DEFTONES

Adrenaline

1995 - Maverick Records

A CURA DI
GIANCARLO PACELLI
23/08/2017
TEMPO DI LETTURA:
7,5

Introduzione Recensione

Nel fervore dell'alternative di Smashing Pumpkins e Faith No More, nonché del grunge aggressivo e senza pretese di Soundgarden e Nirvana,nasceva un movimento che avrebbe segnato in una maniera indelebile il mainstream americano,uno stile da molti puristi bistrattato ma di seguito ritenuto di fondamentale importanza per la storia del Metal; un coacervo di bands note e meno note, le quali (di fatto) tennero a galla il mondo della musica dura scatenando una nuova ondata d'interesse circa Metal e derivati, negli anni '90 "vittime" inconsapevoli delle patinate produzioni targate MTV. Questo genere fu inoltre abbastanza fondamentale nel raccogliere le insoddisfazioni giovanili e rendere quindi la musica proposta ancora più opprimente e "pesante", parlando apertamente (per la prima volta) di tristezza e depressione; in maniera non astratta o "lontana" dalla realtà, bensì prendendo direttamente spunto da storie di vita reali, messe in note, trasmettendo in esse ansie e paure, preoccupazioni così tangibili e spesse come non se n'erano mai percepite, nella storia del nostro genere favorito.Gli iniziatori dell'ondata (successivamente nota con il nome di Nu-Metal) furono i californiani KoRn, che con il loro omonimo irruppero nelle classifiche americane presentando al pubblico un disco denso di vita vissuta,dove venivano riassunti tutti i temi che toccavano il genere(rabbia,tristezza e malinconia). All'unanimità, il gruppo di Jonathan Davis viene considerato come il cardine dell'intero movimento... eppure, urge compiere una precisazione doverosa, segnalando a voi lettori l'esistenza di una band parimenti fondamentale per la storia del Nu-Metal. Siamo nel 1995, negli studi "BadAnimals" di Seattle prendeva forma il primo discoco di una band che avrebbe segnato la fine del secolo metallico: siamo parlando dei Deftones, i quali esordirono con il loro "Adrenaline("Maverick Records") in quell'anno denso di cambiamenti. Facciamo comunque un passo indietro, ripercorrendo la storia del gruppo sino ad "Adrenaline". Circa l'inizio del progetto Deftones si rincorrono voci discordanti: una versione dei fatti vuole la band formatasi fra i banchi delle scuole superiori, dalla sinergia di Stephen Carpenter, Abe Cunningham e Camillo "Chino" Moreno. Tre ragazzi appassionati di skateboard, Heavy Metal ed Hardcore Punk, i quali decisero di unire le proprie forze per formare una band che racchiudesse tutte le loro passioni musicali. Passioni che accoglievano nella propria cerchia anche l'hip hop di artisti come LL Cool J e Public Enemy, pluralità alla base della scelta del nome della band. "Def", termine usato nello slang del Rap, e "Tones", omaggio al Rock anni '50, sostantivo spessissimo adoperato da diverse band dell'epoca (Dick Dale and the Del-Tones, The Quin-Tones ecc.). Altra storia, smentita ma da molti fan tutt'oggi considerata veritiera, vuole invece i Deftones formatisi dopo un incidente occorso a Carpenter. Girovagando con il suo skateboard, infatti, l'allora 15enne Stephen venne (secondo la storia) investito da un'auto. Dovendo rimanere per un lungo periodo su di una sedia, il giovane decise quindi di imparare a suonare la chitarra da autodidatta, seguendo le gesta dei suoi idoli (Anthrax, S.O.D., Metallica). Sempre stando alle leggende metropolitane, con i soldi del risarcimento Stephen poté comprare, per lui e per i suoi amici, tutto l'occorrente necessario per iniziare a suonare dal vivo. Storia fantasiosa che a molti piace ancora ritenere vera, nonostante Abe Cunningham l'abbia smentita ufficialmente nel 2007. Tornando al reale svolgimento dei fatti, il trio decise dunque di darci dentro, iniziando a suonare, improvvisando nel garage di Carpenter sin dal 1988; quest'ultimo alla chitarra, con Moreno alla voce ed Abe alla batteria. Venne in seguito reclutato il bassista Dominic Garcia, il quale passò alla batteria subito dopo l'addio di Cunningham e l'arrivo di Cheng, nuovo "addetto" al quattro corde. La girandola di membri terminò con l'addio / il ritorno di Cunningham, sostituito poco prima dal batterista John Taylor. Fu così che i Deftonesiniziarono a farsi conoscere, grazie alla realizzazione di una demo di quattro tracce ma soprattutto ad un'intensissima attività live, la quale li portò a spalleggiare nientemeno che i già citati Korn in occasione di alcune date. Pur non avendo a disposizione altro che una demo, il nome dei Nostri iniziò a spandersi a macchia d'olio, macinando consensi su consensi, attirando sempre più pubblico e sostenitori; fu così che, impressionata da tutto ciò, la "MaverickRecords" decise di mettere sotto contratto il quartetto, permettendogli di registrare un vero e proprio disco in studio: quell' "Adrenaline" in origine non un successone, ma in seguito divenuto manifesto del Nu-Metal grazie agli sforzi della band, attivissima in campo live e promozionale. 220.000 copie vendute, numeri importanti considerando la proposta dei Deftones, sicuramente non accessibilissima e particolarmente miscellanea. In sostanza, verrebbe da chiedersi: cos'hanno dunque di speciale, questi Deftones? La caratteristica distintiva di questi di Sacramento(California) è senza dubbio la voce "sospirata" del frontmanMoreno, che con il suo stile unico riesce ad fondere rabbia repressa adesplosioni di notevole distensione; in tutto ciòintervengono le allucinanti linee di basso del grande talentoche fuChi Cheng, accompagnate sia dalla sei corde di Stephen Carpenter che dal groove tentacolare del drummerAbeCunnigham.Quest'esordio, prodotto nientemeno che da Terry Date (pigmalione dei Pantera nonché collaboratore di gruppi come Metal Church, Dream Theatre, Dark Angel e Prong, fra gli innumerevoli nomi), ancora oggi suscita scalpore nei milioni di fan, sapendoci esaltare anche dopo più di vent'anni dalla sua uscita: un esempio magistrale del come calibrare e miscelarepost-grunge, crossover ed elementi rap, il tutto condito da riff di un certo spessore (sebbene ancora leggermene grezzi).Questa release è solo un assaggio di quello che la band di Sacramento riuscirà a fare,l'ovvia immaturità(che un po' domina, in questa uscita) scomparirà definitivamente negli altri due successivi dischi("Around The Fur"del 1997 e "White Pony" del 2000); prima di allora, però, godiamoci gli inizi di un nome a dir poco imprescindibile della sua scena. Buona lettura!

Bored

Iniziamo dalla prima traccia, "Bored (Annoiato)".Si parte senza pretese con il pezzo che fu gettato nella giungla statunitense come singolo, benché nessun single fu estratto ufficialmente dal disco in questione. A far da "singolo" intervennero dunque i brani più noti, fra cui appunto l'open track, scelta "dal pubblico" appositamente per rappresentare al meglio il disco in questione. In un clima oscuro, quasi sinistro, l'intro di Carpenter rompe il ghiaccio e quasi all'improvviso,qualche secondo dopo, udiamo il pronunciarsi del nostro singer Moreno, che irrompe nel brano caricandolo di soave malinconia, presentandosi in maniera certo "docile" ma al contempo assai sofferta. Il nome del brano è già di per sé un programma, un pezzo il quale può tranquillamente essere definito come la colonna sonora dell'annoiato, del giovane ragazzo stufo della vita, piegato da problemi e vicissitudini giornaliere, ormai divenute insopportabili. In realtà il significato del brano è ancora sotto la lente di ingrandimento da parte dei fans, si apre a diverse interpretazioni, anche se la principale potrebbe essere dopo tutto la più semplice, quella più in linea con i temi tanto cari al genere proposto dai californiani.Dopo pochi minuti dai sussurri del frontman ecco che il buon Cunnigham  intreccia le sue pelli con la sei corde dell'abile Carpenter,creando il solito modus operandi"deftonsiano", che esplode in tutta la sua potenza con il chorus"Getbored/I getbored/I getbored"(Mi annoio/Mi sento annoiato), ritornello che immancabilmente entra in testa dell'attento ascoltatore. Un mix di potenza mista a sofferenza, una strana miscela di malinconia e rabbia, ben espresse dalla voce di Chino e dalla strumentale, decisamente arcigna ed improntata su di un'essenziale ruvidezza assai efficace. La traccia prosegue dunque in maniera regolare, tendendo per melodie espresse quasi alla psidechelia; elementi che sommati diverranno il cavallo di battaglia degli stessi americani. I quali continuano ad esprimere la propria insofferenza circa il mondo che li circonda, circa la stessa vita. Ci si annoia, una noia non certo dovuta all'assenza di cose da fare. Proprio no: quello Spleen, quella "noia letteraria" terribilmente sinonimo di depressione, di letale accidia. Non si riesce più a muovere un muscolo, non si vuole più vivere. Semplicemente, si vuole abbandonarsi allo status attuale delle cose. Intanto, i morsi della noia continuano a farci male, a devastarci, a renderci partecipi di una fine pressoché imminente. Moreno, verso gli ultimi minuti, alza il livello di sofferenza nella sua voce fino a quasi ad esprimere purissima rabbia, con scream pazzechi che aumentano l'intensità del brano, il quale si concludenegli ultimi secondi grazie ad una  sezione strumentale che nei minuti finali domina completamente.

Minus Blindfold

Il carro armato targato Deftones sta preparando la sua artiglieria, sfoderandola subitamente con l'avvicinarsi del successivo pezzo, "Minus Blindfold (Meno bendato)". "Senza bende sugli occhi", un titolo più ambiguo di quanto possiamo credere: difatti, la parola minus (oltre a significare "meno", "senza", "privo" ecc.) viene anche usata per indicare un aspetto negativo, uno svantaggio, una controindicazione. Per cui, nonostante il vederci chiaramente sia considerabile chiaramente come una grande dote, il titolo potrebbe indicare anche una condizione di sofferenza; dovuta proprio al fatto di vedere magari "troppo", non risparmiandosi sofferenze le quali, d'altro canto, verrebbero meno se ostruite da una piacevole cecità . Sta sempre a Carpenter intervenire con la sua ascia da combattimento, sferzando riff che in questo brano raggiungono ottimi livelli di solidità compositiva. Il tutto si arricchisce anche grazie all'innesto Frank Delgado e all'uso del giradischi, trovata "da dj" che di fatto rafforza e teorizza quello che poi sarebbe diventato il sound tipico del nu metal. Dopo pochi secondi di gettito strumentale, ottenuto anche grazie ai notevoli fraseggi di basso di Chi Cheng, ecco intervenire Moreno, che con un insolito stile rap letteralmente ipnotizza l'ascoltatore. Proprio questa volontà di unire in un unico calderone più stili vocali renderà i nostri ragazzi di Sacramento una grande influenza per tante band negli anni di fine secolo. Dopo la quiete delle prime strofe, come un uragano ecco scatenarsi il chorus: "let me go I give more/and youk now I fold I come at me! come! come!" (lasciami andare, do di più/e lo sai mi piego, io/vieni da me! vieni! vieni!), il quale segue il classico (a posteriori!) impatto sonoro dei ritornelli a cui i californiani ci stanno abituando bene. Come solito l'impostazione del brano è molto semplice, ma in questa seconda traccia, quasi inaspettatamente, è presente un notevole cambio di ritmo, grazie anche ad un riffing generale più maturo, capace di stendere un velo armonico veramente "insolito" per i californiani. Il brano si conclude con un crescendo di sound pazzesco: vengono macinati notevoli  a partire dal minuto 2.48, i quali fanno da tappeto per il cantato in rabbioso di Moreno, sempre supportato dalla sempre notevole sezione  strumentale che ci accompagna verso i secondi finali. Il testo risulta di difficile interpretazione: come dicevamo in fase di inizio descrizione, potrebbe forse trattarsi dello sfogo dovuto ad una condizione di "svantaggio", dovuta dal fatto d'aver sicuramente capito "troppe" cose. Violenza domestica nelle strofe, un padre violento ed intento a picchiare i suoi figli, un ragazzo in procinto di scappare di casa. La sua rabbia è palpabile, la sua frustrazione. Raggruppati i suoi miseri affetti, il giovane si appresta a scappare assieme a suo fratello ed ai suoi amici, i quali lo attendono proprio oltre la porta. In tutto questo, i livelli di frustrazione del protagonista si innescano nel crescendo musicale al quale abbiamo appena assistito. Fuggire via, cosa comporta? Voltare le spalle ad una condizione che comunque ci perseguiterà a vita. Eppure, l'unico modo per scampare a determinati demoni è quello di lasciarli - alcune volte - quanto più lontani possibile dalla nostra persona.

One Weak

Come tutti i pezzi di "Adrenaline", anche la successiva traccia "One Weak (Debole)" nasconde un messaggio che sa di oscurità. Difatti, questo brano riversa dentro le nostre orecchie un odio profondo e nero quant'altri mai; proprio per questo, è bene sottolineare come i nostri siano sempre superlativi a trasformare tali emozioni fredde e distruttive in note incantevoli. "One Weak" nello specifico rappresenta il debole. Ovvero, colui che mostra una diversa attitudine nel mostrare le sue emozioni, magari contravvenendo a qualche regola non scritta: composti sempre e comunque, mai piangere, mai mostrarsi fragili. In particolare, in questo brano si possono trovare molti significati; un primo livello di interpretazione del pezzo può essere ricondotto ad un fatto che realmente accadde nella vita di Chino pochi anni prima di "Adrenaline", ovvero la fine di un rapporto amoroso. Lo scenario che si presenta è infatti quello di un ragazzo (il nostro debole) e la sua fidanzata: quest'ultima è una vera ossessione per lui, un'ossessione anche dopo la rottura del fidanzamento. Parole dure, rivolte alla persona un tempo amata, criptiche eppure abbastanza comprensibili, cariche di rabbia e frustrazione. Un secondo modo di interpretare le liriche, invece, vuole queste ultime "dedicate" certo ad una donna, ma non fisicamente esistente. La droga, l'ossessione ultima e definitiva, capace di distruggere una vita come se nulla fosse. In questo caso, le parole d'astio sarebbero rivolte all'abuso di sostanze, cercando di esorcizzare in questo modo la propria dipendenza. L'atmosfera, tetra e sinistra, è iniziata da un basso opprimente che detta subito legge assieme al tappeto sonoro creato dalla solita macchina macina-riff altrimenti nota come Carpenter. Si prosegue nella maniera più Tooliana possibile, quindi la chitarra innesta un sound ultraterreno in cui si aggroviglia il beat di Cunnigham,  che permette lo scorrere del brano. Anche in questa occasione Chino, come al solito, raggiunge alti livelli di disperazione sonora grazie al suo modo unico e raro nello sganciare ogni nota. Verso la metà del primo minuto, i nostri ingranano la quarta: notiamo una netta accelerazione nel lavoro di batteria che permette la creazione di giusti presupposti per inondare letteralmente di sensazioni claustrofobiche le orecchie di noi ascoltatori; in particolare quel "Never", ripetuto in una maniera che sfiora l'ossessività. Gli strumenti in "One Weak" sono ben calibrati, in particolare il basso, assieme ad un lavoro di chitarra bello corposo e colorato, risulta il vero punto di forza del pezzo. L'atmosfera creatasi sembra quasi ridursi a partire dalla metà del secondo minuto, frangente in cui un potente riff di chitarra crea l'assist necessario per Chino, il quale esplode letteralmente presentandoci una tagliente strofa: "Beg don't even try and you'll never!!". Conclusasi questa parte, il finale risulta un tripudio di linee melodiche "numetalliche", grazie al trio Cunnigham/Carpenter/Chi Cheng. Sezione ritmica solidissima per lo sprint finale di questa terza traccia.

Nosebleed

Passiamo al quarto pezzo del nostro itinerario: in "Nosebleed (Sangue dal naso)" lo schema "classico" sembra ripetersi soprattutto nelle strutture ritmiche: solito clima distorto con un sound che parte subito all'attacco. Già dopo alcuni secondi si capisce che tipo di pasta sonora i nostri stiano preparando: verso la metà del primo minuto, in particolare, l'ascia di Carpenter disegna riff granitici che creano la base per il nostro Chino, finalmente in grado di esplodere in tutta la grandiosità della sua voce, più unica che rara. Una traccia in particolare la quale reca in sé una storia davvero interessante: i nostri di Sacramento utilizzarono per due album live diversi la stessa versione di questo pezzo (nel live registrato al The Max di Amsterdam ed in "Back To School" del 2000). In entrambe le versioni, difatti, possiamo udire Chino che all'inizio esclama: "Get the fuck up!"; mentre, cinquantanove secondi dopo l'inizio dello show, il nostro singer nella strofa "I don't need this shit, till you cover me" sostituisce "till you cover me" con "anymore". Questa incomprensione è stata discretamente discussa, anche se in realtà non è mai stata oggetto di una feroce critica effettiva da parte dei fans. Tornando al discorso musicale, il brano presenta un impasto sonoro bello compatto grazie ad una sezione ritmica che qui si supera, ben rifinita con l'ausilio di feroci scream i quali rappresenteranno successivamente i cardini del processo che porterà ad una evoluzione vocale del nostro frontman (maturerà definitivamente con "White Pony" del 2000). Verso la fine del primo minuti ecco che i nostri ci sorprendono con un cambio di tempo allucinante, infatti dall'atmosfera cupa e "plastica" pocanzi instaurata si passa ad un declino armonico, dove con tanta maestria questi grandi musicisti ben mostrano le loro abilità creando come sempre l'appoggio necessario per Chino ,che qui quasi "bisticcia" con le linee di basso di Chi Cheng. Come un vaso di cristallo che cade da un'altezza di dieci metri ecco che l'atmosfera si rompe verso gli inizi del terzo minuto, frangente in cui il nostro performer scarica la sua furia che prosegue progressivamente (grazie anche ai "rintocchi" dolci ed inusuali di Cunnigham) verso la fine della nostra traccia. Per quanto riguarda le liriche, sembra quasi che in questo testo i Deftones se la stiano prendendo con una persona in particolare. Non ci è dato sapere se il personaggio contro il quale si sputa veleno sia effettivamente "vero" o meno; sappiamo solo che egli è un bugiardo, e per questo deve necessariamente venir schiacciato e rinnegato. Una persona spregevole, in grado unicamente di riempirci la vita di m*rda (citazione letterale) finché non saremo annegati nelle sue menzogne. Decidiamo quindi di ribellarci a tali angherie, urlando contro il nostro aguzzino e spingendolo alle corde, prima di massacrarlo. Deve andare via, lasciarci in pace, sparire dalla nostra vita. Non è questo il genere di persona che vogliamo accogliere nelle nostre esistenze. Al contrario, essi risultano un cancro da estirpare il prima possibile, prima che cresca e cominci a divorarci dall'interno.

Lifter

Passiamo dunque a "Lifter (Sollevatore)". Il quinto pezzo è la conferma del fatto che l'inquietudine regna sovrana, in questo debutto; difatti, questa traccia (per il tema trattato) è tristemente segnata da una fulgida atmosfera negativa.I nostri ci presentano dunque una canzone assai particolare, che sin dall'inizio presenta un marchio di assoluta tristezza, inciso su di sé in bella mostra. Tutto questo poiché il tema trattato è ovviamente l'amore, inteso però come sentimento non corrisposto. Si respira solo un aura negativa, nonostante un intrigante verso ("Watch me with youreyes/guardami con i tuoi occhi) il quale sembrerebbe presagire un qualcosa di buono: l'uomo in questione, con tutto l'amore possibile, vede se stesso, le sue emozioni (in un'unione quasi metafisica) negli occhi dell'amata. Peccato non sia tutto oro quello che luccica, difatti questa dolce atmosfera viene bruscamente rotta da quel la"big surprise"(grande sorpresa) la quale si manifesta appena gli occhi vengono purtroppo aperti. Strofa accompagnata dai sospiri del nostro singer, il quale è dunque pronto a narrarci di una storia d'amore finita nel peggiore dei modi. La bellezza della nostra band sta proprio in questo: riuscire a rendere quasi percepibile ogni sensazione, che sia gioia, malinconia o rabbia (come in questo caso) e renderla quasi malleabile, adattabile ad ogni tipo di persona. E' bene dire che stiamo parlando di una caratteristica che solo le band di un certo rilievo hanno, non certamente ogni formazione esistente. Il genere Nu-Metal, a differenza di altri (come il progressive et similia) ha poche regole ma efficaci: ebbene, in "Lifter" c'è tutto quello che il genere offre, nella maniera più chiara possibile. Abe Cunnigham è il nostro solito mattatore, il regista che con il suo strumento, la batteria, irrompe alla grande indirizzando le nostre orecchie al riffing altamente delizioso ma allo stesso tempo geometrico di Carpenter. Le vocals di Chino sono sempre miscelate alla perfezione,riescono sempre a sorprenderci.  Posso affermarlo con convinzione, trovare tale capacità di modulazione canora, nel mondo del metal è estremamente difficile. Motivo per il quale, com'è giusto che sia, questo straordinario frontman vede anche una folta schiera di haters sul suo cammino. Perché stupirsi? Verso la fine del primo minuto,inusualmente quel turbinio di vocalizzi eccezionali viene interrotto: gli schemi si fanno più quadrati, con Carpenter che aumenta la velocità della sua sei corde, accentuando la sofferenza della nostra traccia; sì, sofferenza, perché da ora in poi dominerà solo questa sensazione. Il chorus "And make you burn all that you worked for/Every knuckle wiped into her/I know if I get more style" in sé per sé risulta molto negativo, rispecchiando l'andamento armonico del nostro pezzo, il quale procede con un crescendo per poi spegnersi nel finale. Non è ben chiaro a cosa la band si riferisca citando un pedofilo all'inizio della prima strofa. Forse si parla di innocenza violata, di sogni infranti. Ben sappiamo quanto l'atto di un mostro simile ("Daddy" dei KoRn ce la ricordiamo tutti molto bene...) sia capace di marchiare a fuoco la vita di un bambino: e forse come un bambino violato nella sua purezza, il protagonista delle liriche arriva a sentirsi così tradito ed umiliato da una persona la quale avrebbe dovuto amarlo. Cos'è diventata, quella dolce e cara ragazza? Una prostituta da baciare per l'ultima volta, salvo poi salutarla e tornarsene a casa, senza di lei. Con i sogni a pezzi e la vita ormai da rimettere in discussione, il ragazzo decide di rompere con quell'inganno travestito da amore. Fa male, e lui non sarà più lo stesso. Ma deve rinunciare a lei, per potersi riprendere e ricominciare daccapo.

Root

Ognuno di noi ha le proprie radici, la nostra essenza stessa è racchiusa  in quei metri quadri di terreno dove abbiamo incominciato questo percorso tanto tormentato quanto affascinante chiamato vita. Il pezzo che stiamo incominciando a snocciolare, "Root (Radice)" parla pressappoco di ciò,ed è presumibilmente colorato da una forte componente autobiografica (probabilmente parla di Chino e del suo passato). In questa traccia si sottolinea però anche quel senso di paura che può avvolgere ognuno di noi, nel momento in cui si rimane bloccati in una campana di vetro, ossia quando non riusciamo a guardare oltre e rimaniamo dunque ancorati alle nostre radici. Radici le quali non risultano più dunque positive, ma anche e soprattutto elemento di distacco fra noi e la vita vera. Tutti siamo spaventati dall'idea di lasciare incustodito il nostro nido, la nostra solida realtà, sia essa fatta di mattoni o pensieri, modi di fare ecc. Arriva però il giorno in cui queste radici debbono essere travasate in altri luoghi, in altre situazioni. Abbiamo paura e diventiamo aggressivi all'idea, eppure è un passo che necessariamente dobbiamo compiere. Il senso in se per se è questo ed è incastonato ovviamente in un quadro altamente malinconico, decritto alla perfezione dall'abilità dei nostri. Il saggio mattatore della sei corde Carpenter dà la benedizione al nostro pezzo assieme al groviglio del tentacolare di Cunnigham , che dona linfa al tutto e crea i presupposti necessari per l'entrata prepotente del nostro Chino; il quale, tra un giro di basso di ed un altro, sfodera tutto il suo luminoso talento. In particolare con il verso "to be forced under/and look up to your home because/we gave oureyes (Venir sotterrati, costretti a guardare la nostra casa... perché abbiamo dato via i nostri occhi?), diventa il timoniere indiscusso della nave Deftones. E' utile sottolineare il fatto che in "Root" uno dei protagonisti indiscussi (quasi inusualmente poiché  diciamo che il basso non è mai stato un punto di forza dei califoniani) è l'indimenticabile Chi Cheng, capace di sfoderare tutto il suo fantastico talento. Purtroppo, nell'atto di attestare le sue grandi capacità segue sempre un triste rammarico, poiché  questo ragazzo, scomparso prematuramente in un incidente stradale il 13 Aprile del 2013, poteva darci ancora più dimostrazione delle sue abilità nel disegnare importanti fraseggi con il suo strumento.Verso il primo minuto lo screaming del nostro Chino raggiunge vette di un certo livello di intensità che un po' indirizzano il nostro pezzo attraverso spunti orecchiabili: difatti la struttura di Root ha un tiro abbastanza easy listening, se proprio vogliamo usare una dicitura del genere. Tutto questo comunque non è indice di banalità, anzi,i nostri sono sempre superlativi nel prepararci un sound unico denso di interessanti spunti.Dal clima etereo dei primi battiti del brano ecco che verso il ventesimo secondo del secondo minuto tutto raggiunge una ferocia allucinante grazie sia all'ascia di Carpenter (dominante, letteralmente) che alla voce sublime di Chino, il quale ci spiattella nelle orecchie note tanto ammalianti quanto tristi. La nostra sesta traccia si conclude cosi, in un clima assolutamente surreale marchio ormai collaudato di casa Deftones.

7 Words

Assieme all'opener "Bored", la traccia di cui adesso parleremo, ovvero "7 Words (Sette Parole)", fu lanciata come singolo promozionale della band prima dell'effettiva realese del nostro platter. I "nu metaller" di Sacramento rilasciarono anche un videoclip in cui viene rappresentato chiaramente lo stile degli anni 90: capelli unti, jeans strappati e ragazzi malandati che si gettano in un moshpit infernale. In particolare questo videoclip fu realizzato in un luogo chiamato "The Cattle Club" (probabilmente situato a Sacramento) che fu nientedimeno bruciato dopo la rilasciata di "Adrenaline". Ancora oggi Chino desidera che questo club riprenda vita, tornando agli antichi fasti di un tempo. Parlando specificatamente del pezzo, riascoltando un' intervista rilasciata per Mtv, Chino a tal proposito disse: "Scrissi questo pezzo quando avevo 16 anni,è probabilmente una delle canzoni piu cattive che abbia mai scritto.Fu scritta per l'oppressione che si creava attorno a me,le autorità,e mi sentivo come se il mondo fosse contro di me". Vi lascio ben immaginare quindi il contenuti di tale pezzo, nel quale regna assolutamente la voglia di andare controcorrente e di abbattere gli schemi imposti, e diciamo riflette quel momento storico post Generazione X di stampo grunge. Musicalmente parlando, il nostro brano è battezzato da un dolce intro di chitarra (in un contesto prettamente influenzato dal già citato post grunge), campanello che  ci avvisa del fatto che i nostri si stanno scaldando per prepararci e prepararsi all'assalto sonoro. Dopo pochi secondi Cunnigham e la sua batteria indirizzano il brano verso un groove più articolato, che apre le danze alle note sganciate dal nostro singer. L'atmosfera creatasi però viene bruscamente interrotta da un riffing massiccio, che verso l'inizio del primo minuto viene accompagnato da uno screaming altisonante del nostro Chino, momento in cui il frontman "urla" letteralmente per tantissime volte quel "suck" tanto da stamparlo letteralmente nelle orecchie di noi ascoltatori. Sarebbe sempre bene ricordare che in questo brano il "vero" protagonista sono le linee di basso di Chi Cheng, l'indimenticabile ragazzo che aveva donato un'impronta indelebile ai primi Deftones. Com'è giusto che sia, il suo strumento regna dunque sovrano. "7 Words" in conclusione presenta una struttura ritmica con parecchi punti orecchiabili (come il brano precedente) ed è anche per questo una delle tracce più ricordate e celebrate in questo debut.

Birthmark

Avete mai ricevuto una telefonata mentre stavate ascoltando la musica, magari tenendo il telefono vicino ad un altoparlante? Ad esempio, in macchina ascoltando la radio? Se sì, sicuramente avrete notato un suono strano, una sorta di interferenza sonora o qualcosa del genere. Ecco cosa succede nella nostra successiva traccia, "Birthmark (Voglia)", la quale è costruita praticamente su suoni che creano appunto una sorta di "interferenza". Quest'ultima viene riprodotta spalmando delicatamente il pick up sulle corde con un movimento molto rapido. Certamente tutto ciò riguarda una piccola novità, diciamolo: trovare tali circostanze in un brano non è certamente un qualcosa di comune, tipico di tutti i giorni. Il titolo Birthmark letteralmente sta ad indicare un neo congenito, una voglia, una malformazione cutanea posseduta da milioni di persone in tutto il mondo. Ci possiamo dunque soffermare su quel "carried long" presente nelle prime strofe, custode di un significato a sé: difatti, esso può simboleggiare l'uso prolungato di droghe (in questo testo si potrebbe riferire all'uso di alcol). Ecco che i due termini divengono quindi collegati: l'abuso lascia su di noi una traccia indelebile, la quale rimarrà ben visibile per tutta la nostra vita. Bere a più non posso, per annegare problemi e dispiaceri. Ci sembra quasi di sconfiggere i nostri demoni, di demolirli... eppure, rieccoci poco dopo a perdere ogni traccia di quella sensazione di benessere. Musicalmente parlando, "Birthmark" segue le linee melodiche di "7 Words" per quanto riguarda l'orecchiabilità già messa in mostra; Carpenter, come sempre, ha il compito di iniziare il tutto, qui difatti si destreggia nei primi secondi con un dolce arpeggio accompagnato da riff che iniziano a scaldare l'astmosfera. In"Birthmark" non abbiamo un uso eccessivo dello screaming, anzi il brano segue una linea melodica tutta sua con ottime vette compositive.Il Post-grunge (quel genere che più contraddistingue "Adrenaline") domina dall'inizio alla fine,in particolare verso la metà del terzo minuto interviene il tipico gioco di chitarre del già citato "movimento" (anzi, più che movimento, uno "strascico di genere") .Da qui in poi in lontananza, inusualmente, possiamo udire un Chino "lamentoso", quasi rabbioso, che inizia a deliziare i nostri padiglioni auricolari rompendo cosi quell'atmosfera plastica che si stava creando attraverso quel "In spite I want to lie/In spite I will lie (per ripicca/continuerò a mentire)".Il finale, com'è tipico di casa Deftones, è un inebriante tripudio strumentale nel quale Abe Cunnigham e la sua fedele batteria costruiscono geometrie interessanti che lentamente pongono fine alla nostra traccia.

Engine No. 9

Il titolo "Engine No. 9" letteralmente significa "Motore numero 9", ma in gergo figurato la parola engine indica uno stimolo; e data la tematica del testo, si presuppone stia ad indicare proprio lo scatto di una molla, di una scintilla. In particolare, parole come"wipe" e "lyrical" sono quelle che risaltano alla lettura del nostro testo: la prima può avere vari significati, come "strofinare", "pulire", "eliminare", "cancellare", "rimuovere"; in questa occasione, però, si è voluto rinunciare alla forte polisemia, decidendo di renderla mediante il significato di "pulire". La seconda, "lyrical", significa effettivamente lirico (riferito al testo di una poesia, o di una canzone)... eppure, anch'essa appare meno scontata di quanto si possa pensare. Dato sì che il termine in questione può anche essere reso in "estasiato", proprio per l'attinenza con l'enfasi profusa durante la stesura di un componimento musicale o poetico. Enfasi che, all'interno di questo brano, sembra venir messa al servizio di un odio che il protagonista vuole a tutti i costi sfogare. Testo assai criptico, ci sono riferimenti ad una "she", una donna, forse pietra dello scandalo. Non riusciamo a capire benissimo come questa possa aver provocato determinate pulsioni nel ragazzo narratore. Fatto sta che lui, impugnando un bastone, decide finalmente di rompere la cupola nella quale si era chiuso, uscendo fuori e sfogandosi. Passando al racconto tecnico del nostro brano, possiamo subito evidenziare una insolita somiglianza con la precedente "Birthmark", in primo luogo per l'impostazione ritmica: spetta sempre al nostro Carpenter dare inizio a tutto, con il suo stile che qui rasenta ovviamente il post grunge, il tutto coadiuvato dal beat ipnotico di Cunnigham, il quale (com'è solito fare) dona quel brio in più al tutto, rendendo l'insieme accattivante e particolare. Dopo un trenta secondi di gettito strumentale ecco insinuarsi Chino che aumenta la temperatura del brano, con il suo ormai riconoscibilissimo screaming che impone una ripresa nell'intensità della traccia. La sei corde di Carpenter non si ferma anzi continua a strimpellare e a creare le giusta psidechelia tipica del sound dei nostri, timbrando nella nostra mente questa non tanto "celebrata" Engine No. 9, che sicuramente meriterebbe un tanto di considerazione in più. Nei battiti finali della nostra traccia c'è un continuo susseguirsi di "urla" assatanate, che donano all'ensemble strumentale un'energia impressionante: "that the lyrical did/lick it to the wipe/did wiped did/whatisit?/wipedid/wipedid/last one" è l'immancabile strofa/uragano presentataci in maniera rude e diretta, senza fronzoli. Conclusasi la deflagrazione di tale esplosivo, tutto si spegne, la spina si stacca e sta al gioco geometrico dei nostri musicisti accompagnarci verso il finale.

Fireal

Siamo quasi giunti alla fine del nostro intricato viaggio, tanto interessante quanto ossessivo. La traccia che mi accingo a presentare è una delle più spinose per la notevole difficoltà di interpretazione, grazie a quelle tantissime sfumature che si posso evincere leggendo il testo; ed è questa (ormai lo avrete capito) una caratteristica ricorrente nelle liriche dei nostri, lasciare una libera interpretazione soggettiva agli ascoltatori, così da permettere ad ognuno di farsi una sua idea. "Fireal" tratta probabilmente di amore, di un amore non canonico ma di un sentimento contraddistinto da una linea di sofferenza. Se all'inizio emerge tanta felicità per questo giovane amore, dopo vi è un crescendo negativo nel quale trionfano solo il dolore e il tradimento. Sicuramente l'immagine che si presenta è quella di un ragazzo che ama una ragazza... tutto sembra andare per il verso giusto ma inaspettatamente ogni cosa crolla, forse per inutili incomprensioni. Tuttavia, nella canzone emerge oltre alla rabbia anche tanta malinconia, non si capisce il motivo di tale ferita: nei versi "Everything was good, everything's right at first than I was cursed" ("Tutto era buono, tutto è giusto prima che sono stato maledetto") fuoriescono tutti i buoni propositi profusi all'inizio, cosa che muterà nell'evoluzione del nostro brano. Difatti, alla fine il registro di intensità cambia, il protagonista comincia a sentirsi arrabbiato per aver dato tanto da sé e ricevendo così poco in cambio ("Life before I wouldshine down unshy, It comes from the first one while I watch you": un brano che si può catalogare come dolce ed amaro,un arma a doppio taglio che deve essere maneggiata con cura al fine di evitare incurabili ferite interiori. Il pezzo in sé per se è ha un minutaggio abbastanza elevato, espediente che ne aumenta notevolmente la pesantezza. Il tutto ha inizio da un fruscio di fondo che viene interrotto da un riff heavy all'ennesima potenza di Carpenter, un gioco ben calibrato che accarezza dolcemente la sezione ritmica creata dal rumoristico groove di Abe Cunnigham. In "Fireal" non ci sono secondi vuoti occupati solo dalla sezione strumentale, anzi  il nostro singer irrompe senza pretese dandoci la mano nel nostro ascolto: come gli usignoli cantano nelle nostre passeggiate nei boschi anche qui Chino si supera sfoderando la sua ammaliante anima melodica.Tale situazione viene, come è solito da parte dei Deftones, bruscamente interrotta da uno screaming assai concitato ed emotivo nel quale ci viene scagliato addosso il chorus, "No fist to fuckin' save you from/No fist to fuckin' save you from/No fist to fuckin' save you from/You knock me out". A differenza di altre tracce del nostro "Adrenaline", qui non c'è un ritornello ripetuto ossessivamente, ma possiamo comunque apprezzare il modo in cui il gruppo si destreggia lungo questo minutaggio, andando a creare sfumature contrastanti e per questo incredibilmente affascinanti.

ghost track: First

Il nostro percorso all'interno del primo platter proposto dai nostri ragazzi sta quasi per concludersi, abbiamo provato tante emozioni: dalla felicità alla voglia di ribellione, passando per il dolore e la sofferenza. Ogni sensazione che trasuda da ogni nota proposta ha il suo perché, infondo questo è l'obiettivo della musica dei Deftones, mostrarsi camaleontica ed imprevedibile. L'ultimo brano dei nostri, "First (Primo)" è una "ridde track"(traccia fantasma), quella particolare aggiunta che a volte gli artisti ci offrono: possono manifestarsi in forma di suoni, discorsi o vere canzoni nascoste alla fine o all'inizio dei cd, si tratta magari di b-side che non si uniformavano concettualmente al resto del lavoro, o al contrario piccoli particolari che in qualche modo lo completavano. "First" compie esattamente ciò, si collega tematicamente alla precedente "Fireal" e come questa infatti parla di amore, sebbene si tratti di un pezzo che ha tempistiche molto ridotte (fu anche mixato da un produttore differente rispetto alle atre tracce, Ross Robinson e non Terry Date)ma nonostante ciò dimostra la sua efficacia. L'amore è qui rappresentato come dilaniato dalla pesante distanza, ed immancabilmente Chino inizialmente scandisce queste tristi strofe: "Hello memory lover/You are mine/I gave everything/I need you/And someday/I'll be with her/I'll be with you" ("Ciao ricordo amoroso, sei mia, ti ho dato tutto, ho bisogno di te, e un giorno sarò li con te").Emotivamente si assiste ad un qualcosa di sofferente, la lontananza pesa sul cuore di entrambi gli amanti tanto da creare conflitti abbastanza deprimenti... ma nonostante ciò lui continua a vedere lei come una stella che gli illumina la via ("You're the first star/Tu sei la mia prima stella").Il pezzo è uno dei piu corti, è molto influenzato dall'alternative di band come Helmet o Smashing Pumpkins, a dimostrazione del fatto che lungo questo platter i Deftones hanno toccato seriamente moltissimi generi. Il brano non ha picchi eclatanti, è costruito su un arpeggio di scuola Tool ben gestito da Carpenter, dove risalta anche l'ottimo lavoro alle pelli di Abe Cunnigham, il tutto accompagnato da Chino nel suo consueto alternato tra screaming e melodico. In conclusione, questa traccia fantasma ha il suo motivo di esistere, è un ottimo modo per concludere il nostro viaggio nella mente creativa di questa band molto importante ma ai tempi ancora ancora forse acerba.

Conclusioni

"Adrenaline", in sostanza, non sarà certo considerabile un capolavoro alla pari di altri dischi dei Deftones. Un disco certamente bello ed intrigante, ma forse ancora minato da quell'acerbità di fondo, il "piccolo" difetto che lo porta di quando in quando a perdere leggermente il filo del discorso, spaziando lungo tante influenze ma mai centrando il cosiddetto "punto" al 100%. Proprio perché i Nostri erano ancora in fase di elaborazione e concretizzazione della loro anima. Intendiamoci, non voglio far pesare tutto questo più del dovuto. Stiamo pur sempre parlando di un gruppo che - a conti fatti - è riuscito a creare un disco godibilissimo e molto ben suonato. Un episodio che ha aiutato la band a rompere il ghiaccio, cimentandosi con un vero e proprio album in studio, tralasciando demo ed apparizioni "alive and raw". Dietro la consolle, in uno studio di registrazione, tutto diviene assai complesso. Le scelte da prendere sono molte, le responsabilità da assumersi altrettante. Un percorso all'epoca in fieri che in "Adrenaline" indica la via, sebbene questo sentiero recasse ancora "troppe" diramazioni, pur mostrando senza vergogna alcuna molti dei punti fissi sui quali i Deftones avrebbero costruito la propria fortuna. Quindi, tralasciando il discorso "giovinezza", potrei dire a gran voce che questo "Adrenaline" si sia rivelato con il tempo un ottimo modo per approcciarsi al vasto panorama alternativo dell'America novantiana. Un' ora scarsa di appunto adrenalina, di una rabbia compressa diffusa a suon di note dai nostri abili musicisti. Quel che la musica di quegli anni richiedeva, quel che il Metal a marchio '90 voleva. Suoni cupi, emozioni, pesantezza, disagio mostrato senza filtri. Come detto in precedenza, questo non è il miglior prodotto che il moniker Deftones ci ha proposto, anzi; è solo un ottimo spunto per partire. Le incomprensioni in alcuni passaggi, la produzione non all'altezza sicuramente lo danneggiano dal punto di vista qualitativo, poteva sicuramente rendere meglio se in fase di sviluppo si fosse posta maggiore attenzione su alcuni dettagli. Eppure, il difetto diviene (sotto alcuni punti di vista) pregio, se si pensa al fatto che un lavoro diretto ed essenziale, che punti alla semplicità sia nelle composizioni sia nelle liriche, non possa certo abbondare di fronzoli ed orpelli eccessivamente "curati". Forse, un altro problema risiede nelle liriche, ancora non ben "mature", troppo ancorate a temi "adolescenziali". Decisamente meno profonde di quelle dei KoRn, invece decisamente più sentite e soprattutto meglio strutturate. Punto forte da mettere in mostra, però, è l'abilità del frontman: Chino Moreno fu senza dubbio una delle più grandi sorprese agli albori di questa band e del movimento Nu in generale, una di quelle voci riconoscibili anche a dieci chilometri di distanza. Proprio il Nostro risulta, cosa ovvia ricordarlo, la punta di diamante essenziale non solo di questo debut ma anche della band nel suo quadro generale. Se consideriamo però che gli anni '90 sono stati un calderone di uscite e di band epocali, i Deftones per ora non si meritavano tale titolo, sebbene avessero rappresentato una novità assoluta per quanto riguardasse il genere proposto ed il sound altalenante e psidechelico. Per la maturazione completa avremmo dovuto aspettare pochi anni, quando i giovani di Sacramento si sarebbero consacrati con quel capolavoro dell'alternative metal chiamato "Around The Fur". Per adesso, possiamo comunque goderci con lo sguardo "di oggi" un disco che fa senza dubbio la sua figura. Un debut coraggioso, giovanissimo e dotato della sfrontatezza tipica degli anni d'oro di ognuno di noi. Gli anni nei quali non si ha poi troppa paura del giudizio altrui, gli anni in cui possiamo ancora gridare a gran voce la nostra vera essenza, i nostri pensieri, le nostre gioie ed i nostri dolori. Nemmeno a dirlo, i Deftones riuscivano benissimo in questo intento. Quello di farci toccare con mano una strana forma di malinconica rabbia, per il momento ancora non concretizzata a dovere... ma già in grado di dire molto, anzi, moltissimo.

1) Bored
2) Minus Blindfold
3) One Weak
4) Nosebleed
5) Lifter
6) Root
7) 7 Words
8) Birthmark
9) Engine No. 9
10) Fireal
11) ghost track: First
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