CORONER

Punishment for Decadence

1988 - Noise Records

A CURA DI
ANDREA MARTELLA
13/12/2017
TEMPO DI LETTURA:
9

Introduzione Recensione

Dopo un grandioso tour europeo come spalla dei Celtic Frost, il nostro funzionario pubblico, forte di una nuova energia psicofisica, si trovò ancora una volta pronto a sviscerare la complessità enigmatica congenita nell'oscura materia, senza dimenticarne gli articolati ed intimi dedali della mente umana. Il momento poteva considerarsi pieno d'evoluzioni e ricco di convinzioni, dacché la carta stampata non perse tempo nel sottolinearne la caratura. Proprio riferendosi a questo periodo, Marquis dichiarerà: "Credo che ci sentissimo invincibili. Sentivamo molto entusiasmo per il nostro modo di intendere la musica; tutti, soprattutto la stampa, parlavano di noi come di una band davvero valida! Questo ci dava forza, tantissima forza". Ci troviamo quindi nel 1988 ed i nostri, trovandosi sotto irradianti riflettori mediatici, con giustificato bramare, possono cosi percorrere quel selciato - adesso - cosi ben illuminato, apprestandosi a scrivere un altro pezzo di storia in compagnia di una rigenerante consapevolezza dei propri mezzi. Nel frattempo, oltre oceano, padre metallo e madre musica nel pieno dei loro servigi, consegnano al globo nuovi esaltanti sobbalzi emotivi tra cui "And Justice for All" dei Metallica e "So Far, So Good...So What" dei Megadeth. Il primo, scritto senza il bassista leggendario Cliff Burton perché deceduto nell'86', durante il tour promozionale di "Muster of Puppets" in Svezia, a causa di un incidente stradale; il secondo, contenente "In My Darkest Hour" traccia ispirata alla tragica scomparsa proprio di Cliff. Sicuramente siamo faccia a faccia con un periodo grandioso nella storia del thrash metal; il panorama non aveva ancora smarrito la voglia di mostrarci scenari capaci di scrivere e riscrivere il significato stesso della parola bellezza, proprio perché il susseguirsi di questi capolavori, da considerarsi come principi fondamentali del genere, ancora oggi risultano essere il seme da cui far crescere le piante più fruttifere. A rendere ancor più di livello questa donazione testamentaria, anche l'Europa, dove i teutonici Sodom, con il loro secondo lavoro "Persecution Mania", introducono un sound tipicamente thrash, al contrario del loro album d'esordio "Obsessed by Cruelty", che si avvaleva della caratteristica impronta black, parallelamente ai Destruction con "Release from Agony", anch'esso parte integrante di un movimento in ascesa. Cosicché, l'Italia, anch'essa unita al coro, poteva contare sui Bulldozer e su "Neurodeliri", album ben supportato dalla critica e pubblicato in memoria di Dario Carria, bassista fondatore della band suicidatosi prima della realizzazione dello stesso. La logica conseguenza non poteva che far riunire la band rossocrociata per operare con la consueta dovizia sulle variopinte scene del crimine; è cosi che, l'ormai proverbiale capacità dei nostri elvetici indagatori pronta a spogliarsi delle pregiate stoffe indossate in "R.I.P.", ne indossa altrettante di egual valore, le quali poseranno come degne eredi per il nuovo dipinto dal nome Punishment for Decadence (Punizione per Decadenza). Quest'ultimi, importanti drappi da collezione, compongono non soltanto l'elevato insieme strettamente musicale ma, con longeva eleganza, anche la doppia confezione lucidamente pensata sempre del nostro affezionato battitore del tempo Marky. La versione originale riporta l'immagine della scultura incompiuta "La Porte de L'Enfer" di Auguste Rodin pittore e scultore francese. Un'imponente struttura in bronzo che prende spunto dall'inferno descritto dal Sommo poeta nella Divina Commedia, la quale sembra manifestarsi come apparente logica conseguenza alla punizione sopra citata. Per quanto concerne la seconda, è ispirata al "Der Tod als Wuerger" del pittore e disegnatore tedesco Alfred Rethel e raffigura la suprema Mietitrice che, uscendo da un cerchio circondato da misteriosi simboli come il leone della famosa casa cinematografica americana, con un archetto, è intenta a suonare una tibia come fosse un violino per evidenziare ancora una volta quale sia la protagonista. Molto probabilmente, questa nuova soluzione, venne adottata perché la Noise Records, ancora una volta accogliente nei confronti dei nostri, era convinta che fosse più adeguata al mercato proprio per il genere proposto dal gruppo. Ecco che un rosso sangue, che dal basso si espande fino a metà del busto del protagonista, per poi lasciar spazio ad un giallo canarino, il quale avanza dal busto della Morte, protraendosi fino alla scritta Coroner posta in alto. Il tutto, su nero sfondo. Fu cosi che il primo agosto 1988, registrato presso gli Sky Track di Berlino e sotto la produzione di Guy Bidmead, uscì il summenzionato capolavoro, in cui possiamo constare una realizzazione migliorata per quanto riguarda l'uso della lingua inglese, nonché più curata per ciò che concerne la produzione. Risultato che non svaluta assolutamente il recente passato, bensì, ne arricchisce ulteriormente il presente. Ed ora, fidati avventurieri, il viaggio tra le intricate favelle può finalmente continuare.

Intro

La prima impressione portata alla luce dai pochi secondi che compongono un Intro senza supporto musicale, risulta essere un'ottima intuizione in relazione alla copertina inizialmente divulgata, poiché sembra proprio condurci dinnanzi al malefico varco. L'accesso, che cigolando spalanca le sue vie, è seguito da profondi ed infernali lamenti, proprio come ricorda l'incompiuta opera dell'illustre scultore francese grazie ai suoi rilievi raffiguranti un insieme di anime in pena; il tutto sottolineato dal sintetizzatore di Gary Marlowe, non più curato, come nella precedente fatica, da Ron e Marky. Ovviamente, se dovessimo considerare solo la seconda illustrazione del disegnatore tedesco, non si dimostrerebbe una logica conseguenza, tuttavia, potrebbe rappresentare la giusta ed ammaliante accoglienza da parte della Mietitrice, a seguito della nefasta entrata, poiché pronta ad ipnotizzarti con l'eterna sinfonia. In ogni caso, nonostante siano pochi gli attimi che ci accompagnano durante l'introduzione, veniamo comunque colti impreparati; grazie alla struttura glacialmente proposta, risulta facile rimanere impietriti dalle succitate espressioni sillabiche pero', come assetati di trama, imperterriti aspettiamo il malefico passo successivo.

Absorbed

L'attesa è ben ripagata quando Absorbed (Assorbito/Assorto) invade l'intero spazio circostante. La conclamata abilità del trio svizzero si palesa immediatamente e la seguente grande gioia emotiva può facilmente abbracciare i fruitori di note. Senza inutili attese, il pizzicatore di corde, attraverso il suo maestro sapere, non tarda nel rinfrescarci la memoria assieme a Royce, in quello che potremmo ormai definire come il perfetto duello tra chitarra e basso, eseguito a suon di scale. Risulta, inoltre, una prerogativa non comune da parte dei bassisti in quel periodo storico. In questo modo l'ambasciata, scritta come sempre da Marquis, si presenta subito con fare deciso, come il tono filtrato e sempre glaciale del nostro portavoce, giacche' i fantasmi, presenti nella precedente opera, vorrebbero trovare, in questa nuova vicenda, il meritato ed eterno riposo. Il messaggio, infatti, non trae in inganno: in maniera lucida viene descritta una situazione apparentemente senza vie d'uscita, assorbiti dentro la propria tempesta emozionale e con la conseguente voglia di liberare la mente da una parentesi di vita piena di sangue e lacrime ed eccessivamente condizionata da informazioni manipolate. Su ritmi complessi ed incastonati magistralmente dai battitori del tempo Marky e Ron, continua il viaggio introspettivo alla ricerca di una nuova direzione, lontano dalla nebbia creata dalle proprie bugie e deciso a ripulirne la coscienza. Accompagnato da una entrata vorticosa da parte dei nostri, il ritornello, sempre espresso con dovizia dal violaceo mantello, ricrea una forte confusione interiore, facendo risultare questo passaggio come un'ovvia conseguenza; quest'ultima, dovuta alla spasmodica ricerca della chiave che potrebbe aprire la porta della libertà. Anche la grande velocità, in simbiosi con la proverbiale tecnica del nostro alfiere dalle sei corde, prende con giusta importanza la solitaria scena, mostrandoci, nuovamente, uno stato d'animo perennemente alla ricerca della salvezza spirituale con soluzioni molto personali ed assolutamente azzeccate per il sistema emozionale creato dall'insieme. Ne consegue una ricerca non facile per il nostro protagonista, poiché le domande persistono e le vie da percorrere non sembrano esser più cosi ben illuminate e di facile ritrovamento. Allorché la confusione, riaffiorando nella testa, può cosi assorbire le sue ultime energie.

Masked Jackal

Il numero delle menzogne che, sin dall'alba dei tempi, colorano con sfumature di grigio le quantità di tele componenti la nostra personale collezione chiamata Vita, raggiunge cifre non quantificabili, cosi come le molteplici maschere indossate per le differenti occasioni. Masked Jackal (Sciacallo Mascherato) ne mostra diverse ma, a differenza di quest'ultime, sono portate con nonchalance ed ignobile comodità da un solo personaggio, quello dell'abile saccheggiatore, nonché losco sfruttatore delle sventure altrui: lo sciacallo, qui perfettamente personificato dalla figura del "leader". La poesia, qui tradotta in musica, ha il sapore di puro thrash e se in un primo momento si manifesta con passo più cadenzato, successivamente aumenta la sua scansione trafiggendoci ripetutamente grazie ai geniali inserimenti neoclassici del pizzicatore Vetterli e, per nostro godimento, anche attraverso l'attento ed accurato percorso modellato dal binomio Marquis-Royce. Ed è cosi che la favella narrata dal portavoce in questa traccia, con abiti da arciere elvetico, diventa a dir poco emblematica, poiché l'infimo e ripugnante figuro nascosto dietro le summenzionate bautte, non risulta essere l'unico bersaglio, ma è piacevolmente accompagnato da quel dispositivo elettronico più comunemente chiamato TV. Anche quest'ultimo, capace di controllare le vulnerabili masse. Sopra le avanguardistiche e micidiali dinamiche musicali, con accurata mira, l'ambasciatore dal violaceo mantello si scaglia con forza sugli obiettivi, mentre, la possibilità di vedere l'abile saccheggiatore decantare finti slogan (poi intonati da zombies ipnotizzati con in mano la sua bandiera) sui diversi canali, è sufficiente per proclamarne la fine. Sebbene l'espulsione rapida di materiale gastrointestinale continui, le parole diventano ancor più ripugnanti, a cavallo del ritornello, nel momento in cui dovrebbero risultare facili promesse da tubo catodico, ma, al contrario, divengono false e manipolate panzane, come le dita incrociate ben nascoste dietro la schiena. Il sopracitato pensiero, nato sempre dalla lucida mente di Marquis, continua, mentre la trama melodica che ne segue, arpeggiata con un accento spettrale, si trasforma in un perfetto appoggio su cui posare quel classico e confuso insieme di parole fuori campo che risulta essere una perfetta sequela di slogan, citati dal nostro protagonista e leader, da prima serata. I classici proseliti, molte volte tipici della politica, in questa parentesi, diventano concetti privi di significato, o meglio, sembrano voler dire tutto ma in realtà non dicono proprio niente; infatti, risulta scontata e caratteristica l'affermazione secondo la quale tutti parlano ma nessuno agisce; sembra uguale l'espressione che sottolinea un attacco inutile, inutile come una difesa. Quindi? Direte voi; quindi, lasciati gli appena menzionati spropositi, dopo il ripetersi del ritornello replicato nuovamente per evidenziare l'indiscutibile lobotomizzazione dei cervelli volubili, il magico e solitario momento del pizzicatore delle sei corde si ripresenta con estremo fascino. Sulle prime, lentamente ed in maniera introspettiva per poi lasciare il giusto spazio ad un tapping veramente perforante e magistralmente eseguito. Il passaggio successivo, di neoclassica matrice, ci accompagna alla risoluzione di questo scempio senza tempo, poiché non basta sentirsi puliti come la neve quando il malcelato ed oscuro passato ritorna e ti guarda in faccia. Sulla sporca scia lasciata, in ultimo, ti finisce scoccando la sua ultima ed avvelenata freccia.

Arc-Lite

Una piccola parentesi, del battitore del tempo Marky, ci introduce in Arc-Lite (Arco Leggero); un brano strumentale complesso, pieno di tecnica e capace di trascinarci nel bel mezzo di una marea carica di gigantesche onde gravitazionali. La traccia sembra essere un classico appuntamento offertoci dal combo e quest'ultimo evidenzia un conclamato affiatamento, nonché una tecnica cristallina e mai banale, in virtu' dell'insieme iperbolico simile ad un viaggio verso lande sconosciute e capaci di visioni pazzesche, fortemente passionali. Il primo immenso cavallone si infrange sulle capacità motorie del fruitore di note. Infatti, i movimenti diventano sempre più convulsi grazie alla potenza sprigionata dal trio ed alle iperboliche scale costruite da Vetterli, inoltre, come sempre accade, seguite altresì dall'immenso Ron, il quale continua nell' epocale duello degno delle più grandi citazioni storiche ed originale, per un genere che, tradizionalmente, non lascia molto spazio alle quattro corde. Il seguente lasso di tempo che intervalla l'eroica successione di scontri, non riequilibra le energie appena profuse, in quanto, fonde il suo essere con un primo breve assolo molto arrabbiato, distendendosi successivamente, con fare guardingo, per mezzo di precisi stacchi, eseguiti con precisa accuratezza dai fenomenali arcieri. Non risulterà mai scontato il continuo rimarcare concernente le notevolissime capacità del combo, anche quando, la seconda disumana onda, si scaglia su memorie al gusto di Nosferatu, rimandando  in estasi il circuito emozionale con un secondo assaggio, sempre tachicardiaco, del valoroso alfiere solista. L'avvicendamento sentimentale si traduce nella terza roboante collisione, ove le virtuose e neoclassiche melodie ci portano direttamente a corte, per gustare, con occhi spalancati e con grande orgoglio, mentre i nobili fuochi artificiosi che mettono fine all'eroica contesa.  

Skeleton On You Shoulder

Quando le prime avvolgenti note, arpeggiate con suprema leggerezza dal pizzicatore Vetterli, trovano la giusta connotazione nel tempo, si ha la sensazione che il cielo sia in procinto di mutare il suo candido aspetto come un preciso schema composto dal destino. La seguente, distorta, entrata in scena, un attimo dopo sembra voler continuare l'inevitabile disegno, donando la ricercata linfa alla seconda versione della copertina dei nostri, la quale, con supponenza giustificata, mostra, in tutta la sua fierezza, l'infernale falce. Pian piano, i misuratori del tempo Ron e Marky, si uniscono al necrologio, portando cosi a termine la parte introduttiva del brano ed affidando ai più, in tutta la sua franchezza, Skeleton On Your Shoulder (Lo Scheletro sulla tua spalla). Il velocissimo e dirompente thrash, in perfetto Coroner style, entra con forza in gioco spalleggiando l'ira funesta dell'alfiere delle sei corde, concludendo ogni mandata con fulminee scale, mentre si ripresenta la sulfurea voce dell'ambasciatore della Morte. A questo punto il prescelto, al cospetto di Sua maestà, rimane pietrificato e in ascolto; le convincenti ed ammalianti proposte non tardano ad arrivare, perché capace di carpirne le sensazioni, forse stanco di ciò che lo circonda, forse bramante di una nuova prospettiva visiva, in ogni caso, nel contempo, già accomodato fra le fatali braccia. Questo viaggio di sola andata, lontano dalla realtà, attraverso l'universo e più in alto delle nuvole, è in dolce compagnia, perché Lei (la Morte) può soddisfare i più nefasti desideri, proiettando il malcapitato eletto, sulla via del ritornello; quest'ultimo, presentato come un efficace e geniale costruzione tra gli accenti di Vetterli, la perfetta scia di Ron, la doppia penetrante doppia cassa di Marquis. Un accenno del summenzionato ed avvolgente arpeggio, annuncia l'emblematico spazio dell'alfiere delle sei corde che ancora una volta, con originali virtuosismi, lascia una fantastica testimonianza nel suo personale archivio delle note. Il tragitto che accompagna il prescelto è ricco di memorie importanti, la Mietitrice non perde tempo nel ricordare quanto possa essere gentile e al contempo viscida come un serpente, rimarcando un fondamentale principio: il sipario ormai ha calato le sue vestigia e l'eterna Sua compagnia non lascia spazio ai rimorsi.

Sudden Fall

Una delle principali caratteristiche riscontrate nelle liriche proposte in questo album, deriva senza dubbio dagli argomenti presi in esame, difatti, oltre alle accurate indagini svolte dal pubblico ufficiale nelle intricate scene poste in essere dall'enigmatica ed oscura materia, parallelamente, viene spostata la lente d'ingrandimento anche sulla figura del leader, non necessariamente in chiave politica, economica o religiosa ma, sull'intrinseca capacità di trascinare un certo quantitativo di persone, quest'ultime, facilmente soggiogabili. Questo concetto trova un buon basamento anche in Sudden Fall (Caduta Improvvisa), la quale si presenta subito con un'entrata formidabile per via degli stacchi, intrecciati con riguardo, sull'asse Vetterli-Marky-Royce; tant'è vero che il risultato sembra proprio richiamare all'attenzione le deboli masse, con l'ovvio intento, qui, di svegliarle dalla lobotomizzazione. Dopo questo primo momento di richiamo assoluto, il perfetto stile insito nel thrash, viene incorporato dal combo e reso ancor più peculiare grazie agli originali registri del trio, consegnando al fruitore di note, per buona parte della traccia, una profonda e suprema doppia cassa, abile nell'illuminare il selciato della purificazione spirituale. Spalla a spalla con il battitore del tempo e con le psico-attive note dell'alfiere dalle sei corde, l'ambasciatore dal violaceo mantello riporta alla nostra coscienza le parole sempre ben costruite da Marquis, costringendo la folla al risveglio ed all'uscita dal proprio letto di fango per riflettere sul vero senso della vita e, perché non risulti un prezzo troppo caro da pagare a causa di finti proclami. Sopra il summenzionato selciato, il percorso chiarificatore continua, accostandosi alle medesime dinamiche thrash dei maestri, mostrando, ancor più pesantemente, gli attacchi verso una radicata mancanza di personalità e di coraggio, giacche' pietrificati di fronte ai numerosi volti tumefatti, perché costretti all'obbedienza. Come trasportati davanti al patibolo, il ritornello mostra il reale ed inevitabile fine su cui si basa la favella; infatti, l'ambasciata, con le sole due parole componenti il titolo stesso della traccia, rivela l'inevitabile conclusione che le impure menti soggiogate a regola d'arte, si apprestano a vivere; il tutto, sulle avanguardistiche trame tessute dal trio. Sotto l'impetuoso doppio tiro del battitore di pelli e le ritmiche old school dell'alfiere, emerge un concetto fondamentale che evidenzia, con autenticità, la voglia di poter godere dei diritti basilari che la civiltà ci offre e cosi, tanto decantati dai finti "amici" leader, i quali, una volta voltate le spalle, continuano nel loro personale sproloquio. Nonostante la carica d'odio tradotta in musica ma, soprattutto, palesata a parole, un istantaneo rallentamento riporta su binari ben più introspettivi il componimento, facendoci sollevare da terra come rinchiusi in una bolla d'aria, grazie al momento quasi fusion che ci consegnano i nostri direttori d'orchestra. Il lasso di tempo appena citato apre la via al solitario classico spazio che, il pizzicatore Vetterli, colora di emozioni dai toni intensi, veloci e molto heavy, l'animo dell'ascoltatore, consegnando, ancora una volta, l'inevitabile conclusione citata dal ritornello. Lasciata la tempesta emozionale, l'ambasciatore porta a termine la sua dichiarazione e, svegliando gli ipnotizzati, rende lapalissiano il messaggio, poiché il continuo uso delle loro menti e delle loro mani costruirà inevitabilmente un mondo decadente per cui non dovranno che sbarrare gli occhi, tappare le orecchie e perire lentamente, come la morbida dissolvenza della stessa traccia.

Shadow of a Lost Dream

Come già anticipato precedentemente, questa nuova tela non si compone di sole tonalità ricollegabili ad un unico concetto "mortale", infatti, altre importanti intensità rendono questo dipinto veramente completo cosi, a sublimare il senso della vita; una di queste è l'amore, profonda ed istintiva opera, senza importanza alcuna verso cosa o verso chi. Tale divampante sensazione, prende possesso nella nuova dimensione foggiata in Shadow of a Lost Dream (Ombra di un Sogno Perduto), nerboruto componimento capace di far commuovere per la profondità del testo e allo stesso tempo, di riconfermare la potenza  del pubblico ufficiale unita alla, più volte citata, grande e lungimirante tecnica creativa. Il tutto si percepisce fin da subito, poiché il tappetto posto all'entrata del cantico, risplende della tipica bellezza del thrash, rendendo facile l'accesso nelle profondità del nostro labirinto più intimo, per prepararci, quindi, al grido di dolore gettato con freddezza e cognizione di causa dal messaggero dal violaceo mantello. Ed è cosi che, con saggia alternanza tra le appena citate ritmiche thrash e le proverbiali tessiture del trio, prendono il sopravvento le geniali pizzicate di Vetterli, seguite dagli analoghi virtuosismi di Ron, entrambi all'unisono, col preciso misuratore del tempo Marky. Questo ordito, rende altresì omaggio alle parole freddamente urlate dall'ambasciatore, il quale descrive un passaggio poco lucido dello sfortunato protagonista, perché incapace di riconoscere, negli atteggiamenti, l'interlocutore posto di fronte, fino a non ricordarne neanche il nome. In pieno botta e risposta fra dinamiche schiacciasassi e momenti più in stile Coroner, il nostro sfortunato primo attore, nella vana speranza d'essere ascoltato,  rimarca la percezione della lontananza che lo separa dal sopracitato interlocutore, colpendo con pugni intrisi di rabbia il muro che li separa nella speranza di uscire da una chiara situazione molto confusa. Proprio quando l'ira sembra prendere il sopravvento, un attimo di lucidità riporta su binari meglio posizionati la mente del malaugurato, poiché vorrebbe capire cosa possa pensare la figura di fronte a lui e come mai sia cessato, improvvisamente, l'incantesimo armonioso che li legava. Come un fulmine a ciel sereno, il significato viscerale ben espresso dalle parole adottate inizialmente, si manifesta in tutto il suo atroce splendore, dacché, il sorridere forzato dell'immagine  posta di fronte, lacerando il suo muscolo cardiaco, palesa la reale situazione. A questo punto, il solitario spazio posto con dovizia da Tom, trascende nel sistema emozionale seguente e le virtuose trame dell'alfiere dalle sei corde, ricamano accuratamente una parentesi piena d'odio verso la spaventosa verità, innalzando, cosi, un ponte di neoclassica architettura che conduce verso una coscienziosa rassegnazione, quest'ultima piena delle evoluzioni che ormai contraddistinguono lo stile ben consolidato ed accentato dal combo. La formidabile prerogativa del funzionario pubblico, ripercorre, ancora una volta, le vie battute ad inizio lavoro e dopo aver ribadito i medesimi stilemi, con una maestosa intersezione di note, chiude con sigillanti barricate il supplizio emotivo.

The New Breed

Le prime affascinanti dinamiche thrash introdotte dal trio, sempre arricchite con personalità, ci portano faccia a faccia con un tema che, volente o nolente, accompagnerà per sempre l'uomo nel personale cammino verso la ricerca del senso della vita, ossia quella voglia di risposte spesso ricercata attraverso la fede. A conclusione di siffatta introduzione, una vorticosa decorazione pizzicata, con cura dei particolari, da parte dei mattatori del tempo, ci scaraventa dentro The New Breed (La Nuova Razza), dove il sempre presente divulgatore maestro, rivolgendosi all'ingenua "nuova" massa, ne sottolinea la cecità verso i reali disastri commessi da una cerchia ben definita del genere umano. Purtroppo, tutto ciò, viene dai "nuovi", immagazzinato senza carpirne il bieco sotterfugio posto in essere dai signori clericali ed, in questo caso, rimangono legati morbosamente alla religiosa parola di un entità sempre appellata con estrema fiducia ma, molte volte, in perenne attesa di una risposta che non otterranno mai. Ciò che ne segue, risulta essere un sempre presente tentativo di salvezza eterna, poiché l'ingannevole messaggio, spesso divulgato dai presunti portatori della luce, con il solo scopo di un controllo totale, porterà semplicemente alla loro morte...assolutamente nel nome di Dio. Sulla "credente" base appena citata, le futuristiche scale verso l'onnipotente, tramate da Royce e Vetterli, guidano il fruitore di note al cospetto della già menzionata figura del leader, il quale, sul selciato costruito a tempo da Marquis, prende parola attraverso un inserimento fuori campo posizionato sapientemente, cominciando la sua incomprensibilmente parabola e lasciando cosi i seguaci ad annuire in stato catatonico. Risulta facile etichettare come nuova razza le ultra menzionate masse lobotomizzate, senonché, queste, sono divenute tali già da tempo immemore e su prestigiosi stacchi collocati come punti interrogativi, perfettamente costruiti dal trio, viene rimarcata nel ritornello la debole e controllata stirpe cresciuta tra innumerevoli barbarie, sovente commesse da loro stessi, nel nome di qualcosa o qualcuno. Come se non bastasse, il messaggero dal violaceo mantello, rincara la dose, evidenziando come, nella storia, le diverse religioni non siano mai andate d'accordo, nonostante l'unico comune intento, vale a dire: il controllo totale sui popoli. Dopo un nuovo incomprensibile assaggio da parte del summenzionato leader e una nuova scarica adrenalinica creata dal ritornello, le neoclassiche ed efficaci pizzicate dell'alfiere, sempre seguite dalla lungimiranza di Royce, prendono il meritato palcoscenico realizzando un solitario momento di grande pathos, veloce e dirompente come il messaggio espresso dalla traccia. Sulla meravigliosa solitaria scia, l'ambasciatore rinnova i concetti citati ad inizio opera e ne stabilisce quasi un dogma, perché' possano essere chiari i reali scopi che, forse, hanno reso impossibile per secoli la vita di ciascun individuo e, per porre fine al secolare fardello, il trio risale le succitate scale ma, questa volta, un piano sotto, per chiudere vorticosamente il passaggio con l'infinito.

Voyage to Eternity

Il primo passo verso l'eternità ci viene proposto in maniera un po' diversa dal nostro pubblico ufficiale, poiché, in questa traccia, le iniziali dinamiche sembrano coccolarci con una leggera impronta heavy, caratterizzata dall'abilità di Royce, capace di far esprimere su altissimi livelli il suo quattro corde, come sempre, in finger style. Accantonata la prima impronta, a favore di una matrice thrash più congeniale al combo, l'esplosiva carica si fa strada sulle vie maestosamente costruite da Marky e dall'alfiere delle sei corde, sempre perfettamente integrati da Ron, assumendo l'onere di accompagnarci nel Voyage to Eternity (Viaggio Verso l'Eternità). Ed è proprio sulle frasi legate accuratamente da Vetterli che il soffio verbale dell'ambasciatore si palesa facendo riemergere l'enigmatica ed oscura materia, qui, sotto le vesti di un ultimo viaggio intrapreso da un cosmonauta da tempo lontano da voci terrestri, tuttavia diligente nel non distogliere lo sguardo da ipnotiche spie che ne stanno controllando il percorso. Come alla velocità della luce, su forsennate ritmiche, si manifestano le prime complicazioni e cosi, l'ambasciata, sempre freddamente divulgata, evidenzia i pochi respiri ancora possibili da parte del viaggiatore cosmico, il quale, completamente solo, può osservare come casa sua sia diventata un semplice e lontano puntino. Purtroppo, la realtà sta prendendo il sopravvento nella testa del coraggioso protagonista, cosi, il ritornello inizia col calare il sipario e la sua consapevolezza si traduce nell'ammissione per cui la fine risulta vicina, potendo cosi sentire, in lontananza, l'eternità chiamarlo a se. Il restante ossigeno viene consumato velocemente al pari delle dinamiche pilotate dal pubblico ufficiale, quando, l'ormai fissa, luce rossa, indicante l'imminente fine, viene guardata con gli occhi sfuocati del malcapitato comandante che, slacciando le cinture, libera il suo corpo per non dover perire, bloccato, nella sua stessa bara. E' cosi che gli ultimi lucidi pensieri, si fanno strada in completa assenza del fondamentale gas inodore e la conseguente immagine del prossimo eterno sonno, stringerà la mano al lontano ricordo dell'azzurra e lontana dimora che lo ha sempre ospitato. Fortunatamente, per il fruitore di note, il triste lirico componimento trova una carezza confortante nel solitario spazio infinitamente ben eseguito dal pizzicatore delle sei corde, il quale riesce a traghettarci piacevolmente, con virtuosismi spaziali, alla drastica conclusione dell'interplanetario viaggio. Nonostante la tragedia possa rendere confusi i pensieri del nostro protagonista, le ultime sue immagini future risultano un sollievo per le nostre anime, poiché, quando tra molti anni verrà trovata la sua nave e vedranno il suo corpo esanime, il sorriso sul suo volto descriverà lo stesso orgoglio che durerà nel tempo, come l'eterna dissolvenza della traccia.

Purple Haze (Jimi Hendrix's cover)

Ad rendere ancor più pregiato un lavoro già immensamente importante, nel panorama thrash europeo e non solo, i nostri arricchiscono la loro opera con un altrettanto pezzo di storia, quest'ultima, molto probabilmente, imprescindibile per tutti coloro che iniziarono e avrebbero iniziato successivamente ad approcciarsi a quel fascinoso cuore pulsante portato in dote dalla sei corde. James Marshall "Jimi" Hendrix, nato a Seattle il 27 novembre del 1942, regalò al mondo intero, ed anche alle infinite generazioni future, "Are You Experienced?", primo suo album, uscito nel maggio del 1967 e composto, fra le altre, da Purple Haze (Foschia Viola), qui rivisitata dal nostro pubblico funzionario. Un aneddoto curioso è da ricercarsi nascosto dietro il presunto momento in cui il componimento venne concepito, poiché, se per il testo si trattò di un sogno tradotto a poesia dello stesso Jim, per la musica sembra che il suo produttore Chas Chendler, sentito il main riff nel back stage del club londinese "The Upper Cut", gli consigliò di svilupparne la trama, aggiungendo un testo, col fine di far diventare una canzone, la bozza dell'eroico innovatore. Una veloce parentesi diviene, a questo punto, d'obbligo per colui il quale ha riscritto, nella forma e nella sostanza, l'utilizzo della chitarra elettrica. Infatti, egli fu uno dei primi ad utilizzare la distorsione ed il pedale wah wah, inoltre, è assolutamente parte integrante di quell'epocale scintilla che si sviluppò nella calda e ardente fiamma chiamata heavy metal, variante dell'hard rock. Sostanzialmente la traccia non è stata stravolta, anzi, rimane molto fedele all'originale, con l'aggiunta, ed oserei dire a ragion veduta, del tipico Coroner style, ovvero dell'incessante doppia cassa del maestro Marky, i virtuosismi di Vetterli e le altrettante grandi capacità di Royce; quest'ultimo, capace di seguire le funamboliche trame. Sopra un riff che è divenuto storia, la spettacolare ed azzeccatissima voce dell'ambasciatore dal violaceo mantello, si manifesta, viola come la foschia intorno e nel cervello, capace di far sembrare diverse le cose, però incomprensibilmente divertente fino a baciare il cielo. Imperterrita confonde; può far salire o scendere, rende felici o tristi ma, di sicuro, è come un piacevole incantesimo abile nel rendere passionale la sua ricerca, come la voglia che persista nel tempo...quest'ultima, fianco a fianco col solitario spazio dell'alfiere Vetterli, in un momento molto blues n' heavy, perfetto per queste dinamiche e mai esagerato. Felicemente ricondotti sull'epocale evoluzione iniziale, il ritorno della foschia, ora, è avvolgente sugli occhi, rendendoli incapaci di riconoscere il giorno e la notte fino a far deflagrare il corpo; in attesa del giorno successivo o della fine dei tempi, il secondo solitario spazio si palesa  nuovamente, portandoci ad un primo finale ben orchestrato dal mastodontico trio. Quando tutto sembra essere finito, la proverbiale creatività del funzionario pubblico nel risolvere intricati casi, presentandosi sotto forma di materia grigia, si manifesta nuovamente e raddoppiando i tempi di consegna, in lontananza e senza sapere se si trattasse realmente di sogno o "viaggio spirituale", si disperde nell'ignoto. 

Conclusioni

Lor signori, dopo questo secondo e fondamentale passo, potremmo già trarre molteplici conclusioni. Senza dubbio, in maniera affrettata, risulterebbero comunque le più indovinate, poiché, il nuovo capitolo appena sviscerato, aggiunge allo spettacolare arcobaleno, proprio in un periodo cosi pieno di diverse tonalità, una nuova tinta estremamente complementare al raggiungimento di uno stadio evolutivo dello stesso. Ovviamente, Madre musica, da inizio anni 80' e fino all'uscita di "Punishment for Decadence", ci ha regalato numerosi spunti su cui riflettere, ed, inoltre, ha indubbiamente già mostrato quanto sia chiaro il valore consegnato al mondo da gruppi come: Megadeth, Metallica, Slayer, Kreator e Testament su tutti. Tuttavia, il combo proveniente da Zurigo ha saputo, nonostante i soli due album finora all'attivo, rimodellarne uno stile con inserimenti non convenzionali, come, per esempio, l'utilizzo delle iperboliche scale cromatiche da parte di Vetterli e la maestria di Royce, quest'ultimo capace di seguire come un'ombra le scorribande dell'alfiere; senza dimenticare i plurimi selciati, battuti con la proverbiale precisione elvetica, controllata magistralmente a tempo da Marky, con un susseguirsi di ritmi schiacciasassi, costruiti con un'abilità assolutamente mai banale. Da non sottovalutare è, inoltre, l'intelligenza nel collocare giuste copertine, un valore aggiunto nelle opere dei Coroner, in quanto riescono - e riusciranno sempre - a trovare un profondo filo logico, intenso e maturo (anche quest'aspetto, non sempre comune tra le varie uscite discografiche non solo di quel periodo). Forse, potrebbe risultare noiosa, la continua puntualizzazione sull'unico aspetto non completamente riuscito da parte dei cavalieri, ovvero l'uso della lingua inglese. Sebbene migliorata, risulta ancora non perfettamente tradotta comunque, nulla che possa comprometterne il capolavoro, sempre, fino in fondo, compreso. A differenza del precedente "R.I.P.", questo nuovo episodio, porta alla luce sfaccettature emotive non solo ricollegabili alla morte fine a se stessa, ma coinvolge, con la Sua presenza, aspetti variegati che la vita può preporre come l'amore a braccetto con la solitudine, nonché la fede, senza dimenticare le conseguenze di quel meccanismo cosi innovativo ma, allo stesso modo, distruttivo che trova via libera nella televisione. La sottolineatura imprescindibile in questa disamina è, senza dubbio, riscontrabile nel maestoso lavoro dei cavalieri rossocrociati, i quali, pur risultando un insieme di soli tre paladini, costruiscono un inattaccabile muro difensivo, contrattaccando con la potenza di infinite nere legioni - quest'ultime, fidate compagne di viaggio. Come non ribadire la tecnica dell'alfiere delle sei corde, quest'ultimo, maestro nell'arte dello sdoppiamento, poiché capace di apparire come in compagnia di numerosi altri pizzicatori; il finger style di Ron, anch'esso virtuoso come quasi nessuno in ambito thrash e, per finire, i selciati battuti meticolosamente nel tempo da Marquis, in un insieme, realmente poliedrico e vorticosamente avanti nel tempo. Non possiamo quindi dimenticare la lungimiranza non solo compositiva del combo; infatti, anche le liriche diventano esatte premonizioni; basti osservare il testo di "Masked Jackal", "The New Breed" e "Sudden Fall", queste, indovinate conclusioni su quello che diventerà il mondo della TV e su quello che accadrà (ad onor del vero, già in essere da millenni) in nome della fede e della politica. In "Shadow of a Lost Dream", viene affrontato anche un sentimento riscontrabile da tutti gli organismi viventi, ovvero l'amore; nobile motore di fatti ed eventi, inoltre, potentissima energia irrazionale e nascente, senza alcuna importanza verso cosa o verso chi, tuttavia, senz'altro capace di regalare profonde ed istintive passioni. Con "Arc-Lite" e "Voyage to Eternity", sicuramente parliamo di due tipi differenti di viaggio; il primo, assolutamente emozionale grazie alle maestose e fluttuanti intersezioni dei nostri, mentre invece il secondo, proiettato verso mondi sconosciuti nel solitario passaggio che può condurre verso mondi ultraterreni. Infine, non risulterebbero più loro, se non avessero trattato la nera Mietitrice come ne conviene di fronte a cotanta importanza. Non a caso, "Absorbed" e "Skeleton on Your Shoulder", risultano essere il giusto sacrificio posto in essere, per chiudere quel cerchio magico, sigillandolo come nella più antica stregoneria. Per quanto concerne la produzione, possiamo sicuramente apprezzare l'ulteriore passo avanti, nonostante non sia assolutamente da meno la risoluzione del precedente lavoro. Risultando più corposa e curata nei dettagli, mantiene intatte le peculiarità che contraddistinguono il combo, grazie alla sempre glaciale e filtrata voce dell'ambasciatore e dall'invalicabile muro sonoro, prodotto sapientemente dai nostri fidati guerrieri.

1) Intro
2) Absorbed
3) Masked Jackal
4) Arc-Lite
5) Skeleton On You Shoulder
6) Sudden Fall
7) Shadow of a Lost Dream
8) The New Breed
9) Voyage to Eternity
10) Purple Haze (Jimi Hendrix's cover)
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