DEFTONES
Change (In the House of flies)
2000 - Maverick Records
GIANCARLO PACELLI
19/09/2018











Introduzione recensione
L'attività dal vivo dei Deftones, dopo il successo di "Around The Fur", era aumentata esponenzialmente, er questo era il momento altamente necessario per mantenere la giusta concentrazione perche' un minimo calo di quest'ultima poteva seriamente cedere il passo a papabili errori che a questi livelli vengono pagati a caro prezzo: ma questo non è il nostro caso, la maturità raggiunta poteva essere considerata come un'arma a favore di Moreno & company. "Around The Fur", pubblicato nel 1997, aveva consacrato definitivamente i Deftones come pionieri assoluti dell'alternative metal mondiale e il combo stava iniziando a far capire ad una folta schiera di ascoltatori che l'appellativo nu-metal era un qualcosa di decisamente stretto per la band di Sacramento: c'era nell'aria una vibrante voglia di sperimentare, senza però dimenticare il proprio percorso antecedente che era ancora li, vivo e vegeto, pronto ancora a contribuire. Le capacità mostrate dal combo californiano incisero tantissimo sulla loro crescente popolarità, strizzando l'occhio ad una vasta gamma di ascoltatori: tutti intesero che la band aveva un qualcosa di differente rispetto ad altri gruppi del loro filone e, il successo di vendite del sopracitato "Around The Fur" dimostrava esattamente questa tendenza. Ma erano già passati tre anni e il disco numero due in studio era soltanto l'inizio di una creatura che si stava semplicemente raffinando e unicizzando ancora di più. "White Pony", adornato da quel meraviglioso pony bianco latte, libero di correre nei più verdi prati era simbolo di una nascita, di una "libertà" compositiva che disegnava la coppia Chino Moreno /Stephen Carpenter come una squadra inossidabile. Quel platter cromaticamente bianco fu non solo la consacrazione a livello mondiale ma fu anche una colorita testimonianza ricca di sperimentalismi e di guizzi che nemmeno gli stessi Deftones saranno in grado di replicare negli anni a venire. Il primo singolo che la band di gettare nel mercato discografico non poteva non essere differente: "Change (In The House of Flies)". Cambiare, una attitudine che spaventa da sempre ogni essere umano, ci sono rischi seri che devono essere presi e affrontati, è una sensazione che trasporta con se timori e vaste paure. Ma una cosa non deve mai mancare, la ferrea e decisa condizione di essere ormai una band che tange livelli invidiabili sia a livello di sound che di marchio dall'appeal mediatico-commerciale, cosa che i nostri non potevano assolutamente esclamare lungo i primi vagiti di una carriera che era pronta a dare un sacco al mondo dell'heavy metal, nonostante i tantissimi detrattori incontrati lungo il percorso. Proprio questi ultimi, molto probabilmente, si sono adoperati soltanto a guardare la mera etichetta in cui erano catalogati e non si sono sforzati a scrutare l'effettivo valore musicale, già validissimo a ridosso dello scoccare del nuovo millennio. Nel 2000 non ci poteva aspettare che un platter come il "Pony Bianco" per poter dimostrare al mondo metallico di essere non solo un collettivo stabile dal punto di vista strettamente della formazione ma anche una band che guardava al futuro osando e sperimentando a più non posso, cercando sempre di immettere nuove influenze nel loro corredo. Quest'album si prospettava ad essere definito come il classico lavoro che non si sarebbe capito subito ma che avrebbe tralasciato il suo valore musicale nello scorrere del tempo, cosi come fanno i grandi dischi. Il singolo di lancio fu impacchettato nel 1999 e rilasciato ufficialmente nel Maggio del 2000: "Change (In the house of flies)" vide la luce grazie, e soprattutto, al portale televisivo Mtv che rinvigori' le attenzioni sulla band alternativa. Il flusso e il meccanismo a rotazione ovviamente furono un successo fulminante in tutto il mondo. Il singolo preso in considerazione nella nostra discussione è arricchito anche da due tracce: "Crenshaw" e una cover di "No ordinary love" di Sade Adu, a dimostrazione che la band voleva sempre cercare di donare brani che nella canonicità dello studio non sarebbero facili da inserire.

Change (The House Of Flies)
"Change (The House Of Flies)" (Cambiare, casa delle mosche), primo singolo di lancio del disco, rappresenta appena la affascinante strada intrapreso per dare vita a "White Pony". Decadente e nostalgica ma allo stesso tempo fragorosa e incalzante, la nostra traccia riesce a comportarsi come un connubio di tante emozioni ammassate su di loro. Sin dall'inizio si percepisce quando che siamo posizionati in un'atmosfera filtrata e altamente frammentata con la voce di Chino, che bisticcia soavemente con il sound solido che fuoriesce dalle pelli di Cunnigham. Tutto questo fino all'incidere del chorus, il quale crea una situazione potentissima, dove la voce del nostro esplode letteralmente costruendo un corredo sonoro imprescindibile che diviene ancora più prezioso quando è condiviso con i propri supporters: infondo, l'intento di un pezzo di una qualsiasi band è creare una catena di vaporose emozioni e una magia composta da fibre di affetto col pubblico che nessuno si deve permettersi di disciogliere, e "Change (The House Of Flies)" riesce alla grande a superare questo piccolo ma grande scoglio. Il pezzo come è percettibile dal titolo parla di cambiamento inteso come un fattore positiva (quasi un riferimento al processo evolutivo della band), nonostante l'aura quasi negativa che si può percepire udendo i vocalizzi polverosi di Chino i quali (nel corpo centrale del pezzo) raggiungono appunto livelli di sana nostalgia. Dopo aver assimilato bene il ritornello ecco un cambiamento inaspettato del brano, dove assistiamo al solito eccellente cantato filtrato, intervallato da tocchi forti e decisi di batteria che scandiscono questi insoliti minuti, e per accentuare il tutto abbiamo la sensazione di trovarci inseriti in un clima serrato e cupo, dalle sane reminiscenze new-wave, improvvisamente storpiato dal riffone di Carpenter introduttivo al chorus che crea il sound tipico dei Deftones. Il nostro pezzo si conclude con validissimi e abili motivi strumentali in cui le abilità generali della band, con note sia di basso che di chitarra abbastanza accentuate, raggiungono una soglia elevata di qualità.

Crenshaw
La prossima traccia che affronteremo, la seconda di questo breve resoconto che si rispecchia nel singolo, è dotata di un alone di particolarità, essendo una traccia mai proposta dal combo. "Cresnshaw" fu un brano che inizialmente fu ideato al fine di prendere parte di "Around The Fur" ma per motivi discografici la traccia è rimasta nell'ombra. A spiegarci la genesi di questa traccia è proprio il batterista del combo americano fu Abe Cunnigham in un'intervista del 1997 poco prima dell'uscita di "Around the Fur". La genesi del brano ha una storia abbastanza "festaiola": "Crenshaw" infatti è un punto importante della città di Los Angeles, uno snodo stradale ricco di negozi e di attrazioni. La band, in pratica, prima di partire con il proprio bus si rese conto della fine della tanto adorata birra e a Chino venne in mente di fermarsi proprio in quella strada e fare scorta. Un aneddoto abbastanza divertente che allontana da pesantezza lirica che abbiamo già scrutato in altre tracce della vasta discografia degli statunitensi. Abe Cunnigham la definisce come "un esperimento di suono", motivo per cui forse per cui fu scartata, forse perchè non era effettivamente all'altezza nel prendere parte in un album importante. E in effetti l'introduzione sembra presagire proprio ciò, ad un qualcosa di ancora immaturo ed embrionale. L'introduzione è tuonante ma nonostante questo emerge con fragore e vigore: è il terreno adatto per il cantato pulito e filtrato di Chino, che sembra quasi sussurrarci alle orecchie lasciandosi andare con disinvoltura lungo il riffing di base potente e quadrato di Stephen Carpenter. L'era è quella di "Around The Fur", quindi il livello generale è già elevatissimo. Ottima è la performance di Cunnigham che tiene bene i tempi di batteria tenendo conto dell'irruenza vocale di Moreno che copre in pratica tutto il sound, soprattutto quando ci regala ottime linee vocali in clean che si snocciolano lungo tutta l'impostazione creata da basso-batteria- chitarra. Questa Creshaw, brano particolare nella sua genesi, disperatamente heavy in ogni suo aspetto e in ogni battito, e gli occasionali spazi vuoti sono comunque coperti da un grosso quantitativo di melodia.

No Ordinary Love
Una forte audacia si prospetta quando abbiamo visionato la nostra track list. Dopo "Crenshaw" ciò che ci attenda è una cover abbastanza particolare, "No Ordinary Love" (Amore non ordinario) di Sade Adu. La formula nell'utilizzare un brano di Sade da parte del collettivo alternative metal rappresenta solo un immenso talento, anche se ben conosciamo la maestria dei nostri nel maneggiare differenti sound. Nei primi scorci un alone di terrore avvolge la voce di Chino che pare essere pienamente consapevole del ruolo datosi, ossia di colui che deve reinventarsi sempre differenti canoni musicali. La capacità di cambiare registro per ogni occasione mista alla fragorosa attitudine a prestarsi a rifare un brano di se per sè difficile (se non irriproducibile) vocalmente lo incoronano per il grande artista quale è. Ma poche chiacchiere, "No Ordinary Love" rintona vari essenze musicali attraverso un clima blues che bussa alla porta dei primi introspettivi secondi. La tenerezza vocale di Sade, nota appunto proprio per la sua caratura vocale ampiamente soffice, è riproposta molto bene da Moreno, che nei primi secondi giostra le sue capacità orchestrando intrecci vocali squisiti e ben armonizzati: la sezione ritmica è all'occorrenza minimale. Le prime frasi del complesso lirico già ci dicono sommariamente di quali pulsazioni andremo a vivere, ossia un amore non corrisposto che va a generare cicatrici interne che non conoscono nessuna cura. "I gave you all the love I got/I gave you more than I could give/I gave you love/I gave you all that I have inside/And you took my love/You took my love" (Ti ho dato tutto l'amore che ho avuto/Ti ho dato più di quanto potessi dare/Ti ho dato amore/Ti ho dato tutto ciò che ho dentro/E tu hai preso il mio amore/Mi hai preso il mio amore): bisogna aggiungere altro? L'amore è stato dato ma colui che hai difronte non ha voluto accoglierlo, il sentimento non trova la sua corrispondenza. È un brano sofferto, l'interpretazione non poteva non essere diversa. La matrice pop tenta di alleggerire la situazione soprattutto da una angolazione strumentale che si mostra leggera e spensierata, è praticamente il contrario di ciò che effettivamente vuole dire a noi questo brano. Tra voci fuori campo, immersioni vocali filtrate e una batteria insistente e geometrica, dal sapore "heavy", "No Ordinary Love" macina terreno verso i secondi finali senza mai perdere la sua eleganza.

Conclusioni
A conti fatti il primo singolo del futuro premiatissimo "White Pony" calzò a pennello per l'importanza che si caricava addosso. L'azione del cambiare, a volte tanto difficile da attuare, spaventa tutti e allora a partire dall'ascolto di questa traccia capiamo le intenzioni dei californiani. La critica di tutto il mondo si era finalmente accorta dei Deftones (dopo il contenuto grido al miracolo con "Around The Fur"), e questo comportò ovviamente nuove responsabilità, tutte caricate sulla release di questo singolo. "Change (In The House Of Flies)" è millimetricamente la tendenza musicale che la band riproporrà nel suo capolavoro assoluto, e gioco del destino ha voluto che il quartetto avesse voluto scegliere proprio questa track per simboleggiare il cambiamento di rotta dopo il mega exploit di "Around The Fur". Il metronomo che metteva in un serio e delicato equilibrio le influenze non era cambiato. E infatti, cari lettori, noteremo nell'ascolto completo di "White Pony" differenti radici musicali, apparentemente disconnesse tra di loro, ma che hanno nei Deftones il proprio minimo comune denominatore: in questo marasma non mancano chiari riferimenti al pop con una diminuzione dell'intensità di "Around.." attraverso un intaglio meno muscolare e più indirizzato verso un background che odorava di mainstream. Se il pony bianco sarà considerato uno dei più grandi (o il più grande) album della corrente nu-metal si deve soprattutto ai vari elementi che si innescano armonicamente tra di loro creando un connubio vincente e trascinante, non solo musicalmente ma anche dal punto di vista del songwriting (affidato a Chino Moreno e Stephen Carpenter). Frank Delgado oramai era membro stabile della carovana e il suo tocco elettronico fu necessario e indispensabile sia per il singolo, preso sotto esame oggi, che per il disco in se per se: i suoi piatti daranno quella atmosfera trip-hop che incalzerà il ritmo di ogni brano. Brano che ha come sempre ospite quell'imprevedibile vocalist di Chino Moreno, vero modulatore della voce e addomesticatore tra i più disparati suoni che crescerà a dismisura lungo il corredo dei dodici brani. Insomma "Change (In The House of Flies)" con la sua decisa e armonica bellezza conquisterà la curiosità dei veri e affamati palati musicali.

2) Crenshaw
3) No Ordinary Love


