DEFTONES

My Own Summer (Shove It)

1998 - Maverick Records

A CURA DI
GIANCARLO PACELLI
11/09/2018
TEMPO DI LETTURA:
8

Introduzione recensione

Anno 1997. Il metal mondiale vive una nuova ottima annata fatta di uscite discografiche convincenti ed una rinnovata e creativa ondata di sperimentazione stava bussando alla porta di parecchie realtà. Quando c'è un clima cosi rinvigorito e pieno di iniziativa, qualsiasi forma d'arte cerca di trarne vantaggio, e la musica come ben sappiamo, non è assolutamente da meno: unica è la sua forza di cambiare sempre forma non perdendo mai l'obiettivo di fondo ossia intrattenere migliaia di persone. Era un momento da sfruttare appieno, e si sa, quando si parla di ispirazione trattiamo di un qualcosa di sfuggente che solo gli artisti veri sanno prendere al posto giusto al momento giusto, collocandola nella giusta e delicata posizione. Di certo la nostra musica ne ha vissuti di momenti difficili, in cui quella vena primordiale viene apparentemente persa, ma nonostante tutto il vero obiettivo artistico, ossia quello di continuare a far appassionare milioni di persone proponendo un corredo musicale capace di creare alchimie come poche, non morirà mai. Come abbiamo detto, un nuovo spirito di sperimentazione stava toccando vari lidi dell'heavy metal e tra questi non si possono non citare i californiani Deftones che vivevano un lasso di tempo decisivo per la loro carriera, partita con un lavoro che aveva iniziato ad attrarre su di se le critiche di tutto il mondo, ma non bastava: le incertezze di un lavoro come "Adrenaline"(1995) dovevano essere necessariamente cancellate dimostrando ai supporters di valere come band a tutto tondo. Da questa nuova ventata di novità e durante il fluire delle proposte discografiche, ecco che emerge il singolo che ha cambiato per sempre la vita musicale di Chino Moreno, Abe Cunnigham, Stephen Carpenter e Chi Cheng: "My Own Summer" (Shove It). Ultimato negli Studio Lithio di Seattle (Washington, USA) ha raggiunto un picco di ascolti notevolissimo e in me che non si dica è diventato un irrefrenabile cavallo di battaglia dello stesso quartetto. Se nel periodo post-Adrenaline la creatura di Chino Moreno versava qualche periodo di leggera incertezza, quest'ultima è stata spazzata via da questo singolo, un vero successo mondiale sia a livello di numeri che dal punto di vista oggettivamente musicale. La produzione del primo singolo di "Around The Fur", è quella del fidato Terry Date (Prong, Pantera, Slipknot, Dream Theater e altri), produttore scaltro e di successo che guida il collettivo americano sin dagli esordi e la mano di quest'ultimo si sente eccome. Parlavamo di influenze ad e di ispirazione ad inizio introduzione, e bene in "My Own Summer" (Shove It) si nota un netto distacco cromatico con l'andamento ritmico di un discreto Adrenaline che certamente mancava di quel quid, di quel tassello in più a livello qualitativo. Non c'era l'aspra intenzione di allontanarsi troppo dall'esordio e infatti, quando ci accingeremo all'ascolto, non noteremo una netta differenza anche dal punto di vista del songwriting, ma l'abisso sta nella stesura del sound, nelle profonde e taglienti chitarre accorpate ad un lavoro eccezionale di basso che strizzava l'occhio ad una parete sonora ed un muro ritmico di totale ispirazione hardcore punk (soprattutto nelle sezioni vocali in cui Moreno non badava a spese crogiolando il pubblico con le sue vocals tagliagole) con un velo malinconico debito alla corrente new-wave molto cara ai nostri musicisti. Ma "Around The Fur" mostrava anche altro, un nuovo modo di porsi e rendere più semplice la fruibilità del suono, secco e senza tentennamenti. Il singolo, corredato di video ufficiale fu lanciato nel Dicembre del 1997 ed è inutile dire il grosso successo che subito riscontrò. Assieme "My Own Summer (Shove It)", in questo singolo sono proposte tracce del debut: "Fireal", "Lotion", "Nosebleed", "Lifter" e "Root", tracce che sono state registrate lungo il live al Melkweg di Amsterdam il 13 Ottobre del 1997.

My Own Summer (Shove It)

Partiamo immediatamente con i minuti del nostro singolo, che inizia subito e senza freni con la celeberrima title track, "My Own Summer (Shove It)" (La mia estate). Pochi colpi di batteria di Abe Cunnigham e gia siamo immediatamente immersi nel contesto sonoro dei nostri non abbiamo bisogno di interpretare molto il corpo lirico, già il titolo del brano riassume gran parte del significato: questa traccia può essere definita come l'esaltazione di un mondo puramente personale dove viene messa in luce solo la propria personalità, dove nessuno ha la necessità di sapere come si sente l'altro, un mondo di sana indifferenza (I think god is moving its tongue/There's no crowd in the streets/And no sun in my own summer; Penso che Dio stia muovendo la lingua/Non c'è folla per le strade/E niente sole nella mia estate). Si preferisce rimanere nel buio più oscur e lasciare che il tempo scorri (The shade is a tool,/a device, a savior; L'ombra è uno strumento,/un espediente, un salvatore). Durante le canoniche interviste (soprattutto dell'epoca) durante il rilascio del platter Chino lasciava ben capire che le tematiche non hanno subito un cambiamento cosi abissale, cosa che non si può dire che come stiamo vedendo propone un sound rinnovato. Come abbiamo detto pocanzi, Abe Cunnigham è il prescelto, è lui a battezzare il nostro brano con il suo pesante groove creando un sereno appiglio per un riffing riconoscibile di un ispiratissimo Stephen Carpenter: in particolare la sua arma da fuoco si inserisce con le vocal di un altrettanto ispirato Chino, che a sua volta si pone magistralmente sul tappeto sonoro instaurato dal blocco strumentale. Il tema dell'incomprensione e della non capacità di intendere ciò che società ci pone è il motore pulsante di tutto e la violenza che sprigiona sembra rappresentare ciò. E la cosa che appunto salta subito all'occhio è l'ossessività del chorus, proprio in quel momento lisergico tutta la furia giovanile ci viene scaraventata addosso.

Lotion (Live)

Il live al Melkweg inizia ottimamente riallacciandosi simbolicamente con la title-track del singolo. Non esistono pause o rilassamenti, terminata la prova in studio di "My Own Summer (Shove It)", il live olandese inizia con forza con il connubio strumentale che non conosce un momento di stasi. L'ascia di Carpenter comincia a ribollire e ogni corda scatena una forza a se stante provocando la massima enfasi del giovane Moreno. La caratura disperatamente heavy della traccia iniziatrice, "Lotion" (Lozione), prende fuoco all'istante. Senza se e senza ma la sezione ritmica scatena la sua furia in una maniera quasi eclissante, incendiando anche lo stesso Moreno che attacca subito con la sua consueta rabbia fiammante da palcoscenico. Già con i primi istanti di "Lotion" il pubblico sembra andare in delirio. L'attesa di vedere la band dal vivo è tanta e ogni urlo, ogni pulsante giro di accordi si pone diretto ed impattante sulla fronte di ogni supporters. L'approccio non conosce una pausa melodica, tutto è dannatamente preciso e l'impatto di questo brano sul rumoroso pubblico ha dell'incredibile. Le urla compresse di Chino producono effetti deliranti, che sono messe leggermente a tacere nella parte centrale del brano, in cui il cantante, accompagnato dalle granitiche linee di basso di Chi Cheng, sprizza melodia da tutti i pori. Il ritornello è come gettare acqua sul fuoco perchè calma i roventi animi e la straordinarietà della band sta proprio. Seguendo le sue ritmiche incessanti, "Lotion" ricopre territori magistralmente ineccepibili, è spiccatamente geometrica nonostante rintocchi le medesime strutture e deflagrante per la maniera con cui ogni strumento è utilizzato al massimo. E dulcis in fundo il modo quasi rappato di Moreno di sparare le sue note aumenta il carico di corrosività. Un manierismo eccelso che è confermato dagli stacchi essenzialmente melodici delle vocals, le quali assumono un colore meno nero con l'ingresso del classico cantato sospirato di Moreno. Con volumi allucinanti che riescono a mettere in primo piano la registrazione malfatta del live, "Lotion" si chiude. Un altro tassello, un brano perfetto per dare sale al nostro singolo.

Fireal - Sword (Live)

Ricalcando i medesimi stilemi su disco la prossima track, "Fireal", si abbatte dolcemente dopo la conclusione dell'energica "Lotion". L'inizio è rinomato e caratteristico, il cantato bianco/nero di Moreno si dispiega nella sala, che nonostante qualche pecca sonora, valorizza ancora di più la presenza scenica del nostro. I colpi di Abe Cunnigham sono lenti e decisi, seguono la potenza delle ottime linee di basso, concedendo ai fans di assaporare ogni minimo spazio di questa traccia. Il basso del già citato Chi Cheng è colui che rompe l'area sinuosa creatasi dall'approccio geometrico di Carpenter e da un abbandono provvisorio di Chino. Dal primo minuto in poi, il castello delicatissimo di sabbia che le corde vocali avevano creato viene sbaragliato dalla potenza cinica di Moreno, che sgancia uno scream atomico il quale si spalma lungo tutta la sala da concerto. Impattante e quasi delirante, l'approccio del nostro fa si che questa proposizione dal vivo, possa muoversi violenta e allo stesso tempo ipnotica. Una violenza appunto che però sottende un lavoro strumentale ottimo, che è capace di controllare ogni flusso vocale in una maniera pacata. Pacato di certo non è il pubblico, che dopo un primo minuto tranquillo, riesce a scatenarsi grazie appunto alle urla acide del buon Chino. Il pezzo prosegue con i ghigni e parti rappate di Chino che "duella" con la sezione strumentale per poi dare di nuovo il ruolo di protagonista a Abe, Stephen e Chi. Nei secondi di preparazione al devastante ritornello, lo stesso Chino cerca di incitare la folla, chiedendo di pogare e di saltare, cosa che realmente accade quando Moreno prende in pugno il microfono e riversa la sua rabbia giovanile, una rabbia che gli smuoveva ogni cellula del suo corpo. Una volta concluso il ritornello la traccia si spegne attraverso un blackout strumentale, uno stop che è perfetto per riversare le attenzioni sulla vena melodica del nostro frontman, che chiude questo brano con una eleganza particolare. "Fireal" è una lotta più che un brano, una lotta con se stessi ben giocata dai giovani Deftones e può essere decretata come una delle migliori performance di tutto l'evento.

Bored (Live)

Terminate l'eclissante catarsi di "Fireal", i nostri non accennano ad un riposo e continuano questo show forse con il pezzo più atteso dai fans, "Bored" (Annoiato). Una delle hit di successo del debut non poteva non creare cosi tante aspettative. L'intro, acclamatissimo dai fans si scaglia nonostante una non perfetta acustica, che però al contrario valorizza il ben conosciuto intaglio caratteristico della song. La sei corde di Carpenter è la protagonista nei primi sussulti dato che riesce a innescare il tono lamentoso di Moreno, che in un melodico straniante rintocca le prime note prima di liberarsi in un urlo totale. Un mezzo acuto delirante che dà il via all'ingresso della coppia basso / batteria, fino a quel momento ipnotizzati dalle corde di Stephen. Calcando la violenza esecutiva della versione in studio, la batteria di Cunnigham risulta ben incentivato dai tempi lenti che assume "Bored" nella sezione centrale. Sezione che dolcemente catapulta le nostre (e del publico) percezioni nei pressi del chorus, in cui quel alienante "Get bored/I get bored/I getbored" (Mi annoio/Mi sento annoiato), il quale subito penetra in una maniera incisiva, e nonostante le linee di Chino non sono estremamente perfette, riescono a ricalcare appieno il tema grigio del brano, un vero e proprio testamento spirituale del tipico ragazzo annoiato, di quella gioventù persa e smarrita. I Deftones non a caso sono dei portabandiera di un'intera generazione, e questa "Bored" rasenta linee archetipiche: è un manifesto sonoro di una condizione se vogliamo normale. Il brano quindi in questa versione pecca proprio nei pressi dell'importante ritornello, ma in fin dei conti questa trascurabile imperfezione rende ancora più unica questa performance. Conclusasi il secondo ritornello, i ritmi cambiano, le chitarre si fanno taglienti e le vocals ruvide e multiformi. Moreno migliora la sua prestazione e conclude questo live con una inconsueta maestria. Ma cari lettori non è finita qui: dopo uno stop repentino, in cui il comparto strumentale si "spegne", Moreno da buon performer intrattiene il pubblico ringraziandolo per il supporto e per il casino fatto, dopo questo breve interludio Abe riprende le bacchette e fa partire di nuovo il pezzo che ci apprestiamo a narrare.

Root (Live)

Ed eccoci di nuovo nel bel mezzo del concerto e gli applausi per i nostri sembrano non finire. Il boato del pubblico fotografa al massimo la situazione di ottima forma in cui i californiani sono immersi, e noi non possiamo essere più soddisfatti di cosi'. Improvvisamente però tutto viene messo a tacere quando il quartetto inizia ad impugnare le proprie armi. È il momento necessario per ammassare la giusta concentrazione e imporla in ogni minimo istante musicale. Un potente riverbero di fondo, misto ad una impostazione dei suoni si impossessa di tutta la grande sala del Melkweg, fino a che un urlo incessante, quasi indiavolato di Moreno riesce a creare un "silenzio". Il dado è tratto, le prime note, accompagnate come sempre da un pubblico caloroso e accogliente, iniziano matematicamente a impostarsi lungo l'asse ritmico. È "Root" (Radice) il brano che inizia a rosicchiare il pubblico, la traccia numero sei di Adrenaline, la quale piano piano si materializza lungo la potenza giovanile che fuoriesce da ogni poro dei nostri ragazzi. Tutto inizialmente è scandito dalle urla che si immischiano, tra stop e riprese, con Carpenter che finalmente pone il sound verso l'introduzione ben riconoscibile di "Root". Pezzo che subentra subito nelle percezioni uditive dell'accaldato pubblico, che non vede l'ora che la potenza live dei quattro appassionati skateboard esca fuori. Una serie di secondi, in cui Stephen prende in pugno la situazione strumentale gocciolano, e i suoi assoli, veloci e quadrati tagliano, come rasoi e sono perfetti per introdurre il groviglio tentacolare di Cunnigham. Il drummer esaltato dall'energia del pubblico si muove perfettamente, rendendo ancora più semplice l'entrata del personaggio principale: Chino Moreno. Impugnato il microfono, dimostra tutta la sua innata grinta in ogni sussulto e in ogni tentativo di sforzare al massimo le sue rocciose corde vocali. "Root" subito crea un varco tra i fans, i quali evaporano in ogni minimo stramazzo del giovane Chino, che bada poco all'apparenza, sganasciando la sua forza. La pavimentazione del riffing di base colora il fumoso palco, ben attivo e caldo in ogni pulsione emanata da questi Deftones. Il brano prende una via precisa grazie ad un Carpenter ora completamente inserito nel suo ruolo di lead guitarist, adempiendo agli schemi semplici ed che Root richiede. Le linee di basso di Chi Cheng, così come in studio, anche in live sono penetranti, nettamente ispirate e legate al riffing principale. Proprio quest'ultimo pone il terreno per gli innesti vocali freschi e ossessivi, che ghiacciano le orecchie del pubblico in una situazione di perenne disequilibrio, distrutto però dalla sezione ritmica che si pone micidiale prima del chorus, in cui Chino, con qualche minima incertezza, colora a suo modo il tutto. Sembra nulla fermare il ritornello ma le corde di Chi stoppano l'enfasi che si stava entrando nelle orecchie dei fans. La ferocia allucinante del brano, resa vigorosa grazia sia all'ascia di Carpenter che dalle urla del saltellante Chino ,si pongono nel finale quasi rappato di "Root" in cui un pubblico in delirio sembra andare a tempo con il caratteristico stile di Moreno, che verso la fine da anima e corpo per concludere il tutto con stile.


Nosebleed (Live)

Carichi come siamo ci apprestiamo ad attendere la seconda succulenta portata che la band di Sacramento ci ha preparato. Scontato dire che ci aspettiamo un'altra fulminea e dirompente prestazione. Conclusasi infatti l'eclissante applauso che il pubblico olandese ha posto nei confronti dei nostri, già si ode in vicinanza la distorsione potente della chitarra di Carpenter: micidiale ma allo stesso tempo ordinata, elettrizzante e dinamico è l'impatto che pone nei confronti del pubblico. L'introduzione così come in "Root" è roboante, pone sull'attenti tutto il pubblico nord-europeo quasi impaziente nell'ascoltare la nuova traccia. "Nosebleed" (Sangue dal naso) parte subito, scatta come una molla, potentissima nelle sue deflagranti escursioni melodiche, dinamica nei suoi iniziali momenti di pathos. Il pathos che sembra emanare il primo sussulto vocale di Moreno: un urlo compresso e pungente, che si sposa a meraviglia con la sezione ritmica che piano piano, con una "distruttiva eleganza" prende vita. Chitarra possente, basso messo in una divina luce tagliente, Chino che sobbalza da una parte all'altra del palco mandando in visibilio la gente. Insomma "Nosebleed" non poteva iniziare in una maniera migliore. Le geometrie non proprio buone dell'acustica rendono questo brano ancora più pungente, e se vogliamo grande nella sua imperfezione. Soprattutto nel gioco chitarristico che introduce le prime note effettive del nostro singer, con quei spazi vuoti, che prendono colore con lo scream fulmine e corposo del nostro Chino, che con qualche minimale difficoltà porta avanti con fierezza assoluta il suo compito di performer. Soprattutto nel chorus, ritmato e poliedrico nella sua struttura, easy listening nel modo di essere percepito da nostro pubblico, che quasi rintona ogni passaggio vocale. Con il proseguire della traccia la difficoltà nel portarlo avanti si percepisce leggermente ma proprio qui sta il talento del vocalist americano: quella di tuonare con soave forza e di riuscire aggiustare ogni minima sbavatura, che si notano in alcuni punti. Bene qui la prestazione del nostro è pazzesca, la difficoltà di riprodurre le strutture della versione in studio sono evidenti, ma chino con la sua consueta caparbietà fa un lavoro degno di nota. Dopo qualche minuto abbondante il pezzo scema di velocità: la sezione ritmica scala di vigore, e Moreno si pone in una maniera differente andando a braccetto con Chi Cheng e devastando il l'audience con uno scream finale accompagnato da un timido "Thank You", che pone la fine di questo rapidissimo brano.

Lifter (Live)

I sussulti sonori di "Nosebleed" corrono ancora attorno al palcoscenico, con la band che non cede il passo ad una pausa, come ben sappiamo, ma riprende in mano la situazione con un grosso quantitativo di grinta che invece di scemare ungo la fine della performance cresce a dismisura. A battezzare l'opener della song successiva è come al solito Stephen Carpenter, la cui ascia inizia a riscaldarsi seguendo geometricamente l'entusiasmo dei fans. Il nostro chitarrista principale come sempre fa la sua figura invidiabile, non lascia spazio a nessun segno di melodia ma si presta soltanto a inondare di riverberi e distorsioni tutti i membri della sala del Melkweng. I pochi accenni snocciolati da Carpenter sono necessari per far capire la traccia che ci inonderà le orecchie: la riconoscibilissima "Lifter" (Sollevatore), battezzata dal già menzionato Carpenter e arricchita dal groove di Cunnigham che non fa altro che accendere la miccia della giovane audience. "Lifter" parte con un assalto sonoro rigonfio di solidità reso ancora più vigoroso dal basso potente di Chi Cheng: il bassista è decisivo e camaleontico nel prendere in mano le redini sonore del brano, non è sempre semplice ritagliarsi un ruolo incisivo in un collettivo in cui la chitarra è il vero motore pulsante. Il riffing di base sta ormai correndo lungo solidi e sicuri binari, e i fans accolgono ogni goccia della performance con uno strano silenzio collettivo. Chino, dopo il funesto riffing di base oramai innestato, finalmente interviene e il suo ingresso si sposa a meraviglia con la sezione ritmica già ben colorata secondo schemi quadrati e dinamici.  Gli accenni ad aumentare l'appeal sonoro non mancano ma Lifter permette a Moreno di muoversi secondo stilemi quasi melodici nonostante nascondino mille sfaccettature ritmate. Il brano rispetto all'irruenza di "Nosebleed" o di altre tracce incontrare prima, è leggermente più equilibrata e meno rapida. Il livello non scende, e l'atmosfera della voce del nostro ricopre di sinuosa passione ogni spazio del locale. La stasi della sezione ritmica dura poco perchè un'aria quasi "disperata" si impossessa della voce di Chino, ponendo sull'attenti il pubblico, ammaliato letteralmente dal cantato mutevole e dinamico del frontman statunitense. L'adrenalina sale in ogni sprint vocale (coadiuvato anche dalle backing vocals di Chi Cheng), soprattutto quando l'impronta del basso scatena pennellate pesanti, che costringono il nostro, nei pressi del chorus, ad aumentare la sua intensità. Il risultato in questa sede live è perfetto. Tra una serie di momenti melodici, alternati a scariche di rabbia pura, mettono il punto esclamativo su questo brano scatenando grandissimi applausi, strameritati dopo una resa live di questo livello.

Conclusioni

Quando un collettivo musicale è in una colorita fase di cambiamento lo si vede a vista d'occhio, da qualunque prospettiva lo si guardi: basta avere un attento orecchio per intendere che la scintilla è scattata secondo i piani prestabiliti. Non era passati decenni ma solo due miseri anni dal rilascio di Adrenaline (1995), pochi molto pochi se li paragoniamo ad altre formazioni che per uscire da quella patina di underground hanno impiegato anni e anni, ma soprattutto concerti al fine di dimostrare la loro effettiva maturità compositiva che in una prova dal vivo fuoriesce ancora con più finezza. E allora, il punto di vista anagrafico, come ben sappiamo, si dimostrò soltanto un piccolo e quasi insignificante intralcio, dato che non incise molto sull'andamento musicale dei nostri, che mostravano la loro tostissima pasta grazie ad un sound rinnovato verso nuove progressioni musicali (basti ascoltare la costruzione della prova del vivo appena narrata). Non era minimamente semplice discostarsi dal sound di "Adrenaline", ricco di spunti crossover e di poca melodia incapsulata in si tanta voglia di uscire ma l'inesperienza soprattutto in quel caso giocò un brutto scherzo. Ma questo singolo (accompagnato da altri brani live estratti dal summenzionato esordio) ci fa ben capire il salto funambolico che il quartetto ha realizzato in un lasso di tempo cosi breve tanto da sorprendere persino il loro modo di lavorare che passò da un livello ad un altro. Cambiare senza mai perdere quella fiamma primordiale è una caratteristica cara a pochi gruppi, quelli che hanno la musica veramente nel cuore e per questo sanno manovrarla arricchendola sempre con nuovi e interessanti spunti. La materia su cui lavorare era stata totalmente stravolta, cosi come l'ampiezza e il raggio di pubblico che stava aumentando a dismisura. Se "Around The Fur" diventerà in tutto il mondo un esempio nel come suonare il metal alternativo, nel come saper giostrare differenti sound creando uno stile personale e difficilmente riproducibile, di sicuro lo dobbiamo a questo singolo, a questa caotica "My Own Summer" (Shove It)" che violentemente ha fatto comprendere alla critica di tutto il globo che i Deftones non avevano assolutamente tempo da perdere nel dimostrarsi il roccioso combo che poi diventeranno con eccellenti uscite discografiche.

1) My Own Summer (Shove It)
2) Lotion (Live)
3) Fireal - Sword (Live)
4) Bored (Live)
5) Root (Live)
6) Nosebleed (Live)
7) Lifter (Live)
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