CORONER
No More Color
1989 - Noise Records
ANDREA MARTELLA
06/01/2018
Introduzione Recensione
In viaggio verso l'eternita' ed assorbiti dalla musica, i tre cavalieri elvetici scoccavano le loro frecce con archi leggeri ed osservando la nuova razza perire dietro maschere sciacalle e, come prodi eroi accompagnati da ingannevoli scheletri sulla spalla, si risvegliavano all'ombra di un sogno perduto. Questa sequenza immaginifica, raccontata con ricercatezza molto personale, descrive la fantastica visione celata nella mente del nostro amato pubblico ufficiale (in inglese, appunto, Coroner), poiche', dopo l'ultimo capolavoro ed in assoluta estasi, al cospetto della protagonista Mietitrice (tema ripetuto, quello della morte, nel corso dei lavori degli svizzeri), si cullava per di piu' appagato, dalle numerose vittorie conseguite. A questo punto, con all'attivo solo due album, l'esposizione cosi entusiastica nei confronti della band potrebbe risultare prematura, eppure, questa enfatica prefazione, risulta essere la scenografia piu' esaustiva, per rappresentarne i primi e significativi momenti. Le pagine componenti questa meravigliosa storia, sicuramente ancora oggi in corso di eventi, parlando di un genere musicale potente, tecnico e pieno di lungimiranti messaggi, trovavano la meritata importanza nei tantissimi capolavori che, fin a quel momento, erano diventati inchiostro indelebile nello storico manoscritto. Proprio tra queste pagine, i Coroner trovavano la giusta e dovuta collocazione. Nel frattempo, la vena creativa di Madre musica fecondata arbitrariamente da Padre metallo, distribuiva ai meravigliati fruitori di note continue testimonianze, infatti, siamo nel 1989, gli States potevano cullarsi tra i bombardamenti granitici e distruttivi, innescati da "The Years of Deacy", quarto album dei killers del New Jersey Overkill, con la pazzesca voce di Bobby Ellsworth. Spostandoci sul versante opposto e piu' precisamente in California, i Dark Angel, compiendo un salto di qualita' non indifferente, affinano il loro stile con "Leave Scars", terzo album dei losangelini e primo dietro le pelli di un certo Gen Hoglan, semplicemente "The Atomic Clock", mostruoso gigante buono e maestro assoluto, nel controllo del tempo. Nel contempo, a San Francisco, i Testament con "Practice What You Preach", terza uscita della band, consegnano ai metalheads un altrettanto capolavoro e grazie alle incredibili capacita' di Alex Skolnick, chitarrista con radici jazz, funky e fusion, contribuiscono in maniera esaltante alla causa del movimento thrash americano. Sempre nella stessa citta', gli Exodus, registrano"Fabulous Disaster", terza fatica dalle martellanti sonorita' thrash old school, supportate dai taglienti riff del duo Holt-Hunolt e dalla pazza e graffiante voce di Souza. Saltando qualche migliaio di chilometri piu' in la', in Canada, dal virtuoso delle sei corde Jeff Waters, prendono vita gli Annihilator, un'altra creatura fondamentale nel panorama technical thrash, peculiarita', ad onor del vero, gia' creativamente sverginata dai maestri Coroner. I canadesi, con "Alice in Hell" debuttano col botto, poiche' capaci di proporre uno stile molto tecnico e variegato, grazie alle complesse strutture delle canzoni, quest'ultime, eseguite a velocita' mozzafiato ed inserite in un contesto in continua mutazione, in virtu' dei costanti cambi di registro musicali. Tornando nel continente europeo, i venti rivoluzionari tedeschi distribuivano nuova linfa alla nazione, infatti, i Kreator, forti di un Mille Petrozza potente ricettore, partoriscono "Extreme Aggression", superbo ed eccellente connubio, tra suoni piu' nitidi e composizioni notevolmente piu' articolate. Anche i connazionali Sodom, con la terza uscita "Agent Orange", si mostrano al mondo in maniera grandiosa e sebbene le strutture siano sempre ricollegabili ad un thrash nudo e crudo, Tom Angelripper (Thomas Such) e gli altri minatori di Gelsenkirchen, rendono piu' accurate le loro trame, mostrandosi di conseguenza piu' completi e maturi. E' proprio all'interno di questo scenario, effettivamente gia' maestoso ed importante, che i nostri prodi cavalieri raggiungono i sopracitati colleghi, continuando quel fondamentale discorso iniziato con le precedenti due opere, vale a dire, quella forma avanguardistica di thrash, chiamata per l'appunto technical thrash. Ovviamente siamo tornati nella terra rossocrociata e non molto distanti dai teutonici compagni, qui, il combo, con una nuova pozione magica, e' pronto a rinvigorire le nostre anime, poiche', No More Color (Non piu' Colore), pur conservando lo stile tipico della band, si presenta arricchito di elementi ancor piu' lungimiranti. Indubbiamente stiamo parlando di una struttura diversa delle canzoni, dacche', con questa uscita, i nostri uniscono il loro inconfondibile ed innovativo stile, con inserimenti certamente piu' progressive, inoltre, con notevole sapienza, potremo gustare la precisa associazione, tra la persistente enigmatica materia ed una profonda analisi delle plurime sfaccettature della mente umana. Anche la voce di Royce, sempre filtrata in maniera angosciante, risulta piu' arrabbiata, aspra e graffiante, mentre il lavoro al sintetizzatore, questa volta e' affidato alle mani di Steve Rispin. La grande sorpresa, ammirando la copertina, e' malcelata nel soggetto fotografato, infatti, per nostra fortuna, riconosciamo il battitore di pelli, nonche' padre di quasi tutte le liriche, Marquis Marky, il quale, nell'assumere una posa di sofferente disperazione, con le mani sul volto, dona un significato assai elevato all'ennesimo messaggio profuso dal suo elegante cervello. Il genio appena citato, con la sua posa da perfetto caratterista teatrale, sottolinea la tristezza per le continue e futili negligenze dell'essere umano, nella speranza che costoro, possano prestare piu' attenzione nei confronti della vita e verso argomenti di caratura piu' elevata, ricercando se stessi, per riequilibrare la propria esistenza. A questo proposito, l'ambasciatore dal violaceo mantello Ron Royce dichiarera': "Siamo circondati dalla pubblicita' e stupidaggini di poco conto, pastoie che non ci permettono di concentrarci sulle cose piu' ricche di significato. In troppi vivono accontentandosi delle futilita', non prendendo neanche in considerazione, l'idea di superare quell'empasse. La cover dell'album rappresenta in pieno questo concetto, un tentativo di liberarsi dal bombardamento visivo per focalizzare l'attenzione sugli argomenti importanti". Come abbiamo precedentemente notato, le evoluzioni pirotecniche dei nostri risultano in continuo cambiamento, se con "R.I.P." possiamo apprezzare, oltre al diffondersi di un nuovo dogma musicale, anche di una profonda disamina sul concetto "Morte", in "Punishment for Decadence", il concept quasi esclusivamente "mortale", risulta ben accompagnato da una seconda attenta analisi, ovvero, lo studio dei diversi atteggiamenti, spesso lobotomizzanti e lobotomizzati, dell'uomo. Premesse che portano a quest'ultima opera, come detto precedentemente, ancor piu' introspettiva e trascendentale. Oltre al filosofico messaggio, in basso a destra, potremo notare il simbolo scelto dal combo, il quale, pur non avendo chiare informazioni a riguardo, sembra ricollegarsi proprio al lavoro del pubblico funzionario, difatti, presentandosi con sembianze simili ad un osso inciso, con i valorosi nomi dei cavalieri confederati, si potrebbe riallacciare perfettamente al concept. Questa volta, l'album sempre promosso dall'etichetta tedesca Noise Record e sempre registrato negli Sky Track di Berlino, viene prodotto da Pete Hinton e portato oltreoceano a Tampa, in Florida, per essere mixato nei famosi Morrisound Recording, studi di registrazione collocati. Con la regia nelle mani di Dan Johnson e Scott Burns, il 18 settembre 1989, esce l'appena citato masterpiece, superbo ed emblematico insieme di magia, messa in musica e nelle liriche dai nostri valorosi cavalieri. Quindi lor signori, ora e' tempo di mettersi comodi per farsi condurre, nelle aggrovigliate indagini del nostro funzionario pubblico.
Die by My Hand
Con assoluta meraviglia, i primi secondi dell'opener "Die By My Hand" (Muori Per Mano Mia), ci consegnano una particolare sensazione, poiche', l'aumento progressivo del suono, con protagoniste le dinamiche tribali del battitore del tempo Marky e del supremo custode delle nostre anime Royce, ci teletrasportano nel bel mezzo di una maestosa preparazione, quella verso la portentosa prossima battaglia. Proprio su questi antichi selciati battaglieri, sempre sospinti dalle rinvigorenti battute del duo, l'alfiere delle sei corde Baron, facendosi largo fra i prodi compagni, prende il comando con la sua conclamata abilita' e a suon di scale, tutte rigorosamente verso note piu' alte, dà inizio ad uno scontro memorabile. Sulla bellicosa via appena menzionata, senza dubbio ben figurata dai nostri, le avanguardistiche dinamiche thrash del trio prendono parola e con l'ausilio di pregevoli stacchi, la consegnano all'ambasciatore dal violaceo mantello, il quale, in maniera secca e puntuale, sferra il primo glorioso attacco. Come in un mantra, la voce sentenziosa del messaggero, si scaglia verso il suo nemico, quest'ultimo, pietrificato e grondante paura, perche' privo di giudizio ed inerme, nei confronti dei reali problemi che affliggono il mondo. Sui ritmi iniziali sempre ben cadenzati, il paladino Ron impugna la sua splendente arma e trafiggendo la pelle bianca del rivale, lo lascia nelle profondita' del suo flusso rosso, tutto questo, eseguito con un movimenti rallentati e senza dubbio ricercati, per prolungarne infinitamente la sofferenza. L'azione appena compiuta, nonostante' ci accompagni in un breve momento piu' concitato, riesce ad aprire un varco rigenerante nello spirito della trama, dacche', la dirompente doppia cassa del battitore di pelli, diventa la chiave per l'introspettiva scena successiva. Infatti, abbandonate le vestigia combattive, il valoroso portavoce si veste con abiti purificatori e consigliando il silenzio al ritrovato avversario, lo induce al riposo, rassicurandolo, perche' verra' tratto in salvo e risparmiato, dagli affilati artigli avvelenati e menzogneri della vita. Il ritornello che segue questa prima parentesi rigenerante, eseguita su ritmiche quasi esclusivamente prog ed accentate dal pizzicatore Baron, risulta, in senso figurato, la soluzione madre sulla via della purificazione, ossia, uccidere la parte infettata e far nascere, dalle stesse ceneri, il fiore razionale indubbiamente celato anche negli esseri piu' irragionevoli. In seguito a questa non facile condizione psicofisica, si palesa uno spazio al di la' del tempo, dove le continue ed iniziali scale del nostro alfiere, presentandosi con tutta la loro voluta spettralita', sottolineano la sopracitata mancanza di importanti obbiettivi nella vita ed in maniera caotica ed insofferente, fungono da perfetto atrio, per il consueto momento solitario del nostro maestro pizzicatore. Con l'utilizzo di melodie assai accattivanti e spalla a spalla con le sue evidenti possibilita', il lungo e solitario momento, prende meritatamente la luce centrale del palco ed in maniera perfettamente riconducibile al suo stile, ci riporta sulla terra, ovviamente, faccia a faccia col redento. Riconsegnati alle dinamiche purificatrici, la via della guarigione sembra trovar la sua luce, tuttavia, sempre in maniera rallentata, l'immagine della nascita di un nuovo fiore innocente, sembra essere ancora un miraggio cristallizzato dal male, pertanto, il solo dono di una carezza, potra' con il suo calore sciogliere il nero maleficio. Ad evidenziare questo pensiero mai domo, ancora una volta il ritornello, quest'ultimo, mostrandosi come la necessaria carezza, incomincia la sua bianca opera, prima una volta e poi una seconda e quando tutto sembra essere finito, innesca la sua terza ed ultima scintilla, liberandolo dal sortilegio.
No Need to Be Human
Le evoluzioni stilistiche del combo svizzero, in questo splendido album, pur non perdendo le proverbiali peculiarita' sino ad oggi dimostrate, accolgono con grande piglio futuribile, nuove e piu' che interessanti trame. Ad onor del vero, abbiamo gia' parlato degli arguti ed innovativi intrecci comparsi nelle precedenti uscite, considerando la terminologia technical thrash, cio' nonostante, in questo nuovo lavoro, risultano ancor piu' straordinari, dal momento che, le aggiunte stilistiche sopracitate, dimostrano ancora una volta la continua ed esponenziale crescita del trio. I nostri, utilizzando sempre registri consoni al genere, presentano una diversa struttura nella traccia qui analizzata, infatti, dopo l'attacco del formidabile signore del tempo Marky, in un quadro sequenziale disteso e quasi ipnotico, aprono, nuovamente, le porte della via purificatrice. Nonostante si riesca a scorgere la fine, ne diviene un arduo percorso, poiche', in un mondo completamente lobotomizzato da forme espressive diverse come la TV ed in balia di una tecnologia, oltremodo, integrata nelle nostre vite, potrebbe risultar scontato crede che... "No Need To Be Human" (Non C'e' Bisogno di Essere Umani). Il pensiero appena espresso ci riporta alla realta', cosicche', i ritmi impreziositi dall'alfiere delle sei corde e dal supervisore delle nostre anime, introducono l'ambasciata, grazie ad una visione che non lascia alcuna via di scampo. Infatti, il malcapitato protagonista, presente alla nascita di un nuovo giorno, percorrendo il summenzionato ed arduo selciato, e' convinto di ritornare a casa, tuttavia, ignaro ed inerme, di fronte ai cambiamenti che trovera' al suo ritorno. In pieno marasma emotivo, come ben esemplificato dalle trame dispari dell'asse Baron-Royce-Marquis, la sua corsa verso casa, sembra ripetere un sistematico movimento innaturale, eppure, incapace di fermare il suo volere. Arrivato a destinazione, in quella che vorrebbe definire casa, si trova perso tra una moltitudine di volti grigi e muti, sebbene quest'ultimi, risultino lobotomizzati e indottrinati dal sistema, l'incredibile forza immagazzinata nella sua anima, e' pronta a risvegliarne le coscienze. Il successivo ponte ancestrale, accentuato due volte dall'ambasciatore, spinge ulteriormente il primattore a ridestare dall'insensibile ed indifesa condizione, le menti catatoniche appena incontrate, benche' consapevole della loro involontaria limitazione, alcune di queste assolutamente non colpevoli ma, tratte in inganno, al pari di un bambino appena nato. Alla luce di questa rivelazione, sopra una potente doppia cassa e sui virtuosismi del duo Baron-Royce, il ritornello si trasforma in poesia, perche', di fronte al furto della propria identita', non servono piu' le idee, la resistenza ed il proprio nome; senza una reale ed onesta voglia di cambiamento, e' l'essere umano a cessare d'esistere. Dopo aver riproposto il messaggio, il componimento, con un arpeggio del maestro pizzicatore apre le porte delle menti contaminate e sulla scia dell'introspettivo momento, il solitario spazio puo' trovare la sua forma. Sui fantastici tempi dispari, menzionati in apertura, le neoclassiche evoluzioni dell'alfiere si tramutano in un viaggio senza tempo e la tecnica esecutiva, unita alla grande velocita', ridonano speranza al nostro protagonista, nuovamente capace, di lanciare l'ultimo incantesimo. E cosi, dopo aver pronunciato le magiche parole, il bambino indifeso e limitato puo' rinascere nel nuovo mondo, piu' forte di prima e soprattutto, libero di decidere.
Read My Scars
Il nostro filosofo e maestro dietro le pelli Marquis, in questra traccia, sviluppa il proprio pensiero su un aspetto divenuto consequenziale analizzando le precedenti liriche, ovvero, la visione del mondo da una prospettiva diversa, appunto, sinora mai trattata. Il genio appena menzionato, con gli occhi di un carcerato, sembra volerci consegnare un importante testimonianza, difatti, in questa traccia, intrappolato in un tessuto a strisce, studia gli atteggiamenti ed il cervello di chi ha reso marcio l'intero globo, vale a dire, un viaggio di sola andata nelle profonde cicatrici indossate, con giustificata vergogna, da quelle figure spesso dominanti e gia' esaminate nelle precedenti opere. Benche' accompagnati da una condizione psicofisica molto impegnativa, i cavalieri senza vergogna dopo tre modulati stacchi, ci aprono la porta di "Read My Scars" (Leggi Le Mie Cicatrici). Subito, le dinamiche thrash si impadroniscono dell'ambiente circostante e l'inquietudine, accentata in maniera esemplare dai drappi di Baron, puo' cosi abbracciare la nostra anima. Le grida di disperazione, senz'altro ben figurate dalla sei corde dell'alfiere, riescono a trasferire anche i nostri corpi all'interno dell'infernale luogo, quest'ultimi, pronti a seguire la mente del nostro filosofo e per poter meglio gustare, le parole profuse dall'ambasciatore dal violaceo mantello. Con la consueta freddezza e sui ritmi iniziali sempre ben disegnati dal trio, il messaggero racconta la situazione disperata del viaggio mistico e temporale compiuto da Marky, il quale, e' assordato dalle sue stesse grida, poiche', rimbalzando fra le strette e fredde mura detentive, lo rendono pazzo ed inutilmente scortato, da altrettanti pezzi di stoffa a strisce. Per buona sorte, a rendere meno pesante uno stato d'animo in piena sofferenza, il componimento ci regala uno squarcio di luce; costruito con la micidiale doppia cassa del battitore di pelli, viene impreziosito dagli impagabili fraseggi del pizzicatore di corde. Sfortunatamente e' un momento di breve corso, cosicche', le infauste grida di disperazione, si ripresentano fra le gelide mura con convinzioni ritrovate, giacche', lo squarcio di luce sopracitato, illuminandone la coscienza, lo ha reso consapevole della sua nuova dimensione. Quest'ultima, ne ha indebolito notevolmente il fisico, rendendolo, tuttavia, impenetrabile nella mente, poiche', ormai in grado di capire, che le stesse fredde pareti carcerarie, non sono altro che una sicurezza per lui e per il mondo. La mutazione del nostro protagonista, nel modo di vedere la propria esistenza limitata, risulta ben raccontata dall'ambasciatore nel ritornello, ovvero, come fosse in compagnia di un altro rinnegato ed in piena coscienza verso i misfatti commessi, lo esorta ad immaginare la natura dei suoi sfregi, pero', senza chiedere spiegazioni. Un'iperbolica evoluzione dell'alfiere delle sei corde, fa da cancello al solitario spazio e mentre il battitore di pelli, in simbiosi col custode delle nostre anime, pavimentano un selciato tipicamente thrash, il pizzicatore di corde, si esibisce in un doppio epico momento, il primo, ricco d'energia, estrema abilita' e velocita', il secondo, su basi ritmiche differenti, sempre mostruosamente tecnico, piu' heavy e ricco di pathos. Dopo una seguente vorticosa trama, sempre eseguita con assoluta precisione neoclassica dall'alfiere Baron e creata come ad indicare il riavvolgersi del nastro, su cadenze piu' sulfuree ed angoscianti, le paure impersonificate dal primattore, vengono splendidamente divulgate dal messaggero dal violaceo mantello. Le summenzionate nuove convinzioni, ancor piu' soffocanti, mostrano al malcapitato le sue reali condizioni, poiche', l'uso delle gambe e della vista, in quello stato limitante, risultano inutili ed anche la luce, fonte di una ritrovata saggezza, diventa fuoco sulla pelle. Tuttavia, anche il mondo all'esterno diventa un miraggio, dacche', all'interno del cubo, tutto viene dimenticato velocemente come la liberta', finalmente considerata un dono. E cosi, un'ultima volta, le laceranti grida di disperazione prendono il centro della scena, il messaggio iniziale viene ripetuto e con un accento in levare del combo, la chiave della cella viene celata per sempre.
D.O.A.
In "D.O.A." la sublimazione spirituale, qui in chiave musicale, grazie ad una proposta con intelaiature molto prog, libera la mente in migrazioni ad alta quota ed incontrandosi con l'enigmatica ed oscura materia, in questa composizione dei cavalieri rossocrociati, ci affida un momento molto particolare e di sicuro, capace di anticipare il tempo. Ovviamente, non dimenticando le classiche dinamiche in puro Coroner style. Ad accoglierci e' una stupenda sequenza del gigantesco Baron, la cui forma, ci prepara ad una avvolgente ed ancora ipnotica condotta oltraggiosa del brano e sopra il cielo, planando nel mondo mortale, il forsennato tragitto modellato dal signore del tempo Marky, annuncia l'incombere della nuova ambasciata. Il messaggero, ancora una volta in forza alla Signora del trapasso, racconta l'attesa di un uomo incontro al suo ultimo respiro, il quale, aspettando con tenacia un nuovo e speranzoso giorno, si accorge in modo molto trascendentale, di quanto le normali fonti energetiche come il sole, l'acqua, il fuoco e la luna, abili nel crear vita sulla Terra, siano diventate, per lui, fonte di morte. A rendere ancor piu' funesto il tragico momento, l'insano desiderio di immagazzinare tutto il male e la sofferenza del mondo, ovvero, poter assaporare con assurda leggerezza, il pesante calice dei misfatti mortali, cioe' una coppa piena di un rosso fluido...fluente come il piu' profondo dolore segretato nelle viscere. Attraverso l'utilizzo di un piu' marchiato repertorio thrash, il glaciale tempismo dell'ambasciatore, mostrandosi nuovamente nel ritornello che ne segue, avvicina ulteriormente il protagonista alla sua fine, tuttavia, un barlume di demente pazzia, lo convince del contrario, come a voler modificare le proverbiali ed immutabili leggi divine. In preda alla follia e dopo un singolare accento dell'alfiere delle sei corde, un primo solitario spazio viene impavidamente occupato dal barone e nonostante la breve durata, e' in grado di lasciarci una prova sicura della creativita' del nostro pizzicatore, per via delle sue intricate manovre e per il fascino che ne determina. Come in una corsa contro il tempo, sulle ipnotiche dinamiche iniziali, l'esame introspettivo del nostro sventurato continua, infatti, ribadendo la sua irrefrenabile voglia terrena, si convince di un'ultima ricerca, trovare il Male che ha contaminato la sua esistenza, per poter liberare la sua anima dalla soffocante stretta. E proprio dopo l'appena menzionata ricerca, che la grandissima preparazione tecnica del custode delle nostre anime Ron, si manifesta ai fruitori di note e sugli orditi ricami profusi con estrema perizia, il secondo solitario momento del principe e signore delle corde, puo' cosi esprimere il suo modo d'essere. Risulta facile, per il sommo incantatore, avvolgerci in un atmosfera lontana dalla realta' e servendosi di una serie di copioni creati con radici velenose, con modalita' incessanti ed attimi piu' thrash style, riesce ad infrangere il nostro spirito e la nostra ragione, verso la struttura finale della traccia. Quest'ultima parentesi, riprende l'arteria principale ideata ad inizio opera, ricandidando le stesse parole e sempre su meccaniche thrash n' prog, rimarca i concetti lampanti del ritornello, inoltre, ci omaggia di una conclusione quasi accostabile ad un live show, ricaricando le nostre energie per i grandiosi ed inevitabili atti successivi.
Mistress of Deception
In questo nuovo e maestoso episodio, inferocito come le nerborute radici del genere, la grande preparazione del combo, si palesa in tutta la sua forma, ovvero, la proverbiale ed arrabbiata velocita', parte integrante di questa varieta' di musica, si unisce alle peculiarita', proprie, dei cavalieri confederati. L'inevitabile conseguenza, dovuta all'inappuntabile combinazione, risulta essere uno splendido esempio, su come sia possibile elevare esponenzialmente il valore di una canzone ed anche in questo caso, le gia' citate capacita' del trio, riescono sempre a divenire novita', canzone dopo canzone. Nel momento in cui, veniamo letteralmente invasi dall'entrata gloriosa del battitore di pelli Marquis, immediatamente, si ha il convincimento che lo scontro non sara' di facile assorbimento, infatti, le ritmiche tritatutto e ricamate con disarmante bellezza dell'alfiere delle sei corde, aprendo facilmente il meritato varco, si impadroniscono del "tutto". Aperto il passaggio, l'imperterrito impatto emotivo viene preparato all'ambasciata, quest'ultima, riallacciandosi all'enigmatica ed oscura materia, in maniera prorompente, ci consegna "Mistress of Deception" (Signora dell'Inganno). Il messaggero dal violaceo mantello, immerso nelle infernali ed infinite distese di un deserto, racconta i difficili momenti prossimi alla fine, di un malcapitato ed ormai perso naufrago, il quale, smarrito ed imprigionato nella marea sabbiosa, sebbene ancora in grado di camminare ed in completa confusione per il calore strabordante, ne immagina la somiglianza con l'inferno. In comprensibile difficolta' e con la vista persa al di la' di ribollenti orizzonti senza fine, l'incapacita' nel percepire il vero dal falso, risulta essere un'altrettanta fonte di disperazione per lo sventurato, poiche', ogni possibile percorso diventa, cosi, superfluo ed oltretutto perche', il deserto si mostra come un labirinto senza muro. Fredda come la speranza del protagonista e sempre adagiata su una base thrash molto azzeccata, la voce filtrata dell'ambasciatore si rivela, sottolineando la necessita' di un umido refrigerio, quest'ultimo, pieno di valore quanto l'oro. A rendere ancora piu' chiaro il palese fabbisogno, prende incarico l'ingannevole ritornello, giacche' il deserto risulta figlio della morte, il suo continuo miraggio e altresi' spietato ed invincibile. L'agonizzante dipartita, descritta in modo eccellente ed ingegnoso dal combo, viene marcata con dovizia superiore, dal solitario spazio dell'esteta Baron, il quale, su meravigliose scale neoclassiche, introduce il delicato momento. Abbandonati sulla dorata distesa, sposandosi radiosamente con le aggraziate trame proposte dal duo Royce-Marky, le note arabeggianti dell'alfiere, assegnano all'amara condizione un mistico segmento. Proprio a chiudere questa porta temporale, in un secondo ritaglio, le originarie ritmiche piu' care alla traccia, infatti, accostate splendidamente all'evoluzione del solitario spazio, rendono di notevole fattura, il complesso e mai insignificante spazio del pizzicatore di corde. Dopo il ripetersi dell'agghiacciante messaggio posto in essere dal ritornello, il mirabolante trio, contrassegna nuovamente l'interminabile tormento del primattore e sull'incantevole e variegata costruzione, utilizzando ancora una volta le splendide finiture medio orientali, disegna la sua tempesta finale, quella che lo conduce al tanto desiderato ed agognato decesso.
Tunnel of Pain
Lungo le sponde di quel durevole fiume, costeggiato dalla nostra esistenza, i complessi esami posti in essere dalla vita, possono rafforzarne o indebolirne il percorso, poiche', il loro esito, puo' condurci alla consapevolezza o all'assoluta disfatta morale. Quest'ultima immagine, spontaneamente descritta, introduce l'interminabile percorso del fantasioso protagonista in "Tunnel of Pain" (Tunnel di Dolore), infinita lotta introspettiva, con i disagi, spesso vincenti, di una psiche profondamente lacerata dagli eventi della vita. E' con questa cartolina, che l'apertura consegnata nelle preparate mani del controllore delle anime Royce, distribuisce ai fruitori di note una sensazione asfissiante e grazie al magnifico contesto, eseguito con perfette tecniche thrash dal signore del tempo Marquis e dall'alfiere delle sei corde Baron, l'amara percezione, ci accompagnera' fino al termine del componimento. Attraverso l'utilizzo di stacchi, assomiglianti ad ossigenazioni limitate nel tempo, la dinamica della traccia aumenta il suo tiro, cosicche', la sua stretta mortale, dopo un ricamo del battitore di pelli, puo' definitivamente trovare il suo spazio fatale. Proprio sopra questi poderosi ritmi, accentati a furor di popolo dal pizzicatore di corde, il messaggero dal violaceo mantello, iniziando la sua impulsiva divulgazione, raggiunge le memorie dello sventurato primattore, il quale, ormai stremato dalla fatica ed avvolto dal dolore, non trova la giusta via, perche', oltremodo confuso e circondato, da eccessivi pensieri e da infinite ed inutili consigli. Dopo un appoggio, costruito con preziosi cambi di tempo dal combo, la novella prosegue sui medesimi selciati, allorche', la profonda insicurezza prende possesso della scena e la mancanza di un luogo autentico ed ospitale, aumentando le paure, consegna al disgraziato altrettante viscerali incertezze. Le differenti e lungimiranti trame, successivamente proposte dal trio con mirabile efficacia, anche grazie alle sezioni del battitore Marky ed alle aperture pavoneggianti di Baron, aprono le porte alle sconcertanti rivelazioni emerse nel suo conscio, poiche', il senso di un'esistenza pleonastica, lo convince all'inefficace somiglianza di una pietra. L'arpeggio che segue la parentesi appena citata, come uno strappo fra dimensioni diverse, risulta essere un momento di lucida consapevolezza per il nostro protagonista, tuttavia, la realta' vomitata in parole nel ritornello, sottolinea ulteriormente la sua perdizione verso il lato piu' oscuro, evidenziando oltremisura, una vita trascorsa nel dolore. Sommersi da funesti turbamenti, su tre differenti e consecutivi ritmi, il pregiato e solitario spazio del pizzicatore di note, si mostra per dar ossigeno all'abissale disperazione e sfruttando le proprie grandi capacita' neoclassiche, richiudendo la sua valvola vitale, riporta sulla drastica via il malcapitato. Un'ultima dose di malsano convincimento, immobile e pesante come un macigno, conduce il prediletto all'iniziale selciato, quest'ultimo, battuto con uguale persuasione, imbocca il suo sentiero conclusivo. L'ormai tragica situazione, consegnando nuovamente al primattore alcuni istanti di nitida ragione, accresce in lui la voglia di scomparire per sempre e pericolosamente avvolto dalle fiamme dell'inferno, rigorosamente a testa in giu', illuminando il suo tratto finale scompare per sempre, lontano da tutto e da tutti.
Why It Hurts
Com'e' spesso accaduto durante la disamina di questo platter, le tematiche affrontate dalla geniale mente del battitore di pelli Marky, spesso associate alla nera materia, hanno toccato svariate argomentazioni ma, in questa traccia, uno dei suo fondamentali ruoli e' stato piacevolmente affidato al grandissimo Martin Eric Ain Stricker, bassista dei connazionali Celtic Frost. Martin, in questo episodio, non distoglie l'attenzione dalle principali questioni affrontate dal combo, infatti, aggiungendo la sua personale testimonianza al lavoro, affronta un tema risultante una delle gia' citate condizioni della mente umana, ovvero, la continua battaglia interiore, sovente sostenuta con i demoni che affollano le nostre menti. In maniera molto chiara ed attraverso similitudini assai limpide, ci viene presentata una trama paragonabile alle vite di molte persone, dacche', quest'ultime, sono quotidianamente invase da tormenti, perversioni e debolezze molte volte taciute e spinte sempre piu' in profondita', tuttavia, una volta riemerse, risultano confrontabili ad atroci prove logoranti per cui puo' essere scontato immaginare..."Why it Hurts" (Perche' fa Male). Sugli splendi orditi, ricamati come spettacolari ombre a braccetto dalla sublime ed estrosa retta Baron-Royce, il trio raccoglie straordinariamente energia e dopo un altrettanto spettacolare stacco dell'arguto Marquis, con dinamiche impetuose tipicamente thrash, esplode la sua violenta ed incontrollata carica. Assordati dal potente boato ed avvolti dal calore conseguente, l'utilizzo da parte del barone di un emblematico e tecnico virtuosismo, mette in scena la voce del messaggero dal violaceo mantello, il quale puo' cosi regalare, per buona sorte, la tanto attesa ambasciata. In questo episodio, come anticipato in apertura, la traballante solidita' d'animo umana, viene messa nuovamente alla prova, poiche', dietro l'angolo, il demone della perdizione e' costantemente in agguato. La personale raffigurazione di Ain, distesa sul letto, si trova ancora una volta accompagnata dalla malefica presenza, la quale, allargando simbolicamente le proverbiali ali luciferine, vorrebbe risvegliarne il fuoco dell'angoscia e volando lentamente su di lui, osserva compiaciuto, la ripresa della tenebrosa fiamma. Su una leggera brezza, portata dalle futuristiche trame del pizzicatore nel ritornello, e' incapace di comprendere il motivo di tale dolore ed in continua confusione mentale, persiste la sua rovinosa dannazione, perche' ogni volta, ridestato nel buoio della notte, la tentazione, parte integrante del suo animo, si riaccende malignamente e stretto nella morsa dell'arcano serpente, riesce inoltre a percepirne il potere persuasivo. Ormai completamente in balia del lato oscuro, lungo il difficoltoso percorso, le avanguardistiche ritmiche del trio si aggiungono al misfatto, cosicche', le incessanti parole che riempiono la sua testa, producono in lui un inevitabile apatia e caduto nell'eterno silenzio, si lascia abbandonare nell'interminabile sofferenza. Presentato da un superbo tecnicismo dell'alfiere Baron, il solitario spazio sempre da lui fantasticamente ricamato, distrugge le ultime possibili vie di salvezza, in un primo momento, su binari ad altissima velocita' condotti con autorita' e maestria, in un secondo, con filosofica flemma, per catturarne l'essenza ed accompagnarlo all'estinzione. Ripresentate per un'ultima volta, nella lirica e nella musica, le apatiche vie sopracitate, una nuova pavoneggiante scala introduce il termine della favella, poiche', letteralmente a pezzi come il piu' fragile dei vetri e lacerato dalle stesse lame taglienti, solo e perso nella sua condanna, attende il prossimo momento, quello dell'eterna liberta'.
Last Entertainment
Il nostro amato funzionario pubblico, abbondantemente preparato in diverse scene criminose, nel precedente lavoro "Punishment of Decadence" e piu' precisamente in "Masked Jackal", si e' occupato della manipolazione esercitata da parte della TV, nei confronti delle innumerevoli menti facilmente ipnotizzabili. In "Last Entertainment" (Ultimo Divertimento), il potere dissuasivo del tubo catodico, viene in parte ripreso ma, questa volta, con angolazioni differenti, infatti, grazie al cervello filosofico di Marquis, il nostro ufficiale giudiziario si occupa, di una particolare serie televisiva americana chiamata "Cops", ideata da John Langley ed in onda sul canale statunitense Fox. Il programma, in forma di docu-reality, segue gli agenti di polizia durante la normale pattuglia o alle prese con altre attivita' e risulta molto facile desumere, come possa aver scatenato il completo rigetto da parte del signore del tempo. Scritta direttamente in studio di registrazione, presenta una peculiarita' non indifferente, ovvero, la voce di Ron, grazie all'utilizzo di una forma recitativa inquietante, assume il totale controllo spirituale del brano, consegnando ai fruitori di note una parabola molto significativa. Siamo di fronte ad un componimento diverso dal classico stile thrash, tuttavia, risulta perfettamente collegato al Coroner style, poiche', le sue dinamiche cadenzate ed oscure, pur non riprendendo i classici dettami del genere, inebriano per genialita' e perspicacia. Subito veniamo accolti dal lavoro angosciante di Rispin, il quale, sottolineando in modo assai efficace il filo conduttore dell'intera trama, immobilizza l'ascoltatore come ghiaccio nella neve, in attesa, del giorno del giudizio. Ormai con i piedi ben saldati a terra, il trio si unisce per completare l'opera ed affossandoci ulteriormente con passo minaccioso e lugubre, seguito da un solitario momento del inquisitorio Rispin, prepara con sincera riverenza, il nero arazzo per il suo ambasciatore. L'imponenza adottata dal messaggero dal violaceo mantello, e' chiamata alla condanna di un programma incapace di trasmettere quel senso di equa veridicita', dacche', incentrato su attivita' criminali tra i poveri, non si occupa dei molteplici crimini, tipici, di una classe sociale piu' abbiente. La lirica, infatti, risulta essere una sentenza per i dipartimenti accondiscendenti al format, tanto e' vero, che i propri uomini in divisa, vengono associati alle piu' scarse ombre cinesi e mostrandosi di conseguenza complici, di un cospicuo e non indifferente esborso economico, senza dubbio, capace di far cadere nel baratro una cultura prossima alla morte. In questa frustrante condizione, l'alfiere delle sei corde Baron, decora con eleganza la decadente atmosfera circostante e su questa magnifica base, la voce giudicante del messaggero, punisce l'abuso della violenza e la mancanza di rispetto verso i diritti della persona, evidenziando con giusta causa, quanto possano risultare importanti le sole reazioni, positive o negative, dei telespettatori, quest'ultimi, lobotomizzati e comunque complici di un sistema. In simbiosi con il dramma, un inciso in stile Doom Metal ci accarezza sul viso e rassicurandoci, apre le porte della disapprovazione totale, riconsegnando amorevolmente, l'aria decadente tanto cara al pizzicatore di corde. Sopra queste ritrovate atmosfere, si consolida la certezza di un futuro molto buio, poiche' appeso ad un progresso immobilizzato e frutto di un ispirazione latente, di sicuro, per milioni di cervelli, causa di un sistema mediatico controproducente e stagnante. In assoluto rapimento psico-fisico, il componimento volge al termine e grazie ai successivi effetti pirotecnici del trio, su una base surreale ben gestita da Rispin, l'ambasciatore conclude la sua parabola, giacche', infastidito da un eccessivo spreco di energie, mette in guardia l'intero globo dalle inquietanti conseguenze, pericolosamente create dalla noia.
Conclusioni
Amici giramondo, le principali caratteristiche sfoggiate dal pubblico funzionario, ovvero, tecnica, genialita' ed estetica, peculiarita' riscontrabili nei tre lavori precedentemente pubblicati, hanno reso possibile il passaggio attraverso un cancello, sinora, mai varcato. L'inferriata, imponente simbolo di un vincolo strutturale del genere, e' stata completamente abbattuta e superata dai nostri, poiche', il nuovo metodo compositivo iniziato con "R.I.P.", ha totalmente allargato i confini di una varieta' musicale certamente fantastica ma, abbastanza lineare nelle sue composizioni. Per carita', risulterei oltremodo sciocco se dovessi sminuire i monumentali lavori delle band, che hanno creato sostanzialmente questo filone, tuttavia, siamo senz'altro di fronte ad un "modus operandi" con caratteristiche ben precise, superbo ma, con metodologie ben definite. Megadeth, Slayer, Metallica, Kreator, Overkill, Dark Angel, Testament e potrei scriverne almeno altri venti, sono indubbiamente parte integrante di un movimento imprescindibile nella storia e mostruosamente in grado, di trasmettere emozioni e composizioni estremamente belle, d'altro canto, il combo svizzero, e' stato sempre capace di cambiare gli ordini delle cose, ovvero, modificare gli elementi chimici tipici della matrice Thrash, per poi iniettarsi nelle vene la nuova composizione. A questo punto, i Coroner, impavidi cavalieri rossocrociati, risultano assolutamente in grado di continuare la stesura del personale grande libro delle lungimiranti emozioni e nonostante i numerosi e gia' esistenti volumi americani, il manuale in corso d'opera, entra di diritto nei piani alti delle classifiche mondiali del settore. Senza margine d'errore, stiamo parlando di un gruppo di notevole spessore, abile nel divulgare, nei testi, nelle copertine e nelle melodie, pensieri complessi e strutture avanguardistiche, infatti, per quanto riguarda l'artwork, ancora una volta va menzionato l'ingegno di Marky, dacche', assolutamente capace di inserire la sua intraprendente posa, tra le migliori e piu' significative immagini di sempre. Per cio' che concerne la musica, "No More Color", oltre ad aver allargato il concetto stesso dell'enigmatica ed oscura materia, grazie alle argomentazioni sempre piu' variegate, ha avuto come immenso protagonista, quel particolare sviluppo strutturale facilmente accostabile al prog, difatti, i difficili reticoli creati dal trio, segnano l'inizio di una parentesi pazzesca, unica e precorritrice nel tempo. Quest'ultimo e' un discorso che diviene ancor piu' ingegnoso e atipico, poiche', la proverbiale impalcatura eretta da un genere sempre diretto e senza compromessi, e' stata completamente reinventata, da uno stile non riscontrabile in nessun' altra compagine. Risulta facile sottolineare la quasi completa rivoluzione compositiva ed ovviamente, risultera' altrettanto facile, evidenziare la medesima radice potente e veloce, arricchita oltremisura con aspetti e dinamiche esclusive. La prima testimonianza, "Die By My Hand" (Muori Per Mano Mia), presenta dinamiche nuove nell'ambito thrash, dacche' la magnifica tecnica dell'alfiere dalle sei corde Baron, disegnando uno scenario diverso dai precedenti lavori, aggiunge alle proprie caratteristiche un concetto assai impegnativo, ovvero, l'abilita' nel ricamare trame non specifiche del genere, risultando comunque pesante e tagliente, come richiesto dai dettami primordiali della scuola americana. Un altro esempio e' senz'altro No Need To Be Human (Non C'e' Bisogno di Essere Umani), grazie alle sue intelaiature ipnotiche e ad un selciato meticolosamente battuto dal signore del tempo, ci viene consegnato un brano di grande levatura e diverso dallo standard generale, inoltre, utilizzando un testo a dir poco avanti nel tempo, regala una grande verita' sulle conseguenze della tecnologia. Come non citare la visione filosofica di Marquis in Read My Scars (Leggi Le Mie Cicatrici), capace di entrare nella mente a strisce di chi, sfregiato, condanna morbosamente se stesso e il mondo, riuscendo, quindi, a carpirne la profonda disperazione nel fuggitivo barlume di lucidita', trovato dietro le sbarre. D.O.A., ripresenta le intersezioni prog tanto apprezzate e ribadisce quanto il custode delle nostre anime Royce, sia capace di cavalcare il nero destriero al pari del barone, trasportandoci, a fine brano, nel bel mezzo di un live show, per gridare e quindi consacrare, lo strapotere di una formazione da prendersi come esempio. La fragorosa entrata del battitore di pelli Marquis, in Mistress of Deception (Signora dell'Inganno), mette in chiaro un dogma imprescindibile, ossia, le radici thrash sono indubbiamnete cresciute nei cavalieri confederati ma, si sono evolute attraverso un personale modo di concepire la musica. Ad avvalorare questa tesi ci pensa Tunnel of Pain (Tunnel di Dolore), in virtu' dell'asfissiante apertura, custodita magistralmente nella mani del controllore delle anime, potremo ascoltare un chiaro esempio di come un genere musicale, pur riallacciandosi alla sua scuola formatrice, possa svilupparsi in piu' articolazioni, ovviamente, in puro Coroner style. La collaborazione con Martin Eric Ain Stricker, continua quel trittico di brani tipicamente thrash iniziato con Mistress of Deception, col valore aggiunto, di un supporto importantissimo per storia e preparazione. Infatti, Why it Hurts (Perche' fa Male), racconta la personale confidenza di un Uomo, qui, sotto forma di lirica, in quello che puo' essere definito, un perfetto esempio sulle vicissitudini che quotidianamente il cervello pone all'attenzione. L'emblematica conclusione, per un'immensa band in grado di cambiare muta piu' volte all'interno di una canzone, e' destinata a Last Entertainment (Ultimo Divertimento), maestosa ultima dimostrazione di grandissime capacita', per merito del suo tessuto a tratti Doom, surreale e minaccioso e dell'inquietante forma recitativa dell'ambasciatore dal violaceo mantello, collegata al lavoro inquisitorio di Ripsin. Con grande trepidazione, dopo la disamina di un lavoro così tanto prestigioso e fondamentale, ci attende una logica conseguenza, ovvero, l'approfondimento del nuovo capitolo scritto dai grandi saggi. Quest'ultima risulta essere un'attesa disarmante, poiche', ogni passo, ha scritto infinite pagine di una storia fantastica, iniziata con elementi, altroche', innovativi, in una terra con poche realta' musicali d'alto livello e rendendo la band conosciuta per lo piu' in Europa. Successivamente, evolvendo questi stessi elementi, sono stati in grado di ingrandire il loro impatto, anche mediatico, scrivendo la storia con dettami originali e facendosi conoscere al mondo intero, arrivando così al pubblico, che ha visto nascere quest'immenso sole chiamato Thrash Metal.
2) No Need to Be Human
3) Read My Scars
4) D.O.A.
5) Mistress of Deception
6) Tunnel of Pain
7) Why It Hurts
8) Last Entertainment