DEFTONES
Deftones
2003 - Maverick Records

GIANCARLO PACELLI
20/10/2017











Introduzione Recensione
Marzo 2003, i Deftones dopo tre anni di silenzio tornano in studio. Potremo semplicemente iniziare a parlare della nuova uscita dei quattro appassionati di skateboard in questo modo, senza dar troppo peso alle parole... se non fosse che, dietro questa semplice frase, si nascondesse un percorso complicato cominciato tre anni prima. Diciamolo subito, comporre un disco all'altezza dei due precedenti ("Around The Fur" del 1997 e "White Pony" del 2000) era un'impresa titanica: nella storia della musica, in ogni genere, è aspramente più che arduo ripetersi sempre, continuamente, pubblicando grandi / notevoli gemme discografiche; i Deftones, con il loro nuovo disco, ovviamente non volevano di certo cambiare la storia. Ma fa sempre bene ricordare, per dovere di cronaca, quello che quei quattro ragazzotti hanno attuato... ossia, una piccola ma decisiva rivoluzione negli ambienti alternativi di fine secolo, e questo non è da tutti. Nella frescura primaverile del 2003 ormai la loro impronta, la loro attitudine, era una certezza assoluta. Dal talento vocale di Chino fino all'abilità nel maneggiare la sei corde da parte di Carpenter, i nostri si erano assicurati una enorme, una gigantesca schiera di fan accaniti, che avrebbero perdonato anche un disco composto ed arrangiato male. Tutto questo per un semplice motivo, la fiducia accumulata dopo anni ed anni di grandi dischi e performance live. Il loro talento era stato tanto incisivo da spodestare i gusti di chi aveva sempre tirato frecce amare contro questo genere denominato nu-metal. Di nu metal, però, i nostri quattro arcieri di Sacramento (California) hanno sempre veramente dimostrato ben poco, dato che il loro gusto sperimentale unito ad una voglia irrefrenabile di sorprendere rendeva il loro genere in costante evoluzione, rapido e veloce come la più agile gazzella delle steppe africane. Un altro punto decisamente fondamentale era la coesione di gruppo venutasi a creatare nell'arco degli ultimi anni di intensa attività: quante band conosciamo che per cause a volte ridicole si sono disintegrate? Non certo il caso dei Nostri, dato sì che per i Deftones questo non è mai accaduto, anzi: la loro coerenza di fondo nel percorrere il loro percorso creativo era viva nel 1995 come era ben lucida nel 2003. Potremo anche delineare forse una sorta di sicurezza di fondo da parte dei nostri già dal fatto di intitolare il loro nuovo platter semplicemente "Deftones", quasi da dire spudoratamente "noi siamo forti e crediamo in noi stessi": questo è un indizio di sicurezza esecutiva o di un'amara strafottenza? A questa domanda è realmente tortuoso rispondere dato che ascoltando e assaporando ogni pezzo con un orecchio ovviamente attento, ne risulta un album meno accessibile rispetto agli altri tre. C'è da dire però che il nostro platter in principio non si doveva nominarein tal modo: difatti, a detta del nostro frontman Chino, questo omonimo inizialmente doveva essere battezzato col nome di "Lovers", un disco d'amore, dalle sembianze leggere e ambasciatore del sentimento più fresco ed innocente. Nel turbinio del sound si passa con estrema agilità da ballate strappa lacrima a lidi compositivi più heavy con tracce più abrasive e corrosive. Gli stessi testi, meno ispirati rispetto agli altri due precedenti, riescono a trasmettere una pacifica simmetria musicale perfettamente armonizzata sebbene siano orchestrati con una fonte ispiratrice ben differente, certo tenendo sempre come metro di paragone gli ultimi due lavori precedenti a questo. Forse, questa "leggerezza" che fuoriesce in una maniera quasi eclatante fu intesa, pochi mesi dopo l'uscita del disco, come indice di non curanza negli aspetti che hanno portato alla finalizzazione testuale; ma è ovviamente erroneo affermare che questa sorta di semplicità pervada proprio tutto il platter. Di pezzi-capolavoro ce ne sono e questi bastano per proclamare questo enigmatico "Deftones" un disco dignitoso, riuscito con spunti di ottimo livello. Tuttavia, questo non bastò ai californiani per ovviare alcuni problemi sorti esattamente nel bel mezzo della lavorazione al loro omonimo quarto disco. "Deftones" è stato infatti l'ultimo disco prodotto dal pigmalione Terry Date, il quale decise di abbandonare la band subito dopo l'uscita di questo lavoro; per un motivo non certo gravissimo, anche se in larga parte condivisibile. Il produttore, di fatti, accusò la band di aver procrastinato eccessivamente, mantenendo ritmi di lavoro assai lenti e decisamente noncuranti dei tempi stabiliti e concordati. Oltre alla lentezza del lavoro in studio, Date sottolineò la fretta e la furia con le quali larga parte del materiale venne composto, non avendo il gruppo nulla di veramente "pronto", alla sua entrata in studio. Sebbene dunque il disco in sé possa tranquillamente essere valutato positivamente, reca in esso alcuni piccoli nei, macchie purtroppo indelebili capaci all'epoca di segnarlo indelebilmente. Certo, l'abbandono del produttore storico non è un avvenimento per il quale festeggiare... ma non sarebbe nemmeno giusto, in virtù di questo aneddoto, gettare "Deftones" nel baratro a prescindere. Augurandovi buona lettura vi consiglio di armarvi di tanta la curiosità, necessaria per analizzare traccia per traccia questa nuova interessante proposta. Ne varrà la pena, garantito!

Hexagram
Partiamo senza fronzoli, immergendoci in questo nostro nuovo disco, dalla traccia che apre le danze: "Hexagram". Il significato del titolo stesso, come già i Nostri ci hanno abituato, nasconde gran parte del significato del brano stesso. L'intro apparentemente dolce, disegnato dalla sette corde (novità assoluta in "Deftones") si trasforma toccando atmosfere più sulfuree in cui si innestano Chino e la sua abilità unica nello sfondare le porte della percezione sonora. L'"Hexagram", che si può tradurre come esagramma, è un poligono stellato a sei punti, concepito come unione di due triangoli equilateri. L'intersezione che si va di consegiuenza a costruire consiste in un esagono regolare, usato storicamente in contesti culturali e religiosi, in particolare nella cultura ebraica esso viene simbolicamente associato con la Stella di Davide. Esattamente da questa piccola dissertazione si può intuire un po' il binario in cui si inquadra la nostra "Hexagram": parla di guerra, e in particolare di un conflitto, quello israelo-palestinese, tutt'oggi molto vicino anche a noi cittadini del ventesimo secolo. Quante volte nei nostri telegiornali abbiamo visto il sangue traboccare e bombe esplodere in quelle terre che in fondo cercano quella pace che gli è statanegata, in una maniera cosi ingiusta da farci dimenticare che siamo solo degli esseri umani? Il sound, che la nostra ciurmaglia ha attentamente architettato in fase di songwriting, cerca di farci riportare in mente sì le scene terrificanti della guerra; in un altro senso, però, vuol anche provare a farci capire quanto la vita, che sia bianca o nera, indipendentemente dal credo politico/religioso, abbia lo stesso identico valore. Potremo brutalmente definire questo pezzo un autentico inno alla vita nonostante sia colorato da venature di rosso sangue. In effetti, l'intento reale di Chino era costruire una song dall'alto valore comunicativo, in fondo potremo dire che è riuscito in questo. Il riff di base, che colora tutta la struttura ritmica, ha la straordinaria capacità di intercalarsi sia tra toni decadenti veramente insoliti che tra un verso di rabbia di fondo, grazie anche all'abilità del nostro Carpenter alla sette corde, coadiuvato dallo lo stesso Chino, che con una semplicità estrema cambia registro tonale in pochissimi secondi. A differenza dei pezzi degli album precedenti la nostra voce utilizza di più lo scream, che rasenta la follia proprio perché è tirato al massimo. Tuttavia non mancano momenti di assoluta melodia dove sia la furia canora che il pathos chitarristico si sciolgono, accogliendo un sound verisimilmente più leggero. "Hexagram", alla fin fine è un pezzo che sicuramente ha bisogno di un minimo di attenzione uditiva nell'ascolto, ma nonostante ciò non tocca livelli di "perfezione", senza dubbio lo potremo definire come un ottimo biglietto da visita che invoglia noi ascoltatori nel proseguire il nostro percorso musicale.

Needles And Pins
I pezzi insoliti e apparentemente indecifrabili non mancheranno mai, nella carrozza comunicativa dei Nostri. Consci di questa regola non scritta possiamo benissimo capire come la prossima traccia, "Needles And Pins" (Aghi e spilli), faccia parte di questo caldo pentolone. Il tema che nella maniera più assoluta non può mancare è ovviamente la preziosità del sentimento amoroso: Amore, che in questa track si può definire perfetto, una vera e propria lunga missione sentimentale poiché i due protagonisti presentano entrambi una ferrea personalità, decisa e sfrontata. Due persone che sicuramente potrebbero essere perfettamente compatibili dal punto di vista della loro relazione, a livello personale. Due persone che sono "potenti", con potente intendiamo soggetti che si sono sviluppati su molti livelli e proprio per questo sono intelligenti, abbastanza forti da resistere a loro stessi. "Here we are - You're pins - I'm needles - Let's play... /Here we are - You want this?/Then come on... " ("Eccoci - tu sei gli aghi - io sono gli spilli - giochiamo /Qui siamo - vuoi questo? - Allora andiamo ... "), un verso in grado di riassume perfettamente il clima di convivialità. Un amore che quindi sfiora quella soglia di perfezione che pochi eletti possono permettersi di sfiorare. Un sentimento che nonostante sia cosi forte e compatto dovrà sempre affrontare situazioni complicate, con la consapevolezza che queste non rimarranno scogli inaffrontabili; anzi con la forza di volontà di entrambi si può superare tutto, gli amanti lo sanno bene. Il pezzo è strumentalmente definibile come alternative nel senso stretto del termine, poiché presenta naturalmente tutti quei requisiti necessari affinché rientri in questa sfera: ecco un'altra magistrale differenze con altri due platter precedenti, in "Deftones" non ci aspettiamo nulla di sperimentale alla fin fine, siamo sicuri della direzione in cui i pezzi camminano musicalmente. Questo non è definibile come un aspetto negativo, anzi significa che i nostri hanno raggiunto una sorta di equilibrio sonoro e cercano di percorrere la loro strada con una salda tranquillità. "Nedless and Pins" viene iniziata dalle mani funeste di Cunnigham, che come sempre riescono saldamente nel loro intento di costruire il materasso su cui successivamente l'intero comparto tecnico si andrà ad appoggiare: il basso è leggermente messo più in evidenza rispetto a "Hexagram"e con lui l'altro strumento fondamentale, la voce di Chino. Quest'ultima riesce sempre e comunque ad inserirsi tra ogni nota sparata a mille dal buon Carpenter e dalla sua nuova sette corde: tutta la sezione ritmica esplode nel chorus dove la voce raggiunge una soglia elevata di intensità. Gli ultimi battiti della nostra traccia sono dominati da effusioni rappate miste ad urla dissonanti, accompagnate dal ritmo forsennato di Carpenter, il solito furbo architetto del sound dei Nostri.

Minerva
La forza della Musica (parola scritta volontariamente con la lettera maiuscola) non ha eguali, quelle sei semplici lettere nascondono una delle più grandi arti che la mente umana abbia mai concepito. Possiamo definirla come quel turbinio interiore che implode dentro di noi tanto da cambiarci e allo stesso tempo indicarci la via giusta. Pezzi dedicati alla musica, nella definizione più ampia possibile, sono rari, diciamolo: e da qui possiamo capire il motivo per cui la terza traccia di "Deftones", "Minerva" ebbe un riscontro veramente notevole dopo la release di questo disco. Per tale motivo, il pezzo in questione è subito diventato uno dei più grandi successi di questi Deftones, decisi in questa occasione a tributare la musa per eccellenza, ponendosi nei suoi riguardi col piglio del grande celebrante e con l'umiltà del servo dedito e devoto. Un connubio di sentimenti e sensazioni che ben si sposano con il tutto e rendono il brano davvero avvincente, particolarissimo. Questa magia di fondo, che caratterizza l'intero brano, sembra volteggiare nell'aria un po' soffusa un po' psichedelica tipica della track, persa in questo anfratto a tratti onirico e sognante, decisamente non scontato e nemmeno banale. Per cominciare alla grande questo vero e proprio inno alla bellezza della musica, non potevamo non aspettarci un intro seducente e accattivante che già ci fa capire la caratura in cui si inquadra il tutto. Una volta che abbiamo accelerato i motori con l'intervento della solita sofficità e tenerezza vocale di Chino, non vediamo l'ora di raggiungere il bellissimo chorus dove il nocciolo testuale di tutta la traccia fuoriesce all'istante: "God bless youall for the song you saved us", verso esclamato con tanta armonia dal nostro frontman, racchiude l'intento esplicativo, ossia una sorta di ringraziamento a coloro che con tanta gioia coltivano questa grande passione artistica, in grado di trasmettere messaggi forti, di rendersi veicolo d'emozioni d'ogni sorta, narrando ogni volta storie diverse e differenti, tutte capaci di toccarci in qualche modo l'anima. Non abbiamo cambi di tempo che danno brio al pezzo, anzi il clima è piuttosto monocorde, con tutti gli strumenti calibrati all'unisono a differenza di Chino, che si muove all'impazzata grazie alle sue ferree corde vocali. "Minerva" è in sé per sé la traccia migliore dell'album, non straordinaria ma d'impatto, lo stesso impatto emotivo che la nostra musica provoca sulle nostre coscienze. Un brano capace di trasportarci in una dimensione lontana dalla nostra concezione di "spazio / tempo", in grado di farci viaggiare pur rimanendo seduti. Perdiamoci in queste atmosfere e compiamo dunque questo splendido cammino, in compagnia dei Deftones e della loro voglia di celebrare quell'arte che ha donato loro la possibilità di farsi conoscere, di diffondere i loro messaggi, di sentirsi realizzati come persone. Un sogno, la musica, senza fine.

Good Morning Beautiful
Abbiamo già detto in precedenza, che il nostro disco inizialmente avrebbe dovuto chiamarsi "Lovers", quindi pare ovvio l'aspettarsi di incontrare in maniera decisamente frequente il tema dell'amore, inteso sia nella sfera più delicata sia che nella sua accezione più tragica. Un tema che dominerà in gran parte dell'area concettuale delle nostre track, in un modo o nell'altro. Quando ci sentiamo traditi non percepiamo più i colori di una volta, il buio domina completamente le nostre sensazioni, ci sentiamo sfiniti anche se siamo pieni di energia. Questo ciclo emotivo sembra essere tangibile in questa nuova traccia, la quarta traccia di questo omonimo, "Good Morning Beautiful" (Buongiorno, bellissima). Forse era lecito aspettarci un indirizzo comunicativo del genere, ma immaginarlo con tale portata era sostanzialmente complicato. Fuoriesce malinconia, tanta malinconia sembra pervadere l'aria, quasi ossessivamente: l'intro della sette corde spezza questo buio condensato appena accennato, concedendoci un ottimo inizio su cui poi si innesteranno sia le linee di basso dell'indimenticabile Chi Cheng che il groove tentacolare di Cunnigham. Facile comprendere sin dai primi tocchi come il brano trasudi molta sofferenza dalle sue note: parla di Chino e della sua sofferenza, dovuta alla perdita di un amore a cui teneva tanto. Tutto è percettibile dalle effusioni e dagli innalzamenti improvvisi che la sua voce riesce ad attuare. Forse l'unica costante che è praticamente rimasta la stessa è il talento del nostro, sempre astuto e capace nel gestire i suoi vocalizzi sempre al massimo. Tra un riff aggressivo e un altro, avvertiamo un clima che si fa nebbiosamente progressivo e il tutto rasenta quasi l'inusualità, poiché questo brano risulta comunque lontano dai canoni primitivi della band, pur strizzando l'occhio alla voglia di "virare" un po'. In ogni "You/Should wake up (Wake up)" ("Tu/dovresti alzarti, alzarti") notiamo rabbia mista a sofferenza, che prosegue in un unico canale comunicativo. Verso la fine del primo minuto, la voce si fa ancora più martellante e ossessiva fino a che il chorus ritorna aggressivamente, sbaragliando il tutto. I tre minuti abbondanti della nostra quarta faccia si concludono tra varie sferzate sia vocali che chitarristiche. Il livello del pezzo è buono, con ottimi spunti da parte dei Nostri quattro nonostante non raggiungiamo un sound che ci porti a sopraelevarlo o considerarlo un pezzo straordinario.

Deathblow
Come abbiamo accennato pocanzi, i pezzi presenti nel nostro corposo platter variano da un estremo ad un altro raccogliendo l'eredita dei precedenti due capolavori, generalmente attuando un po' tutto quel processo di maturazione attuato in quei pochi anni di sperimentazione e fervore creativo. Quindi, non sorprendiamoci se in alcune track possiamo riscontrare effettivamente alcune linee di passaggio che sanno di già "sentito", fa parte del gioco di sound in cui i Deftones hanno prestato la loro fede di compositori. Siamo giunti quasi a metà percorso e i nostri padiglioni auricolari si stanno preparando ad assaporare la nostra quinta traccia, "Deathblow" (Soffio di morte). Il brano già citato crea un solco di amarezza e insoddisfazione poiché dietro i vocalizzi di natura triste di Chino e i riff a tratti pesanti e a tratti squisiti, si nascondono note contrassegnate da una solida e indugia rassegnazione. Anzi c'è da dire che la nostra "Soffio di morte", costruita con un intro iniziale che definire amareggiato è poco, non ha tante pretese, ti spiattella addosso tanta emozione che per quanto possa essere negativa ti fa ragionare: questa è una caratteristica dei nostri che non è mai mutata, la loro vena onirica e sentimentale viene fuori in men che non si dica, anche con accenni di poco conto. L'intro, di cui abbiamo accennato pocanzi, ci getta con una positiva "malignità" in un vortice che nei cinque minuti abbondanti non smette di scaricare la sua rabbia mirata. Poiché la rabbia è sempre onnipresente in fondo, soprattutto se il testo parla di amore nel senso più decadente e tragico, e con tali presupposti la chitarra (la vera ascia da guerra nel sound dei californiani) non poteva non avere il suo impatto: il solito riffing perpetuo e massiccio non cenna a decadere nell'arco dei minuti della traccia. Il basso, a differenza dell'altro strumento portante a sette corde, nonostante ci sia non è decisivo, anzi la sua presenza è difficilmente percettibile. C'è da dire però che si contano sulle dita di una mano i brani in cui Chi Cheng e la sua arma si fanno percepire elettricamente. Verso l'inizio del quarto minuto nell'amalgama del contorto sound, incontriamo un furbo gioco di corde leggermente più ossessivo, e da questo ne consegue un Carpenter più aggressivo, che inaugura la seconda parte dove assistiamo egregiamente ad una netta differenza per quando riguarda la sezione ritmica. Chino e suoi vocalizzi si fanno più suadenti, la carica emotiva si affloscia nell'arco di pochi secondi e rimaniamo abbastanza sorpresi per il gusto scelto da nostri, sempre adeguato e preciso. "Deathblow" si conclude con tanto dolore, velato però da un briciolo di speranza, speranza cristallizzata da un materiale prezioso, che nella nostra vita non deve assolutamente mai mancare.

When Girls telephone boys
"Something's wrong with you and I hope we never do meet again"("C'è qualcosa di sbagliato in te, spero di non incontrarti mai più"). Da questa semplice proposizione ci rendiamo conto del solco lirico della prossima tappa musicale, una song che si può definire sarcasticamente "amara". "When Girls telephone boys" (Quando le ragazze chiamano i ragazzi) è definibile come un bell'esempio di quello che succede quando si desidera essere innamorati della persona sbagliata. Dopo troppi fallimenti, vuoi che la persona scivoli via dalla tua vita, silenziosamente o rumorosamente, non importa. Quando ritorni ad essere te stesso senza questa persona non ti interessa più di nulla, percepisci leggerezza e libertà, sei salvo da una schiavitù non certo fisica ma comunque mentale... e paradossalmente, nella tipica moda umana, vorresti comunque che lei ritornasse nella tua vita, in un impeto di strano masochismo. Trovi comunque la forza per non cadere in un maledetto tunnel, non un'altra volta: dici di no e lo urli imperiosamente, perché sei cresciuto nel bene ed hai capito la lezione. Dagli errori si impara, gli errori metabolizzati permettono di voltare pagina e di incominciare un nuovo capitolo. Il brano non poteva non iniziare, in virtù di questo, con parole soffuse e inclassificabili, al limite dell'affanno, fino a che un Chino indemoniato scatena la sua ira e, tra uno screaming e l'altro, si può facilmente percepire il groove di batteria sempre magistrale del nostro Cunnigham. Ma l'atmosfera piatta dei primi secondi è sontuosamente stoppata da un riffing talmente massiccio da sconvolgere l'intera struttura del brano: Chino riprende da dove aveva terminato, cioè continuando a scatarrare urla corpose, particolarissime. La traccia si fa più affannata con un crescendo allucinante, fatto di accelerazioni improvvise che ci traslano nella riga più enigmatica del testo: "But don'tspeak, don't say nothing/In case we ever should meet again/There are some things wrong with you" ("Ma non parlare, non dire niente/Nel caso in cui dovessimo incontrarci di nuovo/Ci sono alcune cose che non vanno, in te"); come i nostri due amanti litigano aspramente, anche il comparto tecnico, dominato dalla sette corde di Carpenter e dai vocalizzi di Chino, sembra opporsi creando una miccia esplosiva pronta a provocare seri danni. Ma tutta questa miscela di vocalizzi misti a schitarrate chirurgiche vengono interrotti dall'introduzione di un mid tempo sinuosamente definito eppure completamente inaspettato: in questo momento vi è una parentesi fatta da dieci secondi abbondanti che calmano l'atmosfera irrequieta creatasi. Tutto ciò è solo illusione, poiché la struttura, sebbene rallentata, ritorna prepotentemente a scaldarsi. Crudeltà, ansietà e ira, che segnano il nostro pezzo, continuano imperterriti verso i secondi finali di una delle tracce più sottovalutate di questo omonimo. Un grandissimo pezzo.

Battle Axe
Una battaglia "interiore", è quel momento in cui ci siamo solo noi in uno spazio vuoto, quando il nostro animo come uno specchio riflette se stesso, tralasciando tutta una gamma di preconcetti e di fandonie; ci siamo solo noi, noi contro la nostra coscienza, noi contro la nostra anima, contro il nostro cuore, i nostri pensieri... quel che in definitiva siamo, proiettato proprio dinnanzi al nostro sguardo. Una battaglia difficilissima di cui non sempre conosciamo i dettagli più importanti, perché sono registrati solo nella mente di chi lotta. Nessun altro può intromettersi, ogni più recondito ed oscuro anfratto della nostra esistenza viene snocciolato dalla nostra proiezione proprio in nostra presenza, poiché siamo gli unici a poter veramente capire cosa stia effettivamente succedendo. Neanche chi con noi condivide vita e sangue potrebbe capire. Gli unici a poterlo fare sono i combattenti interessati: noi, e la nostra esistenza. Quando questa lotta però deriva da un disastro sentimentale, allora i concetti espressi pocanzi vengono centuplicati. La scena è questa, la relazione tra i due soggetti presi in considerazione è al collasso, soprattutto quando uno dei due cerca di cambiare il carattere dell'altro, fallendo miseramente: "And if you don't believe I think you should" ("E se non credi, dovresti farlo"), tale concetto espresso in questo frangente delinea senza dubbio un paradigma, una regola che in amore non dovrebbe mai cadere poiché è lecito rimanere sempre fedeli a se stessi, a prescindere da tutti i casi, la fedeltà è fondamentale in tutto. In questa storia però tutto ciò viene tradito, per mancanza di fiducia ed incapacità di accettare ciò che veramente l'altro è. Le note della nostra "Battle Axe" (Ascia di guerra) sobbalzano da emisferi eterei, come l'intro iniziale, tralasciando l'aggressività: un pezzo che trasuda solo leggerezza. Appena intervengono le pelli solo accennate di Cunnigham, che mai come ora abbracceranno le stesse tonalità nell'arco dei cinque minuti, siamo sicuri di entrare nel pieno delle atmosfere "deftonsiane", che ci si aggrovigliano addosso senza mai staccarsi. Il lavoro di basso è poco accennato ma rispetto ad altre tracce le corde di Chi Cheng vibrano e non ci deludono, mentre l'altro arciere della sette corde Stephen Carpenter si sente sì, ma molto poco rispetto ad altri lavori contenuti in questo platter. C'è da dire che "Battle Axe" nella sua totale assenza di violenza "musicale" non aveva bisogno di riff calibrati al metronomo, secondo i Nostri era giusto dare predominanza all'aspetto vocale sempre magistrale di Chino. Questa battaglia termina anonimamente, lasciandoci un grosso punto interrogativo.

Lucky You
"Lucky You" (Fortunato) è la traccia di cui non ci aspettavamo la presenza, quel brano che letteralmente spunta fuori dal nulla come un temporale estivo, quel pezzo che ti viene mostrato così all'improvviso. Insomma, la sorpresa definitiva, talmente spiazzante ed in grado di sorprendere tanto da non farci rendere subito conto del fatto che quel che stia accadendo sia vero o no. Non v'è trucco od inganno, in questo caso. Siamo decisamente dinnanzi ad un qualcosa di vero e tangibile, posso assicurarlo! Diversi gruppi riescono a sorprendere in questo modo, avremmo potuto tranquillamente aspettarci un qualcosa più in linea con determinati concetti già espressi... ed invece i nostri ci hanno confezionato un ottimo esempio di utilizzo del sound elettronico, che risulta sempre non facile da proporre nel mondo di divoratori di metallo. In "Lucky you" notiamo ad orecchio una netta predominanza dell'addetto ai piatti Frank Delgado e una mancanza necessaria della chitarra e del basso: se vogliamo essere precisi, possiamo inquadrarlo come un continuum logico di "Teenager". Se ricordiamo infatti, in quella traccia di "White Pony" avevamo assistito ad un filo continuo di matrice elettronica dove faticosamente si aggrappavano le vocals di Chino: bene, qui il discorso da imbastirsi potrebbe essere lo stesso, dato che proviamo quasi le stesse sensazioni uditive ed emozionali. L'apparente semplicità che si intercetta seguendo una scia logica è però messa da parte quando si scova meglio lo scorcio lirico celato dietro l'elettronica di questa "Lucky you", che si aggancia come al solito alle esperienze vissute in prima persona di Chino: egli ha bisogno di qualcuno con cui può parlare adesso, subito, avendo un bisogno matto di sfogarsi e di tirar fuori tutto ciò che ha dentro. Un amico sincero, la possibilità di venire accolto fra le braccia forti e salde dell'empatia, della comprensione, del calore tipico della vera amicizia... e per tale motivo vuole sapere se qualcuno ha intenzione di aiutarlo, se ci sia qualche anima buona disposta a sorreggerlo in momenti così delicati. Un tema dunque importante, particolarmente intenso e molto, molto delicato. Da questo si capisce il suono effettato e deliziosamente malinconico, completamente differente rispetto al resto del disco. È il pezzo che ha ricevuto meno clamore e una ridottissima risonanza, tant'è che è tutt'ora veramente messo da parte. Certo il pezzo è strutturalmente "spompato", ma nonostante ciò tale idea musicale posta alla sua base risulta tranquillamente accettabile, se ci concentriamo sull'aspetto atmosferico, quello più fortemente pronunciato.

Bloody Carp
Un intro colorato di rosso, collezionato dalle mani esperte di Carpenter, ci permettere di entrare rapidamente nel mood deftonesiano del nostro nuovo brano: tale intruglio sonoro si dimostra talmente ossessivo e penetrante da farci immergere delicatamente nel pieno della cover artistica collezionata dai nostri, adoperata come artwork del loro omonimo rilascio. Un teschio dal ghigno sofferente, posto dinnanzi ad un letto di rose. Un'espressione allucinata e particolare, la morte mescolata alla bellezza di un fiore che nasce. Ossimoro simbolico, in quanto dalla morte potrebbe comunque scaturire nuova vita (ed anche viceversa...); prendiamo i casi sino ad ora affrontati: la rottura di un rapporto simboleggia senza dubbio il trapasso, mentre la consapevolezza di dover e voler andare avanti, lo sfogarsi, ci fa sentire vivi. Ecco quindi che un fiore sboccia da un'orbita cava, colorando lievemente l'oscurità. Il nostro successivo tassello, "Bloody Carp" (Mantello sanguinante) è un'altra song che ha avuto un discreto successo dopo la release di "Deftones": ha tutti gli ingredienti necessari per meritarsi tale appellativo, potente ma melodica, agguerrita ma soave. Le liriche del testo, sempre collezionate da tutte le otto mani dei Nostri, dimostrano una maturità che fa storcere il naso a chi ha accusato i nostri "nu-metallers" di essere fiacchi dal punto di vista compositivo, specialmente in questa uscita. Il riff iniziale si spalma adottando una grezza aggressività proseguendo nei minuti, Chino è "stranamente" molto ispirato, la sua voce riflette la bellezza catartica di un tempo, fa ribollire le coscienze. Il finale soprattutto, sgocciola riffoni che diventano magistrali tanto che notiamo la difficoltà dello stesso Chino di starci sopra, di seguire con decisione il lavoro di Carpenter. Il "mantello sanguinante" vede come riferimento il noto viaggiatore italiano Cristoforo Colombo che si assunse un grande rischio attraversando l'oceano aperto. Il nuovo mondo, il continente che tu ascoltatore/viaggiatore stai cercando navigando sull'oceano consiste nel ritrovare te stesso, nonostante i parecchi scogli appuntiti che inevitabilmente troverai nel tuo percorso: fa parte del gioco e sta a te alzare la testa e combattere. È incredibile come i Deftones mettano in relazione così semplicemente il viaggio di navigazione sull'oceano (protagonista in questo caso come abbiamo accennato pocanzi, Cristoforo Colombo) e il pericoloso terreno di battaglia della vita, da perlustrare in una maniera ancor più profonda in modo da forgiare la nostra mente ed i nostri preziosi cuori. Questa metafora sopraffina ed altolocata ci fa rendere conto della assoluta maturità artistica ormai raggiunta e consolidata dai californiani.

Anniversary of An Uninteresting Event
Pezzi col piglio decisamente sperimentale, in questo "Deftones", come abbiamo visto non sono tantissimi: i nostri hanno sì tentato qualcosa ma non hanno mai compiuto quel balzo decisivo per quanto riguarda l'utilizzo di suoni alternativi e all'avanguardia. Questo che abbiamo detto pocanzi viene leggermente smentito dalla prossima evocativa e struggente track, "Anniversary of An Uninteresting Event" (Anniversario di un evento inutile). Già segmentando le parole del titolo capiamo di essere dinanzi ad una traccia ben diversa dalle altre nonostante tematicamente si incastoni con gli altri pezzi: l'amore sembrerebbe essere il cuore semantico del brano, amore che è sempre un elemento fondamentale in questo disco. Questo sentimento viene sempre visto da punti di vista differenti che ce lo fanno apparire come un vortice altamente snodabile ed altalenante. La parola giusta da sottolineare è quel "Uninteresting" (Disinteressante) che sobbalza subito all'occhio e ci fa aumentare la curiosità nel capire di quale evento si tratti. Le sensazioni, che si ripercuotono ascoltando e riascoltando il pezzo decisamente corrosivo nella sua impronta trip hop, sono di assoluto timore reso possibile anche grazie al cantato a tratti pulito e a tratti sporco di Chino: il brano sembrerebbe, come da consuetudine, riprendere qualche caro evento che sta a cuore al nostro frontman. Nell'aria si sente un carico di negatività che rispecchia la fine di un qualcosa. Una relazione o un fatto ancora più importante, il tema centrale è ancora oggi un piccolo mistero, sembrerebbe come abbiamo detto in precedenza amore, ma non è sicuro. Potrebbe anche trattarsi del termine di qualcosa che ha influenzato la sua vita in un modo importante, e che proprio da questa fine partisse un meccanismo psicologico introspettivo, volto a rendere la vita del frontman certo più triste ma anche più matura, grazie ad una ferita da lenire e dalla quale contemporaneamente imparare. La riflessione circa la nostra esistenza è uno scoglio decisamente fondamentale da oltrepassare, un balzo che ha strettamente bisogno di una mente lucida e caparbia. Come se Chino in "Anniversary of An Uninteresting Event" aprisse il suo cuore nei nostri confronti, sta a noi recepire con attenzione cosa egli ha da dirci. Strutturalmente semplice, tematicamente efficace: bastono quattro parole per cercare di delineare questo pezzo molto particolare dei Nostri Deftones.

Moana
Per concludere al meglio questo viaggio tanto confortevole quanto ostico, i nostri non potevano non servirci un piatto ben costruito dalle cadenze fortemente orecchiabili. "Moana", questo è il titolo che le quattro menti di Sacramento hanno deciso di scritturare, e tale risultato sonoro non poteva non regalarci idee, tante idee che sono disposte intelligentemente nel quadro in cui si incastona questo "Deftones". Si percepisce subito che rispetto alla precedente track viene ripreso lo stile alternativo, e tutto ciò si capisce già dallo scricchiolare iniziale delle corde di Carpenter, che ci accolgono in una maniera più che buona. Tutto questo per circa 13 secondi, in cui bisogna sottolineare la presenza finalmente decisiva delle vibrazioni a suon di basso di Chi Cheng, le quali danno brio a tutto. Questo gettito strumentale dura pochissimo perché come una tempesta dolce, iniziata da un riffone contorto, sopraggiungono Chino e le sue vocals dirompenti che forse in "Moana" riprendono la versatilità dei due precedenti dischi. Da toni alti ad altri decisamente bassi e decadenti, la voce qui raggiunge qualità elevatissime distogliendo le nostre attenzioni dall'intero comparto strumentale, ensemble comunque in grado di compiere un ottimo lavoro, se è giusto dare a Cesare quel che è di Cesare. Il livello di intensità, come una giostra, sale e scende, non perdendo mai quella lucidità fondamentale: la sette corde, se all'inizio era messa da parte per la potenza vocale di Chino, durante l'arco dei cinque minuti prende forza fino a diventare decisive. I toni mano mano che il pezzo procede si fanno oscuri e pesanti, resi ovviamente tali dalla voce del nostro frontman che ha preso una forma ancor piu ossessiva e eterea. Schiocchi di batteria millimetrati tra un giro di corde ed un altro concludono il nostro viaggio. Un brano che si accompagna a liriche decisamente criptiche, impossibili quasi da decifrare: ci viene narrato di questa donna, una sorta di "diva" in grado di rubare la scena, ogni qual volta decida di fare la sua comparsa. Tutti la guardiamo ammutoliti e cerchiamo in ogni modo di conquistarla, nessuno riesce a risultare insensibile al suo fascino. Ella però è persa in un iperuranio, troppo al di sopra della portata di un comune mortale. Liriche brevissime eppure dotate di una carica misteriosa a dir poco notevole. Desidereremmo parlarle, la invitiamo a mostrarsi in tutto il suo divino splendore. La ammiriamo ma non possiamo avvicinarci. Siamo come persi nel mare della sua bellezza. Perdutamente innamorati ed impossibilitati al contempo ad afferrare l'oggetto del nostro desiderio.

Conclusioni
Dopo l'accoppiata vincente dei due platter precedenti, che hanno indirizzato praticamente una carriera iniziata anonimamente verso un crescendo allucinante coadiuvato da numeri pazzeschi, i Deftones non avevano nulla da perdere e forti di consensi importanti, sempre più vasti, erano entrati in studio con tanta consapevolezza e sicurezza dei propri mezzi. Il fattore "numero" fu decisamente basilare per la loro carriera da "White Pony" in poi, tanto da assicurare ai nostri quattro californiani un futuro sicuro fatto di vendite certe, tanto erano stati bravi nel crearsi un gigantesco zoccolo duro di fan adoranti, capaci di accogliere a braccia aperte qualsiasi release fosse stata presentata loro. Non volendo prenderli in giro, sia ben chiaro... pur comunque mantenendo l'asticella qualitativa su livelli buoni piuttosto che eccelsi o magistrali. C'è da dire che questi due successi furono anche la "causa" (e che causa!) di una vera e propria solidità come formazione: pochissimi gruppi hanno stabilito un record di convivenza come il loro, nonostante i media e soprattutto un certo target di pubblico cercava in ogni modo di smontarli poiché come sappiamo i Nostri furono i progenitori di una branca del metal tanto ripudiata. Chiacchiere snobbate e buttate presto nel cestino, considerate giustamente meno di zero da un gruppo di ragazzi solamente intenzionati a far musica e non certo gossip. I Deftones alla fine hanno zittito tutti surclassando i limiti che venivano imposti dal genere, andando semplicemente oltre, anche in virtù del loro essere così coesi ed uniti come persone e musicisti, piuttosto che solo dei bravi compositori ed esecutori. Ebbene sì, c'è da dire che qualunque disco successore di "White Pony" non avrebbe mai e poi mai intaccato il loro passato, condito da tanto estro creativo e da un'immane sperimentazione sfociata poi (e ce lo ricordiamo bene) in dischi super innovativi e stilisticamente eccellenti. Quindi, come possiamo inquadrare questo strano omonimo, che negli anni ha avuto tanti sostenitori quanto detrattori? Si, detrattori nati in virtù delle velleità di "dirottatori" mostrate dai nostri musicisti, perché nonostante i Deftones siano stati in grado di acquisire (mediante il rilascio di "Deftones") una nuova fan-base, d'altra parte hanno perso una parte (seppur non di grande numero, anzi) di vecchi sostenitori, smuovendo quindi il pubblico, indirizzandolo ora lì ora da tutt'altra parte. La prima cosa che salta subito all'occhio è l'immutabile vena da compositori, che nonostante non sia al massimo, non rinuncia a porgere quel pizzico di qualità: difatti rimane sempre mirato ed allo stesso tempo eclettico il modo in cui vengono arrangiati nonché architettati i pezzi. Anche musicalmente non notiamo quello spirito avanguardistico e sperimentale dei due album precedenti e questa scelta di non osare porta a pensare che i Nostri abbiano voluto semplicemente deciso, in questo momento della loro carriera, di raccogliere i frutti creativi che negli anni, ricolmi di esperienze, hanno così sapientemente seminato. Anni in cui le loro sementi sono maturate grandiosamente, tramutandosi in un rigoglioso giardino. Bisogna dire però che momenti interessanti ci sono e sono ampiamenti messi in luce: basti pensare a tracce come Anniversary for an Uninteresting Event, brano condito da atmosfere psichedeliche che mettono in risalto un talento cristallino, che farà sempre parte della loro costituzione musicale. Che dire in sostanza, di questa uscita? Si tratta sicuramente di un album che certamente non tocca livelli allucinanti sia dal punto di vista compositivo che da quello musicale, ma si può ben affermare che contemporaneamente riservi bellissime e intime emozioni nell'assaporarlo, emozioni che cresceranno andando avanti negli ascolti. I Deftones sono così, o si amano incondizionatamente o si odiano... ma a prescindere da dischi leggermente più sottotono, abbiamo sempre di fronte uno dei gruppi maggiori del panorama alternative di fine anni '90.

2) Needles And Pins
3) Minerva
4) Good Morning Beautiful
5) Deathblow
6) When Girls telephone boys
7) Battle Axe
8) Lucky You
9) Bloody Carp
10) Anniversary of An Uninteresting Event
11) Moana


