DEFTONES

Around The Fur

1997 - Maverick Records

A CURA DI
GIANCARLO PACELLI
13/09/2017
TEMPO DI LETTURA:
10

Introduzione Recensione

Siamo nel 1997, un anno decisamente molto caldo dal punto discografico per il mondo rock/metal: passiamo da reunion storiche quale quella dei Black Sabbath, con la classica lineup (da cui scaturì un album live, "Reunion", rilasciato per la Epic Records) ai Metallica, che dopo il netto cambio di strada con il discusso "Load" (1996) confermarono le loro nuove tendenze con l'egualmente chiacchierato "ReLoad". D'altra parte, però, il 1997 è stato anche ricco di nuove band e conferme assolute: la critica (e soprattutto i fan) difatti accolsero con benevolenza formazioni decisive per la storia musicale di fine secolo, come i The Dillinger Escape Plan (i padrini del mathcore) o l'esplosione di genio multiforme e ultraprolifico del canadese Devin Townsend, rappresentato da uscite come "City" (con i suoi schizzatissimi Strapping Young Lad) e "Ocean Machine: Biomech" (con il suo progetto personale, il Devin Townsend Project).Quindi, in sé per sé, la concorrenza si dimostrava senza alcun dubbio molto agguerrita; sia per quel che riguardava i gruppi storici e già affermati sia per i gruppi relativamente giovani, desiderosi di sorprendere e meravigliare. Come abbiamo visto la voglia di sperimentare era talmente elevata che portava i gruppi old school a cambiare decisamente faccia, con un'alta dose di rischio. In questo quadro artistico inseriamo anche i nostri Deftones, che certamente non stavano a guardare, anzi: la loro sfrontatezza giovanile era ben percettibile nell'aria e per questo i quattro ragazzi di Sacramento (California) avevano deciso fermamente di non deludere le aspettative createsi attorno al loro progetto, decidendo di cambiare strada dopo un primo disco non riuscito alla perfezione. Con questa voglia di rivalsa entrarono in studio a fine aprile del 1997, certo desiderosi di cambiare volto ma comunque sempre decisi ad affidarsi alle sapienti mani di Terry Date, quasi a certificare una sorta di fedeltà verso sia verso il produttore (padrino dei Pantera nonché collaboratore di importanti realtà come Prong, Dream Theater, Slipknot e altri tantissimi nomi), ormai entrato nelle corde di Chino & Co, sia verso la loro label, la Maverick Records, la quale aveva sinceramente dimostrato di credere in quei quattro ragazzetti fautori di una piccola ma importante rivoluzione. I già citati Terry Date e la Maverick Records ormai erano una garanzia per ciò che riguardasse la produzione in senso lato, anche se(c'è da dirlo, purtroppo) la resa sonora dell'esordio lasciava un tanto desiderare, nonostante avesse presentto il suddetto platter ottimi spunti conditi da una evidente immaturità artistica. Quella rabbia compressa che contraddistingueva "Adrenaline" stava diventando solo un ricordo, i nostri volevano concentrarsi molto sulla costruzione melodica mantenendo certo sempre i canoni del genere... ma perché no, contemporaneamente "sforando", aggiungendo altri stili al già corposo sound:  non vi era insomma una stretta necessità di emulare il disco precedente al fine di dimostrare al grande pubblico metallico il vero ed effettivo valore della band. Si doveva seguire un buon sentiero già battuto, ma non per forza gli altri. Bisogna pur sempre ricordare che la mente di un'artista è costantemente sottosforzo, deve raggiungere un obiettivo e allo stesso tempo superarsi; bene, è questo quel che accadde ai Nostri in quel primaverile Aprile del 1997: volevano osare e allo stesso tempo proporre un qualcosa di maturo, di potente ma allo stesso tempo in grado di osare. Già il fatto di entrare in studio con una cattiveria agonistica decisamente diversa rispetto a due anni prima significava che qualcosa stava cambiando: "Around The Fur" era un platter che pesava, i nostri erano consapevoli di ciò e partendo da questi presupposti non volevano in un certo senso deludere il loro pubblico (che decisamente stava crescendo). I tempi stavano decisamente cambiando, l'ispirazione era a mille, la voglia di scrollarsi di dosso il paragone con band come i KoRn era alle stelle. Ormai i tempi erano maturi per mostrare al mondo ciò che il quartetto di Sacramento era in grado di fare, ma ben pochi avrebbero potuto immaginare l'importanza che questa release avrebbe avuto nel panorama nu metal e la sua influenza su altre band che sarebbero venute fuori di lì a poco. Anzi, c'è da dire che i nostri non si rendevano minimamente conto di cosa sarebbe diventato da lì a pochi mesi questo incerto "Around The Fur". Difatti, riascoltando il nostro platter, ne fuoriesce una commistione eccezionale non solo di post grunge, heavy metal e crossover (che contraddistingueva già lievemente "Adrenaline") ma anche di un secco e spietato hardcore punk, elemento fondamentale e una novità assoluta per il loro sound (tale innesto è principalmente percettibile nell'impasto dei riff). Proprio nell'insieme, il riffing sarà il punto di forza, raggiungerà dei livelli molto ma molto interessanti; Carpenter stesso, a differenza di due anni prima, prenderà esempio da chitarristi straordinariamente talentuosi, come il mai dimenticato Dimebag Darrel (Pantera, Damageplan). "Be Quite And Drive", "Mascara" e la stessa titletrack saranno pane succulento per le televisioni musicali del periodo e certificheranno questa release come un autentico successo. In poche settimane, difatti, "Around the Fur" raggiunse la posizione numero ventinove della prestigiosa Billboard 200, oltre ad altre certificazioni di un certo peso. Quindi addentriamoci in questa nuova proposta, la quale parte con ottime premesse; in questo nuovo lavoro che diventerà un punto di riferimento nel panorama alterativo mondiale e che sarà di base per la nascita di migliaia di altre band. Buona lettura.

My Own Summer

Partiamo subito dal primo pezzo, forse il più riuscito, fra i decisivi fautori dell'incredibile successo che ebbe il nostro platter: partiamo con "My Own Summer" (La mia estate). Non a caso, il brano in questione venne scelto sia come colonna sonora della celebre saga fantascientifica "Matrix", sia come sigla del relity show "The Osbournes" (per un tempo relativamente breve). Già il titolo del pezzo è tutto un programma, e come sempre le liriche presentano una valutazione interpretativa veramente ampia. Questa traccia può essere definita come l'esaltazione di un mondo personale dove viene messa in evidenza solo la propria personalità, dove nessuno si preoccupa dell'altro (I think god ismoving its tongue/There's no crowd in the streets/And no sun in my own summer; Penso che Dio stia muovendo la lingua/Non c'è folla per le strade/E niente sole nella mia estate).Si preferisce rimanere al buio (The shade is a tool,/a device, a savior; L'ombra è uno strumento,/un espediente, un salvatore) che affrontare il giudizio cinico della gente, e stranamente tale tematica si riallaccia anche con "Adrenaline": l'incomprensione del giovane al cospetto di questo mondo cosi complicato rimane e rimarrà sempre un tema caro ai nostri californiani. Durante le canoniche interviste (soprattutto dell'epoca), chiedendo costantemente al nostro Chino il motivo di tale scelta lirica, il nostro era solito rispondere, usualmente: "Sarei in studio a registrare tutta la notte. Cercavo di dormire durante il giorno e non riuscivo a causa di tutta la luce. Ho finito per mettere fogli di stagno su tutte le finestre "; tutto questo a dimostrare la grande lungimiranza nella creazione dei pezzi. Abe Cunnigham è il prescelto, è lui a battezzare il nostro brano con il suo consueto groove creando la giusta ancora per un riffing massiccio di un ispiratissimo Carpenter: in particolare la sua ascia si innesta col classico "sussurrato" di Chino, che a sua volta si adagia sul tappeto sonoro instaurato dalla sezione strumentale. La traccia che dà la luce ad "Around The Fur" fu anche accompagnata da un videoclip molto ricercato e inusuale, principalmente per l'ambientazione: i nostri sono posizionati su degli iceberg con tanto di squalo in gabbia (che quasi allegoricamente rappresenta la violenza del brano stesso). Difatti, la cosa che salta subito all'occhio è l'ossessività del chorus, arricchito da quel martellante "Shove it"(spingilo), che si può descrivere come una perfetta rasoiata chirurgica bombardata con audace violenza  contro i noi. Il clima rovente che quasi contrasta con la scenografia, ad un certo punto perde di intensità rendendo protagonista sia il trio solido Cunnigham/Carpenter/Chi Cheng che il cantato "sussurrato" del nostro singer. My Own Summer è un grandioso biglietto da visita, un pezzo che nasconde dietro una potenza disarmante (e proprio per questo fu scelto come singolo per l'avido mercato statunitense) una nuova era per i nostri californiani, un'era che stava giustappunto appena iniziando.

Lhabia

I Deftones sono diventati famosi non solo per i meriti stilistici, ma anche per l'ambiguità interpretativa dei loro brani; a volte, proprio questi ultimi sono talmente intricati già snocciolando il significato del titolo stesso. Pressappoco, questo accade all'interno della nostra seconda tappa di questo viaggio nei meandri di "Around The Fur" con il brano "Lhabia". Il nome del brano, che inizialmente doveva essere semplicemente "Labia" (senza h) fu scelto dal batterista dei nostri, Abe Cunnigham, e sempre secondo quest'ultimo starebbe a descrivere una parte dell'organo genitale femminile. Chino, non essendo d'accordo su questo, decise di aggiungere una h per rendere il tutto meno esplicito. La noia è la protagonista, è quella compagna che inevitabilmente si incontra, quando la nostra vita scivola via verso un tetro sentiero; scatta in noi quella luminosa brama di provare un qualcosa che va oltre i canoni già prestabiliti, di vivere appieno lasciando stare i moniti di terzi. Il testo, invero marcatamente criptico e oscuro (a cura del solito Moreno), sembra proprio evidenziare ciò: sono parole segnate da una decisa voglia di scavalcare i confini della noia, e da qui pare percepibile che si parli forse di prostituzione e droga. Il pezzo ha in se tutte quelle caratteristiche care al genere nu metal: inizio accattivante con in bella mostra i fraseggi di basso e di batteria, che già dopo alcuni secondi si agganciano alle vocals sublimi di Chino. A supporto di ciò è presente un lavoro di chitarra (che "tocca" l'hardcore punk) ben compatto e maturo, a dimostrare che in due anni ne sono cambiate di cose, in casa Deftones. L'affiatamento generale è alle stelle, tutto sembra magicamente al suo posto e verso la fine di metà brano ecco la sorpresa: un netto cambio di tempo con Chino che gioca con le sue corde vocali creando il suo sublime screaming, donado una marcia in più al tutto. La traccia è molto sinistra e tale considerazione fuoriesce già a partire dal verso "Sixteen, olive" (sedici, olive); difatti viene evidenziato l'incipit enigmatico della traccia proprio in questo caso, con quel "sixteen" (sedici) che indica l'età della ragazza in questione mentre "olive"(color oliva) rappresenta il colore moro di quest'ultima. Ovviamente la droga e lo sballo sono solo gioie temporanee (It looks and feels great but look at what It's/doing to you/But that's ok look at how it feels - sembra di sentirsi alla grande ma guarda cosa sta ti sta facendo /ma guarda come ci si sente ora), capaci unicamente di trasformarti in quel mostro che hai sempre odiato. Uscire dalla dipendenza che determinate sostanze creano è certamente un'impresa titanica, serve solo una mirata forza di volontà che nasce da dentro, adoperando la determinazione come carburante.

Mascara

Pochi accennati bicordi di chitarra da parte di Stephen Carpenter e diamo inizio alla terza, corposa traccia di "Around The Fur", l'enigmatica "Mascara" (Maschera).Assistiamo ad una ventina di secondi di ottime geometrie, che raggiungono nell'arduo intento di scaldare l'atmosfera la quale piano piano si fa più rovente indirizzando le nostre percezioni uditive al tappeto sonoro creato dai vocalizzi del buon Chino: difatti, come una carezza, ecco materializzarsi un dolcissimo intro creato dalla sua suadente e accattivante abilità canora. Abe Cunnigham e la sua artiglieria dall'altra parte, resistono per tempi molto prolissi e progressivi con l'unico obiettivo tessere una ragnatela melodica in cui si innestano le linee di basso fragorose del mai dimenticato Chi Cheng. L'aria, che stava lentamente scemando, riprende gioia e armoniosità a metà del primo minuto della nostra traccia. "Mascara" è uno dei pezzi preferiti di Chino contenuto in "Around The Fur" (brano sofferto per il tema toccato, che sembra essere l'amore): difatti, ciò è stato confermato quando a pochi giorni della release del disco, in una data al "SIR Reharsal Studios" di Hollywood (California), il Nostro sghignazzando disse (seguendo il racconto di un aneddoto ad un suo amico) al pubblico che proprio la traccia numero tre di "Around the Fur" era la sua preferita in assoluto. A tale data del tour promozionale ne seguì anche un'altra veramente particolare (al "Reverend Bizzarre" in Germania) in cui i nostri accompagnavano nientepopodimeno che uno dei colossi della new wave/post punk, i The Cure del carismatico Robert Smith. Proprio quei Cure che furono una grossa influenza per le linee marcatamente dark del nostro disco, e destino volle che proprio i nostri californiani li accompagnassero in questa data. In particolare c'è una storia dietro interessante: Chino chiese al frontman dei Cure di accompagnarlo nell'esecuzione di "Mascara" per la felicità del pubblico, ma per un motivo (ancora oggi del tutto oscuro) Smith non esaudì il desiderio di Moreno. Spetta a noi immaginare la nostra "Mascara" eseguita dai Deftones e Robert Smith, ne sarebbe scaturita una performance di altissimo livello.

Around the Fur

La parola Fur letteralmente significa pelliccia, ma nello slang americano la si usa anche per riferirsi all'atto di rapporti sessuali con il pelo pubico femminile. E date le tematiche di quest'album sembra scontato il fatto che la traduzione sia "attorno al pelo", piuttosto che "attorno alla pelliccia". Con questi presupposti ci accingiamo a descrivere proprio la titletrack del nostro lavoro, un brano denso di agonismo, terremotante e accattivante nella sua semplice struttura melodica. La coppia offensiva Cunnigham/Carpenter irrompe con la giusta violenza compiendo un assist chirurgico per le vocals di Chino Moreno, che procedono in un chorus taglientissimo: il pezzo in sé descrive generalmente lo status del divenire una super star, quando si passa dal grado di semplice musicista "fai da te" a calcare i maggiori palchi europei, e ingenuamente quasi non ti rendi conto della grandiosità di quello che stai vivendo. Chino lamenta le caratteristiche brutte e senza anima dello status di celebrità ("Hey vanity, this vile's empty, so are you, Hey glamorous, this vile's not God anymore, yeah"/ Hey vanità, questa fiala è vuota,cosi tu sei..."), per poi porsi un particolare interrogativo: fare quello che crede ("Should I ignore the fashion/dovrei ignorare la moda") o agire secondo determinate regole ("Or go by the book?"/O procedere come da copione?"). Questo brano proviene da una forte guerra interiore combattuta dal nostro Chino, impegnato nel fronteggiare quella chimera chiamata popolarità che nella maggior parte dei casi divora tutto e tutti. La forza d'animo in questi casi è necessaria, sono innumerevoli gli artisti ricchi di talento che sono caduti in un profondo stato di caos proprio per la mancanza di quest'ultima. "Around The Fur" ha un tiro molto violento, un pezzo che ti si stampa nel cervello e quasi dimostra la maturità compositiva dei nostri, nettamente cresciuta rispetto ai tempi di "Adrenaline". Verso il secondo minuto assistiamo ad un netto cambio di tempo, deliziosamente gestito dai nostro lodevoli musicisti, quasi non ce ne accorgiamo nemmeno e ci addentriamo progressivamente in una atmosfera dall'alto contenuto psichedelico. Chino con i sui sussurrati domina il brano fino a che il potente riff di Carpenter (che è praticamente la base del brano stesso) smorza il tutto cambiando anche l'attitudine del nostro singer, che negli ultimi battiti della titletrack sforza ai massimi livelli la sua ugola d'oro.

Rickets

Siamo giunti ormai a metà percorso di questo platter cosi decisivo per la carriera dei nostri californiani. La quinta traccia che ci viene presentata, "Rickets", letteralmente indica una malattia dell'infanzia, caratterizzata da un ammorbidimento delle ossa a causa di inadeguata assunzione di vitamina D e insufficiente esposizione alla luce solare. Tale traccia, che ci accingiamo a descrivere, presenta in sé una energia innata, è una track che ne suoi quasi tre minuti di durata ha un impatto violentissimo in questo disco. Leggendo i versi del brano, salta subito all'occhio quel "much"(troppo) ripetuto ossessivamente da nostro singer e da qui risulta facile capire il fatto che dietro a quel "troppo" si nascondano le basi espressive della traccia. Ci sono divieti ovunque nella nostra vita, i media ci avvisano ogni giorno che non bisogna esagerare nel fare una specifica cosa, e questa traccia (evidenziata da una rabbia corrosiva di fondo) vuole in un certo senso scatenare la ribellione contro tutti questi avvertimenti generali. Ritroviamo quindi, seppur in parte, i Deftones ribelli e strafottenti che abbiamo conosciuto in "Adrenaline"; i Nostri non hanno cambiato per niente la loro faccia, le loro idee e le loro intenzioni sono più attive che mai anche in "Around The Fur". "Rickets" viene scandita dal basso prepotente di Chi Cheng, praticamente la punta di diamante di una sezione ritmica semplicemente devastante, coadiuvata dalle corde vibranti della chitarra di Carpenter, mandando nel caos più assoluto l'ingenuo ascoltatore. Chino e le sue vocals, nonostante siano collocate in un quadro terremotante, riescono ad essere dolci, ma proprio in prossimità del chorus vengono tirate a lucido: il ritornello ha un tiro demoniaco in cui emerge tutta la strumentazione calibrata all'unisono. Verso la metà del primo minuto, sia le mani esperte di Carpenter che i vocalizzi di Chino, stilisticamente tendenti all'hardcore punk, ci accompagnano verso la fine del brano, il quale si conclude con una scarica di rabbia compressa. In particolare, sul coro finale di questa canzone, si possono quasi sentire suoni comparabili a quelli di un telefono che squilla o di un fax in azione. Di certo i nostri sono sempre capaci di sorprendere (anche con piccoli aggiustamenti che nella loro semplicità risultano essenziali), anche quando tutto procede verso una situazione statica. Una caratteristica che non è comune a tante altre bands, poco da dire.

Be Quite And Drive

"Be Quite And Drive(Stai tranquillo e portami via)  è senza dubbio uno dei pezzi più riusciti non solo in questo disco ma anzi è generalmente riconosciuto come una delle tracce migliori di casa Deftones, tanto è che risulta presente praticamente da sempre (in ogni scaletta) negli show dal 1997 in poi. Assieme all'opener track, risulta uno di quei pezzi che più ha ricevuto critiche decisamente costruttive, e come da copione fu accompagnata da un video "stile Deftones" in cui i nostri quattro sono collocati in una strana location simile ad un parcheggio abbandonato. Sin dai primi accenni di chitarra, dal riuscitissimo e riconoscibilissimo intro iniziale ci rendiamo conto di avere a che fare con una traccia da dieci in pagella, e possiamo ben dire che riflette appieno la maturità artistica raggiunta dai nostri dopo un percorso bello denso di avvenimenti. Quella maturità, scaturita da tantissimo impegno, si può ben percepire nella scoperta del testo, molto oscuro e anticonvenzionale, di difficile comprensione. Sembrerebbe prendere spunto da un vecchio pezzo dei Depeche Mode (una delle band preferite di Chino) in cui veniva esaltata la voglia di scappare e di conseguenza di dimenticare il passato. Chino ha sempre affermato quanto appunto il sound elettronico e campionato dei Depeche Mode sia stato altamente fondamentale per la sua visione musicale, quasi da condizionarlo persino nella stesura del songwriting: proprio qui, quest'ultimo, risulta molto ben orchestrato e mirato, condito da tanti riferimenti interessanti. La traccia ha come tema fondo l'insicurezza e il rapporto che si ha con essa specialmente dopo una legame in amicizia o in amore. Ci sentiamo come stracci quando una persona a cui teniamo ci volta le spalle senza la benché minima ragione. Vorremmo, eppure non dobbiamo abbatteci; anzi dobbiamo scappare da chi ci vuole del male ("Now drive me far/away, away, away; Ora portami lontano/ via, via, via") e ricominciare con le persone giuste. L'intro di Carpenter, come abbiamo già accennato, ha una peculiarità ben interessante, riesce a tenere incollato l'ascoltatore al primo ascolto: quasi come una calamita, ci tiene attaccati per circa un venti secondi quando assistiamo alla consueta entrata in scena del nostro Chino, e proprio l'irruzione di quest'ultimo accende la miccia per arroventare il tutto, rendendo il brano veramente eccellente nella sua totalità. E non potrebbe essere il contrario, dato che è costruito alla perfezione in ogni minima parte. La traccia è fondata sapientemente su unico giro di chitarra che prosegue insistentemente per quei tre minuti scarsi, fino a che quel "I dont care where just far/away - Non mi importa quanto lontano/via£) cambia notevolmente ritmo per il cantato quasi "disperato" del nostro frontman. Il clima creatosi rasenta molto l'alternative, allontanandosi dal nu metal nel pieno della sua concezione, mostrando concretamente le tante facce dei nostri. A volte il talento non basta per dimostrare le abilità sia liriche che compositive caratterizzntia una band: serve ancora una marcia in più... ed i Deftones senza fronzoli dimostrano di avere tanta stoffa. La rabbia cieca non ha abbandonato il nostro quartetto nemmeno per un secondo e "Be Quite And Drive" lo dimostra appieno. 

Recensione

Passiamo alla sesta traccia del nostro prezioso platter, "Lotion(Lozione). Come sempre le liriche sono ottimamente collezionate dalle mani dei nostri quattro e a differenza del primo "Adrenaline", dove aveva una maggior importanza l'ispirazione di Chino, qui abbiamo una più abbondante collaborazione a dimostrare una solida unità che si stava creando. "Lotion" presenta una struttura lirica che si incatena con le tematiche di "Around The Fur", viene esaltata negativamente l'immagine della donna che dà maggiore rilevanza al glamour e all'apparenza rispetto alla personalità e alla solidità caratteriale. Quell' "I feel sick" ("mi sento nauseato")  che ci viene sospirato e letteralmente bombardato soprattutto verso i battiti finali del brano serve proprio ad accentuare la stanchezza dovuta al continuo incontrare persone così plastiche, che presentano nella loro mente solo obiettivi futili e vuoti. Liricamente siamo di fronte anche ad un salto veramente importante per quando riguarda il peso narrativo utilizzato dai nostri; da questi presupposti si può ben capire dunque anche la caratura dannatamente heavy del brano, in cui praticamente tutto il comparto strumentale è tirato a lucido. "Lotion" parte con respiri d'assalto, già dopo pochi secondi i nostri, difatti, non perdono tempo: un assolaccio massiccio di Carpenter coadiuvato dallo screaming allucinante di Chino rompono gli specchi accogliendoci in un clima sulfureo e terremotante. Il nostro brano non presenta cambi di tempistiche incredibili, anzi, nei primi due minuti risulta molto statico... ma è doveroso sottolineare che proprio qui, in questi piccoli frangenti, dei giri di basso notevoli di Chi Cheng rompono la cattiveria creatasi. Le corde vocali di Chino raramente sono state impegnate in tal modo, ma proprio da qui risulta facile capire il talento del frontman. Nella nostra sesta traccia pochi sono gli sprazzi melodici, tranne nel ritornello, dove gli animi si calmano raggiungendo una sorta di catarsi. Questa calma però è del tutto provvisoria, dato che i ritmi schizzati riprendono il sopravvento maggiormente nei battiti finali del brano, in cui quel "Feel sickened" viene marchiato a vita nella nostra mente. "Lotion" è un brano composto al cento per cento di farina "Deftones", non complicato nelle strutture ma seccamente diretto ed efficace.

Dai The Flu

Toni esasperati e dolci con un tocco di violenza corrosiva. In poche parole, così possiamo descrivere una delle battute finali del nostro disco, "Dai The Flu". Pezzo che originariamente doveva chiamarsi "Before The Flu", il "Dai" fu aggiunto dalla band per un motivo tutt'oggi ancora non chiaro: forse perché era una parte del nome completo del bassista del gruppo Chi Ling Dai Cheng  (non a caso il basso ha una certa predominanza in tale pezzo). Il cuore narrativo di "Dai The Flu" sembrerebbe collegarsi liricamente con le precedenti tematiche: si tratta di un amore molto vivo e pulsante, che però non riceve le giuste risposte, è un sentimento a metà. "Fiftheen stitches and a soft parody" (quindici punti e una morbida parodia), un verso che starebbe a descrivere un caso che ha messo nei guai i già difficili equilibri che si erano creati. Sin dal principio del brano capiamo subito che siamo di nuovo avvolti da una dilettevole aura post grunge, un po' abbandonata nelle tracce precedenti a questa, a dimostrazione che i nostri non vogliono tradire le loro radici, anzi sono ancora tanto legati a questi suoni che sono stati fondamentali per la loro maturità. Un drumming chirurgico di Cunnigham dà il via al nostro brano fino a che sentiamo l'agganciarsi delle corde vibranti di Carpenter, le quali rendono (ancora di più) l'atmosfera glaciale. A differenza di "Lotion" oltre ad una diversa calibrazione del sound del basso, dovremo pazientare un po' per gustare i vocalizzi di Chino, che si adageranno sulla base strumentale creata dai nostri tre dopo quasi un minuto. Il contesto in cui tutto ciò è immerso, l'utilizzo di distorsioni di un certo tipo rendono questa traccia una summa delle epoche musicali precedenti: un alternative che rasenta il grunge mischiato con con punte di hardcore, trasformando il tutto in un mix micidiale. Dopo l'entrata in azione del nostro frontman il pezzo cambia marcia diventando molto più atmosferico, ogni nota cantata da Chino è una dolce carezza verso le nostre guance. Il chorus risulta poi una delle caratteristiche di maggiore spicco in questo brano, raggiungendo una tonalità espressiva da far accapponare la pelle per la freschezza che emana. "Dai The Flu" presenta nelle sue corde una dignitosa attrattiva, che si plasma anche grazie all'utilizzo in certi frangenti di magnetici cori che negli sprazzi finali concludono il tutto. Questo intelligente giocare di atmosfera rende tale traccia una delle più riuscite di tutto il disco.

Headup

A volte, quasi per dovere morale, un'artista impiega il suo spazio concependo pezzi più impegnati, magari avendo in sottofondo il ricordo di una persona. Bene, questo accade nella penultima traccia di "Around The Fur", "Headup(A testa alta), dedicata al figlio di un'artista molto vicino ai Deftones, Max Cavalera. Era il 1996 quando i thrashers brasiliani Sepultura, giunti all'apice del successo commerciale, dovettero affrontare situazioni che ruppero ogni equilibro che si era creato: difatti, uno dei motivi della distruzione del primo nucleo dei brasiliani fu appunto la morte di Dana Wells (figliastro ventunenne di Max) che avvenne per un terribile incidente stradale in prossimità del "Monsters Of Rock" a Donigton (Inghilterra). Nel brano risulta semplice percepireuna mera malinconia di fondo che pervade l'atmosfera, rendendo il classico tono dei pezzi dei nostri stranamente più struggente del solito. In realtà "Headup" non sfodera solo malinconia anzi incute anche una certa voglia di rinascere, fu infatti fondamentale per il futuro musicale di Cavalera poiché quest'ultimo, da questa traccia, precisamente dalla strofa "Soulfly! ...Fly High!" ,prese l''ispirazione giusta per la creazione della sua (all'epoca) nuova band, i Soulfly. In merito a ciò, Max disse: "The name came up on the Deftones 'Around the Fur' record, we wrote 'Headup' together. On 'Headup' says SOULFLY on it (...) And when we did this TV show, I announced the name when I played with them. I grabbed the microphone and said 'Hey I have a new band, it's called Soulfly...' and then we announced it right there."("Il nome è venuto fuori dal disco de Deftones "Around the Fur" , abbiamo scritto "Headup" insieme. Su' "Headup"scrivemmo SOULFLY...e durante uno show televisivo annunciammo il nome della band quando suonammo con loro. Ho preso il microfono e ho detto "Hey ho una nuova band, si chiama Soulfly"). Pochi accenni a suoni di chitarra distorti e si parte: brano che sin dagli inizi vede protagonista le urla rappate di Chino che prendono il sopravvento creando quasi il contesto musicale caro a Cavalera, ossia quegli opprimenti ritmi tribali. Proprio la presenza di Max, il quale scarica la sua potenza vocale scandendo quel "Soulfly!...Fly High" che si intercala tra uno screaming e l'altro, rende questo pezzo molto sud americano: si percepiscono meravigliosamente  gli strascichi di "Roots" dei Sepultura, ultimo album in studio registrato da Cavalera con i brasiliani. Le sorprese che i nostri ci riservano non sono finite, difatti verso la metà del secondo minuto incontriamo la sfera aggressiva del brano, in cui i nostri due frontman uniscono le voci creando un sound terremotante che si spegne quasi un minuto dopo, dove domina solamente la sezione strumentale. Il brano si conclude cosi, con una grossa incognita.

Mx

La parabola meravigliosa di "Around The Fur" sta quasi per volgere al termine, questo platter non poteva non avvicinarsi alla conclusione con un traccia di assoluta qualità sebbene di solito gli ultimi pezzi di un disco siano forse quelli più "sottotono". Nella singolare "Mx"(ambigua già dalla scelta del titolo) si tratta del vuoto, di quella superficialità fine a se stessa che si incontra quando la nostra vita prosegue inseguendo intenti grigi. Evidentemente le strofe si orientano nella sfera personale di Chino, trattano della sua vita come di una rockstar affermata colpita da un alone di inquietudine. Nonostante il glamour, le donne e i soldi Chino capisce che qualcosa non va nel seguire queste chimere che all'apparenza ti donano tutto ciò che vuoi ma che in realtà ti lasciano solo in un tornado di tristezza e solitudine. "You're sweet, but I'm tired/Of proving this love/You're a bore/But you move me/Like a movie/That you are ("sei dolce ma sono stanco/di provare questo amore/ mi dirigi come il film che sei"), in questa strofa si evince in nocciolo del brano stesso: in questo "amore"(si può fare una similitudine con la vita di Chino) tutto è falso e calcolato come in un film, emerge solo una vita plastica fine a se stessa. Quindi la ragazza è dolce e bella ma sembra che conosca solo lo stile hollywoodiano, non giungerà mai capire la profondità di lui, cosa decisamente fondamentale. Strumentalmente il brano prosegue come gli altri, guidato dal timoniere Abe Cunnigham, con la sue pelli che decisamente hanno un ruolo da protagonista in tale traccia. Proprio la moglie di quest'ultimo, Annalynn Seal partecipa come guest con la sua suadente voce, che qui sfiora l'inusuale parlato che si sposa meravigliosamente con quella del nostro frontman. Il lavoro di chitarre, il respiro di ogni riff esercita decisamente un apporto fondamentale soprattutto nel ritornello, semplice nella sua orecchiabilità in cui Chino sfodera tutta la sua accattivante potenza melodica. "Closer to the lung /Shove her over railing" (Più vicina ai polmoni/ spingila oltre la ringhiera), verso scandito in una maniera cosi angelica che vi costringerà a rimetter su questo brano più di una volta. Come vedremo "Mx" non si conclude qui, poiché nel suo corpo possiede altre due tracce fantasma che chiudono "Around The Fur" nella maniera più anomala possibile.

Ghost Tracks: Bong It + Damone

La decima traccia effettiva del disco "Mx",come abbiamo detto, non si conclude al minuto 4.52 ma continua collegandosi con ben altre due ghost-tracks (che non appaiono nella versione in vinile del disco). Di solito, queste ultime o si muovono seguendo gli strascichi lirici dei brani precedenti o trattano di tematiche non compatibili sempre rispetto alle tematiche antecedenti. Queste due track però si comportano seguendo liricamente la precedente "Mx" (non a caso sono incorporate nello stesso minutaggio).Quindi, per concludere il nostro percorso, i nostri ci hanno confezionato ben due tracce fantasma: "Bong Hit"(19:32-19:55)e "Damone" (32:36-37:18). "Bong Hit" dura soltanto ventitré secondi e presenta solo una voce "radiofonica" che parla in una maniera confusa avvolgendo l'attento ascoltatore in un'aura di incertezza. Dopo questi strani secondi, al minuto trentadue, parte l'ultima traccia vera e propria del disco, "Damone". Brano che è praticamente sempre messo da parte proprio perché rientra nella stretta famiglia delle tracce fantasma, per molti trascurabile, forse... ma vi assicuro, non dovrebbe assolutamente essere così. "Damone" è molto solida già a partire dall'intro di batteria che scandisce i primi battiti del pezzo. Dopo il già citato gioco di pelli, capace di innestare un fragoroso groove, ecco intrecciarsi le caldi corde di Carpenter che quasi creano il giusto appoggio per Chino che si scatena in una straordinaria estensione vocale (nel chorus principalmente). L'atmosfera monocorde però sembra interrompersi verso la fine del secondo minuto, in cui le chitarre, inarrestabili pochi secondi prima, rallentano decisamente come lo stesso Chino, che con il suo sospirato quasi incomincia a parlarci. Questa è solo illusione perché il ritmo incalzante riprende nei secondi finali in cui Chino e tutto l'apparato tecnico sfoderano il loro meglio, accompagnandoci alla fine del nostro disco.

Conclusioni

Ci sono pochi dischi che mettono d'accordo tutti, al di là del genere proposto. "Around The Fur", in virtù della maniacale accuratezza con cui è stato concepito, è uno di questi. L' epopea Deftones diventerà nota al mondo intero dopo quell'Aprile del 1997, quando quei ragazzi silenziosamente incidevano l'album della loro svolta. Ci sono band che impiegano tante release per dimostrare la loro vera intenzione artistica e a volte non riuscendo nemmeno a centrare l'obiettivo; dopo tutto, il mestiere del musicista è uno dei più difficili al mondo. Mettere d'accordo la critica, alcune volte sacrificando le proprie reali intenzioni in favore di logiche di mercato ben poco avvezze allo scendere a patti con la nostra voglia di essere, indipendentemente da tutto e tutti. Un mestiere ingrato che può rivelarsi una benedizione così come una condanna, detto senza mezzi termini. Tanti, troppi hanno abbandonato la nave dopo una serie di tentativi mal riusciti. Mancanza di determinazione? Noia? Non lo sapremo mai con certezza. In virtù della complicatissima e fragilissima vita del musicista, quel che mi preme sottolineare è quindi la straordinaria attitudine e caparbietà dimostrate dai Deftones in quel determinato lasso di tempo. Dopo un inizio non certo esaltante (ma rivalutato ben presto dopo il successo di "Around..."), rialzarsi e continuare per la propria strada sarebbe stato difficile per chiunque. Determinati quant'altri mai, però, i californiani hanno reso pan per focaccia ad ogni voce che li voleva "strambi", impossibilitati ad esprimere una reale anima artistica capace di comunicare un pensiero effettivo, una linea d'azione ben definita. Maturare così, dal giorno alla notte - praticamente - , non è certo facile. Anzi, tutt'altro. Ci troviamo senza ombra di dubbio al cospetto della proverbiale eccezione che conferma l'altrettanto nota regola: i Deftones erano riusciti laddove tanti, troppi avevano invece miseramente fallito. Un percorso, quello del maturare, che in alcune circostanze richiede anni se non decadi; invece, i nostri già grazie al secondo disco hanno non solo "sfondato" commercialmente, ma hanno segnato profondamente la via di un genere musicale, codificandone alcune basi, cristallizzando alcuni stilemi di seguito avidamente "copiati" da decine e decine di band di successo. Proprio per questo motivo, è sempre ricordare che dopo soli due anni mai avremo immaginato un salto artistico cosi funambolico, già il pensare di costruire un platter di tale portata era semplicemente da folli. Mettiamoci poi il fatto che "Around the Fur" non si è rivelato solo un bel disco, ma anche una vera e propria pietra miliare del Nu/Alternative degli anni '90 e 2000, un paradigma imprescindibile con il quale tutte le band contemporanee e successive ad i Deftones hanno dovuto fare i conti, per forza di cose. I Nostri avevano capito sin da subito che questo disco non sarebbe stato semplice da realizzare, l'inesperienza giovanile era ancora molto chiara... eppure, tutto è stato superato in maniera a dir poco egregia. Risulta dunque semplice rendere gli onori per l'enorme riuscita di quest'album. Dalle sonorità della new-wave al post punk, abbiamo incontrato veramente suoni di decadi estremamente differenti uniti da una band di quattro ragazzi appassionati di skateboard. C'è da dire e lo ricordiamo anche dal disco precedente quanto la commistione di genere sia stata sempre una punta di diamante per il sound dei nostri quattro scalmanati... eppure, qui si va oltre, decisamente. Qui, in questo platter, i ragazzi hanno dimostrato una straordinaria caparbietà nel modellare vari stilemi a proprio favore, dimostrando altresì una intelligenza comune a poche altre band. Se la produzione in "Adrenaline" era il punto debole qui invece risulta alle nostre orecchie una delle cose migliori del disco, assieme a tutto il comparto tecnico e la voce, quella voce che sarà uno degli elementi più belli viste in quei funesti anni discografici. "Around The Fur" è ancora oggi un disco che ha tantissimo da dire, una release più unica che rara che deve essere ascoltata almeno una volta nella vita. 

1) My Own Summer
2) Lhabia
3) Mascara
4) Around the Fur
5) Rickets
6) Be Quite And Drive
7)
8) Dai The Flu
9) Headup
10) Mx
11) Ghost Tracks: Bong It + Damone
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