DEFTONES

You've Seen the Butcher

2010 - Reprise Records

A CURA DI
GIANCARLO PACELLI
09/01/2019
TEMPO DI LETTURA:
8,5

Introduzione recensione

Come terzo singolo la band americana aveva messo in sordina un ulteriore modo per dimostrare la propria forza, che puntava su un sound organolettico e corposo, in cui nessun elemento era li per caso. Seguire un criterio e cercare di creare tutti i presupposti possibili ed inimmaginabili al fine di crearlo sottoforma di brano. E allora in questi decisi si parametri si colloca il singolo definitivo di "Diamond Eyes", "You've Seen A Butcher", pubblicato il 26 Ottobre 2010. La band puntò ogni sua arma, calibrandola al massimo al fine di mettere sul piatto il singolo più appetibile possibile, e come vedremo, il combo a stelle e strisce, riuscirà in questo intento. I primi due singoli di lancio, "Rocket States" e "Diamond Eyes" fungevano da supporto per arrivare a questa traccia, costruita su un'impalcatura talmente viscerale tanto da risultare quasi atipica nella "seconda fase" della band. Un tocco quasi mistico intervallato da un tono altisonante dell'ascia di Stephen Carpenter mista ad una prova rapace di Abe Cunnigham dietro le pelli. La prova al limite dell'aggressivo era un modo esemplare per dare vita ad un sound estremamente personale e per questo assai indirizzato a Chi Cheng. Il pensiero del quartetto, nonostante la grande carica dovuta alla normale eccitazione, al grande odore di successo che era alla portata di mano, era comunque indirizzato alla stanza in cui lo sfortunatissimo ex bassista/compositore combatteva tra la vita e la morte, e proprio per questo motivo il lato umano della band prenderà il sopravvento lungo ogni brano. Talmente onnipresente era l'exo membro tant'è che furono messe all'asta alcune strumentazioni (tastiere e batteria) utilizzate per il video ufficiale, e i soldi ricavati sarebbero stati investiti nelle costose cure mediche che la famiglia dell'ex bassista stava affrontando con non poche difficoltà, durante il terribile coma che purtroppo si tramuterà in morte. Quindi, i singoli di notevole successo non potevano distogliere lo sguardo dal dolore che comunque la band viveva direttamente, e come vedremo nell'ascolto completo di "Diamond Eyes", quell'intima e difficile condizione sarà possibile quasi toccarla per mano. Tornando all'aspetto musicale, il disco stava prendendo forma, commercialmente "Rocket States" e la title track crearono il giusto terreno per l'irruenza tonale del singolo ultimo, il quale era da catalogarsi come la grintosa fotografia di un combo che voleva ardentemente dimenticare gli ultimi tempi. L'alternative metal è in pratica nelle mani di chi lo ha fondato, arricchito e costruito seguendo sempre maniacali sperimentazioni e intuizioni sonore che non potevano non presagire a costruzione di un album convincente ed elegantemente, ricco da praticamente tutti i punti di vista. Soprattutto le linee liriche tenderanno a premere sempre di più sull'acceleratore, con cenni alla psicologia umana fino a varie allusioni di perdita delle persone care. "You've Seen A Butcher" non può che definirsi come un succoso anticipatore di una gran parte degli stilemi che andranno a comporre la spina dorsale del sesto lavoro in studio dei nostri. E forse non ci sorprenderemo nemmeno dal talento cibernetico che la band offrirà diligentemente ai nostri padiglioni auricolari. Oltre al singolo è presente una versione dal vivo di "Birthmark" (tratto dal debut "Adrenaline") e una versione di "You've Seen the Butcher" lenta e acustica.

You've Seen the Butcher

L'impatto di You've Seen the Butcher (Hai visto un macellaio) non ha eguali ritmicamente, e risulta impressionante nell'economia della stessa band, dato che si colloca come il singolo definitivo che gettava fedelmente la attenzioni del pubblico sul nuovo disco in studio. Tale traccia può essere tranquillamente paragonata ad altri pezzi simbolo del nostro gruppo grazie alla sua gonfia musicalità che propone sin dai primi secondi. I silenzi sono i protagonisti iniziali della traccia, sono rigorosamente accompagnati da brevi accenni di chitarra, i quali si amalgamano con il contesto atmosferico che si viene a creare lungo l'asse sonoro. La cupezza lirica di questa track segue magistralmente questa linea sonora quasi oscura, proprio perché questa ha che fare con tematiche dure e spietate, in particolare questa traccia parla dei piani di un uomo di uccidere una donna per soddisfare i suoi desideri sadici, ben nascosti nella sua coscienza malata e per questo impercettibile nella quotidianità. Il misticismo delle ritmiche serrate degli inizi sono state finalmente messe da parte a partire dall'impatto del drumming di Abe Cunnigham, che rompe il "silenzio" delle prime note con il giusto gusti. Una serie di riff taglienti, assimilabili ai coltelli affilati posseduti dal protagonista, con lineamenti melodici accolgono l'esordio delle vocals a volte soffuse e leggere di Moreno, che impattano con leggerezza con gli accordi della chitarra principale di Stephen. Il cantato "teatrale" (ossia quasi parlato, intento a descrivere le azioni allucinante del protagonista) di Chino si lascia andare con ampie e ventate linee vocali attraverso note alte che cambiano la faccia al nostro pezzo. Le chitarre lavorano all'unisono accogliendo di muovo Moreno che offre vocals leggermente differenti rispetto ai secondi precedenti le quali schiacciano con una robusta irruenza il resto degli armamenti strumentale. La batteria è ponderata secondo la produzione generale, sembra quasi allacciarsi al quadro lirico dei nostri, abbracciando uno stile che è un alternarsi di tocchi fini misti ad altri belli pesanti, con un utilizzo sicuramente non canonico del doppio pedale. L'ascia da guerra principale, nella sezione centrale finale, disegna il motivo iniziale riproponendo la seziona ritmica dell'esordio del pezzo, fino ad accompagnarci al momento in cui Moreno si libera con un urlo soave, il quale, nel suo obiettivo di raggiungere note alte, non perde assolutamente qualità. Un pezzo che sà di trame splatter, ma il tutto nascosto dalla potente armonia che viene proposta in questa "You've Seen the Butcher".

Birthmark (live)

Come brano aggiuntivo, oltre alle due versioni di "You've Seen The Butcher", è presente una prova dal vivo della calda Birthmark, traccia tratta dal debutto "Adrenaline". Come al solito, e lo abbiamo ben capito scrutando ogni minimo passo della band, il pubblico, l'appassionato pubblico degli americani, arroventa subito l'atmosfera rendendo ancora più interessante l'approccio della band nei confronti di un live. Moreno, al di sotto della nube distorsiva della calibrazione degli strumenti, intrattiene il caloroso pubblico con un paio di battute, e tra queste esclama il brano "Birthmark". Tale traccia fu senza alcun dubbio una delle più particolare per la sua costruzione, irruente ma al contempo assai capace di immedesimarsi attraverso la sua vigorosa distorsione. Proprio quest'ultima prende vita progressivamente appena Carpenter accenna l'intro di chitarra, la quale agisce in solitaria solo in prima nei primi fulgidi minuti, prima che basso e soprattutto batteria possano entrare in azione. Moreno, invece di proporre linee vocali che andassero a sovrastare ogni parsimoniosa pittura strumentale, cala il poker adagiando la sua impronta caratteristica in linea con il resto del quartetto. Chi Cheng, in particolare, prende il sopravvento con una bass line incredibile, che cresce al pari della lead di Carpenter appena Moreno aumenta la corrosività delle sue incisioni vocali. Ogni distorsione si spalma lungo il pubblico, colpendo e non risparmiando nessuno: tra le treccine rasta di Chi Cheng e i capelli dorati del ribelle Chino Moreno, tutto si compatta in un unico e deflagrante sound, un missile terra aria che tra riverberi e dissonanze agisce con molta forza. "Birthmark" non cenna al suo lavoro di dare vita alle anime dei fans, nemmeno nei momenti riflessivi in cui Moreno, seguendo l'abbassamento dei toni della sezione ritmica, con il suo modo di impugnare il microfono sputa le sue vocals compresse ma comunque devastanti, in gradi di esplodere poi in urla liberatorie, che mandano in visibilio tutti. "Birtmark" non smette di sorprendere, nemmeno nei fraseggi virtuosi di batteria di Cunnigham, semplicemente violentissimi, i quali si ammassano assieme alla chitarra, che ormai agisce soltanto in un mare di note distorte e "sguaiate", e a Chino, che si sgola letteralmente lungo il finale con scream terrificanti e potenti

You've Seen The Butcher (Midnight Airport version)

Ammaestrare diversi campi sonori, come si sa, non è un marchingegno troppo intricato per i quattro di Sacramento: hanno dimostrato sempre la loro peculiarità altisonante nel gestire diversi stili musicali, da quelli più distorti e ruvidi fino a quelli più leggeri e minimalisti, e il punto nevralgico dalla compagine americana sta proprio qui, è effettivamente inquadrarlo in un unico selciato sonoro, data la dimostrazione del combo nel saper odorare e masticare differenti orientazioni musicali. Ad arricchire il singolo, è presente infatti una versione "slow"(rallentata) e acustica di "You've seen the Butcher", mai proposta dalla band, chiamata You've Seen The Butcher (Midnight Airport version), in cui la catarsi potente dell'originale lascia spazio ad un apparato emotivo abbastanza ampio, dove l'armamento sonoro abbassa di caratura ritmica al fine di rendere più esplicito atmosfericamente il sound. Dimenticatevi l'impatto a mò di rasoio dell'introduzione dell'originale: questa "Midnight Airport version" accarezza le nostre percezioni sensoriali, con un approccio acustico e tendente ad una rigonfia torsione minimalista, dove Moreno, e il suo ampio raggio vocale, trova l'energia emotiva giusta per ergersi con magnificenza, per arrivare e colpire il nostro modo di vedere la musica. L'assenza del groove di Abe Cunnigham, di quella pesantezza sonora caratteristica spiccata di "Diamond Eyes", è rimpiazzata da un fattore tanto scontato quanto determinante: l'atmosfera, che vibra liberamente, inseguendo la leggiadra vocale del frontman, la quale si arma di una speciale sensibilità al fine di colpire il nostro spirito. Il minimalismo è un'altra caratteristica importante, l'acustica di Stephen Carpenter, nonostante la sua presenza, non preme a sufficienza e questo non fa che aumentare l'onnipotente attitudine di Moreno. Proprio il nostro cantante dimostra di essere il talentuoso artista che è, capace di muoversi tra le sonorità più cacofoniche e alternative, fino alla minimale caratteristica acustica: un grande brano, ed un rifacimento che dà giustizia a questo importantissimo singolo di casa Deftones.

Conclusioni

L'ascolto di questo brano, ricordiamo accompagnato anche da una interessante prova dal vivo e da una versione acustica del singolo stesso, non ha fatto altro che confermare ciò che avevamo accennato nella nostra introduzione, e una parola chiave volteggia nell'aria, ossia "musicalità." Proprio quest'ultima sembra essere il minimo comune denominatore nell'impasto sonoro proposto nei tre minuti abbondanti della traccia che, oltre a porsi come un favoloso biglietto da visita per il platter che verrà, si manifesta come una nuova conferma del moniker della nostra band, capace di mutare forma senza mai perdere quell'identità ritmica, che la caratterizza  praticamente da quando è nata. Nonostante l'evoluzione del sound, il marchio "Deftones" è sempre stato ben messo in evidenza attraverso un senso della melodia e dell'importanza dei refrain veramente imponente, e nonostante alcuni anni normalmente contornati da scarsa ispirazione, ha comunque portato in auge il proprio verbo alternativo. Moreno non era un semplice cantante, ma un camaleonte in grado di dare sfogo alla sua istrionica personalità mostrandosi sempre in una veste differente. Contaminazione: questo è il segreto della nostra band, e provenendo da un backgroud musicale gia di sé per sè ricco di influenze, durante il suo percorso non ha mai smesso di immettere nel proprio modo di intendere il suono altri elementi, sempre coerenti con lo stile unico del combo durante il proprio percorso complesso. La multi-sfaccettata attitudine, vocale e strumentale, del quartetto ha navigato sempre in mari ispirati in ogni minima composizione, anche nei momenti di difficoltà in cui però non è mai mancata la discreta voglia di incanalare le proprie forze nel "fare" musica, e questo tornado catartico di "You've Seen the Butcher" ce lo esclama con tutta la forza di questo mondo. Nel 2010 la musica era stata scritta, non c'era bisogno di chissà quale arcano modo di intendere il metal, e in particolare l'alternative metal, ma la nostra band ha arricchito il proprio mondo musicale con una creativa ed elastica propensione, accompagnata da un gusto indiscutibile in sede di scrittura e di stesura dei brani. Cosa potremo aspettarci da una band che ormai ha raggiunto il traguardo il sesto album in studio, dopo un singolo del genere? Orbene, ciò che potrete incontrare dall'ascolto completo, è un disco che comporta tanti ascolti, sfuggente ma al contempo diretto e preciso nel colpire il vostro mood, in cui tutta l'imponenza ritmica di questo mondo non va a minare la qualità esecutiva di una band decisamente affascinante in ogni sua proposta.

1) You've Seen the Butcher
2) Birthmark (live)
3) You've Seen The Butcher (Midnight Airport version)
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