze melodiche che, col tempo, si erano integrate (anche abbastanza bene direi) nel sound del gruppo, specie grazie alla presenza di Ralph Santolla (che infatti non compare nei credits di questo album). Si vuole ritornare all'oscurità originaria, quella che rese celebre la compagine. Non solo per quel che riguarda lo stile ma anche per tutto quel che riguarda la composizione stessa - che da molto tempo era stata appannaggio del duo Benton/Asheim - la quale sarà da questo momento in poi il risultato di prove fatte tutti assieme, in pieno stile genuino e diretto. Insomma, un album con il quale i nostri puntavano a tornare allo stile di Legion e, allo stesso tempo, riceve l'apporto compositivo di altri membri che non si configurassero unicamente nel duo summenzionato. Sappiamo bene che Jack Owen restò in formazione (il suo ruolo da protagonista, nell'old school Death Metal, lo rende un candidato perfetto per fare grandi cose in questo revival); quanto all'altro chitarrista, al posto di Santolla troviamo Kevin Quirion: non esattamente un veterano della scena ma con una solida preparazione (specie nel Death più melodico vista l'esperienza coi Council of the Fallen) e prezioso in quanto capace di eseguire i cori dal vivo. Circostanza che, abbiamo già visto, è stata determinante negli ultimi anni per tirare fuori dei concerti memorabili. Quanto al formato, la Century Media Records non ha certo badato troppo a spese: numerose edizioni tra cui vinile, un boxed set contenente bandiera, toppa, adesivi. Per il mercato russo ci ha pensato la "Mazzar Records", con versione in CD ed in digipak; mentre, per quanto riguarda il mercato indonesiano (particolarmente ghiotto di Brutal!) la "Stillborn Sounds" (con due anni di ritardo) ha provveduto pubblicando una musicassetta in tiratura limitata (per i collezionisti che vogliono accaparrarsi l'oggetto di culto) ed in CD successivamente. La scelta degli omaggi da allegare al boxed set fa pensare a qualcosa di tipicamente anni '80, anzi sorprende che la stessa "Century Media Records" non abbia provveduto a realizzare una versione in musicassetta - giusto per far scendere la lacrimuccia agli irriducibili fan di vecchia data del gruppo, che avrebbero compiuto spropositi pur di mettere le mani su un cimelio del genere - ma pazienza. Per quel che concerne il team di produzione, notiamo come la quasi totalità del lavoro fosse stata affidata a Jason Suecof. Già musicista in gruppi come Capharnarum e Charred Walls of the Damned, turnista per Atheist e Death Angel nonché produttore per bands quali DevilDriver, Kataklysm, Job For a Cowboy e The Black Dahalia Murder. Coadiuvato, dietro la consolle di questo "In The Minds..", da Eyal Levi (tastierista e chitarrista dei Daath), Ronn Miller (spesso al fianco di Suecof, in occasione delle collaborazioni con i Death Angel od i Job For a Cowboy ad esempio) e da Alan Douches, ingegnere capo dei "West West Side Music" studios di New York; dalla lista di collaborazioni effettivamente chilometrica. La grafica dell'edizione standard (curata dall'artista Simon Cowell) è davvero ben fatta: rappresenta questo ragazzino, ben vestito, che cammina come una specie di sonnambulo. Da dentro questo ragazzino emerge, inquietante, una figura malvagia, uno spirito che sembra possedere il corpo di quel bambino malcapitato e lo guida, come fosse una marionetta (particolarmente efficace la scelta delle catene a mo' di fili) per portarlo dove desidera. In realtà in copertina appare solamente una parte dell'intero artwork (che potete vedere per intero nell'immagine allegata a questa recensione), il quale si sviluppa perlopiù in verticale. I colori sono spenti, quasi come fossero consumati, tendenti ad una specie di seppia più caldo del normale; questo effetto aggiunge particolari allo sfondo, rendendolo più interessante di quanto lo sarebbe stato un banale nero. L'edizione in boxed set, quella per gli spendaccioni incalliti, riserva la sorpresa che farà emozionare i fan di vecchia data: si tratta di un riferimento, anche abbastanza sfacciato, al simbolo usato nella copertina di Legion. In questo caso il simbolo viene rappresentato per esteso, senza effetto tridimensionale, e reso con una certa classe. Insomma tutte le premesse ci fanno sperare in un lavoro eccezionale: adesso, manca solamente l'ascolto!

In the Minds of Evil
Come da tradizione l'opener porta il nome dell'album: "In the Minds of Evil (Nei pensieri del male)". Udiamo all'inizio una frase sussurrata e dopo un massiccio riff fatto di plettrate serrate, cadenzate, che si concludono con una stoppata per poi ripartire come se niente fosse. Incedere da carro armato, colpi di piatti e dopo il ritmo prende il via e si stabilizza per permettere alla voce di Benton di mostrarsi nel pieno del gutturale con le celebri incursioni in scream che si traducono in cori demoniaci. La melodia è stata ripudiata in favore di un ritmo incalzante ma non frenetico, ben compatto e grosso, piazzato bene sui medio-bassi, le due chitarre ritmiche si mescolano facendo da base distorta al tutto mentre la batteria massacra la cassa ed il basso sottolinea gli accenti con un pulsare malevolo. Si vuole descrivere un mondo di tradimento, in cui si viene ridotti al silenzio con insulti, si tiene la rabbia stretta tra i denti, una depressione alimentata da un'oscurità sempre crescente che scoppia improvvisamente mietendo vittime; la contraddizione della fede stessa, scatta una follia omicida in cui l'assassino agisce, non per fede né per altro motivo apparente, unicamente spinto dall'istintiva pulsione alla distruzione. Un mezzo matto che è tutt'uno con Dio, il prezzo della santità, lacrime ed agonia; in questo testo insomma il credente viene paragonato ad una vittima, una marionetta che ha perso ogni controllo di sé ed agisce senza alcun motivo, la sua mente è ormai compromessa in modo irreparabile. Il coro arriva con una voce che rallenta molto mentre la batteria si produce in una lunga serie di stacchi sul rullante, bestialità gratuite che aumentano il senso della distruzione ossessiva tramite il contrasto growl (basso e lento) e batteria (sul rullante acuto e velocissimo), le chitarre invece mantengono la velocità facendosi più pressanti. Questo rappresenta i pensieri del male, i suoi progetti: un piano malefico per imporre la paura, per dominare attraverso di essa e dunque portare l'omicidio finché non moriranno tutti. Parte quindi un assolo cafone, che riprende gli stilemi alla Slayer tipici degli esordi dei Deicide, altra strofa con continue incursioni di cori in growl, si marca molto ogni parte e dopo del ritornello c'è un accenno di melodia che non fa altro che rendere più epico il ritornello accentuandone la malvagità. Con le menti contorte dal fanatismo religioso si scagliano in missioni omicide per saziare il desiderio tirannico, pongono in essere una sanguinaria inquisizione per il gusto di versare il sangue, porteranno la morte a tutti prima o poi. Altro assolo distruttivo, una frenetica scarica di note squillanti ed affilate, poi plettrate alternate si incastrano in un ritmo possente creando un qualcosa di massiccio, ecco che riparte il ritornello infernale con altre plettrate alternate che trovano sfogo in un altro momento strumentale che riprende la melodia vocale proponendola in toni epici. Un pezzo che, guardando molti anni indietro, non cade nell'abominevole baratro dell' "imitare se stessi" (cosa che sarebbe un patetico sinonimo di decadenza); ma anzi costituisce uno stimolo per reinventarsi, prendendo una direzione diversa da quella intrapresa, senza per questo cancellare anni di esperienza e carriera.

Thou Begone
Il testo iniziale sembrava stranamente privo di invettive violente, si ripara subito con "Thou Begone (Tu, vattene!)", un titolo che dà un'impressione di linguaggio aulico ma che, in realtà, indica un pezzo con un testo affatto cortese. "Maledico l'aria che respirate" rivolgendosi a tutto il clero "tutto ciò che è stato non sarà mai più, la vostra causa è persa"; si limita a questa parte iniziale il linguaggio aulico che suggerisce una qualche epica del male, che poi si traduce in fiamme che divorano la croce, la fede messa a morte, disordini tra la popolazione, il libro sacro gettato via e distrutto, che il nome di Dio sia distrutto! Una marcia massacrante, dall'incedere lento ed inarrestabile, plettrate cadenzate ed un growl imponente, fischi graffiati a fine riff, accelerazioni in stile Thrash della chitarra solista ed un'esplosione in un vecchio stile che gode di improvvise raffiche di blast di cassa, il tupa tupa al rullante diventa una presenza costante e poi un massacro con colpi al limite del Grind. La Trinità sanguina e viene dissipata nell'ingordigia, Dio è nella sua tomba. Parte l'assolo minaccioso con toni acuti e fischianti, poi si riprende con la strofa impostata in modo diretto e dall'impatto assicurato, stoppate possenti e quindi una nuova scarica di bestialità primitiva, la batteria è una furia, il growl procede cavernoso e monolitico, dopo delle scariche le chitarre prolungano l'accordo, quindi danno inizio ad una nuova fase dal ritmo lento e cadenzato all'inverosimile, il basso pesta con dei toni che non potrebbero essere più cupi di così, una presenza abissale. L'umanità viene distrutta, decrepita e debole, quei disgraziati cercano la luce ma il paradiso è deceduto, smembrato e profanato, la chiesa del disgusto viene tramutata in cenere. Dio adesso è Signore di niente, la religione è spacciata, le sacre scritture cancellate per sempre. Poi si rivolge a Dio scacciandolo, perché adesso nessuno crede più in Lui, è lasciato a morire solo, schiavo di una tragica pantomima, morto nell'agonia del supplizio della croce. Altro assolo, questa volta più melodico ma pur sempre dannatamente old school in tutto, l'assalto ritorna con un pestaggio di pelli e chitarre che marcano il ritmo, ancora una chitarra solista che sfoggia un assolo maligno e vibrato sugli acuti squillanti, fischi e rombi ed il pezzo si conclude. Una bella botta, anche questo pezzo: monolitico.

Godkill
A questo punto qualcuno potrebbe essere rimasto deluso dal fatto che, al momento, non si è raccontato di chissà quali torture ai danni di Dio o dei suoi fedeli (se non davvero brevemente), "Godkill (Uccisione di Dio)" sembra fatto apposta per loro. Inizia con un riffone di chitarra, sembra buttato là a caso ma - se anche così fosse ciò non cambia il fatto che - ha una presa notevole: coinvolge di brutto; la batteria si lancia in una serie di stacchi e poi diventa un continuo pestare invasato, con cassa in sottofondo. La voce si fa viva con un gutturale impostato, poi si fa ossessiva con una metrica incisiva nella sua ripetitività e poi nelle parti prolungate ottenute anche con sovraincisioni in serie. Siamo arrivati a metà pezzo e siamo stati sottoposti ad un pestare marziale, incessante, continuo; ci si sente storditi, frastornati, nell'accorgersi di quanti minuti sono passati. Si vitupera il paradiso in cui si cospirano inganni, si fa baldoria nella ricompensa tremenda che riceveranno coloro che volteranno le spalle alla volontà di Dio; si distruggono tutti i cristiani che hanno fede, si diffonde infezione e dolore, si distrugge il mondo mettendo tutto in mostra. Si tratta di un Dio capace di mandare a morte chi prende parte alla blasfemia, chi non crede, un muro del pianto di distruzione e strage di innocenti. Un Dio che consapevolmente uccide i suoi stessi fedeli, pur di rimanere seduto al suo trono ed evitare la sconfitta, che uccide con leggerezza, versa il sangue di giovani e vecchi senza battere ciglio; così la fine viene imposta, siamo condannati dalla rabbia della sua grazia ad un futuro di dolore nel difendere il suo nome. Dio viene descritto come un sovrano sadico e capriccioso, insensibile e spietato. Si continua a pestare come dei dannati, la batteria offre variazioni sui piatti, tanto acuti per accentuare ancor meglio la differenza, la voce pè un gutturale continuo che si sposta su tonalità medie quando la batteria prende velocità, le chitarre non la smettono con le plettrate alternate ma ad un certo punto si lanciano in un assolo congiunto in cui si alternano e si intrecciano sapientemente con tecnica Thrash e vagamente neoclassica, ma tagliente ed acuta, selvaggia ed indomabile. Tutto ciò descrive la distruzione che ci attende se non poniamo fine a Dio ed ai suoi sacramenti, dobbiamo debellare queste minacce, ci si affida quindi a Satana che è capace di opporsi a questo Dio tiranno, è capace di salvare l'uomo da quella fine miserabile, è capace di impalare Gesù. Sotterrando la Bibbia ed allontanandosi dalla luce si riesce a scorgere, grazie all'oscurità, un nuovo futuro per il mondo che è sì, nebuloso ed incerto, ma almeno è sicuramente diverso dalla luminosa schiavitù cui ci avrebbe sottoposto Dio. Per allontanarci definitivamente da Dio dobbiamo reprimere e ripudiare questo senso di colpa, di peccato, sul quale basa il Suo inganno; dobbiamo renderci conto che possiamo fare ciò che vogliamo e vivere la vita decidendo per noi stessi, senza seguire dei dettami sacri. Tutti questi insegnamenti liberali vengono impartiti tra una furia di mazzate e voci gutturali che si arrestano all'improvviso.

Beyond Salvation
"Beyond Salvation (Al di là della salvezza)" è un pezzo che si riferisce ai dannati, a quelli che non possono neanche sperare nella salvezza in quanto troppo lontani da Dio, in questo caso la lontananza è sicuramente intenzionale: il sangue di Cristo sazia la loro sete, gli stupidi credono che Lui sia morto per i nostri peccati, chi crede in questa illusione sono le schiere ingannate, che cadono nel tranello; in realtà Gesù è finito nel mondo dei morti, con tanto di corona di spine. Il pezzo inizia con un tempo tirato, feroci stacchi e riffoni in stile Thrash che viene subito sporcato da pesanti influenze Death che presto prevalgono con plettrate alternate e compatte. Poi la velocità ci porta una metrica tipica dei Deicide che si presenta alla voce con un ritmo fatto tutto di stoppate, pause a sorpresa e cambi improvvisi di ritmo e tempo. Un assalto mostruoso che non lascia scampo: plettrate alternate all'ennesima potenza inseguite da un basso demoniaco, la batteria prende velocità proibitive mentre la voce scandisce con mostruosa bestialità tutti gli anatemi. Loro sono oltre ogni salvezza, sono al di fuori dell'influenza di Dio, è la fine di tutte le religioni, combattono tutti assieme la loro guerra e rapiscono la Puttana. Questo riferimento al rapimento vuole essere sia un volgare riferimento alla Madonna, sia un più sottile riferimento all'episodio del Rapimento legato alla Seconda Venuta del Messia (una concezione tipicamente protestante del cristianesimo), insomma quell'Apocalisse durante la quale il Messia tornerà per salvare (rapendoli e portandoli con sé) i meritevoli ed abbandonare gli altri ai supplizi infernali. L'assalto prosegue col ritornello, un coro invasato, poi si torna alla strofa che si rinnova con un altro testo, poi arriva l'assolo minaccioso che si presenta con un trillo diabolico e si evolve, tra acuti e fischi, portando nuova distruzione al pezzo e mantenendo sempre viva e fiammante l'attenzione. La batteria sa come creare variazioni e come pestare bene dove serve per accentuare le parti più rilevanti, inutile a dirsi che il missaggio è azzeccato appieno perché sa interpretare al meglio tutte queste esigenze e le traduce in un qualcosa che, seppur caotico, non risulta mai "confuso".

Misery of One
Dopo la veloce sfuriata del precedente brano ascoltiamo immediatamente "Misery of One (L'infelicità di uno)" che parte lentamente e se la prende comoda con due stoppate che portano con sé altrettanti stacchi di batteria mediante tom. Poi si prende velocità ed il rullante passa ad un blast furioso, disumano, mentre la voce si prolunga in gutturali che poi si rinforzano col coro; la batteria accentua la brutalità con un ritmo quasi tribale, ricco di piatti con una lunga coda, tutto condito con riff di chitarra statici a plettrata alternata, il basso si limita a sottolineare alcuni passaggi salienti senza nulla aggiungere. E' un fallimento, di un'anima abietta che mirava a reclamare la gloria eterna ma ha ottenuto solo di porre fine al proprio sogno, è stato lui stesso a chiudere la porta. Il dissenso è quindi nato con l'infelicità di uno - che si è quindi propagata contagiando e coinvolgendo altri - che si è reso conto che si tratta di mentitori, ladruncoli da quattro soldi, che pensano al loro tornaconto; a quel punto l'amarezza diventa dolore ed il dolore fa presto a diventare rabbia. Prendono finalmente il posto accanto a Dio, un posto conquistato col sacrificio e la sofferenza, un posto che rappresenta solo dolore e perdita, uno smacco dopo tutte le privazioni sostenute per ottenerlo! Tutta la rabbia traspare dalla voce di Benton, un invasato che instilla odio sputando anatemi che scandisce abilmente e nettamente in mezzo alle plettrate alternate costellate di colpi al rullante e cassa. Il ritmo raddoppia, si fa più insistente, le chitarre stoppano e la voce improvvisa una specie di melodia che ricorda qualcosa di Hardcore, un coro che coinvolge, quindi parte un assolo che - sostenuto da una chitarra ritmica che ci va pesante - si dedica al lato più melodico del Thrash con qualche riferimento al Death più risalente. La voce torna a farsi sentire mentre l'assolo diventa un rombo che sfuma progressivamente, un gutturale che urla raccontando che c'è gente che si rovina la vita per appagare un credo egoista, il fedele si è ingannato da solo (infatti Dio non esiste e pertanto non può essere ritenuto responsabile) e deve prendersela solo con se stesso, si schiaffeggia da solo in preda alla rabbia e delusione per l'amara scoperta una volta che l'inganno gli si è palesato in maniera inequivocabile. Dovrà convivere con le proprie azioni, dovrà far pace con se stesso ed i propri errori mentre si scava la fossa, rendersi conto che la vita senza di lui sarà migliore, perché al mondo non c'è posto per i fedeli imbecilli. Si rallenta, poi una scarica di batteria, stoppata e si riprende con l'assalto inarrestabile, il basso è come impazzito e non la smette di dilaniare le corde con colpi ben assestati, è tutto un desiderio di morte in cui non c'è neanche la speranza della felicità, potrà ottenere solamente la sconfitta e null'altro, abbraccerà l'inferno fino alla fine dei tempi. La voce rimane gutturale, si rafforza di cori ed è decorata da piatti in abbondanza, pestaggio sui tom e stoppate, quindi giunge il finale. Siamo più o meno a metà tracklist e, nel trarre qualche giudizio parziale, non si può fare a meno di pensare che ci troviamo di fronte ad un album forte di una compattezza invidiabile, che mostra un gruppo in splendida forma che non vuole scadere nel monotono, nel banale, capace di essere fedele a se stesso senza per forza diventare ripetitivo e scadere.

Between the Flesh and the Void
Ma freniamo l'entusiasmo e lasciamo le conclusioni alla fine, gettiamoci a capofitto in "Between the Flesh and the Void (Tra la carne ed il vuoto)", un titolo che in effetti fa pensare ad un pezzo con un testo più "intimo" del solito, per i canoni dei Deicide di Benton. Andiamo immediatamente ad indagare ed effettivamente si può rintracciare un testo particolare: è la morte, lui attende con dolore il suo momento mentre uno sguardo freddo gli brucia gli occhi, è vittima di un inganno, augura morte all'altare. Tutti i suoi cari perduti gli appaiono davanti, è la fine della vita e l'aria si fa sempre più fredda, chiude gli occhi e si prepara all'eternità, è un'anima che svanisce, si dissolve. A giudicare dal sound del pezzo non notiamo la stessa differenza: un riffone pesante macina violenza, con compattezza e ferocia, poi si inserisce un assolo di chitarra che in qualche modo stacca rispetto al resto e regala melodie amare, la voce esplode in una ferocia animalesca, tra le sfuriate di batteria che portano ad un Technical Brutal di fattura sopraffina, moderno ma in un certo senso ancora saldamente ancorato alla tradizione - un po' l'equilibrio giusto tra nutrimento e brutalità! - con una vocalità che si pone da ponte tra l'old school ed uno stile da Technical Deathcore. Insomma lo stile musicale non rispecchia questo forte cambiamento che si può rinvenire nel testo. Si continua con un pestaggio violento in cui gli elementi Black, canalizzati grazie a diverse influenze da Swedish Death Metal (o in generale un Death/Black europeo... tipo i Vader per citare un nome grosso), insomma l'impatto è violento ed assicurato, la devastazione chitarristica si abbatte e poi porta un assolo fatto di fischi dissonanti e calanti piazzati su un impianto ritmico fatto di una batteria che frantuma le pelli con una violenza primitiva, il basso pulsa animalesco, accelera, infiamma la violenza e porta con sé il male. Il corpo del protagonista decade, testimonia la propria morte e si trova in uno stadio di passaggio: nel momento esatto che dalla carne la sua anima passa al vuoto! Un'immagine davvero molto forte, vincente: non c'è ritorno e sente che la propria anima è intrappolata in una condizione irreversibile, in uno stadio di mezzo che porta solamente terrore e sofferenza. L'anima è sospesa tra la carne ed il vuoto e la consapevolezza di chi, oltre a sentirsi ingannato può assistere a tutto questo, sapendo che la fine è vicina non sa scegliere se avere paura per quello che ha perso (la vita) oppure avere paura per ciò che lo attende (il vuoto)! Esplosioni di brutalità, l'assolo di chitarra si fa frenetico, istintivo, malsano e quanto mai aggressivo, quando riprende il ritornello (che in questo pezzo si ripete più che in altri) si rinnova il terrore, altra fase strumentale fa ruggire la chitarra in accordi malefici, si possono immaginare i pezzi del corpo che si dissolvono e si staccano dal corpo, l'agonia, gli occhi sbarrati ed un urlo muto che si stampa sulla faccia del disgraziato che subisce questo supplizio atroce; in tutto questo degli assoli virtuosi aumentano la suspense facendoci assaporare la sofferenza della vittima. Un capolavoro di malvagità e brutalità che si combinano assieme per regalarci qualcosa da ascoltare e riascoltare con malefica goduria.

Even the Gods Can Bleed
I più puristi staranno già lamentandosi, invocando a gran voce tutta la blasfemia della quale era privo il pezzo precedente; costoro verranno ripagati con gli interessi da "Even the Gods Can Bleed (Anche gli dèi possono sanguinare)", un titolo che preannuncia blasfemia brutale! A parlare in questo testo sembra essere lo stesso Anticristo: si presenta come colui che diffonde le piaghe, Dio non può sentire le invocazioni dei fedeli, non li può salvare, il Signore è preso da una disperazione santa perché è impotente di fronte a ciò che sta accadendo: tutt'uno col diavolo sta distruggendo la fede, la fine è vicina per Dio! Stoppate marcate, scariche di brutalità affidate alla batteria, una chitarra romba in sottofondo mentre l'altra riversa malefiche note stridule, la voce irrompe nella scena come una mazzata che schianta la porta di un tempio che sarà presto dato alle fiamme. Questa combustione viene alimentata dalla parte successiva, con una vampata di chitarre a plettrata alternata che portano, all'unisono, una ventata di calore infernale: la batteria allora si fa statica, il basso accelera e va al massimo, poi si torna ad un ritmo sostenibile e ola voce si fa insistente, ripetitiva in una metrica che torna spesso in casa Deicide, piena di cadenze ed accenti che vengono marcati in maniera estenuante. I loro idoli vengono sfigurati, quindi si può immaginare la scena di queste schiere di dannati che si riversano nei luoghi sacri e si accaniscono sulle effigi sacre rimuovendone i tratti facciali. Tutte le leggi cristiane vengono spezzate in un colpo solo, lo stesso Gesù viene ammazzato mentre il protagonista se la prende con la croce, che riduce in pezzi: nessuna resurrezione, morte al Nazareno, tutte le preghiere non saranno ascoltate e ci sarà solo morte per i fedeli. Con questo carico di malvagità il pezzo prosegue, stoppate e pause a sorpresa mentre Benton si accanisce, anche vocalmente, mettendoci dentro tutta la rabbia possibile, si continua così in un crescendo di violenza fino a quando la chitarra non prende il sopravvento e si esibisce in una scala ascendente che sembra voler rappresentare le fiamme che si innalzano sempre più divorando tutto. Altra strofa e quindi un assolo squillante che poi si trasforma in una serie di interventi melodici striduli e fischianti, poi finale improvviso. Nell'ultima parte c'è la disgrazia totale, la fine di tutto, il paradiso che cade in pezzi, gli angeli vengono divorati dalla rabbia, Cristo viene crocifisso nel nome di Satana, l'illusione di Dio si spezza per sempre; il Salvatore cade, straziato, la crocifissione è l'evento che mostra come anche gli dèi possono sanguinare, Dio farà bene a ripetersi più volte che anche gli dei possono sanguinare, che nemmeno Lui è al sicuro, che il Suo momento si avvicina: la sofferenza divina lo attende e si abbatterà presto su di lui sotto forma di una sonora sconfitta che lo cancellerà dalla faccia della Terra. In definitiva un pezzo che darà una diabolica soddisfazione a chi sperava in testi blasfemi!

Trample the Cross
Si insiste sullo stesso tema con "Trample the Cross (Calpesta la Croce)", si parte già nel vivo di un assolo melodico su base bella tirata, la parentesi strumentale si arricchisce di dissonanze inquietanti ed affascinanti allo stesso tempo e poi si spalancano i cancelli dell'inferno dai quali emerge la legione capitanata da Benton che, con incedere marziale, dà il ritmo ad una marcia demoniaca. La melodia è diabolica, forte di vaghe influenze Black specie nella scelta dei suoni, poi lo stile diventa tipicamente Deicide con una ritmica sostenuta ed insistente, con finale prolungato in growl. Il testo si rivolge a chi interroga Dio, col cuore pieno di odio perché si sente tradito, cammina in mezzo alle fiamme da solo e quindi impreca il nome di Dio; una volta spezzata la croce mistica, una volta mandato in rovina ed in ginocchio il papa, riuscirà a vedere attraverso la menzogna della fede ed a trovare finalmente pace. La musica incita alla distruzione e saccheggio, parte un assolo rombante e tagliente, poi si passa ad un blast tremendo con le chitarre che prendono alta velocità e danno inizio ad un tormento bestiale, si continua in questo senso a distruggere la fede. Si porta la morte a Dio ed a tutta la sua razza, si sotterra con esso anche il suo libro cui si dà fuoco assieme ad ogni cosa santa, poi si calpesta la croce per deridere il dio sconfitto ed umiliato. La parte in cui si calpesta la croce viene ripetuta per molte volte, diventa sempre più esasperante ad ogni ripetizione, quindi si torna ad una breve strofa ed altro assolo in stile Thrash alla Slayer, altra breve strofa carica di odio blasfemo. Tutto attorno è carico di oscurità, malvagità, sogni empi che prendono vita; bisogna dubitare di tutte le cose che non si possono vedere perché Cristo e tutti i suoi miracoli non sono altro che una messa in scena. La paura stessa ha violato le bugie della sua fede, guardar morire quella fede immonda gli fa sorgere un sorriso sulle labbra, la terra sacra trema da sotto i loro piedi e sarà così per sempre. Il massacro sonoro si rinforza con una prestazione disumana di batteria, quindi viene riproposta la parte strumentale che ha dato inizio al pezzo, che viene stoppata all'improvviso in fase di chiusura. Un pezzo breve, ma intenso, forse un po' troppo ripetitivo nella fase centrale ma dannatamente efficace.

Fallen to Silence
"Fallen to Silence (Caduto nel silenzio)" si rivolge al fedele che, vivendo una vita disgustosa credendo alle menzogne di Dio, rispetta i comandamenti che provengono da quel dio vendicativo privandosi così di ogni emozione umana, per Dio il fedele rinuncia a sé. Questo fedele verrà quindi ridotto al silenzio, cadrà, verrà sconfitto dal male. Si inizia con delle stoppate, plettrate alternate e stacchi di batteria, il basso è veloce ma non emerge più di tanto, tutta la parte strumentale è abbastanza legata alla tradizione, così come pure il growl forte nelle frequenze medie; dopo passaggi veloci la strofa cambia veste, si riassesta in una variazione che prosegue tra le martellate della batteria. I colpi sono costanti e regolari, la voce è l'unica variazione offerta, in un continuo di sovraincisioni ravvicinate che rendono l'assalto continuo, il ritornello è asfissiante e non lascia davvero respiro all'ascoltatore, sommergendolo di odio per concludere con una parte in scream. Sono i deboli a seguire questo culto, gente che si spaventa e si prostra di fronte alla croce, è un inganno deliberato e consapevole, questo perché non ci sarà alcun ritorno (del Messia) e nessuna luce per chi rispetterà i suoi comandi, la luce verrà negata a tutti quei deboli che si prostrano! Così il carro armato prosegue, il ritmo è la chiave del pezzo che gode di un tempo stabile in cui le variazioni giocano sugli accenti, poi parte un assolo melodico cui presto si unisce anche l'altra chitarra, le evoluzioni sono lunghe e sorprendenti, il basso quindi trova spazio per esprimersi, accompagnato da raffiche veloci del rullante. Si riprende con la strofa, piena violenza, poi si passa al ritornello che scarica tutto l'odio mentre le chitarre non smettono di plettrare inferocite. Il pezzo si conclude con un ultimo growl invasato, ben prolungato; il testo continua a sottolineare i limiti della fede. L'anima viene consumata, giunge la disgrazia, in tutto questo è la blasfemia ad essere una benedizione: il creato è un disastro totale e non arrivano risposte alle preghiere, la gente è cieca per la disperazione ed il suo Signore non se ne cura, resta a guardare il mondo mentre muore. Nessuna riflessione, nessuna interazione tra Dio e l'uomo, il mondo si sta distruggendo e non c'è più nulla da fare, Dio non è altro che un fantasma, uno spirito che si rifiuta di mandare in Terra il suo Cristo per porre rimedio ai mali che affliggono l'umanità. A morte la religione, non è altro che una cieca contraddizione, la croce è un inganno ed il libro sacro è un'infezione che colpisce la verità trasformandola in bugia.

Kill the Light of Christ
Passiamo a "Kill the Light of Christ (Uccidi la luce di Cristo)", stoppata iniziale e subito una parte neoclassica in plettrata alternata dal sapore Black, il tema viene portato avanti dall'intervento maestoso del basso, accordi lenti ed imperiosi portano avanti il discorso mentre la voce scaricare la devastazione con un growl insistente. Insomma un pezzo che parte differenziandosi molto dagli altri lavori dell'album, col testo invece non notiamo alcun cambiamento rilevante: viene svelata la morte, che sanguina dai suoi occhi, l'anima si danna, conscio del peccato e del fatto che finirà all'inferno. Deve uccidere la luce di Cristo, per trovare la verità all'interno di quell'altare nel quale è intrappolato, un luogo dove tutti gli esseri viventi sono condannati alla morte. Il tempo accelera, una sfuriata in cui chitarre e voce vanno all'unisono, dopo si staccano e si riavvicinano: lo stile è grezzo e caotico tanto che sembra di sentire qualcosa alla Malevolent Creation (specie per il fatto che Benton insiste in una vocalità medio-alta per il growl in questo brano). La batteria è l'elemento più vivace e mutevole nel pezzo, si spende in continui stacchi che riesce a infilare un po' ovunque anche per via della generale lentezza del brano. Altri stacchi sui tom, raffiche di cassa, le chitarre prendono il volo, poi il basso pompa furiosamente, stoppate e ritmi serrati, plettrate veloci e quindi ci schiantiamo contro un muro sonoro dopo del quale parte un assolo cafone, ricco di grinta, con veloci note graffianti, si torna al ritornello funestato da una chitarra solista che ruggisce e fischia. La grazia di Dio annega nel suo sangue, una volta persa ogni speranza ed in procinto di morire l'ulteriore illusione del trovare pace, trovare una fine alle sofferenze nell'altra vita, è lo smacco definitivo; una volta raggiunte le lande ignote si scoprirà esservi l'abisso, un luogo molto lontano dall'influenza di Dio, un luogo in cui Egli non può fare niente. Il pestaggio prosegue e le parti vengono riproposte (senza variazioni nel testo spesso), la batteria macina colpi a raffica mentre la voce continua a tormentare ed infine prolunga il finale mentre le chitarre danno luogo ad una chiusura in grande stile, quasi da live. Un pezzo che parzialmente si discosta dagli altri, suonato anche con una rabbia particolare che gli dà quel tocco di musica dal vivo, che non guasta affatto, specie se consideriamo lo stile grezzo del brano - contraddetto da quell'inizio quasi neoclassico che davvero poco si addice al resto. Un brano niente male, forse confuso però, che nulla toglie alla grandiosità dell'album dopotutto: permane infatti quel senso di malvagità, brutale ed al contempo epica, che permea l'intero lavoro.

End the Wrath of God
Arriviamo al finale con "End the Wrath of God (Poni fine alla collera di Dio)", il pezzo si presenta con quel retrogusto melodico e neoclassico che ha caratterizzato il precedente, l'inizio è un assolo in piena regola che poi sfocia nella violenza compatta e bestiale, carica di suoni bassi e potenti. Si passa poi a misure più grezze e la batteria cambia ritmo per dare un impatto più cafone, diretto, la voce resta ancora in tonalità medio-alte. L'impressione è che sia questo brano che il precedente siano in qualche modo collegati allo stile del passato album, del quale condividono quell'impostazione particolarmente melodica. Oltre a questo, se pensiamo che le dichiarazioni del gruppo in merito a questo album sottolineavano questa voglia di rinunciare alla vena melodica che si era presa, per dedicarsi a sonorità più simili a Legion, sentire questi due brani diventa davvero strano. Il pestaggio prosegue senza il minimo accenno di melodia, la voce si fa pressante, poi compare una chitarra che regala altre melodie feroci, taglienti e dissonanti, quindi si torna all'attacco con un'accelerazione grezza e primitiva. Dalla creazione dell'uomo, senza alcuna spiegazione che venga dal libro sacro, c'è questa tentazione irresistibile; bisogna annullare ogni resistenza per riprendere il controllo delle nostre vite, siamo stati mortificati alla follia da un uomo divinizzato, bisogna porre fine alla collera di Dio! Basta credere ai profeti che annunciano la parola di Dio, non c'è nessuna salvezza, né punizioni dall'alto; è solo un libro di bugie ed il Signore dei signori morirà. Parte Thrash di chitarra e poi si accelera tutti insieme fino ad un assolo violento di chitarra, velocissimi passaggi e poi la parola passa all'altro chitarrista che srotola una frenetica trama di note neoclassiche e virtuose, il tupa tupa al rullante si fa incalzante e così riprende la strofa, in mezzo a numerosi stacchi animaleschi. Lo stesso testo si ripete senza alcuna variazione, stesso dicasi per la musica che si porta avanti - con grande qualità - senza variazioni e riproponendo gli stessi assoli fino alla fine.

Conclusioni
Tirando le somme, possiamo dire di trovarci dinnanzi ad un album che inizia e va avanti sempre mostrando una carica devastante, per poi incagliarsi giusto negli ultimi due brani; i quali sfruttano diverse idee vistosamente pescate da rimanenze del precedente lavoro. Tuttavia, non dobbiamo farne un dramma né fare in modo che questo episodio pesi sul giudizio finale: dopo tutto, l'idea di base era quella di realizzare un album che riproponesse lo stile di Legion, rielaborato e riadattato in chiave moderna. E l'intento è stato pienamente e fedelmente portato a termine, fino al nono brano. E' stato quindi molto difficile valutare un lavoro del genere, che per tutto il tempo è da 9 pieno ma che all'ultimo smentisce (seppur leggermente) i propositi del gruppo, proponendo dei brani che di per sé sono ottimi ma che scontano due limiti. Punto primo, non sono in linea con l'intento di tornare alle origini (il che non sarebbe stato un problema se non fosse stato un proposito così largamente annunciato ai quattro venti, in occasione del lancio di questo platter); in seconda battuta, il fatto che questi episodi sono stati messi assieme in modo un po' troppo frettoloso, giusto per chiudere la tracklist e confezionare l'album. Se col precedente album abbiamo assistito ad una scelta coraggiosa, consistita nel voler sperimentare un sound moderno e slegarsi (almeno parzialmente) da quel limite di "dover interpretare a tutti i costi il ruolo del gruppo old school", in questo caso assistiamo ad una mancanza di sufficiente coraggio nel ribadire il proprio ruolo (di prim'ordine per giunta) nella suddetta scena old school e nell'approccio grezzo che rinuncia ad ogni tentazione melodica. Stiamo pur sempre parlando di un album tosto, di un qualcosa di molto curato: insomma è un lavoro che subisce il contraccolpo dell'album precedente. Se, infatti, col precedente lavoro si è voluto puntare ad un sound moderno ma ci si è portati dietro qualche incertezza dovuta a vecchi stilemi grezzi che mal si conciliavano col resto, in questo platter abbiamo l'effetto contrario: è la melodia che mal si concilia con l'approccio grezzo intrapreso e promesso alla vigilia della realizzazione. Se prima le incertezze erano legate al fatto che il gruppo avesse lavorato quasi a compartimenti stagni, con il duo storico ad occuparsi della struttura della canzone, con i chitarristi a dedicarsi agli assoli che, specie nel caso di Santolla, avevano derive al limite del Power, in questo album è stato adottato un approccio più tradizionale; con pezzi creati tutti assieme in sala prove (ed infatti si nota la compattezza compositiva che contraddistingue tutto il lavoro, forse meno gli ultimi due pezzi). Coi testi, ormai è noto, siamo andati sul sicuro anche questa volta: è Benton che continua ad occuparsi di questo campo e lo fa egregiamente mantenendo la stessa rabbia e lo stesso odio che ha caratterizzato, da sempre, il suo rapporto con Dio. Quella foga che ci aspettiamo di trovare e che bramiamo, appena pensiamo ad un nuovo testo dei Deicide, non manca neanche in questo album. Un album che conferma quanto i Deicide del duo storico, Benton ed Asheim, si siano ormai integrati a meraviglia con Owen tanto da renderlo partecipe nella composizione dei nuovi brani; lo stile promette di tornare ai grezzi fasti di Legion - pur non dimenticando l'esperienza accumulata nei decenni - mentre il risultato ci mostra come questo proposito sia stato fedelmente mantenuto, tranne che in rare eccezioni. Un gruppo che fa del ritmo, della rabbia cieca e degli assalti grezzi e spietati, la sua ragione d'essere; in questo album troviamo i Deicide del futuro, con l'entusiasmo del passato.

2) Thou Begone
3) Godkill
4) Beyond Salvation
5) Misery of One
6) Between the Flesh and the Void
7) Even the Gods Can Bleed
8) Trample the Cross
9) Fallen to Silence
10) Kill the Light of Christ
11) End the Wrath of God


