CRIMSON DAWN

Chronicles Of An Undead Hunter

2017 - Punishment 18

A CURA DI
ANDREA CERASI
18/04/2017
TEMPO DI LETTURA:
7

Introduzione Recensione

"In strani eoni", potremmo citare il titolo del debut-album, di Lovecraft-iana memoria, per spiegare il sound dei milanesi Crimson Dawn. L'oscurità come filosofia di vita, ambientazione prediletta dove creare composizioni dal fascino gotico, nero come la pece, costruite su ritmi sincopati, cadenzati e possenti, intessuti da toni epici che affondano le radici nel tradizionale epic metal, non quello sontuoso e altisonante di Virgin Steele e Manowar, ma quello meno luminescente e più spettrale di Manilla Road e Cirith Ungol, dove, oltre alla patina epicheggiante, si fa largo un sentore di maligna oscurità che guarda dritta ai Black Sabbath, padri assoluti del doom. E non può essere altrimenti, dato che la band nasce per mano di Dario Beretta, chitarrista della power band Drakkar, ed Emanuele Rastelli, chitarrista e vocalist dei Crown Of Autumn, gothic band che nel lontano 1997 donò al mondo un gioiello di oscurità come "The Treasure Arcane", tra i maggiori capolavori mai usciti in Italia. La fondazione dei Crimson Dawn risale al 2005 e da allora si sono succeduti cambi di formazione e modifiche nel suono, abbracciando una miriade di sfumature che prendono a piene mani dal doom, dall'hard rock e dall'epic, per un mix fresco ed elegante che giunge a noi dopo un lungo processo di maturazione: una demo, un album e un ep; e allora eccoci qui a recensire la nuova fatica, "Chronicles Of An Undead Hunter", pubblicato dalla Punishment 18, che ci regala tre quarti d'ora di prezioso e tenebroso metallo. Il lavoro in questione offre ulteriore linfa vitale a un genere ritornato prepotentemente alla ribalta negli ultimi anni, specie in Italia, inaspettatamente travolta da questa ondata doom e dalle conseguenti derivazioni, che l'hanno proiettata ai vertici della scena mondiale, per una escalation davvero sbalorditiva. Basta guardarsi intorno per capire che qualcosa è avvenuto, l'aria ha assunto un nuovo odore, la musica un nuovo sapore, alimentando non poco una scena che sembrava irrimediabilmente perduta, ferma agli anni 90, e che invece ha saputo reinventarsi, trascurando i generi più classici, come il power e l'heavy, di cui è stata tra i maggiori promotori alla fine del secolo, cambiando direzione e andandosi a gettare tra le braccia della Dea oscura. Stoner, sludge, rock psichedelico, gothic e doom ormai sono realtà consolidate, gli Dei dell'acciaio ci hanno fatto dono della sacralità di questi generi e noi li accettiamo a braccia aperte, con la stessa passione che da sempre contraddistingue il popolo italico. Passione, esatto, elemento chiave per capire un lavoro come "Chronicles Of An Undead Hunter", dove melodie efficaci duellano con asce affilate e tastiere esoteriche per un viaggio nell'ignoto che mai risulta indigeribile per via di una certa dinamicità e di una varietà di base che rendono i singoli pezzi molto gradevoli e ben pensati. L'epos si scontra con la teatralità delle liriche, dando una maggiore sensazione di profondità e trasmettendo la giusta dose di oppressione che soltanto il doom sa evocare, ma la scintilla melodica è accesa e brucia illuminando l'ambiente, sorretta da linee vocali articolate e da soli strumentali che catturano al primo colpo. Musica viscerale quella dei Crimson Dawn, foriera di intendere in modo personale e piuttosto intrigante il nostro amato genere. E allora non resta che addentrarci nella foschia di questa selva spettrale, dove racconti di fantasia prendono vita e si alternano a quelli di natura orrorifica, seguendo un cammino che dalle tenebre prende vita e che poi si divincolerà tra i più remoti angoli della psiche umana. Ma adesso siamo al crepuscolo e il buio sta calando su di noi, dall'altra parte del labirinto si intravede un sole nascente, insanguinato, color cremisi. È tempo di muoversi, di farsi inghiottire dal nero, consapevoli che sarà un percorso pericoloso e delirante. Dovremo sopravvivere per raggiungere quel sole rosso sangue, ma siamo coraggiosi e preparati: d'altronde, non abbiamo scelta, "per giungere all'alba non c'è altra via che la notte".

Twilight Of The Wandering Souls - Intro

Il soffio del vento introduce il lavoro. «Twilight Of The Wandering Souls - Intro" (La penombra delle anime vaganti) si apre con aria sinistra, c'è odore di malvagità nell'aria, la stessa malvagità trasportata e diffusa dall'alito di vento che aleggia per tutta la durata della intro. Emergono delle voci in sottofondo, degli strani sussurri: sembrano lamenti, sembrano gemiti di donna, alle cui fragili ossa sono stati inflitti atroci tormenti. Il dolce dondolio delle tastiere suonate da Emanuele Laghi ci proietta nelle atmosfere a tema horror, preparandoci ad affrontare il buio di una notte priva di stelle. Poi i tamburi, dal ritmo irriverente, ci danno la sensazione di prendere parte a una parata oppure di entrare in un luna park abbandonato, dove vecchi giochi per ragazzini giacciono minacciosi da decenni, o forse l'andamento ci pone davanti a una macabra opera teatrale; ecco, potrebbe essere così, l'elemento teatrale è evidente, le liriche sono altamente recitative: Grand Guignol è ciò che viene in mente. Dunque, che il sipario si apra, l'avventura sta per cominciare.

Eternal Is The Dark

"Eternal is The Dark" (Eterna è l'oscurità) è la traccia scelta per presentare il disco e la band agli ascoltatori. Qui si intuiscono le capacità melodrammatiche di questi ragazzi del nord Italia e la loro propensione a ricalcare certi stilemi classici che fondano benissimo sfuriate heavy con rallentamenti doom. Il sapore retrò è però ben presente grazie al sapiente utilizzo delle tastiere, che trasmettono un sentore settantiano che aggrada non poco l'udito. Il sipario si è aperto e ci ha scaraventati in un mondo tetro nel quale storie macabre prenderanno vita, dunque si inizia con una perla dal corpo ben calibrato e dall'animo malvagio. L'alba rosso sangue sta sorgendo, la notte si sta dissolvendo per lasciare spazio al giorno, eppure le tenebre si diradano lentamente, come se non volessero abbandonare il mondo mortale. Il sole è offuscato dal nero e non riesce a protendere le sue calde e lucenti braccia. Il vocalist Antonio Pecere, dal vibrante timbro recitativo, incarna la Notte e si presenta come una divinità che tutto può e che sa essere generosa con l'uomo, basta che questi la veneri, la rispetti, la accolga e la faccia entrare nel proprio cuore. Il brano ha un andamento veloce e sinuoso, ma non manca di passaggi altamente teatrali e liturgici. La mattina è ormai soffocata da questa nebbia nera che non fa filtrare luce: è forse il regno della morte? Probabile. Il sole non sorgerà mai più, facendo sprofondare l'umanità in un pianeta desolato e notturno. L'intermezzo centrale giunge improvviso, sorprendendo per solennità, la liturgia viene scandita dal coro latino dell'Incanto Libero che, in una maniera sommessa che mette i brividi per drammaticità, viene recitata un'ode alla notte perpetua, che tutto divora, sprofondando il mondo nella disperazione e nella sopravvivenza. Dario Beretta illumina il cielo con un grande assolo di chitarra, fuoco e fiamme si innalzano alte e combattono il buio, poi il ritmo frenetico si arresta. No, non c'è speranza di luce, l'oscurità tutto divora, le preghiere dell'uomo sono vane, la foschia di diffonde inghiottendo la sfera celeste. La notte, una notte eterna, nera che più nera non si può, inutile attendere il nuovo giorno: non verrà mai, quel sole rosso cremisi è ancora lontano, gli umani abbassano gli sguardi, impauriti, e sanno che, a differenza del loro corpo, il buio è eterno come la morte, come l'oblio, come il tocco magico dei Crimson Dawn.

Neverending Rain

"Neverending Rain" (Pioggia Infinita) dà la sensazione di un mondo apocalittico, sommerso dalle acque. Antonio Pecere ammalia con la sua calda voce e spicca nel melodioso ritornello, posto subito in apertura, esattamente a metà brano e in chiusura, costruendo una traccia dal corpo bipartito e monolitico. La melodia spicca immediatamente, ha un sapore hard rock anni 70 che potrebbe ricordare le composizioni dei grandi Uriah Heep, maestri dell'hard dal retrogusto esoterico. E infatti, anche qui, Emanuele Laghi utilizza le sue tastiere in modo intelligente, ricreando un mondo alchemico. Il giorno del giudizio è vicino, le anime vaganti sulla terra sanno che i loro peccati stanno per essere lavati dalla pioggia battente. Le chitarre di Marco Rusconi e Dario Beretta sono affilate al punto giusto ed è proprio quest'ultimo a ritagliarsi il primo spazio strumentale, dove ci alletta con un buon assolo. La sezione ritmica prende il sopravvento, il drumming di Lucchini flirta con le tastiere e con il basso di Romagnoli, sapientemente dosato. Le tenebre avvolgono il mondo e alla fine del giorno, sotto un cielo terso, giunge un'onda di fuoco che si incendia all'orizzonte e si avvicina lentamente. La sporcizia del mondo sta per essere divorata e intanto la pioggia continua a cadere implacabile sui visi pallidi delle persone. Il ritmo è dinamico, ma non frenetico, poggiato su una base corposa guidata dalla potenza della batteria e del basso che si uniscono in un sacro esoterico vincolo. Lo spiraglio melodico è dietro l'angolo, poiché un secondo refrain giunge improvviso, spezzando il cammino delle chitarre per farci vedere come il nero stia divorando il mondo intero. Il genere umano sta pregando ma il destino è scritto, un oceano di disprezzo si sta abbattendo su tutto. Tocca a Marco Rusconi esibirsi, e allora ecco il secondo assolo, questa volta più riflessivo, costruito sfidando i colpi inferti alle pelli da Lucchini che sembrano tuoni scagliati a terra per incenerire i peccatori. Il livello dei mari si sta innalzando e sta per sommergere ogni cosa. Acqua, lacrime, paure, tutto condensato nell'ultimo giorno prima dell'oblio biblico. La razza umana è pronta all'estinzione, punita da Dio per i suoi peccati. Un orizzonte oscuro si è formato in cielo, il buio sta calando come una spada sulle teste dei mortali e la sacra tempesta sta infuriando. Benvenuta, oscurità!

The Suffering

"The Suffering" (La sofferenza) è la prima parte della title-track, suddivisa in due atti. La chitarra romantica e sofferente squarcia le tenebre e intona una morbida cantilena e solenne. La sofferenza si trasforma in una ballata evocativa dotata di un refrain pazzesco, accompagnata da sinistre tastiere e cori inquietanti eseguiti dal coro Incanto Libero di Piacenza. Le liriche, in latino, sono un inno al dolore e alle tenebre interiori all'uomo, la dimensione infernale viene suggellata con l'arrivo del vocalist che, come un sacerdote, professa questa cerimonia, pregando per il significato nascosto dietro al dolore. I peccati dei padri ricadono sui figli, poiché le ferite aperte mai si cicatrizzeranno. I peccati sono sacri fantasmi che si aggirano tra noi. Le asce dei due chitarristi danzano nel plenilunio, coreografando l'oscuro rituale. Il fumo si espande e sommerge i fedeli intenti nella preghiera, e allora ecco che parte il lungo e sublime refrain, dalla melodia celestiale che stordisce e fa innamorare. La parentesi introspettiva è sottolineata dalla sacralità del momento, la sezione ritmica è cauta, mentre il sacerdote recita versi arcani, e dalle sue parole si intuisce la lotta interiore che sta affrontando, combattendo contro i suoi demoni. Quanto a lungo dovrà combattere prima di diventare un fantasma, uno spettro che si è sacrificato per l'umanità? Quando le tenebre si diraderanno per far tornare la luce? Qual è il prezzo che l'uomo deve pagare affinché ciò avvenga? L'anima va purificata attraverso la sofferenza, la conoscenza si acquisisce possedendo la chiave del mondo, la chiave magica che apre le porte della mente. Le dinamiche doom si protraggono e accompagnano la voce di Pecere, emulo di Ronnie James Dio grazie al suo timbro caldo e avvolgente. Il coro riemerge dall'ombra, la ricompensa per la conoscenza è la giusta dose di dolore, la foschia si sta diradando, spiragli di luce cominciano a vedersi all'orizzonte, la catarsi è interrotta dallo scintillio delle sei-corde di Rusconi e Beretta e dalle tastiere di Emanuele Laghi, che si sfidano danzando davanti al sacerdote che ha professato messa. Capolavoro.

The Skeleton Key

"The Skeleton Key" (Passepartout) è la chiave citata nel brano precedente, perciò si pone come secondo passaggio di un unico vincente ed emozionante brano. La chiave mentale, costruita per aprire le porte della mente, per diradare le nebbie dell'ignoto, si esterna attraverso un assolo solenne, orgogliosamente epico, sostenuto dalle infuocate tastiere e dal roccioso drumming. La cavalcata, dal fascino mistico, è un muro d'acciaio che ricorda le vecchie e oscure galoppate dei Manowar e quindi contrasta con la morbidezza magniloquente della prima parte. Il nero si tinge ancora più di nero, le anime si accendono di un astrattismo cosmico, diventando fiammelle che danzano nel buio e nella cecità dell'uomo. Il flagello del morto, il cuore del guerriero, il fuoco del desiderio: elementi alla base di ogni principio umano, da scoprire e utilizzare per conoscersi e per sfidare se stessi. Bisogna avere coraggio per attraversare i cancelli dell'incubo, ma una volta superati ecco che il significato della vita e della morte si schiude davanti agli occhi: due essenze legate in un unico, eterno, immortale abbraccio. Lucchini è possente e dà il via al folkloristico ritornello dalla gustosità medievale, decorato da frizzanti colpi d'ascia e da ballerine tastiere che offrono all'ascoltatore un pizzico di solarità. Ma la marea oscura resta eccome, si estende cercando di tappare le falle e non far filtrare la luce, così l'incubo diventa sogno, allucinazione, bisogna cercare la dannata chiave nei labirinti della mente, codificando segni e segreti che le ombre donano al coraggioso. Il refrain è bipartito, e se la prima quartina è lineare, la seconda è scandita da cori e contro-cori che hanno un effetto stordente, come si fossimo noi quegli avventurieri ciechi che sfidano l'ignoto camminando a tastoni, al fine di trovare la verità delle cose. La porta del sogno si palesa davanti a noi, la chiave riesce ad aprirla, dunque si intravede un sentiero: è la strada che porta alla luce. C'è ancora speranza, una timida gioia è presentata dal cantato in italiano arcaico e dal ritmo scanzonato, dalla forma di una canzone medievale, intonata a cinque voci; il ritmo però si riconverte dopo poco, la solenne epicità prosegue manifestandosi con l'assolo di chitarra e con l'ultimo chorus. Le ombre raccontano la sorte di uomo che affronta la morte con cuore impavido, questi sa che non può sfuggire alla vecchia mietitrice, ma la conoscenza gli aprirà le porte per l'infinito. Egli affida alla memoria dei mortali le sue ultimi parole, scrivendole alla luce della lanterna, nell'ultima notte della sua vita. Quest'uomo è colui che viene ritratto sulla copertina del disco, un saggio che, in quieta solitudine, scrive di avventure vissute e di mondi arcani.

Gaze Of The Scarecrow

"Gaze Of The Scarecrow" (Lo sguardo dello spaventapasseri) ha un'apertura nostalgica e compassata, il basso è vigoroso e ci proietta in una dimensione tetra e pericolosa, la chitarra scalcia frenetica ma deve attendere, mentre la batteria vibra fendenti azzardati, pronti a infliggere dolore. L'introduzione è lunga e atmosferica, ideale per prepararci ad affrontare il male e l'oscurità. La teatralità del brano è palese, persino l'interpretazione di Pecere è molto sofisticata, dove la soffice melodia si scontra con un testo immaginifico. È tempo di tornare a casa dopo il lavoro, attraversando le campagne; è una bella giornata di sole e l'aria è calda, ma all'improvviso il cielo comincia a farsi scuro e le nuvole a coprire i raggi di sole. Il contadino fischia per scacciare l'imbarazzo, eppure dentro di sé comprende che qualcosa non va. Nuvoloni minacciosi incombono sulla sua testa e su tutta la sua terra. Dalla quiete al caos. Gli animi si incendiamo, così come gli strumenti che esplodono all'unisono, la melodia viene accentuata dai cori e rafforzata dalla sezione ritmica, la quale ha una sterzata improvvisa prima di inerpicarsi nel lento e letale refrain. Tra le spighe di grano si intravedono degli stracci, il nero avvolge la vallata. Per il giovane contadino si mette male, lo capisce nel momento in cui incrocia gli occhi dello spaventapasseri, il suo sguardo è orribile, gli occhi luminosi emanano una strana luce pallida. Si prosegue con la seconda parte, emerge un triste violino che dona maggiore romanticismo e pathos al racconto horror. Le chitarre ululano in sottofondo, lamentose e avvilite. Il contadino ricorda una vecchia leggenda popolare che ha origine proprio tra i campi che lui, con tanto amore e fatica, coltiva quotidianamente. Gli spaventapasseri nascono da quel lembo di terra, sono alti e feroci, costruiti in tempi lontani da chi non si sa. Il giovane fugge sperando di salvarsi, ma ha poche possibilità. Nelle afose notti estive prendono vita per giocare a carnefice e vittima e non c'è riparo alcuno al loro sguardo. Nessuno, in città, osa pronunciare il loro nome, tutti ne hanno timore, perché si dice che questi esseri animati si nutrano di anime umane. La carne umana è mais per loro, nutriente e gustoso, e i loro omicidi sono famosi e temuti da tutti, simboli della loro maestosità e cattiveria ancestrale. La coda finale è un'esplosione di suoni e così, dopo il macabro racconto, il brano diventa più dinamico, più veloce, costruito su una serie di assoli che vedono l'alternanza della chitarra di Beretta con le tastiere di Laghi, in un vortice metallico davvero ben amalgamato.

Dark Ride

L'impetuosità in stile Dio, dai toni oscuri e dal ritmo cadenzato, è alla base della monolitica "Dark Ride" (Corsa oscura), dove il nostro Antonio Pecere dà sfoggio della sua bella timbrica. Al crepuscolo del giorno, la verità è sepolta da una fitta coltre di neve, e un uomo è solo contro tutti; nessuno è disposto a dargli una mano, lasciandolo nella disperazione assoluta. Le bugie dei potenti sono state pesate e vendute al prezzo dell'oro, pesanti e care da espiare, e quei porci incestuosi, adesso, al posto di salvare l'umanità, l'hanno lasciata bruciare. L'arpeggio di chitarra e la pulsazione del basso di Romagnoli accrescono questo sentimento di smarrimento e di oppressione, anticipando una parte narrata da Bruno Masulli altamente teatrale. Il sipario è aperto e lo spettacolo è iniziato: dalle ceneri del mondo, una fenice bianca rinasce emergendo dalle nevi che hanno ricoperto il suo corpo. La vendetta ha inizio e incomincia col discreto ritornello, seguito da una parte centrale da brividi in cui il tempo accelera, giocato tutto su basso e batteria. Il sangue è un fuoco eterno, una fiamma che non si spegnerà mai, la vita di un uomo è una corsa oscura contro un futuro incerto. L'ira e la vendetta, il dolore e il rimpianto tengono in vita l'uomo, funestato dal destino e preso in giro dal mondo. La vendetta è l'unica soluzione, come un lupo affamato egli si aggira tra i suoi simili in cerca di carne. Cerca morte e distruzione, prima di dire addio a tutto. La sezione strumentale accelera e decelera, lasciando spazio alla foga delle chitarre, prima, e delle tastiere, poi, seguendo un ritmo rallentato e cupo che lascia estasiati. Romangoli è ancora protagonista col suo basso impetuoso, dai muscoli d'acciaio, e dà il via alla coda finale, più sciolta e melodica rispetto al resto. Il dolore interno durerà in eterno, per sempre, protraendosi fino alla fine dei tempi. Il genere umano è condannato alla sofferenza, siamo nati per sopportare questa infausta vita; adesso il manto nevoso è sporco di sangue, la purezza del bianco, simbolo di innocenza, è andata perduta? resta soltanto vendetta. Il brano ci lascia, sfumando lentamente, cullandoci con il coro latino dell'Incanto Libero che ripete il mistico ritornello.

Checkmate In Red

"Checkmate In Red" (Scaccomatto in rosso) vola via come il vento e comporta un senso di libertà al suo interno. Basso e tastiere sempre costanti nel creare un tappeto sonoro esoterico, ma emerge un'aria meno ossessiva sin dall'attacco di chitarra. Forse il brano più classico del lotto e anche quello meno riuscito. A parlare è il Re Scarlatto, in un dialogo con Alice; esatto, proprio lei, scaraventata nel paese delle meraviglie per un'avventura oltre ogni confine. Il Re le chiede di avvicinarsi e di unirsi al suo strambo mondo, tutto colorato di rosso e di bianco e così la sfida nel gioco degli scacchi. Il prezzo? La vita stessa. Alice prende parola in un chorus sottotono e un po' anonimo e scandisce con orgoglio il proprio nome, inoltre afferma di saper giocare abbastanza bene al gioco degli scacchi e di appartenere al mondo reale, non quello onirico del folle personaggio che ha davanti, perciò ha buone possibilità di vincere usando il raziocinio. La chitarra prosegue la sua corsa, il drumming di Luca Lucchini tiene sotto controllo la situazione e chiama rapporto le tastiere di Emanuele Laghi per una parentesi molto tradizionale che rimanda dritta all'hard rock anni 70, Uriah Heep e Deep Purple in primis. Alice fa la sua mossa, le torri la assistono e il cavallo abbatte le prime pedine. Prenderà la testa del Re Scarlatto perché è una ragazza meticolosa, addestrata, coraggiosa e paziente. Marco Rusconi sguinzaglia la fedele chitarra in un solo atmosferico, sovrastando tastiere, basso e batteria. Ci sono passione e talento nella sua tecnica e il suo assolo si protrae a lungo riuscendo a creare il mondo fantasioso del romanzo di Lewis Carroll per portarlo dritto alle nostre orecchie. Alice spodesta il Re con una mossa repentina, e mette fine al gioco. Scaccomatto.

To Live Is To Grieve

"To Live Is To Grieve" (Vivere è affliggersi) è doom metal all'ennesima potenza. Cori e riffing tenebrosi si fanno strada in questo percorso musicale dal grande fascino ancestrale. L'anima gotica spicca grazie alle tastiere sommesse alla Type O Negative che contornano il vocalist, arricchendo la sua performance. E' ancora l'uomo, e i suoi mali, ad essere preso in considerazione, in una lotta con se stessi altamente evocativa e ben delineata da due cantanti. Un senso di tristezza assale il nostro protagonista, tutto solo, tutto perso nei meandri della sua psiche, prigioniero di una gabbia mentale che si è rafforzata negli anni. Quest'uomo sta affogando nel dolore, nella malinconia, nessun altro può essergli da aiuto, deve cavarsela con le proprie forze, perché il male è dentro di sé. Le cose che ama non esistono quasi più, sono soltanto un lontano ricordo, si specchia e vede una maschera sul suo volto. Lo specchio, sempre il dannato specchio, specchio dell'anima, oggetto attraverso il quale intravedere l'IO interiore, i più reconditi sentimenti, nascosti tra le piaghe dell'animo. Vivere è un'agonia, questo è l'insindacabile verdetto. La sezione ritmica si ammorbidisce, la chitarra sveste la corazza e si libera dell'implacabile riff per gettarsi in una parentesi delicata, quasi onirica, con un arpeggio straziante. Il corpo centrale del pezzo è strepitoso, malinconico e sofferto, i violenti fendenti alle pelli ad opera di Lucchini si smorzano e concedono spazio all'armonia e alla magica prestazione del vocalist. Intanto i colori svaniscono, diventano grigi, smorti, i rimpianti di una vita molestano e infestano i sogni dell'uomo, durante la notte, ma nulla si può fare per scacciarli, se non quello di andare avanti, proseguire a testa alta, dimenticando i fallimenti. Non c'è nulla da nascondere, siamo umani e gli errori fanno parte dell'esistenza, siamo esseri imperfetti e dediti al peccato. Prevale un senso di soffocamento, di asprezza, ed ecco che a sottolinearlo prosegue un verso cantato in growl da Emanuele Rastelli, con tanto di tastiere e chitarre taglienti, sulla scia di My Dying Bride. Intreccio sonoro, tutti gli strumenti impennati per sfidare l'ospite in studio dietro al microfono. È l'alter-ego che prende parola allo specchio, la sua voce proviene da un mondo interiore, ultraterreno, è la voce della coscienza che parla: sibila nella sua mente con fare aspro, ricordandogli tutta la disperazione provata in vita; ci sarà sempre poiché è lui che detta i sentimenti e i pensieri, che li comanda. Tutto ciò che l'umano è appartiene a colui che si cela al suo interno, il suo cuore è chiuso a chiave e schiavo dello spirito. Lui è la metà oscura, l'unico di cui si può fidare, il suo gemello malvagio e perverso, tenuto in catene nelle profondità dell'animo, ma è potente e incredibilmente convincente. Il ritmo accelera e allora torna al microfono Antonio Pecere per chiudere alla grande un bel brano solido, sinuoso, cattivo, gotico. Non è troppo tardi, la vittima si ribella al suo IO, strilla aiuto, si interroga se è veramente una pedina in mano a un'ombra, ma sa che la strada è ancora lunga e ha tutto il tempo di imparare a vivere? felice e accanto a qualcuno che lo ami.

Conclusioni

Un uomo, seduto di spalle, è concentrato sulla scrittura delle proprie memorie. Sta raccontando le sue avventure prima di dissolversi con la notte, perché egli è incarnazione di oscurità e, come i sogni svaniscono alle prime luci dell'alba, anch'egli svanisce al dissolversi delle tenebre. Una maschera veneziana, alcune candele, una sfera magica dove osserva gli incubi del mondo, dei libri scritti rigorosamente a mano: sono questi gli elementi visibili sul bellissimo art-work, disposti ordinatamente sulla scrivania dello scrittore misterioso. Si tratta di un alchimista? Il titolo suggerisce che si tratti di un cacciatore di avventure, di un'anima in pena che si crogiola nel buio della sua camera e che rifugge dai mali del giorno. L'uomo, narratore antico, descrive incubi e deliri notturni, magari trascrivendo ciò che osserva all'interno di quella sfera luminescente che ha davanti a sé. "In strani eoni" nominava Lovecraft per identificare un'era geologica antica della nostra terra, ma secondo alcune teorie teologiche gli eoni sono emanazioni di Dio, inteso come essere perfetto, e così i Crimson Dawn, sin dal primo album del 2013, passando per l'ep "At The Cemetery Gates", uniscono sapientemente il fascino della narrazione horror/gotica all'estasi divino/alchemica per una formula fatta di magia, allucinazioni, sferzate epiche e rallentamenti pesanti e velenosi tipici della tradizione doom. C'è un cuore che pulsa, lo scrittore è vivo, come sottintende il titolo di questo lavoro, e sfida la notte affidando le sue memorie alla carta, in attesa che l'alba rosso sangue arrivi il mattino seguente. Non c'è sonno, non c'è stanchezza, bisogna essere vigili e sopravvivere al buio, dalle cui spire soffuse tentacolari racconti prendono vita, gli stessi narrati nei nove brani presenti sul dischetto. Si tratta di storie potenti, evocative, che mettono in risalto la buona penna dell'alchimista, sempre intento all'esaltazione della Notte in quanto divinità sacra, perciò il songwriting è affilato ed efficace, anche se in un paio di pezzi tende a calare, così come le canzoni sono convincenti più o meno tutte, con alcune punte da brividi, dalle melodie sublimi e dalla profondità impressionante. C'è talento in questa band, c'è convinzione nel creare qualcosa di tradizionale ma che risulti fresco e personale, elevando la teatralità, da sempre elemento fondamentale dello shock rock, a punto di forza di questo lavoro. "Chronicles Of A Undead Hunter" è un gran bel disco, non c'è che dire, dalla durata concentrata che rende l'ascolto felice e che lascia sul palato una certa soddisfazione. Qualche piccolo calo c'è, sia per quanto riguarda le liriche sia per gli arrangiamenti che, a volte, si scontrano con soluzioni fin troppo facili, ma il comparto tecnico dei musicisti è preparato e competente, frutto di una maturazione costante e che nell'immediato futuro potrebbe portare a lavori incredibili. Le atmosfere, tinte di nero e sfuocate da una nebbia costante, sono bellissime e danno una certa profondità a questo lungo racconto gotico dotato di una teatralità toccante. L'inserimento di parentesi recitative, affidate al coro Incanto Libero di Piacenza, e di alcuni passaggi folk, sono un'intuizione geniale che spero rimanga nei prossimi album, perché donano un tocco magico in più, mentre le tastiere, dal sapore retrò e vero spirito-guida della sezione ritmica, aprono a un mondo esoterico ricco di fascino e di sensualità che conquista sin dal primo ascolto. Purtroppo, un'opera del genere avrebbe reso maggiormente con una produzione più pomposa e calda, tanto che molti suoni si disperdono risultando piuttosto freddi. Le idee ci sono, sono tante e ben studiate, il talento è evidente, gli elementi per scaraventare il pubblico in un incubo sonoro, scandito da testi horror e mondi arcani, sono apparecchiati sul tavolo dell'alchimista: adesso va cercata soltanto la soluzione perfetta per mischiare pozioni e veleni, perciò, dietro l'angolo e in un futuro non troppo remoto, mi aspetto che i Crimson Dawn possano sfornare un vero capolavoro. Il sipario è calato, lo spettacolo terminato, lo scrittore è stanco e dalle finestre vede che dei timidi raggi di sole stanno irrompendo nella stanza. Chiude il libro, è sopravvissuto alla notte, prima di andare a dormire attende che, oltre l'orizzonte, si accenda l'alba color cremisi. Avrà origine un nuovo giorno, ma l'uomo sa che il buio tornerà presto a narrare le sue folli visioni.

1) Twilight Of The Wandering Souls - Intro
2) Eternal Is The Dark
3) Neverending Rain
4) The Suffering
5) The Skeleton Key
6) Gaze Of The Scarecrow
7) Dark Ride
8) Checkmate In Red
9) To Live Is To Grieve