CORONER

Grin

1993 - Noise Records

A CURA DI
ANDREA MARTELLA
26/02/2018
TEMPO DI LETTURA:
10

Introduzione recensione

Ed eccoci qua fruitori di note, con gli anni 90' ormai ampiamente nel fulcro del loro essere e nel bel mezzo di un paradossale declino del thrash metal. Infatti, le lancinanti grida provenienti da Seattle, paragonabili a disarmonici lamenti, oltre ad incalzare in maniera vertiginosa, risultano essere la perfetta colonna sonora delle nuove anime approcciate ad una nuova forma ricreativa, ovvero, un viatico utilizzato per sfuggire alla noia quotidiana. Quest'ultime, oltremodo vogliose di gridare al mondo le personali "poesie" contro l'insoddisfazione generata dalla stessa loro attitudine. Indubbiamente stiamo parlando della musica grunge, genere sviluppato a meta' anni 80', tuttavia per il sottoscritto, filone di estrazione tipicamente rock assolutamente da non conglobare al mondo del metallo pesante. Il pensiero appena promosso, molto probabilmente imprescindibile ai piu', potrebbe considerarsi non cosi ovvio ai restanti soffi vitali, difatti, quel sistema cosi tanto attento ai ricavi e protagonista principale dell'insensata conseguenza citata in apertura, ha dato il via alla sperimentazione da parte di moltissime realta' in ambito metal. Purtroppo, questa nuova esigenza non piu' improntata ad un logico e personale accrescimento artistico, e' da relazionarsi alle esigenze imposte dal mercato e dalle major con quest'ultime, altresi in grado di deciderne l'andamento ed oltremodo capaci di seguire la sola fetida scia di quel composto, risultante l'unione di fibre di cotone, lino e canapa. A questo punto potremmo dire che il seme della gloria, prodotto sempre con intelligente creativita' da parte di Padre metallo e sempre ben fecondato dalle facolta' di Madre musica, potrebbe aver incontrato un momento di malsana costrizione all'interno del suo utero, tuttavia, giunti nel 1993, possiamo ancora menzionare album di notevole fattura. Ad avvalorare questa tesi, catapultati sempre oltreoceano e piu' precisamente a San Francisco, i Vio-lence con "Nothing To Gain", pur rallentando i battiti del cuore, rilasciano un prodotto assai degno di nota grazie alle corpose linee di chitarra create del duo Demmel-Flynn e dall'ottimo drumming di Strickland. Sempre negli States, anche gli Overkill sono protagonisti di un lavoro da evidenziare, infatti "I Hear Black", nonostante risulti meno aggressivo rispetto alle precedenti uscite, in virtu' dell'efficacissima voce di Bobby "Blitz" Ellsworth e del risolutivo compito dietro le pelli da parte del nuovo acquisto Tim Mallare, ritaglia all'interno del panorama thrash il suo meritato spazio.  Anche St. Luois, citta' del Missouri, si veste di meritato protagonismo in questo volo pindarico, difatti gli Anacrusis, gruppo accostabile ai nostri splendidi protagonisti, con il loro "Screams And Whispers" raggiungono il personale apice creativo. Le tessiture molto ricercate perfettamente ricamate dalle chitarre di Nardi-Heidbreder ed il granitico basso di Emery, rendono l'album assolutamente imprescindibile. Spostando il raggio d'azione nella terra della Maple Leaf (foglia d'acero n.d.r.), gli Annihilator partoriscono "Set The World On Fire", album indubbiamente diverso dai precedenti, poiche', nonostante la tecnica sfornata dal combo, la sei corde del grandissimo Waters risulta primattrice in composizioni molto piu' accessibili ed in linea col "nuovo mercato". Ritornando nell'infinita distesa americana e guardando la medaglia dall'opposta prospettiva, come non citare gli Anthrax ed il loro "Sound of White Noise", release che sottolinea in modo emblematico la spinta non del tutto volontaria verso la sperimentazione, difatti, distanti dalle articolate esecuzioni del precedente "Persistence Of Time", con questa uscita costruiscono un nuovo percorso non del tutto assimilato dai fans di vecchia data ed il primo singolo "Only", per l'appunto quasi grunge ne e' la testimonianza. Un altro esempio da considerarsi poco riuscito e' sicuramente quello di "Something Wicked" dei Nuclear Assault, poiche', dopo l'uscita dell'ex bassista nonche' fondatore degli stessi Anthrax, Dan Lilker e del chitarrista Anthony Bramante, si ripresentano al mondo con un prodotto poco coeso, privo di idee e di mordente, smorzando notevolmente il loro riconoscibile passo aggressivo. Ovviamente, le appena menzionate uscite discografiche, nonostante esempi di ancor lucida eleganza, racchiudono in sintesi quel cambiamento assolutamente obbligatorio intrapreso da quasi tutte le realta' thrash in auge fin dai primi anni 80'. Fortunatamente la forzata mutazione oltremodo palesata, non si ricollega direttamente ai nostri cavalieri confederati, dacche', la proverbiale evoluzione spontaneamente assaporata in ogni realizzazione, oltre ad essere un vessillo da sfoggiare con orgoglio, risulta il modo piu' genuino e simbolico per portare avanti a testa alta il personale discorso artistico iniziato con "R.I.P.", senza compromessi e senza dover vendere la propria essenza. Ebbene si, come gia' piu' volte sottolineato, siamo al cospetto di una band in continua metamorfosi, quest'ultima mostruosamente capace di rinnovare il concetto stesso di thrash metal, e' sempre stata in grado di mettere in primo piano la musica come concetto primario ed unico, senza dover tracciare in modo programmatico il proprio futuro e senza seguire gli orribili flussi di mercato possibili "amici" del portafoglio ma, veleno per la stessa musica e per l'anima. Questa volta l'energia quasi completamente progressive capace di integrare una potenza cosi ben definita porta il nome di Grin (Sogghigno). Infatti, se nella precedente recensione abbiamo potuto constatare l'ulteriore abbattimento di schemi sempre riconducibili alle radici del genere nato nella Bay Area in California, quest'opera taglia definitivamente il proprio cordone ombelicale al summenzionato bulbo, ovvero, nonostante percettibili riminiscenze, vive e vivra' per sempre di una luce indipendente da tutto cio' che sin ora puo' essere stato partorito. Anche il cantato di Ron appare meno filtrato e piu' graffiante e con grande meraviglia l'ultima traccia Host (Ospite) propone il nostro filosofo Marky in veste di narratore e cantante, il quale attraverso argomentazioni sempre lungimiranti ed oltremodo intelligenti, in questo nuovo lavoro pur non dimenticano l'enigmatica ed oscura materia, si concentra maggiormente sulle difficolta' poste in essere da una mente desiderosa d'aiuto. L'ennesimo insieme perfetto si chiude con le tastiere sempre magicamente suonate da Ken Smith e da una coppia che risulta essere un grandissimo valore aggiunto per il concept stesso dell'album, ovvero Bettina Kloeti, usignolo dalla voce cristallina e Tim Chatfield, quest'ultimo capace attraverso il suono ammaliante del suo didgeridoo di proiezioni extracorporee. A questo punto come non citare ancora una volta la perfetta copertina e pertanto ulteriore pezzo da collezione, difatti attraverso lo scatto di Martin Becker, ideatore e quindi per la prima volta non ad opera di Marquis, consegna a tutti con il sogghigno di una inquietante maschera carnevalesca a sfondo verde, il reale significato espresso dalla storia. Ancora una volta a completare questa ricca essenza, in basso a destra troviamo il logo del trio confederato, quest'ultimo sempre ad opera di Mischa Good e raffigurante il teschio a tre teste con incisi i nomi dei cavalieri. Questa volta il maestoso capolavoro viene registrato presso i Greenwood Studios a Nunningen in Svizzera e prodotto dagli stessi Coroner, mentre il missaggio effettuato sempre oltreoceano presso i Morrisound Recording e' ad opera del gia' conosciuto Tom Morris, il quale, il 23 Settembre del 1993, firma l'uscita del magistrale componimento sempre promosso dall'etichetta tedesca Noise Record.  Lasciamoci or dunque andare compagni avventurieri fra le selvagge foreste cerebrali, sempre in compagnia dell'oscuro enigma primordiale.

Dream Path

L'apertura che accompagna il nostro pubblico funzionario in questo percorso introspettivo, adagiata sopra un tribale selciato costruito dai tamburi di Marquis, ha come protagonista uno fra i piu' antichi strumenti a fiato della nostra storia, ovvero, quell'armonioso ramo di eucalipto lavorato in maniera naturale e certosina da educate termiti, piu' comunemente chiamato didgeridoo. Molto probabilmente, analizzando l'estrazione aborigeno-australiana dell'oggetto utilizzato da Tim, potremo percepirne l'aura magica avvolgente, dacche', palesatosi senza l'arbitrario inserimento dell'uomo, veniva e viene tutt'ora suonato nei cerimoniali e nei rituali anche di guarigione, in virtu' delle sue benefiche vibrazioni. Infatti in Dream Path (Il Percorso dei Sogni), il suono continuativo emesso grazie ad una respirazione incessante e ciclica, in comunione con le dinamiche del battitore di pelli, e' senza dubbio ricollegabile all'apertura del portale che conduce nei meandri della psiche umana. L'appena citato varco, dipinto nello spazio circostante con efficacia kafkiana, risulta in grado di consegnare al fruitore di note l'intera sequenza dell'ultimo stadio della spontanea metamorfosi in atto da parte del trio confederato, poiche', ormai in piena maturita' artistica, la mutazione cominciata con le opere precedenti trovera' in questo lungo momento la sua forma finale.  

The Letargic Age

L'oltremodo prolifica genialita' del nostro filosofo, sempre in evoluzione e sempre su livelli eccelsi, mostra anche in questo episodio i suoi pregiati drappi grazie al percorso musicale che ci viene proposto. Quest'ultimo aspetto, in ogni capitolo magistralmente curato, questa volta ci propone un copione dalle sembianze sequenziali, ovvero, traccia dopo traccia, ci permette di assistere in maniera tangibile alla nascita, allo sviluppo ed alla guarigione, dei plurimi aspetti conflittuali talvolta equiparabili a vere e proprie crisi esistenziali solo in apparente letargo all'interno dell'imperscrutabile labirinto della psiche umana. Indubbiamente il nostro pubblico funzionario si trovera' ad affrontare un "caso" estremamente difficile, forse il piu' complesso dall'inizio del suo incarico. Il primo passo di The Letargic Age (l'Eta' Letargica) ne sottolinea  immediatamente le problematiche, difatti, le iniziali evoluzioni musicali che ci accolgono, e' come se raccontassero il primo stadio delle dinamiche appena citate, tant'e' che l'insieme claustrofobico che emerge, riesce ad immobilizzarci senza indugio. Il passo angusto proposto dal battitore di pelli Marky, efficacie al pari della piu' serrata trappola, e' perfettamente collegato alla grande maestria mostrata dalla trama del controllore delle nostre anime Royce, dacche' soffocante come un cappio al collo, descrive in maniera molto chiara l'angusto ma ancora dormiente scenario. Anche le tessiture apparentemente "aperte" di Baron, frutto di poche note, sembrano poste come a voler rimarcare l'inerte condizione fluttuante nell'aria, bloccati con lo sguardo fisso nel vuoto e solo capaci di una lenta e programmata respirazione imposta dall'evento. In continua catalessi e sempre sul selciato appena descritto, una leggera accelerazione cardiaca si pone come sfondo alle parole dell'ambasciatore dal violaceo mantello, quest'ultimo, sempre piu' glaciale e sempre piu' ruvido nel suo proferir parola. Riportando le riflessioni del nostro pensatore, ci accompagna nel bel mezzo di un infausta visione, poiche' infiniti corpi sono in attesa di un qualcosa come fossero incapaci di decidere o forse, oltremodo ipnotizzati e succubi di un mondo che li ha sempre incatenati, perche' limitati da finte metodiche di vita assolutamente vincolate all'apparenza e mai realmente capaci di dar peso alla sostanza. Sempre in completa asfissia, il nostro portavoce rincarando la dose riporta concetti dal sapore amaro e decadente, ovvero, i summenzionati ed inerti corpi sanguinanti, prostrati dinnanzi ai loro futili comandamenti cadono continuamente negli stessi errori, perche' resi incapaci di seguire i significativi obbiettivi che la vita li propone. Proprio di fronte a tali inefficienze, rincarando la dose, viene evidenziato il consequenziale disprezzo per l'effettivo valore espresso dalla loro esistenza, dacche' i degradanti scopi stupidamente perseguiti, risultano essere l'insignificante espressione delle stesse loro idolatrate guide. Senza abbandonare il malefico ed iniziale selciato, l'esempio di una natura ormai perennemente morta e di una ruota creata per non girare mai, dipinge l'esatta statitcita' patita da questi sordidi individui. Questa assoluta verita' ci conduce al solitario spazio posto in essere dall'alfiere delle sei corde, il quale, ci accompagna in una parentesi di pura tecnica intellettiva, ovvero, riprendendo le canoniche peculiarita' del suo sapiente retaggio, seziona in due filoni la sua solitaria parabola. Attraverso l'utilizzo di questo celestiale espediente, in un primo momento, ci avvolge con metodiche heavy riconducibili all'importanza delle parole precedentemente espresse, in un secondo momento, accelera le dinamiche per sottolineare il personale dissenso. A condurci nello tragitto finale, dopo il ritaglio artistico di Baron, un progressivo spazio ricollegabile ad una sorta di ossigenazione spirituale, posato con fare metodico e creato per le lungimiranti intelaiature che ci hanno accompagnato per l'intera durata del componimento, difatti sulle appena menzionate trame, i fondamentali concetti espressi in apertura vengono rimarcati con la stessa potenza, dando continuita' al profondo pensiero del nostro filosofo e staccando cosi il sacco amniotico per evidenziare il primo passo del succitato processo evolutivo.

Internal Conflicts

Ancora visibilmente frastornato e bagnato dallo stesso liquido fetale, il protagonista di questo viaggio trascendentale, magnifica espressione venuta alla luce dai pensieri del nostro filosofo, si abbandona ad un nuovo ed importante momento lungo il suo difficile cammino, ovvero il confronto con le prime abissali ostilita' interiori. Ormai in pieno sviluppo, i primi attimi che disegnano questo scenario risultano quasi la normale conseguenza per chi deve affrontare dinamiche cosi complicate e come spesso accade, bisogna toccare il fondo per rinascere ancor piu' forti e consapevoli. E' proprio qui che l'enigmatica ed  oscura materia, sempre presente nelle storie d'alto retaggio artistico dei nostri, si ripresenta in abito da sera e con fare degno della piu' sagace coprotagonista. Quest'ultima circostanza, inevitabile in questo percorso, risulta forse la miglior pozione per poter arricchire la propria anima, poiche' solo guardando in faccia il lato peggiore della medaglia, si avranno, successivamente, le necessarie forze per spiegare le ali della rinascita. Ovviamente, per rincorrere l'imprescindibile obbiettivo, potrebbe risultare utile rivivere sensazioni involontariamente evolute nel tempo, difatti le radici cosi ben saldate nelle primordiali opere del trio confederato, in questo componimento ritrovano il loro meritato battito ed e' proprio sui rimarcati selciati thrash, creati con grande passionalita' dal battitore di pelli Marky, che Internal Conflicts (Conflitti Interni) inizia la sua opera. Il movimento diviene immediatamente frenetico e i regimi riconducibili ad una lunga corsa contro il tempo, raccogliendo la doverosa importanza al pari delle trame portate alla luce dall'alfiere delle sei corde Baron e dal controllore delle anime Ron, avvolgono di nero convincimento l'inclinazione della storia. Anche l'ambasciatore dal violaceo mantello, sempre attento alle dinamiche del cuore e sempre pronto ad incarnare il mantra del suo filosofo, con il suo solito fare glaciale e filtrato, dopo un avvincente stacco, inizia col proferir l'oscura favella. Le parole non lasciano molto spazio all'immaginazione, dacche' l'idea di poter di mettere fine ai propri pensieri e alla fisicita', sono la perfetta confessione rispetto a cio' che accadra'. L'allarmistico ed arpeggiato intermezzo del barone, posato con dovizia come ad ossigenare il malsano copione, introduce l'ennesima ulteriore disamina di cio' che molto probabilmente succedera', infatti non appena il momento sara' opportuno, un copioso flusso dal color rubino, cancellara' quelle tristi linee disegnate sul suo volto. Nuovamente avvolti dall'intermezzo appena citato e successivamente scivolati sopra il monolitico selciato costruito con perizia dalla doppia cassa del battitore del tempo e dalle fascinose linee del controllore delle anime, il ritornello esprime il principale fine di questo cammino, poiche' in maniera imponente, viene rimarcata piu' volte la necessaria voglia di chiudere il capitolo esistenziale. Come nella piu' oscura profezia, risulta incessante la continua mortificazione del proprio essere e le ultime parole, significative per ultimare l'eliminazione, sono seguite da un primo spiraglio di lucida guarigione, dacche' il mantra che ha accompagnato l'intero componimento, dopo aver riproposto l'infausto ritornello, termina con un nuovo e forse ritrovato coraggio. Il nostro protagonista, nonostante le plurime disarmonie umorali, accende con forza la propria voglia di riscatto e sulle rivoluzionarie dinamiche ben tradotte dalla sei corde del barone e da un geniale inserimento creato dal sintetizzatore da Kent, attraverso il loro ascendente incedere, guidano la sua ripresa emotiva. Il seguente solitario spazio dell'alfiere delle sei corde Baron, non solo apparentemente medicamentoso, in virtu' delle sue infinite capacita' melodiche e tecniche, assembla un intelaiatura in maniera estremamente veloce, difatti utilizzando un insieme di materiali molto heavy, thrash, consegnando ai fruitori di note un prodotto dai caratteri avanguardistici e di notevole valore, pone fine al suo momento con iperboli di neoclassica estrazione. Senza dubbio sfinito a causa dell'incessante turbinio umorale, il nostro malcapitato sempre ben personificato dal portavoce Royce, ripercorre gli avvenimenti che, sin da inizio opera, hanno reso traballante la sua vita e fortunatamente, sulle fantastiche ritmiche old school presenti per tutta la durata del viaggio, l'esigenza di continuare a lottare per ricreare una propria utilita' nel mondo, ci accompagnano fino al termine del tutto.


Caveat - to the coming

Un'altra parentesi viene dolcemente aperta dalla mente assolutamente lungimirante del nostro scrittore Marky, infatti dopo l'iniziale passaggio introspettivo ed una prima inevitabile lotta faccia a faccia con la morte, le seguenti dinamiche umorali del nostro protagonista si rivolgono con fare paterno ad un mondo in completa confusione esistenziale. Infatti alla stessa stregua di un genitore e dopo aver momentaneamente ripreso il controllo della propria vita, l'unico sollievo e' riconducibile alle nuove anime che vivranno e si nutriranno sulla terra, ovvero i bambini. Quest'ultimi, agli occhi di ogni generazione unica via di salvezza, si vestono da tramite per la condizione espressa dalla lirica, poiche' le parole di questo componimento risultano proprio un Caveat - To the Coming (Avvertimento - Alla Venuta). Inevitabilmente anche la musica, nei suoi primi attimi, ci consegna apertura e tranquillita' in virtu' delle splendide trame ad opera del pizzicatore Baron, il quale con puntigliosa paternita', utilizzando accordi spensierati e gai ed in simbiosi con le voci beate degli infanti percepibili in sottofondo, placa l'incedere tenebroso creato dalle precedenti tracce. Tuttavia come e' ben chiaro nel suo titolo, mutando la sua forma alla radice, il sentimento genitoriale del nostro primattore diviene chioccia, dacche' i drappi progressive del barone, poggiati sopra un selciato quasi funky del battitore di pelli Marquis e del controllore delle anime Royce, aprono la via del summenzionato ammonimento. Attraverso l'incisiva ed imponente voce dell'ambasciatore dal violaceo mantello, il messaggio risulta oltremodo esplicito, difatti l'esortazione alla cura delle fragili menti innocenti, nonostante le condizioni lobotomizzanti subite dall'essere umano sempre in perenne decadimento strutturale, si veste da giusto monito per le condizioni assolutamente proibitive che il futuro li riservera'. A seguito di un breve spazio riecheggiante sensazioni thrash, il poema ricondotto agli stilemi portanti, continuando il proprio supremo avvertimento, ristabilisce ancora una volta le infauste condizioni atte a distruggere tutti i buoni propositi, cosicche' la certezza di un malefico disegno costruito a tavolino, non lascia che tristezza e rassegnazione. Per buona sorte la fiamma della speranza riesce a bruciare ancora ossigeno ed e' cosi, che il ritornello magnificamente dipinto da ritmiche thrash prog indottrinanti, adoperandosi in chiave solenne, investe il personaggio principale della carica di ipnotico predicatore, il quale utilizzando la splendida cadenza del portavoce Ron, costruisce un muro simile ad un imperforabile incantesimo. Infatti utilizzando una sequenza intimidatoria, iniziando il processo di purificazione, impone un cambiamento nelle parole e nei fatti. L'attimo successivo, splendida dilatazione del tempo, riconduce immediatamente il nostro stato d'animo all'interno delle problematiche precedentemente affrontate, ovvero il seguente insieme di parole, sempre abbracciando i piccoli esseri indifesi, apre ancor di piu' gli occhi sull'inevitabile involuzione del sistema, sfortunatamente oltremodo attento al solo aspetto remunerativo di ogni dinamica di vita. Quest'ultima apparente rassegnazione seguita nuovamente dal ritornello purificatore, introduce il solitario spazio dell'alfiere delle sei corde Baron. Il momento appena citato e' a sua volta presentato da un inframezzo lento, cupo ed inquietante, infatti rimarcato dalle agghiaccianti urla di una sirena, apre la via all'intelligente ed elegante assolo magicamente tradotto dalle poche note del pizzicatore, cosi avvolgenti e rock da far passare in secondo piano le pericolose vicende appena raccontate. Purtroppo come accade sovente, la ripresa della scena iniziale ci riconsegna al marasma piu' completo e le prime parole utilizzate dal componimento, scolpite ulteriormente nella mente dei fruitori di note, ritrovano il loro tetro scopo. La piacevole scoperta del ritornello conclusivo consegna con estrema efficacia la speranza che ci si possa svegliare dal torpore e per mezzo di una dissolvenza guaritrice, congelando ulteriormente la succitata platea, diveniamo tutti protagonisti di una seconda vittoria.


Serpent Moves

Durante i molteplici processi evolutivi ed involutivi, propri di un cambiamento cosi complicato come quello descritto negli episodi precedenti, arriva un momento in cui risulta necessario modificare qualcosa non solo caratterialmente. Quest'opera, perfettamente ricollegabile alla splendida nuova linfa musicale generata dal combo, descrive la mutazione di un corpo oramai consumato dagli avvenimenti, quest'ultimi logoranti se patiti in maniera prolungata nel tempo, come ben descritto nell'affascinante saga iniziata con R.I.P.. Arrivati a questo punto, ovvero oltre la linea che demarca il non ritorno, con la mente in piena evoluzione ed il corpo, al contrario, in piena involuzione, il processo rigenerativo del proprio fisico diviene imprescindibile. Infatti Serpent Moves (Mosse di Serpenti) col suo passo sinuoso ed articolato ben enfatizzato dalla classe del duo Marky-Royce, ci mostra un'ossatura progressive grazie agli impagabili drappi arpeggiati del pizzicatore Baron. Su questo selciato post prog thrash, la magnifica intuizione tradotta dalla radiofonica voce dell'ambasciatore dal violaceo mantello Ron, a sua volta immersa in una sorta di radiocronaca continuativa, disegna a parole i momenti dell'alterazione corporea voluta dal nostro protagonista, oltremodo aiutata dall'inconfondibile andatura di un ofide. Il quadro appena dipinto, riproposto piu' volte, risulta in grado di accogliere magnificamente la successiva sequenza sempre prog thrash tramata dai nostri e quest'ultima, evidenziata dagli arpeggi finali del barone, ci rende con piacere la glaciale voce del portavoce, la quale, in presa diretta' con la realta' si riappropria della sua proverbiale potenza. La lirica diviene letale, poiche' l'esigenza dell'immaginario primattore nel ritrovare l'equilibrio tra mente e corpo, lo convince, alla sessa stregua di un sortilegio, ad eliminare definitivamente il suo rivestimento cosi usurato. Ed e' in completa ammirazione della nuova e magica rinascita lunare, che il processo rivitalizzante continua la sua rappresentazione. Senza dubbio risulta essere un cammino complesso, dacche' le stesse metodologie narrative adottate con perizia ad inizio componimento, ripresentandosi senza pieta' e adoperandosi nuovamente con pari efficacia, sottolineano definitivamente la mutazione in corso. Entrambi i blocchi appena descritti potrebbero essere considerati ritornelli, tuttavia la sensazione che viene donata al fruitore di note potrebbe risultare di egual efficacia. L'immediata riassegnazione di una timbrica piu' abituale, propria del summenzionato ciclo evolutivo, viene utilizzata per portare a termine l'estenuante lavoro in atto e dopo essersi vestito di nuove spoglie, con gentilezza abbandoni il corpo peccatore, ovviamente in completa solitudine, perche' solo isolati si suo concepire uno sforzo simile. Il seguente solitario spazio, incastonato come un inno alle capacita' umane, racchiude tutta la mostruosa validita' dell'alfiere delle sei corde Baron, dacche' attraverso combinazioni degne dello stilista piu' completo, coinvolge l'intero sistema emozionale con tecnica hard n'heavy d'altissimo livello e progressive melodie capaci di strappare i nostri cuori. Dopo aver ripercorso velocemente il tema iniziale di questo importante capolavoro, quest'ultimo ridisposto velocemente come fosse un riassunto, le introspettive dinamiche prog thrash iniziali, rimarcando le gia' note intenzioni del rinato protagonista, si ricollegano alle ancor piu' familiari voci fuoricampo succitate. In virtu' del passaggio appena citato, analogo a lunghi titoli di coda, col fare simile di un vecchio LP terminano lentamente la loro corsa.

STATUS: STILL THINKING

Il faticoso processo che sta portando il nostro protagonista ad un cambiamento radicale del suo essere, trova in questo nuovo episodio un momento riflessivo, poiche' l'estenuante e complesso lavoro rigenerativo attuato sulla propria psiche e sul proprio corpo, necessita', ora, di un primo imprescindibile giudizio. Indubbiamente le malsane vicissitudini del nostro funzionario pubblico, raccontate dalla lungimirante e sagace mente del filoso Marky e sempre riconducibili all'enigmatica ed oscura materia e al controllo delle menti volto alla distruzione di questo meraviglioso mondo, sono state in grado, fortunatamente, di produrre un moto rivoluzionario nelle plurime coscienze incontaminate. E' cosi che Status: Still Thinking (Stato: Continuo a Pensare), ci immerge nell'intricato insieme di considerazioni nascenti a seguito del succitato processo e grazie alle sue intelaiature groove, elettro saldate alla perfezione dal pizzicatore Baron, il panorama dei suoi pensieri si palesa davanti ai nostri occhi. Anche il selciato battuto dal duo Marquis-Royce, in grado di rapire e di controllare cuore e anima, consegnando alla prospettiva tonalita' chiare e di facile beneficio, prepara il fruitore di note alla lirica del nostro ambasciatore dal violaceo mantello Ron. Quest'ultima, preceduta da una parentesi melodiosa eseguita con effetto persistente nel tempo dal barone, ci spiega il summenzionato attimo meditativo, poiche' rivolgendosi alle gia' discusse personalita' capaci di ridurre in miseria lo spirito comune, il nostro primattore incomincia la propria disamina, purtroppo ,consapevole che la disastrosa progenie potrebbe non finire mai. Risulta alquanto semplice poter dedurre l'esigenza nel voler cancellare quei pensieri che, a ragion veduta, potrebbero inquinare nuovamente la sua purezza ed e' scontato il seguente desiderio di conoscenza rivolto verso le motivazioni di cotanto scempio, tuttavia consapevole che non saranno mai sufficienti per dimenticare il dolore da esse provocato. Dopo aver fluttuato in compagnia della leggera melodia del barone, le iniziali intelaiature ci riconsegnano al protagonista e quest'ultimo attraverso la continua riflessione, dissociandosi ulteriormente dalle losche figure appena citate seppur in grado di percepire il malefico piano che ha dato il via a tali mostruosita', ormai rigenerato dalla purezza zittisce gli incapaci. Per rendere ancor piu' significativo questo stato equiparabile ad una mantra, veniamo letteralmente invasi dal successivo ritornello. Magistralmente diviso in due parti sottolinea in maniera assolutamente chiara il suo viscerale sentimento, poiche' in un primo momento, sopra un selciato perfettamente battuto dalla doppia cassa di Marky, nel chiedersi perche' possa odiare in modo cosi assoluto queste persone, la stessa domanda diviene risposta, successivamente usando caratteristiche simili ad un maleficio e sopra dinamiche ipnotiche, la voce filtrata ed oltremodo sintetizzata dell'oscuro portavoce Royce, vestendosi da oratore indottrina la stessa folla disprezzata all'odio. L'ormai incessante rifiuto verso tutto, difficile da digerire, lo induce a sentire nuovamente la necessita' di conoscere le cause che hanno portato cosi tanta decadenza nel mondo e solo grazie al ripresentarsi del ritornello, in virtu' delle sue palesi capacita' curative, riesce a trovare il meritato conforto. Quest'ultima appagante sensazione viene oltremodo incentivata dallo spazio solitario dell'alfiere delle sei corde, il quale, con modalita' fusion rock avvolge i fruitori di note ed utilizzando accenti di memoria neoclassica, li distoglie per un attimo dalla trama. Ritrovato il cammino, a completamento della faticosa attivita' cerebrale, il ritornello dipinge definitivamente l'equilibrio ritrovato dal nostro primattore ed accompagnati da splendide ritmiche tribali, immersi nella giungla propria dell'esistenza, l'incantevole inserimento di Chatfield segna la calata del sipario.

THEME FOR SILENCE

Ed e' proprio sulla falsa riga appena abbandonata, che immediatamente si consolida il momento meditativo appena lasciato, poiche' il lavoro di Chatfield, all'interno della giungla dei pensieri, attraverso una manciata di suoni riesce a far rivivere sensazioni dal nostro protagonista dimenticate. Molto probabilmente il significato di questo sublime ponte ancestrale andrebbe ricercato nel titolo stesso, difatti nonostante sia chiaro il concetto per cui il silenzio possa valere piu' di mille parole, il nostro filosofo qui vorrebbe donare a questa particolare condizione un argomento su cui pensare, un qualcosa su cui riflettere, quindi un Theme For Silence (Tema Per il Silenzio), poiche' niente e' al di sopra del tutto. Il summenzionato lavoro respiratorio, oltremodo complesso, in questo episodio sembra indicare l'ultima faticosa svolta verso la definita consapevolezza, infatti il nostro primattore dopo un percorso tumultuoso, in virtu' di cotanta sublime leggera melodia risulta in grado di fortificare ulteriormente il suo essere. Con la stessa delicatezza utilizzata in apertura, il cammino introspettivo intrapreso dal personaggio principale termina, cosi da risultare preparato per le imprescindibili dinamiche successive.

Paralyzed Mesmerized

Il conflitto interiore, prima in stato embrionale, poi divenuto come la  peste e successivamente sulla via della completa guarigione, spinge, dopo la fantastica parentesi precedente, il nostro protagonista in un nuovo livello evolutivo, dacche' in assoluta leggerezza per la risoluzione di intimi pensieri e per aver impartito un dogma dalle sembianze fedeli per l'eternita'. Infatti in questa nuova pagina e sulle ali della consapevolezza, l'immaginifica lezione di vita puo' continuare la sua forma e sempre rivolgendosi ad un Paralyzed Mesmerized (Paralizzato Ipnotizzato) mietitore di peccati, il nostro primattore descrive, con maniacale precisione, le profonde differenze tra la sua nuova e candida anima purificata come l'acqua cristallina del piu' remoto ruscello e le aride distese umorali proprie dell'appena citata losca figura. Come fosse portata dal vento, l'importantissima trama del pizzicatore Baron, giungendo alle orecchie dei fruitori di note in maniera assai morbida comincia la sua vincente formula e con cadenze, anche qui oltremodo ipnotiche, sopra un lastricato progressive ben arrangiato dal battitore di pelli Marquis, si impadronisce dell'etereo spazio. Ormai assorti e fluttuanti possiamo solo attendere la voce del messaggero dal violaceo mantello Ron, la quale sopra  nuovi e pesanti drappi ricamati dal barone, riportandoci con la sua proverbiale timbrica graffiante ai pensieri del nostro filosofo, traduce i suoi pensieri attraverso le sue grandi capacita' attoriali. La prima catena risulta lampante al pari di un bagliore temporalesco, infatti senza margine d'errore e proiettandosi in la nel tempo, il nostro protagonista rivolgendosi al paralizzato mietitore ne affossa le speranze, poiche' ricordera' solo il proprio sorriso e l'accecante luce, illuminare il suo volto pieno di vergogna e lacrime per gli scempi commessi. Subito la successiva parentesi di memoria thrash apre la porta all'oscuro e maestoso ritornello e quest'ultimo, ponendo un'immaginaria linea di demarcazione tra l'esistenza malefica e raggirante del paralizzato ed ipnotizzato disonesto individuo e la ritrovata genuinita' del veterano primattore, disegna la  fine di ogni cosa, ovvero la cessazione di tutto cio' che lo ha reso apparentemente uguale alle anime pure, perche' la liberta' e l'amore, pur essendo condizioni comuni, non possono esistere se supportati dalla menzogna. Ritrovate le dinamiche progressive iniziali, la seconda catena calando la sua essenza continua la sua grande ed armoniosa condanna e guardando ancora in faccia il recluso, la traduzione dei pensieri filosofici di Marky lo uccidono definitivamente, difatti l'ambasciatore senza esitare, chiudendolo nella sua infernale ignoranza disegna il volo del primattore verso la consapevolezza. Ancora una volta il solitario spazio dell'alfiere delle sei corde Baron, venendoci incontro per elevare il nostro stato d'animo, proietta il nostro spirito, in un primo lasso di tempo, in un mondo parallelo acid rock e grazie alle intersezioni melodiche, ariose e di notevolissima e conclamata tecnica, dipinge un assolo di caratura eterna. Nella sua infinita eleganza, in una seconda digressione, riappropiandosi di tecniche piu' neoclassiche ed heavy, lascia definitivamente alle sue spalle i sentimenti impuri descritti in precedenza, liberando il cammino verso la volta finale. Il nuovo manifestarsi del ritornello, intersecato con pregevole nozione di causa, rimarcando ancor di piu' la voglia di un percorso pulito e altresi sincero, si veste da promemoria capace di marchiare a fuoco cio' che la vita puo' toglierti. Sul lastricato prog che ha accompagnato quasi completamente il nostro cammino, eseguito con assolute capacita tecniche dai nostri cavalieri elvetici, una lenta e nel tempo duratura memoria emerge dall'abisso temporale fin qui argomentato, ossia non risultera' mai facile vivere in completa liberta' dagli errori, ma ancor piu' semplice sara' commetterne con la presunzione di non sbagliare.

Grin (Nails Hurt)

Le intricate successioni umorali fin qui analizzate, indubbiamente non facili da sorbire, sembrano aver consegnato al nostro protagonista un ulteriore momento su cui riflettere e molto probabilmente, una sorta di nuovo ostacolo da superare. Come fosse vittima di una ricaduta, ripercorrendo nuovamente la sua vita, giunge a nuove conclusioni, quest'ultime dal potere deciso ad interrompere l'imminente malsana reiterazione. Seppur convinto che non sarebbe stato un cammino in discesa, la certezza che un certo malefico "gioco" possa perdurare, lo costringe al raccoglimento di energie prima d'ora inimmaginabili e partendo dal presupposto per cui durante il lungo percorso attraverso la nostra esistenza non ci verra' mai regalato niente, armato con gran senso d'appartenenza e volonta', un Grin (Sogghigno) rivolto al "male" risultera' un ottimo espediente nonostante il convincimento che Nails Hurt (Le Unghie Fanno Male). Il significato di quest'ultimo concetto puo' essere spiegato semplicemente, ovvero ricordando che le avversita' non smetteranno mai di bussare alla nostra porta e solo grazie ad una forte determinazione, paragonabile ad un irrisorio ghigno, potremo superare le plurime e difficili condizioni talvolta create in modo arbitrario dagli esseri umani. Su queste basi e sopra un selciato pesantemente prog thrash perfettamente interpretato da un mostruoso Marquis e dal suo doppio pedale, le altrettante splendide trame del pizzicatore di corde Baron, offrono un tappeto sontuoso all'aggressiva voce dell'ambasciatore dal violaceo mantello Royce e quest'ultima con la stessa portata di un bilico in movimento, sottolinea con tonalita' ancora piu' accese il messaggio proferito. Difatti le redivive sensazioni d'oppressione e depressione, ad onor del vero soggetti ampiamente affrontati in molte poesie gia' declamate, consegnando al nostro protagonista un profondo sentimento aggressivo, ne delineano la rotta per la salvezza del suo spirito. Il maremoto interiore continua con una grande confessione tradotta dalle parole del nostro filosofo, ovvero la mancanza d'amore che ha segnato la sua vita, sfortunatamente un'assenza oltremodo pesante per poter condurre una vita equilibrata. Ormai del tutto immersi nella nuova battaglia, le linee vocali molto thrash che precedono il refrain, raccontando le summenzionate difficolta' lungo il suo percorso di vita, aprono violentemente la porta al ritornello e quest'ultimo con fare assillante e con dinamiche molto doom, descrive attraverso il suo sogghigno la palese ed unica arma di difesa. Anche le successive parole, sempre ben articolate dalle dinamiche prog thrash iniziali, dipingono con estremo furore il moto ondoso a questo punto irrefrenabile, tent'e' che il sentimento di rabbia esploso, risulta essere la giusta contrapposizione alle numerose angherie subite. Dopo una successiva esposizione delle nostre anime al nuovo manifestarsi del refrain, il nostro primattore rivolge ancora una volta il suo attacco verso l'uso improprio della religione, poiche' tradizionalmente adoperata per vili scopi ed abitualmente indicata come una falsa via di fuga. Questa volta senza un vero e proprio solitario momento, un secondo attacco frontale posto in essere dal ritornello ci proietta nell'impazzita cavalcata finale, ossia uno splendido paragone musicale dettato dalla precisa potenza del battitore di pelli Marky in simbiosi con le note introspettive del barone, quest'ultime utilizzate per raccontare con terrena immaginazione, le dinamiche alquanto vertiginose patite dal nostro protagonista. A chiudere quest'opera di immane valore, sbigottendo l'amato fruitore di note, potremo gustare dell'inserimento di una veloce raffica di colpi mitragliati, perche' forse in alcuni casi l'appena menzionato "rumore" risultera' l'unico espediente per cancellare certi errori.

Host

L'ultimo episodio di questo importantissimo capitolo, come anticipato in apertura dalle sembianze sequenziali, ci consegna l'inevitabile atto conclusivo della guarigione spirituale iniziata in eta' letargica dal nostro protagonista. Tuttavia il suo percorso rigenerativo, concluso con un'apparente equilibrio psico-fisico, nonostante risulti il frutto di uno sforzo non indifferente, non chiudera' definitivamente la porta dei dissidi interiori, infatti come potremo notare piu' avanti, l'appena menzionato cammino, risultera' solo in parte il prodotto di una completa guarigione. Molto probabilmente il pensiero appena esposto potrebbe apparire scontato ai piu', poiche' le vicissitudini che la vita puo' proporre, ovviamente di diversa natura, nel bene o nel male toccheranno sempre nel profondo la nostra intimita', lasciando un Host (Ospite) con cui convivere. In questo componimento l'incontaminata maestria nel proporre musica da parte dei nostri cavalieri elvetici, ad onor del vero sempre in ascesa esponenziale, sintetizzando magistralmente una storia assolutamente epocale, completa perfettamente la loro personale evoluzione. Le oscure dinamiche iniziali, capaci di avvolgere completamente i fruitori di note, grazie alle pregiate intersezioni dell'asse Marquis-Baron, risultano in grado di disegnare un selciato oltremodo introspettivo, quasi esclusivamente doom e posizionandosi con ricercata perizia, evidenziano il superbo lavoro del controllore delle anime Royce, il quale, meritatamente, prende il pieno possesso della scena. Con grande meraviglia, dopo aver posto la propria maiuscola firma su tutte le liriche, quest'ultime indottrinanti, creative e lungimiranti, il nostro filosofo per l'occasione, vestendosi da narratore, racconta in prima persona l'ultima vicenda del suo protagonista, forse, perche' lui stesso soggetto principale di tali vicissitudini. Come in una cronostoria, sopra un andatura molto flebile, sussurrata e accompagnata dai cristallini richiami della voce di Bettina Kloeti, comincia la sua ultima disamina e sottolineando come l'ospite si annidi con circospezione e volonta' nel sigillare un malsano legame col suo cervello, dipinge con fare azzeccato le tenebrose sensazioni trasmesse. Quest'ultime, portandoci direttamente al ritornello e precedute dal tappetto ben congegnato da Marky, esplodono in un cantato growl di rara potenza sempre ad opera del nostro filoso, il quale esprime in modo eccessivamente chiaro, la radice sigillata dall'ospite dentro di se'. Ritrovate le oscure dinamiche iniziali la testimonianza puo' continuare e descrivendo come silenzioso riesca a condizionare le sue azioni, si convince che la parte malefica, assolutamente presente e dormiente in ogni forma vivente, una volta risvegliata risulti in grado di innescare i malsani processi disquisiti ad inizio opera. La pesantezza del ritornello riproposto, veramente oscuro come l'enigmatica materia, nonostante la pietrificante verita' rivelata, sembra donare consapevolezza al nostro immenso protagonista, poiche' e' proprio la conoscenza delle proprie debolezze, che puo' aiutarlo a donare l'eterno riposo al visitatore. La successiva parentesi zeppa di effetti opportunamente sintetizzati da Kent, ponendosi come unico spazio rilassante, ci trascina all'unica sconcertante verita', ovvero la certezza che non esistera' mai un modo per bloccare certe condizioni mentali, dacche' la porta socchiusa che conduce nella stanza del nostro ospite, non potra' mai essere definitivamente sbarrata. Fortunatamente, in quest'ultimo episodio, il solitario spazio dell'alfiere delle sei corde si manifesta nuovamente e attraverso l'utilizzo di drappi assolutamente rock, riempiendo tutti di coraggio, eleva ancora una volta la nostra essenza in una dimensione di floydiana memoria. Difatti l'ancestrale arpeggio del barone e le superbe trame pizzicate da Royce in simbiosi con la voce pura e melodiosa di Bettina, dipingendo nel cosmo l'inaspettata conclusione paragonabile all'altrettanta epocale "The Great Gig In The Sky" dei Pink Floyd, consegneranno per sempre a tutti i fruitori di note il commuovente atto conclusivo.

Conclusioni

Amati e fidati compagni di viaggio, siamo dunque arrivati all'ennesima testimonianza da parte del nostro funzionario pubblico e indubbiamente potremo parlare di un percorso mai condizionato da fattori esterni alla musica ed evoluto solo in virtu' di sperimentazioni artistiche sempre vincenti. Quest'ultime iniziate con una matrice fortemente technical thrash (filone che li vede vestire per primi tale abbigliamento), mutata successivamente a suon di capolavori in una sorta di rock fusion progressive, tuttavia senza mai tralasciare i maestosi inserimenti sempre riconducibili all'estrazione stessa del genere nato in California. Durante questo incantevole percorso, ad onor del vero giunto negli anni novanta in completo decadimento, i cavalieri senza macchia sono stati in grado di scrivere pagine che verranno sempre ricordate come capi saldi dell'intero panorama ed oserei dire non solo metal se considerati gli ultimi due capolavori. Escludendo ovviamente dal discorso la componente fortunosa, il periodo infelice appena citato puo' considerarsi un vero e proprio spartiacque per molte realta' del circuito metal in generale e a fluttuare molto al di sopra della mediocrita', nel 93', oltre ai gia' citati svizzeri, potremo citare i sempreverdi Overkill, gli Anacrusis e i Vio-lence. I nostri cavalieri confederati, immuni da ogni controversia, oltre ad aver toccato molteplici aspetti riguardanti l'enigmatica ed oscura materia, hanno affrontato, senza timore, le tante problematiche che imperterrite appestano continuamente il mondo, ovvero tutte le immense complicazioni, generate da quelle menti oltremodo malate governanti sulla terra e capaci di rendere il posto in cui viviamo inospitale e vergognoso. Tutto questo senza dimenticare la religione, poiche' realmente in grado di controllare anche le appena citate menti e oltremodo efficiente nell'arricchire le proprie casse, ovviamente nel nome di un Dio chiamato furbescamente in modi diversi. Assolutamente sublimi ed intelligenti, risultano le copertine scelte dalla mente lungimirante di Marky, il quale attraverso un semplice scatto, si e' reso protagonista di una sequenza straordinaria di immagini piene di significato, difatti basterebbe prendere in considerazione l'ultima concettuale fatica mostrata con Grin, ovvero un inquietante sorriso capace di molte spiegazioni. A questo punto diverra' oltremodo facile riempire di forti tonalita' il panorama materializzatosi sopra le loro teste, in virtu' di componimenti assolutamente fantastici e magistralmente accompagnati da illustrazioni d'altissimo retaggio. A rendere ancor piu' chiaro questo pensiero ripercorreremo i messaggi trasmessi dal filoso Marquis, dacche' le favelle narrate in questo capitolo, oltre a completare il discorso iniziato con Mental Vortex, ci aiuteranno per sempre ad affrontare il difficoltoso percorso della nostra vita, grazie alle parole utilizzate, quest'ultime paragonabili a dogmi da recitare e seguire. In Dream Path, le intuizioni sottolineate dall'inserimento del  didgeridoo ad opera del capace Tim,ci hanno letteralmente proiettato lungo gli aggrovigliati corridoi della mente umana e con cognizione di causa, per vivere in prima persona il pericoloso cammino intrapreso dal nostro immaginario protagonista. L'appena citato cammino coincide perfettamente con il raggiungimento della consapevolezza manifestato a fine capitolo, tuttavia assolutamente complicato ed incominciato col secondo episodio. Infatti The Letargic Age descrive lo stato embrionale dell'ultimo complesso processo di guarigione raccontato in questo masterpiece ed attraverso le claustrofobiche trame espresse dalla chitarra di Baron, abbiamo potuto toccare con mano le prime difficolta'. Internal Conflicts esprime gia' nel titolo il tema portante dell'intero componimento, poiche' una volta emerso il latente disagio, mano nella mano con l'enigmatica ed oscura materia, inizia la sua opera devastante e solo per merito di una forza d'animo eclatante, il nostro primattore riemergera' da un primo importante squilibrio mentale. La leggerezza utilizzata in Caveat - To the Coming, risulta un primo passaggio ancestrale nelle viscere piu' intime del nostro soggetto principale, infatti sopra un selciato funky, la ritrovata forza spirituale lo costringe ad un solo pensiero rivolto verso le nuove generazioni, dacche' recuperata la ragione al termine dell'episodio precedente, il suo primo inevitabile pensiero ricade su chi un giorno potrebbe subire i medesimi conflitti, prima ad opera dei  luridi governatori del mondo e successivamente dalla propria mente. In Serpent Moves cambia tutto, difatti la radiofonica voce dell'ambasciatore dal violaceo mantello Ron e l'ossatura prog thrash del brano, rendono la poesia mutante come la pelle del personaggio principale, quest'ultimo inevitabilmente desideroso di cambiare anche nell'aspetto a causa delle innumerevoli devastazioni subite. Il passo successivo prontamente palesato da Status: Still Thinking donando al fortunato protagonista un meritato momento di riflessione accompagnato dal solitario spazio fusion rock dell'alfiere dalle sei corde, lo prepara al silenzioso momento seguente. Infatti in Theme For Silence, la preparazione all'introspezione donata con sapienza dall'opera di Chatfield, risulta in grado di condurre l'immaginario primattore alle dinamiche che successivamente sigilleranno la fine della storia. Paralyzed Mesmerized sopra un percorso decisamente progressive, rivolgendosi ad ammutolito interlocutore sottolinea le elevate condizioni del bene rispetto al male ed utilizzando esempi lampanti, delinea in maniera inequivocabile l'importanza dell'amore nella nostra vita perche' oltremodo in grado di aiutare ogni guarigione. Un terzo momento riflessivo si manifesta con Grin (Nails Hurt), difatti sulle dinamiche prog thrash magistralmente eseguite da Marquis, il primattore comprende definitivamente il significato di questo complicato percorso, ovvero solo rispondendo con tenacia e con un pizzico di irrisoria spavalderia, riuscira' a controbattere le continue complicazioni poste in essere dall'esistenza. Magnifico il gran finale dipinto da Host, grazie al tecnico e melodioso lavoro del controllore delle nostre anime Royce, il quale con drappi forgiati dal sapere, disegna un tracciato che ci collega all'eternita' e dopo aver raggiunto la consapevolezza donata anche dalla nefasta intrusione, la splendida voce dell'elegante Bettina Kloeti, proiettando non solo metaforicamente le nostre anime al cospetto dell'assoluto, dipinge nel firmamento una reminiscenza floydiana, quest'ultima semplicemente perfetta per chiudere quest'opera eccellente. Il racconto di questa imponente nonche' importantissima storia, con protagonista assoluto l'amato pubblico funzionario e segno tangibile di un cammino sempre volto all'arricchimento del panorama musicale, risulta essere, in maniera lapalissiana, il raggiungimento di un apice creativo incredibile e se dovessimo analizzare, le parole utilizzate per affrontare le intelligenti tematiche proposte, le altrettanto ingegnose copertine ed i pregiati drappi che con la loro magica unione hanno dato vita a componimenti d'eterno valore, potremo asserire con fiera certezza che i Coroner sono e saranno per sempre un gruppo perfetto.

1) Dream Path
2) The Letargic Age
3) Internal Conflicts
4) Caveat - to the coming
5) Serpent Moves
6) STATUS: STILL THINKING
7) THEME FOR SILENCE
8) Paralyzed Mesmerized
9) Grin (Nails Hurt)
10) Host
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