DEFTONES

Hole in the Earth

2006 - Maverick Records

A CURA DI
GIANCARLO PACELLI
16/10/2018
TEMPO DI LETTURA:
7,5

Introduzione recensione

Nel periodo più difficile per tutto il mondo nu-metal (ma più generalmente del mondo dell'alternative) i Deftones tornarono in studio, con molti dubbi e poche certezze. Il successo dell'omonimo che siglò anche la fine della collaborazione con il produttore Terry Date, portò il clima abbastanza sereno ma questo sarebbe durato per poco. Chino Moreno & company iniziarono cosi il processo di costruzione del nuovo album che come il precedente richiese più tempo del previsto. Studi cambiati, incertezze sul come mettere in pratica le idee e un Chino Moreno sempre più impegnato nella promozione del debut discografico chiamato Team Sleep, side-project omonimo, in cui il frontman dava ancora più sfoggio delle capacità di unire miriadi di influenze, e Moreno da questo punto di vista, era cresciuto in una maniera pazzesca. La fama, derivante anche dalla conferma del lavoro di tre anni prima, rimase incontrastata cosi come la conferma nei migliori festival europei e mondiali ma iniziavano ad emerge piccoli fantasmi, ritenuti anche abbastanza normali dopo anni e anni di ascesa e conferme. Ma qualcosa andava storto al di sotto del luccichio dei palcoscenici e delle classifiche nelle chart, c'era un qualcosa ancora legato ai timori legati all'aspetto della produzione, e non mancavano dubbi poi sul come continuare il proprio percorso evolutivo in un genere ormai divorato dal tempo e dalle nuove tendenze che stavano rosicchiando a piccoli passi nel mondo del mainstream. A certificare questi problemi, che iniziarono a prendere forma a ridosso della pubblicazione, era anche il fattore vocale, con Moreno che in studio registrava la sua voce separata agli strumenti, con una produzione a parte. C'è da dire però che Deftones erano una band che aveva ben capito come sfruttare il proprio valore commerciale e al contempo non mancava la ferrea intenzione di continuare a rinnovare la propria volontà di dare vita ad un suono sempre fresco e innovativo in un genere non più immerso nel clima di alcuni anni prima. Shoegaze e dram-pop ma anche sferzate industrial con tocchi rap metal: il lavoro in costruzione comunque era corredato di tanti sfaccettati elementi che confermarono (come se ne fosse bisogno) la capacità della band di non perdere mai la propria vena artistica, la quale ha subito una parabola in crescendo lungo il corso degli anni. Tornando all'aspetto della produzione e del management, la band passò dal pioniere Terry Date (noto per essere il creatore del groove-sound dei texani Pantera) a ben due nuovi produttori discografici: Shaun Lopez (cantante dell'alternative metal band californiana Far) che si occupava della produzione delle parti vocali e Bob Ezrin (Pink Floyd, Alice Cooper, Lou Reed e tanti altri) che invece coordinava la parte generale dell'impianto produttivo. "Saturday Night Wrist" (Polso del sabato sera) iniziava cosi a prendere forma, c'era la necessità di far risalire la china ad un genere che aveva si dato tanto al mondo della musica un qualcosa di nuovo, ma che stava piano piano cadendo nello scontato e nel banale. Primo singolo del platter fu "Hole In The Earth" pubblicato ufficialmente il 16 Ottobre in quel funesto 2006, corredato come da rito da uno sfavillante video musicale.

Hole in the Earth

Un sereno intruglio chitarristico dà il via agli scorci iniziali del primo singolo promosso dalla nostra band, e come da copione, corredato da un video ufficiale. "Hole In the Earth" (Foro sulla Terra) già ci permette di addentrarci nel corpo lirico in una maniera più facile del previsto, dato il titolo cosi diretto ed efficace. Amarezza, un cuore in frammenti che nonostante tutto deve trovare una via per provvedere il suo cammino, ma non sono i pochi problemi di adattamento data la situazione non effettivamente facile. La melodia agli inizi ricopre delicatamente ogni nota, le quali sono dolci carezze che non possono non creare un giusto carico emotivo. Break abbastanza rumorosi e pesanti si susseguono rendendosi ancora più influenti nella loro capacità di alternarsi con le parti pulite, dominate dalla predominanza vocale di Moreno: è proprio il nostro frontman il vero protagonista data la sua spiccata dote di sfoderare vocalizzi accattivanti e pungenti, ma al contempo emotivi e trascinanti. Emotività che è accompagnata dignitosamente e grintosamente dall'ascia a corde di Stephen Carpenter, la quale nella sua brillantezza esecutiva (nonostante un quadro produttivo non certamente perfetto) non distoglie il nostro udito nei confronti della tonalità attrattiva di Chino, le quali ammaestrano con determinazione diverse diramazioni alternative come shoegaze, dream pop e post rock (soprattutto quest'ultima frangia stilistica si fa sentire, se teniamo in mente sempre i Team Sleep, progetto che ha influito e non poco per la stesura dei brano di "Saturday Night Wrist").  A completare il quadro degli strumentisti è Abe Cunnigham, il quale non solo propone il meglio del suo repertorio grazie a coloriti passaggi, precisi e impeccabili, ma riesce a stare dietro ai numerosi cambi di atmosfera e di conseguenza di ritmo, che hanno nella variazione vocale di Moreno il culmine essenziale. Il quadro sonoro non è possibile definirlo in un solo parametro, e qua sta la forza del quartetto: riuscire a sbilanciare a limiti estremi la propria sensibilità e il proprio estro in modo da dare sempre un appeal diverso al proprio iter strumentale. "Hole in the heart", grazie alla predominanza di un guitar working più morbido nella seconda parte, meno tagliente del solito, procede nella maniera giusta verso un binario teso a premere sulla medesima condizione atmosferica. Ma ad un tratto, ecco il colpo di scena: un cambio improvviso di tempo, iniziato da un colpo di drumming "pesante", smorza tutto il resto, e in questo marasma di note, Chino non poteva non sfruttare al massimo le sue arcigne e mai monocordi corde vocali, lanciandosi in un urlo essenziale e pesante il quale introduce successivamente un calo di ritmo che permette a questa "Hole In The Earth" di diventare un singolo che lasciava ben sperare.

Hexagram (Live)

Oltre al singolo, sono presenti due irruenti esibizioni dal vivo "Hexagram" (Esagramma, che ci accingiamo a narrare) e "My Own Summer (Shove It)". La prima di queste, "Hexagram", è l'unica traccia estratta dall'omonimo del 2003, e come ben sappiamo nasconde un cuore pulsante e grintosa, è in se per se quasi unica nello spettacolo dal vivo nel semplice irrompere tra la folla, con molta forza e compattezza. Chino, prima di dare il via all'esibizione, scambia due battute con il pubblico, e quest'ultimo tende a sua volta a rispondere alle chiacchiere del frontman: questo serve a mostrare ancora il forte attaccamento che la band cela con ogni fans, vero è che non tocchiamo ancora il clima complicato di "Saturday Night Wrist", ma questi pochi minuti tra pubblico e band marchiano a fuoco la forte intesa di entrambe le parti. Dicevamo e trattavamo all'inizio della forza organica e trascinante di "Hexagram"? Ebbene si, il tono delle chitarre subito cavalca un grado alto di corrosività, ambiente perfetto per gli scream letali di Moreno, che prima si pongono sul medesimo asse degli strumenti, ma poi diventano ancora più frizzanti con i brevi e concisi break strumentali della traccia che vengono ripetuti in varie parti del brano. Le vocals del cantante tendono verso l'audience con una grinta incalcolabile scaldando gli animi, e la parte più ritmata (quasi rappata in linee sobrie) interagisce in una maniera esemplare con la sede della prova dal vivo, accendendo il tutto in una miccia esplosiva. Basso e batteria viaggiano secondo i minimi colpi, riuscendo a coprire e a tratti limare alcune difficoltà di Moreno di replicare la capacità organolettica di ricostruire le parti in studio: il performer riesce nel costruire vocalizzi grezzi ma anche raffinati, soprattutto quando raffiorano in sezioni vocali totalmente "sospirate" e in clean che, amalgamandosi con il resto dell'atmosferica e letale sezione ritmica creano il connubio "deftonesiano" che noi tutti ben conosciamo. Ma tutto questo però non prima della catarsi strumentale che l'ottimo Carpenter padroneggia con assoluto estro chitarristico nell'utilizzo dei propri mezzi, non tralasciando le componenti più importanti. Brevi breakdown, urli e compostezza vocale, accelerazioni improvvise, rallentamenti repentini e cambi di ritmo: tutto questo è "Hexagram", e i nostri come sempre si dimostrano dei veri e propri mastini quando si tratta di dare sfogo alle proprie emozioni nelle esibizioni dal vivo. L'applauso finale, che raccoglie anche la battuta finale della nostra traccia ("And the crowd goes wild" / E la folla va in delirio), suggella questa ottima prova.

My Own Summer (Shove It) (Live)

Passata in rassegna dettagliatamente "Hexagram", proseguiamo con l'ultima traccia proposta dal vivo, ossia "My Own Summer (Shove It)" (La mia estate). Cosi come "Hexagram", la quale era circodata da un clima funambolico e spumoso, anche il primo singolo di "Around The Fur" non intende minimamente calare dal punto di vista dell'intensità sonora, e una volta calibrati gli strumenti, alcuni tocchi di Cunnigham permettono l'incastonarsi di vari puzzle del mosaico, che danno sfogo a tutta la potenza di questa track, egregio manifesto sonoro dei californiani. Abe Cunnigham picchia il pellame a dovere, permettendo il subentro del classico rifferrama di Carpenter, ponte ideale per le vocals leggerissime e sfumate verso lidi dark di Moreno, le quali non smettono di creare atmosfera nei momenti in cui sia il basso di Chi Cheng che la lead di Stephen Carpenter colorano con ancor più forza l'impianto sonoro. Proprio quest'ultimo esplode (grazie anche alla voce in background di Chi Cheng), con al contempo l'accompagnamento attraverso gli applausi calorosi dei supporters, con il bollente e rimato chorus in cui le corde vocali del nostro raggiungono l'apice che una voce in scream può toccare. Una volta conclusasi il ritornello, in cui viene ripetuto grintosamente quel "Shove It (Spingilo), il brano traccia una situazione sonora dove il basso prende le redini della performance, risultando ben innestato nel sound soprattutto quando le sue corde pizzicate vanno in simbiosi perfetta con il riffing tremolante di Carpenter, colui che giostra il sound dei nostri ammassando il terreno ideale per le urlate liriche di Moreno. Proprio il nostro pone una performance con i fiocchi, soprattutto quando la sezione ritmica, prima della conclusione finale del brano, scema di volume, e questo non può non valorizzare il livello generale dell'impalcatura vocale di Chino. Il finale è pieno di riverbero, dissonanze distruttive in cui la voce di Chi e quella di Chino si sommano per creare una ferrea distruzione, e questo riesce fomentare la massa di supporters presenti in questa infuocata esibizione dal vivo.

Conclusioni

"Saturday Night Wrist" certificò il periodo più complicato della band di Chino Moreno durante il pieno della loro complessa carriera. Dopo l'ascolto di questo primo singolo, una pecca essenziale era udibile: la produzione. Difatti già dall'ascolto di questa, "Hole In The Earth", si notano problemi per quanto riguarda l'impianto sonoro e di conseguenza, l'assetto di ogni singolo strumento non è perfettamente calibrato, un piccolo punto a sfavore che lungo tutto l'ascolto di "Saturday..", andrà a minare un sacco la resa finale, la quale, nonostante tutto, mostrerà caratteristiche ben precise che avranno la speciale peculiarità di non far pesare troppo questo intoppo costruendo una serie di brani in fine buoni ma non eccessivamente eccezionali come negli ultimi tre lavori. Questo disco era l'ennesimo modo di interpretare la sfaccettata musica dei Deftones, un camaleonte in piena regola sempre arcigno nel cambiare forma e sorprendere sempre di più gli stessi fans che erano certi di non trovarsi di fronte sempre lo stesso minestrone, anzi erano più che convinti sul valore intrinseco dei nostri. Soffermandoci sul singolo di cui abbiamo estratto ogni secondo, non ci pare cosi oscura la capacità di ogni singolo strumentista di fare la sua figura, e Moreno, nonostante avesse registrato a parte le sue parti vocali separandole dalla costruzione del sound, risulta vocalmente sempre incisivo e maniacale nello gestire le varie e differenti emozioni che la musica dei Deftones ci spiattella. Ma si sentono alcune difficoltà, soprattutto nell'incidere degli strumenti che nel bene o nel male costruiscono, in questa "Hole In The Earth", ottime e quadrate atmosfere che prefiguravono un'ennesima prova di qualità, in cui i classici elementi della band venivano fuori con la solita magistrale musicalità: le idee c'erano, eccome se c'erano, ma erano state piantate in un terreno forse troppo aspro e reso secco da una siccità che non dipendeva ovviamente dalla band. Forse i fan già da questo singolo si aspettavano senza alcun dubbio qualcosa di più, e infatti "Saturday Night Wrist", suscita ancora differenti opinioni riguardanti la qualità effettiva del lavoro. Il clima era pesante rispetto agli anni precedenti, e a questo si aggiungerà la putroppo tristissima vicenda dell'incidente (poi divenuto ahinoi mortale) del bassista e co-fondatore della combriccola Chi Cheng che lascerà un vuoto incolmabile nel cuore di ogni singolo membro da tantissimi punti di vista: da quello musicale fino a quello umano.

1) Hole in the Earth
2) Hexagram (Live)
3) My Own Summer (Shove It) (Live)
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