CELTIC FROST

To Mega Therion

1985 - Noise Records

A CURA DI
MARCO PALMACCI
24/07/2014
TEMPO DI LETTURA:
10

Recensione

Per Aspera ad Astra. O parafrasando i Ghost B.C. (a posteriori), per aspera ad Inferi. Espressioni perfettamente in grado di dipingere, con un tratto preciso e sicuro, quel che i Celtic Frost riuscirono ad ottenere in quel magico 1985, riscuotendo il meritato successo dopo una vita di duro lavoro e sacrifici. Ad Astra, perché finalmente Tom G. Warrior poté finalmente esclamare di avercela fatta, dopo una sequenza di demo, autoproduzioni, EP che i critici si divertirono a distruggere per partito preso, senza provare a dargli nemmeno una possibilità, nonostante chitarristi ben peggiori di lui (e con metà del suo curriculum) venissero all'epoca (e tutt'oggi) osannati ed idolatrati come "star" della sei corde. Ad Inferi, perché dopo gli splendidi "Morbid Tales" ed "Emperor's Return", ogni buon appassionato di musica estrema si vide servito su di un vassoio d'argento una nuova corsia sull'autostrada per l'inferno, un album che al pari di "Black Metal" dei Venom e dell'omonimo debutto degli svedesi Bathory riuscì a delineare e teorizzare in maniera netta un nuovo genere che di lì a poco sarebbe esploso nella cristianissima scandinavia, il Black Metal. Pionieristico, visionario, splendidamente folle sotto alcuni aspetti, innovativo, particolare, mai scontato. "To Mega Therion" (termine greco indicante "La Grande Bestia" citata nell' "Apocalisse di San Giovanni", belva e messaggero del Male) fu questo e moltissimo altro ancora, un disco che arrivò nel momento giusto al posto giusto, assurgendo a vero e proprio gioiello di una discografia sino a quel momento definita perfetta anche da chi era abituato a denigrare il Gelo Celtico, giornalisti che definivano il terzetto svizzero come un gruppo - parodia, dei casinisti buoni unicamente per scatenare un po' di pogo nell'attesa del concerto dei grandi nomi. Affermazioni che in troppi dovettero rimangiarsi, messi dinnanzi ad un'opera di tale caratura, frutto di ispirazione per un sacco di band a seguire, gruppi dei più disparati generi. Stando a quel che concretamente vediamo, l'album è stato difatti omaggiato da diverse personalità del Metal: dagli Obituary ai Bewitched, molti dei musicisti che negli anni seguenti avrebbero dato vita ai filoni più estremi del mondo del Metallo hanno necessariamente rivolto le loro attenzioni a questo disco, che decretò la metamorfosi dei Celtic Frost da semplice promessa a gruppo affermato, in grado di tirare fuori dal cilindro brani memorabili, storici, che ancora oggi sono oggetto di culto ed ammirazione. Tutto fu studiato alla perfezione: dagli accorgimenti musicali che differenziarono l'album da molti suoi predecessori o quasi contemporanei, all'immagine di copertina, di grande impatto emotivo ed artistico. Quest'ultima in particolare fu opera niente meno che di Hans Rudolf Giger, pittore / scultore / illustratore surrealista noto al grande pubblico per i suoi dipinti fuori da ogni schema e per essere stato insignito, nel 1980, di un Premio Oscar per via dello splendido lavoro compiuto nella creazione e nell'ideazione dell'universo alieno presente nel film "Alien", pellicola diretta dal regista Ridley Scott. Come da sempre sottolineato da Warrior, Giger mostrò sin dai tempi degli Hellhammer un grande interesse nei suoi progetti musicali e gli fu sempre molto vicino, anche quando le cose non sembravano andare nel proverbiale migliore dei modi. Complice anche un rapporto lavorativo e d'amicizia fra i due (Warrior fu suo assistente per diverso tempo), Giger non ci pensò dunque due volte a concedere ai Celtic Frost l'utilizzo del suo dipinto "Satan I", risalente al 1977 e forse fa le migliori incarnazioni artistiche mai esistite dei concetti di caos, paura e smarrimento. Un dipinto che si sposa perfettamente con l'ecletticità e la "sfuggevolezza" delle dieci perle (nere) che compongono la tracklist di "To Mega Therion", un album che non punta unicamente sull'aggressività ma è in grado di coinvolgere anche e soprattutto con elementi inusuali, per il suo genere: voci femminili, fiati definiti addirittura Wagneriani, il tutto perfettamente amalgamato alle tempeste sonore ai quali siamo stati abituati sin dai precedenti EP. E' quindi il momento della svolta, della definitiva consacrazione: il momento di un disco che fece capire al mondo quanto la mente del Guerriero fosse una fucina di idee pressoché inesauribile, da prendere come esempio e da invidiare, nonché l'occasione che forse maggiormente codificò e delineò il "vero" genere dei Celtic Frost; un genere personale, inspiegabile, che va interiorizzato e non classificato, che solo dopo un'analisi sommaria e forse troppo superficiale si potrebbe definire "proto black metal", "black thrash metal" et simila. Potremmo star qui una notte intera cercando di classificare e nominare, un'etichetta perfettamente calzante rischieremmo di non trovarla mai, proprio perché il lavoro in questione è senza tempo né spazio, un disco che scrive un nuovo genere, che cambia le regole, che non riflette il mondo ma lo scolpisce vibrando colpi di martello. Questa è l'Arte, come direbbe Majakovskij. Or dunque, appropinquiamoci ad immergerci nei meandri della Grande Bestia cercando di scorgerne tutte le teste, le code e gli occhi. Un'Apocalisse sonora è in procinto di disintegrare il nostro mondo e le nostre certezze.. pronti? Si comincia!

L'intro da sola è in grado di suscitare in noi un'angoscia mai provata prima, ascoltando un disco. Un'oscura litania prodotta da corno francese (magistralmente suonato da Wolf Bender) mista al battere di svariate percussioni (timpani sinfonici, una batteria scandente un 4/4 ruvido e compatto) perme l'atmosfera di questa breve strumentale, "Innocence and Wrath", nella quale la chitarra è paradossalmente ridotta a comprimario della sezione percussiva. Sentiamo la sei corde emettere quasi un ronzio sommesso, insidioso, nascosto, come se il suo suono strisciasse fra il possente battere dei timpani e l'incalzante atmosfera suscitata dai fiati, in questa occasione resi tronfi e ridondanti, inquietanti e capaci di reggere sulle loro spalle l'intero brano, che si protrae per un minuto abbondante. Un benvenuto con i fiocchi (neri, of course), che non ha bisogno di parole per descrivere ciò che effettivamente vuole comunicarci. Proviamo per un secondo ad immaginare un altissimo portone nero, posto nei meandri della volta celeste: alziamo lo sguardo, lo fissiamo impauriti chiedendoci cosa diavolo possa mai essere, cosa ci faccia lì, da dove caspita sia spuntato mai. D'improvviso la porta si spalanca, una tempesta di anime dannate irrompe nel cielo azzurro tramutando il giorno in notte. Cerchiamo di scappare, di metterci al sicuro, le urla di quelle assurdità sono capaci di far gelare il sangue nelle vene persino del Diavolo in persona, la tristezza e la confusione regnano sovrane. Lacrime, sangue, paura: un'immonda processione di esseri condannati alla dannazione eterna che mestamente sfilano ordinati, dando vita ad un'atroce parata. Il Male è giunto sulla terra, flauti blasfemi gli danno il benvenuto. Il giorno del giudizio è arrivato, la sfilata prosegue senza che nessuno possa fermarla, i tamburi infernali ne scandiscono i tempi. Grassa e grossa, questa intro riesce in pochissimo a farci capire in cosa consiste questo lavoro, fungendo da biglietto da visita e "riassunto" del genio compositivo di Warrior. Teniamo bene a mente questi fiati, per un futuro sia immediato sia prossimo. Dopo una traccia così emotivamente coinvolgente, arriva il momento per la chitarra di riprendersi lo spazio che merita, riemergendo fiera ed indomabile come un Drago dalla sua caverna. "The Usurper" si apre con un riff magnificamente vecchia scuola, grezzo ed ipnotico, in puro stile Celti Frost. Possiamo udire proprio dal sound della chitarra in particolare quanto la produzione sia molto più curata che nei precedenti EP, pur mantenendo tuttavia i suoi tratti distintivi: ruvidezza, immediatezza ed a tratti quell'oscura misticità che rende il sound di Tom "ipnotico", come detto pocanzi, in grado letteralmente di possederci e catturare la nostra attenzione, più di quanto molti altri suoi colleghi siano in grado di fare. Dopo il suo leggendario grido di battaglia, quell' UH! divenuto negli anni una sua simpatica quanto immancabile costante e caratteristica, il brano si lascia andare ad una corsa frenetica contro il tempo, alla quale sono felicissimi di partecipare anche Reed St. Mark, eterno compagno di Tom sin dai primi lavori che con il suo drumming rende il brano dotato di una carica del tutto particolare e frenetica, e naturalmente il nuovo elemento reclutato per l'occasione, il bassista Dominic Steiner, che non fa rimpiangere sicuramente l'assenza di Ain. Le sue linee di basso sono altrettanto dense e personali, il suo strumento riesce tranquillamente a guadagnarsi uno spazio importante nell'economia del pezzo. Un brano dominato dalla velocità e da stacchi continui ed improvvisi, che in qualche modo lo "spezzettano" unicamente per renderlo un climax di potenza ed aggressività; ogni "sezione" in susseguirsi è potenzialmente più impetuosa di quella che la precede, unendosi alla compagna come in un treno composto da molti vagoni che all'unisono si trascinano l'uno con l'altro sui binari, a folle e spericolata velocità. Tom dal canto suo mostra una voce leggermente meno "disturbata" e più profonda, aggressiva ed impostata su un registro speed - heavy, molto simile a quella di Cronos ma leggermente più "aspra" ed oscura. Coadiuvato nella seconda metà del brano dalla fugace apparizione di un'eterea voce femminile (quella di Claudia Maria Mokri, per l'esattezza), c'è spazio per un ottimo (seppur breve) assolo diviso in due tempi intervallati da un riff tellurico che sicuramente avrà fatto la fortuna del nostro Tom, in grande spolvero e determinato per far si che il suo esordio in "prima serata" riesca nel migliore dei modi. Un solo denso di pathos e crudeltà, caldo come la lava e freddo come la morte allo stesso tempo, veloce e scorrevole, denso come una colata di acciaio fuso al contempo. In questo clima generale (sempre dominato dai vocalizzi del nostro, che proprio da questo album in poi si guadagnò "ufficialmente la sua fama di "UH! Man") di riff e potenza, il tema dominante del pezzo si presenta come perfettamente pertinente ed amalgamato al tutto: quel che ci viene presentato è uno scenario squisitamente dark fantasy, una sorta di mondo parallelo ispirato a quelli creati ex novo dagli scrittori che fecero la fortuna della leggendaria rivista "Weird Tales" , come Clark Ashton Smith e Robert Ervin Howard (quest'ultimo, padre del celebre cimmero Conan). In un'epoca indefinita ed in un'ambientazione desertico - fantascientifica, un non meglio precisato "usurpatore" sta preparando la sua avanzata, fiancheggiato dal suo esercito, per reclamare il posto che gli spetta di diritto sul Trono di Gioielli, divenendo così egli il Re. Il protagonista è fiancheggiato nientemeno che dagli Dei (assurgendo quasi al ruolo di "prescelto"), e dal volere dei Re caduti, i cui spiriti si placheranno solamente se un uomo del suo calibro salirà su quel trono. Tant'è vero che è proprio uno di questi Re, forse il più grande ed importante (chiamato L'Imperatore, chiaro riferimento all'EP precedente al disco, "The Emperor's Return), a guidare il guerriero, dominandone il mondo affettivo ed i sogni, spronandolo per far si che la conquista ed il suo successivo insediamento possano avvenire con successo ("So I may reign the Jewel Throne,  my soul feels the gods' demand as the lost kings uphold my side /  The emperor, forgotten, rests in my dreams.. I start the conquest /? But I remain the Jewel Throne's choice" - "Così potrò regnare sul Trono di Gioielli, la mia anima percepisce il volere degli dei, così come quelli dei Re caduti, che mi sostengono | L'imperatore dimenticato riposa nei miei sogni.. comincio la conquista! |..rimango io, la scelta del Trono di Gioielli).  Battaglie epiche, ambientazione polverosa e dai tratti scuri, spade, Troni, Re, spiriti e Dei: il mondo dei Celtic Frost si presenta come originale ed intrigante, ben diverso da quello forse eccessivamente troppo scontato di molte band simili a loro, per genere ed attitudine. Proseguendo proprio su questa linea testuale giungiamo al terzo brano, successore in tutto e per tutto (e non solo "gerarchicamente") del secondo. "Jewel Throne" si presenta con un riff meno aggressivo e maggiormente cadenzato, incorporando dentro di se anche elementi di chiara matrice Doom Metal, magistralmente fusi con la "sporcizia" proto Black Metal oramai tipica della chitarra di Tom G Warrior. Il brano prosegue su questi ritmi ben scanditi sino alla metà: la batteria di St. Mark si fa valere a suon di accettate sui tamburi, che suonano marziali e solenni come quelli di un'esecuzione, mentre il basso di Steiner riesce a ritagliarsi uno spazio decisamente più importante che nel brano precedente, dando vita a delle linee distorte e disturbanti che ben si fondono alla chitarra esasperata di Tom, la quale cambia decisamente modus operandi una volta sorpassata la prima metà del brano. Dopo un'andatura a metà fra i Venom ed i Black Sabbath, un'accelerazione improvvisa ci riporta in un contesto di velocità e di aggressività  diviso in due momenti: un primo atto che funge quasi da "preparazione" allo "scoppio" vero e proprio, ed un secondo in cui i Celtic Frost si abbattono come tifoni sulle nostre orecchie, dando vita ad un sound quasi sfociante in un Death Metal (eloquenti in tal senso i poderosi blast beat di St. Mark) particolarmente oscuro e venato in un certo senso di tenebra, di cupa e mesta rassegnazione, un genere particolare i cui connotati e stilemi verranno ripresi in seguito da band come Obituary e dai Vomitory dell'allora frontman Ronnie "Ripper" Olson. Le due parti sono divise, ancora una volta, dal leggendario "UH!" di Tom, il quale nella seconda parte del pezzo torna a deliziarci con un assolo d'alta scuola, che racchiude in se tutte le caratteristiche del perfetto sound estremo. Dopo questo momento di tempesta forsennata, il brano si avvia alla conclusione riprendendo i ritmi originali (pur vestendoli di una carica più densa e "martellante" - ossessiva) e stemperando quel che è stato l'assalto sonoro avvenuto pocanzi. Un brano che da solo riesce a far capire perché "To Mega Therion" sia da considerarsi come un album Storico: la summa delle grandi esperienze mista alla pazza genialità dell'Avanguardia e del nuovo che avanza. Storia e Tradizione, Inventiva e Coraggio di osare. Elementi che rendono il brano ed il disco tutto un masterpiece, una tappa fondamentale per chiunque sia interessato ad intraprendere un certo tipo di cammino musicale. Come accennato all'inizio, il testo di "Jewel Throne" è direttamente collegato a quello di "The Usurper". A quanto sembra, il Condottiero è finalmente riuscito a divenire Re ed ora si ritrova una volta per tutte seduto sul Trono di Gioielli, anche se il Potere e la Gloria non sembrano recargli troppo piacere. C'è in fatti una sorta di tristezza intrinseca, ancestrale, che domina il suo animo: forse a premere maggiormente in lui è la consapevolezza d'aver versato molto sangue (amico e non solo nemico) per arrivare lì, in cima, a tenere in mano il vero potere. Un Re, certo, ma anche un condottiero dall'animo nobile, che ora sente il peso delle responsabilità passate e future sulle sue spalle. La Spada dovrà essere nuovamente brandita, altre vite verranno spezzate.. ma il suo Destino è ormai segnato, e non può certo tirarsi indietro dinnanzi alle varie difficoltà che si presenteranno, nonostante i sensi di colpa e qualche sensazione di rimorso che sembra attanagliarlo, però, più del dovuto. I pensieri scorrono veloci, ma lui è sul suo Trono, dal quale può ammirare l'Eternità ("Empty eyes are staring now, to my feet a land of sorrow. I'm the king, sitting in the dark hiding from the shadows of the wind. Wafts of might, wine of fire, I was called to taste" - "Uno sguardo vuoto che ora fissa, ai miei piedi una terra di dolore. Io sono il Re, siedo nell'oscurità, nascosto dalle ombre del vento. Tempeste di potere, il vino di fuoco? questo sono chiamato ad assaporare"). Un poema guerresco d'ampio significato, intriso di struggenti metafore, incentrato su quanto sia facile desiderare il potere ma quanto sia poi difficilissimo mantenerlo ed affrontarne le varie responsabilità che da esso derivano. Slegata dal contesto del Trono e presentata come un episodio a sé stante è la traccia numero quattro, "Dawn of Megiddo", nuovamente introdotta da un sound lento ed arioso, molto più che in "Jewel Throne" e quasi declamatore, come se l'oscura e cavernosa voce di Tom provenisse dall'alto di un nero pulpito dal quale egli, in veste di sacerdote del Demonio, dispensa profezie di morte e presagi di sventura che si abbatteranno sull'umanità. Qui a là qualche timido accenno ad un'accelerazione sonora, subito soffocata sul nascere e sostituita dal ritorno dei maestosi fiati presenti in "Innocence and Wrath". Il corno francese di Wolf Bender ed i timpani sinfonici tornano a farsi sentire in maniera incisiva ed aumentano il contesto di ineluttabilità del brano, rendendola una vera e propria parabola, un capolavoro di inaudita potenza nonostante i ritmi sommessi. Ascoltate il sound ipnotico della chitarra, i ritmi di ampio respiro della batteria, il basso che torna dilatato e frastornante: una sconvolgente unione che anticipa di netto quelle che saranno le sperimentazioni di un certo disco noto come "Into the Pandemonium", nel quale i toni "da cantore" più che da cantante di Tom troveranno uno spazio anche maggiore. Un brano costruito sicuramente pensando ad un "forte sentire" di Classica memoria, un pezzo che dimostra come l'impronta del classicismo musicale sia indelebile in tutti i generi venuti dopo, compreso l'Heavy Metal che alla tradizione di Wagner e Beethoven deve più di un qualcosa. Il saper alternare momenti di furia iconoclasta e calma disarmante rende questo disco un'autentica perla, un forziere da aprire ed esplorare all'interno del quale i musicisti riescono a muoversi con una poliedricità ed un'inventiva al di fuori della norma. Chi etichetta il metal "estremo" come "solo ruomore" avrà (ed avrà avuto, per i detrattori dell'epoca) molto su cui riflettere, poco ma sicuro. Come un'oscura nemesi del noto profeta Mosè, in questo brano Tom sembra appunto declamare dei comandamenti, degli ammonimenti, brandendo però delle tavole non ispirate da Dio, al contrario: ad ispirare il Guerriero è la Morte, il triste destino verso il quale siamo tutti indirizzati, senza nessuna eccezione. "Only Death is Real - Solo la Morte è Reale", così è solito esprimersi Warrior quando si ritrova a discutere sul senso della Vita. E proprio in virtù di questo, ricama delle lyrics incentrate sull'Apocalisse, sulla fine del mondo, il cristiano Armageddon ("Megiddo") appunto, momento nel quale si combatterà la definitiva battaglia fra bene e male. In questo testo, i Celtic Frost sembrano essere molto polemici nei riguardi della concezione di Vita e Morte espressa dal cattolicesimo: secondo i nostri, la paura della morte è alla fin fine troppo intensa per essere mitigata dalla promessa di un paradiso o di una rinascita, e per questo immaginano cosa potrebbe eventualmente accadere se la fine giungesse davvero. Immersi in uno scenario di distruzione e desolazione, gli umani non sembrano ricordare la promessa dell'eterna beatitudine e difatti non fanno altro che urlare e disperarsi, cercando in tutti i modi di fuggire dallo svolgersi del "raid" Apocalittico per cercare di salvare la loro vita terrena. Descritti come degli inutili "sacchi di carne" schiavi della materialità (denaro, potere ecc.) gli uomini non avranno comunque scampo. Il destino si compirà, e nell'ultima strofa Tom sembra quasi sbeffeggiare la teoria della rinascita, sostenendo che non ci sarà alcuna beatitudine e che il credere nella gloria dei cieli sia inutile ("Humilated in human form / We have to die to be reborn / The cross has failed, you won't see the coming fall / You will feel the yearning flames / ?Well never be reborn / (Into his hand) we demand our hearts. The lord and we are one" - "Umiliati in questa forma umana, dobbiamo morire per rinascere / La Croce ha fallito, non vuoi vedere la Caduta che fra poco si verificherà / Sentirai le fiamme che ti bramano / ?bene, noi non rinasceremo! / (in questa mano) domandiamo i nostri cuori? Noi ed il Signore siamo una cosa sola"). Ancora scossi da questa triste disamina della sorte umana fornitaci dai nostri, ci accingiamo a proseguire verso il quinto brano, "Eternal Summer", pezzo che chiude il "Lato A" di questo splendido lavoro. Un ulteriore tassello che si propone alle nostre orecchie adottando ritmiche doomeggianti, magistralmente introdotte da un sinistro battere sul raid da parte di St. Mark, ancora una volta chiamato a variare il suo drumming quando e quanto occorre. Giusto il tempo di apprezzare la psichedelica e monolitica consistenza del riff d'apertura che veniamo nuovamente gettati in una mischia furiosa, dove aggressività e velocità tornano a farla da padroni dopo momenti di (solo apparente) pausa. I nostri tornano a fare loro la filosofia del "Pedal to the Metal" e si lanciano in una folle corsa che riporta alla nostra mente i loro primi lavori, primo fra tutti il loro esordio, "Morbid Tales", nel quale avevamo potuto sfamare la nostra voglia di mosh grazie a brani come "Into the Crypts of Rays", giusto per fare un nome. La corsa viene fermata circa verso la metà del brano, quando viene ripreso lo stile iniziale ed il piatto raid di St. Mark torna a scandire il tempo. Alternandosi ad uno sferragliante battere sul charleston ed accompagnato dal sempre più poderoso basso di Steiner, il batterista decelera nuovamente, dettando a Tom i ritmi giusti per lanciarsi in un micidiale assolo di chitarra, veloce ed oscuro, autentica gemma fra le gemme. Giungiamo così alla conclusione del pezzo, che abbandona i ritmi quasi Doom per riabbracciare la velocità pura e diretta, prendendoci letteralmente per il polso e trascinandoci via con se, senza stare a preoccuparci del fatto che potremmo anche cadere e farci male. I Celtic Frost sono proprio questo, in sostanza: una macchina da guerra che ora procede a passo d'uomo ora distrugge tutto ciò che incontra, che ora può sparare un colpo e radere al suolo case intere, ora decide di non farlo, preferendo incutere timore con la sua sola presenza, senza far (ancora) fuoco. Un brano magistrale, che fa dell'alternanza di stili il suo punto di forza, che non annoia e coinvolge sempre, sia nelle sue vesti più "calme" sia in quelle decisamente più aggressive e risolute. Il testo risulta essere criptico e fortemente influenzato nuovamente da un alone di pessimismo. Ancora una volta, in uno scenario che fonde mitologia greca ed egizia, l'uomo torna a pagare le sue colpe: megalomania, manie di protagonismo, atteggiamento di sfida nei riguardi della natura eccetera. La punizione è affidata niente meno che ai Titani, esseri mitologici che il poeta Esiodo, nella sua "Teogonia", ci descrive come esseri nati ancor prima degli Dei Olimpici e di seguito divenuti loro aspri oppositori nella lotta al potere. In questo caso, comunque, i Celtic Frost non sembrano rispettare la tradizione greca ed inquadrano i Titani unicamente come degli esseri malvagi che, sfruttando l'inettitudine degli umani, riescono a conquistare il loro presente e di conseguenza quasi a "punirli" per l'eccessiva leggerezza dimostrata nel vivere la loro vita (data in pasto, come detto, al materiale ed al superfluo). L'ambientazione è quella dell'antico Egitto e, forse proprio in virtù del clima che domina quella parte del mondo (e per via di una siccità perenne che dominerà l'umanità dopo l'avvento distruttivo dei titani), l'Estate Eterna sembra proprio far riferimento a tutto questo. Titolo naturalmente beffardo, in quanto, da sempre, l'Estate è vista come una stagione di riposo e di spensieratezza? quel riposo e quella spensieratezza che ormai gli umani potranno vivere per sempre, in quanto la siccità dominerà le loro vite e potranno per sempre vivere senza pensieri.. in quanto saranno tutti morti ("The pyramids tremble, darken the sun, (the) sky tums red / The Titans arise, the monuments fall, we cannot halt / Human pride and megalomania - The Titans watched it all / (The) fires won't redeem, illuminated's the night - the eternal summer" - "Le Piramidi tremano, il sole si oscura, il cielo diventa rosso / I Titani risorgono, i monumenti cadono, non possiamo fermarli / Il nostro orgoglio e la nostra megalomania, i Titani guardavano tutto questo / Le fiamme non vogliono placarsi, la Notte si illumina.. questa è l'Estate eterna.."). Dopo un episodio così intenso, è giunto il momento di iniziare il "Lato B" di "To Mega Therion". Un inizio di quelli che mai ci scorderemo, dato che giunge in questo momento l'ora del capolavoro, del brano simbolo, del singolo per eccellenza, della canzone che ha catturato l'immaginario di persone come John Tardy e dei suoi Obituary, di un brano che è da annoverare come una delle principali cause scatenanti del fenomeno "Black Metal".. quel tassello che ti convince definitivamente che l'album tutto è un autentico capolavoro. "Circle of the Tyrants", già proposta nell'EP "Emperor's Return", piomba come un proverbiale fulmine a ciel sereno nelle nostre vite, mettendoci immediatamente sull'attenti ed incutendo in noi una sorta di timore reverenziale, proprio perché ci troviamo senza riserve alcune dinnanzi ad uno dei simboli del metal estremo, uno dei brani che può rappresentarlo sicuramente al meglio. Una versione riveduta e corretta, che non si discosta molto dall'originale ma risulta essere ben più incisiva e perché no, sicuramente migliore. Se dal canto suo la versione precedente del Circolo dei Tiranni brillava per malvagità e crudeltà del suono, volutamente reso confuso e tetro grazie alla bassa qualità della produzione, con le migliorie apportate su quel fronte abbiamo questa volta un brano che può aspirare a dieci con lode e non solo "pieno", grazie ad una produzione migliore e molto più curata, che come possiamo notare non rende certo la traccia in questione e l'album tutto troppo "pulito" o delicato. L'esecuzione comunque non differisce di molto: rimane il riff martellante ed ossessivo che introduce il brano, sempre accompagnato da una ritmica efficace nonostante il cambio di line up (ai tempi di "Emperor's?" il basso era ancora appannaggio di Ain), il brano è di per se un susseguirsi di riff memorabili e particolari, un pezzo difficile da inquadrare, così variegato e lineare solo in alcuni punti. Non troppo difficile da eseguire ma frutto di una personalità espressiva ed istrionica, quella dei Celtic Frost, che lo rende memorabile ed imprescindibile. Il basso di Steiner non fa rimpiangere Ain e come fu all'inizio, St. Mark ci dà un breve saggio della sua tecnica tenendo il tempo in maniera ottima, aiutando Tom Warrior a gestire meglio la sua chitarra, esplosiva e poliedrica come non mai. Ritorna (seppur in brevissimo momento) la candida voce di Claudia Maria Mokri, che ci delizia con un acuto improvviso e sfuggente. Il significato del testo non cambia: Il Circolo dei Tiranni ed il Tiranno al quale Tom fa così rabbiosamente riferimento può sempre essere inteso come il Demonio  o come una sorta di oscuro signore della guerra, una figura molto simile ai già precedentemente citati Sauron, Signore oscuro di Mordor e dominatre di Arda, universo ideato da J.R.R Tolkien ed ambientazione del romanzo "The Lord of The Rings" ("Il Signore degli Anelli") o Thulsa Doom, sanguinario regnante dell'epoca Hyboriana, stregone e condottiero privo di scrupoli o rimorsi, soggiogatore e flagellatore di innocenti, spietato dominatore e nemico giurato del cimmero Conan, fittizio eroe mitologico nato dalla penna dello scrittore Robert Ervin Howard. Ricordiamo che nelle qui presenti lyrics sono presenti delle autocitazioni, espedienti ai quali Warrior ricorre forse per comunicarci la scelta di questo genere musicale come diretta conseguenza ad una giovinezza triste e vittima della depressione. I Tiranni possono quindi essere intesi come tutti i Celtic Frost, la sua creatura che finalmente gli ha donato un suo posto del mondo e gli ha permesso di riscattarsi. E' il nuovo che avanza dopo una vita di sacrifici, è la nascita di una nuova era ("The new kingdoms rise by the circle of the tyrants! In the land of darkness The Warrior, that was me - il nuovo regno sorge grazie al Circolo dei Tiranni! Nel Mondo Oscuro, Il Guerriero ch'io fui..). Un uomo che si mette in relazione con il suo passato (non molto felice, fatto di continui contrasti in famiglia e solitudine). Senza indugio nonostante l'ebbrezza ancora persistente giungiamo alla settima traccia, "(Beyond The) North Winds", introdotta da una chitarra confusa che sembra quasi fare le cosiddette bizze, come se in qualche modo fosse ingolfata o faticasse a produrre il suo suono. Una intro particolare che dà in seguito il via ad un brano dalla velocità media, cadenzato a mo' di marcia militare e dall'aggressività mitigata, quasi fosse un episodio di "rilassamento" dopo l'intensa track precedente. Se non altro, questo clima permette alla sezione ritmica di esprimersi in maniera ancora più egregia. Un tempo ben scandito ed un "sottofondo" che rende la musica dei Celtic Frost ancor più diretta e per certi versi inquietante, dato il sound sia del basso che della batteria, registrati in maniera tale da risultare si di qualità, ma anche ruvidi e taglienti come un rasoio arrugginito che si appresta a dilaniare le nostre carni. Giunti alla metà del brano, al segnale di Tom Warrior si può scatenare l'inferno: "UH!", e via con un accelerazione improvvisa ma comunque maggiormente trattenuta che in altre precedenti. Consueto (e splendido) assolo, ed il brano si avvia alla conclusione riprendendo i tempi dettati prima dell'accelerazione, rientrando nei ranghi ed accompagnandoci così alla fine. Importante sottolineare che ci troviamo dinnanzi a delle liriche dense di poesia decadente, quasi fossero state scritte da Tom pensando ai grandi maestri della poesia come Rimbaud o Baudelaire. Difficili da inquadrare in maniera totale, possiamo dire che quasi il testo si configura come una riflessione sulla vita, dinnanzi ad un oceano sconfinato, compiuta da un uomo che sembra afflitto da amare consapevolezze; l'esistenza fugace ed effimera, la sostanziale piccolezza dell'uomo nei riguardi del Tutto, del Mondo, dell'universo, più drammi personali come una sorta di depressione. Elementi che scaturiscono dalle liriche qui presenti, rese in maniera profondamente sentita e struggente. Leggendo solo il testo, chiunque potrebbe in seguito aspettarsi una ballad con sottofondo di pianoforte, quasi à la Nightwish.. eppure, siamo all'interno di un disco proto Black Metal, che fa propri stilemi Death e Speed. Un bello schiaffo sul grugno di qualsiasi detrattore che giudica dischi come questo per partito preso, pensando che per forza si debba parlare di Satana, di vergini sacrificate, di sangue e di odio. Questi, sono i Celtic Frost: "On days of northern wind, (past) illusions surround my dreams. Drops of mute oceans breath in the palm of my hand, the sound of silent waves still caresses all my thoughts / (And) dark ships sailed beyond those lost realms, through gates to eternity, above the sleeping mind" - "Nei giorni del Vento Nordico, illusioni passate circondano I miei sogni. Mute gocce d'oceano respirano nel palmo della mia mano, il suono delle onde silenti accarezza ancora I miei sogni / Neri velieri salpano oltre questi reami, attraverso i cancelli del'Eternità, sopra queste menti dormienti". Un pezzo che musicalmente non vuole far certo leva sulla varietà o sulla particolarità, ma riesce grazie ai suoi toni declamatori (come già avvenuto in "Dawn of Megiddo") a trasmettere un messaggio unico e sfuggente, dotato di varie chiavi di lettura, comprensibile solo da spiriti molto sensibili. Non sarebbe sbagliato trovare, in queste parole, ancora una volta riferimenti alla giovinezza di Tom e alla solitudine che questi era costretto a patire. Chi potà mai saperlo, forse questo "vento nordico" accarezzava i suoi capelli e i suoi pensieri proprio in quei lunghi pomeriggi passati nei boschi della sua terra natale, la Svizzera. Lunghe passeggiate e notti senza sogni, che hanno portato il giovane Warrior a maturare un proprio concetto di esistenza basato su di un forte senso di pessimismo cosmico. Ritorna la velocità più selvaggia nel brano numero otto del disco, "Fainted Eyes", un autentica macchina della distruzione che ingrana la quarta e decide questa volta di radere al suolo qualsiasi cosa gli si paia davanti, senza star troppo a badare a chi o a che cosa. Un brano che scorre velocissimo per tre minuti abbondanti, "spezzettato" in sezioni e dai vari vocalizzi di Tom: ad ogni vocalizzo corrisponde l'esecuzione del riff principale, un autentica composizione apocalittica che rende il brano ancor più ineluttabile ed intriso di quel senso di (splendidamente) fastidiosa rassegnazione, quasi come fosse un lamento rabbioso e duraturo, duro ad estinguersi, emesso da un uomo che odia semplicemente tutto, il Mondo e chiunque ci viva, animali e non. Dopo tre minuti assistiamo ad un cospicuo rallentamento, dove la batteria di Reed la fa da padroni, scatenandosi sui suoi crash e battendo un ritmo preciso e granitico. La chitarra di Tom risulta nuovamente sugli scudi e molto risoluta, in grado di adattarsi magnificamente ad ogni contesto e facendo sempre leva sulla sua capacità di coinvolgere in maniera a tratti mistica l'ascoltatore, pur mantenendo la sua peculiarità; un sound sferragliante, quasi fosse una motosega a suonare e non, effettivamente, una sei corde. Il brano è di per sé uno dei migliori del lotto, forse fra quelli meglio inseriti nel difficile contesto della "metà". Fra tradizione ed innovazione, fra ieri ed oggi, fra Storia e Futuro. Se si respirano chiaramente le atmosfere pesanti e claustrofobiche dei primi Venom, è impossibile non negare come tutto questo che stiamo sentendo ha in un certo senso amplificato la lezione di Cronos e co., portando il tutto ad un livello d'aggressione in musica ancora maggiore e personalizzato, in quanto, proprio come fecero i Venom all'epoca, anche i Celtic Frost si preoccupano (e non poco!) di rendere personale il loro suono, per distinguerlo (pur facendo contemporaneamente capire quali sono le loro origini e radici). Prova superata a pieni voti, impossibile negarlo! Il testo è inoltre una nuova prova poetica e decadente quant'altre mai. Questa volta gli occhi stanchi e disillusi divengono il nuovo pretesto per mettere in luce ancora una volta l'amarezza dell'esistenza, le difficoltà della vita, l'asprezza in divenire, il pessimismo che domina il mondo affettivo e percettivo di Tom. C'è però una "speranza", anche se definirla tale sarebbe quanto meno paradossale: meglio vivere nella realtà che in una perenne illusione, ed in virtù di questo siamo sempre messi in condizione di squarciare il velo di menzogna e vedere il tutto per quel che in realtà è, ovvero sofferenza e dolori perpetui. Gli occhi "stanchi" sono appunto questo, una metafora indicante uno sguardo sincero, che sa bene cosa vede, ma deve purtroppo cedere alla triste realtà tutta la sua freschezza ed il suo ottimismo. Sta a noi scegliere se tenerli chiusi, riposati ed ignoranti o svegli, provati ma comunque consci della verità ("Try to see through fainted views as reality disappears in haze, a journey between eternal walls ... /  The senses unfold before my eyes as the endless dreams begin to reign? / Drifting in the streams of wisdom while recognizing all those banal tales, sin beyond truth, (I see) glimmering splinters" - "Cerco di vedere attraverso queste stanche visioni mentre la realtà sfugge nella nebbia, un'avventura fra le Eterne Mura [metafora indicante il Tempo]? / I Sensi si risvegliano man mano che il sogno senza fine inizia a governare? / Annego nei fiumi della Saggezza, nel mentre realizzo che si tratta solo di banali storielle, il Peccato deitro la Verità, vedo spiragli lucenti.."). Rumori sinistri ed effetti sonori degni di un film horror ci mostrano il sentiero da seguire per giungere alla penultima traccia del disco, la sconvolgente ed inquietante "Tears in a Prophet's Dream", strumentale di due minuti e mezzo di durata ma incredibilmente significativa e densa di espedienti mirati a provocare un forte stato di angoscia nell'ascoltatore. Effetti elettronici la fanno da padroni, par di sentire di quando in quando lamenti umani, sommessi e comunque "sacrificati" a delle strane (e piccole) eruzioni sonore, per lo più oggetti metallici percossi, schiocchi di frusta, il tutto quasi sorretto da uno stranissimo e perpetuo sibilo, molto simile a quello di un vento insopportabilmente calmo. Affiancati a queste dimostrazioni di "umanità" notiamo poi degli effetti sonori del tutto particolari, avveniristici, quasi provenissero dallo spazio profondo, come se ci trovassimo a bordo di un'astronave. Ed è impossibile, in virtù di questo, non citare nuovamente Giger e il mondo di "Alien", che con la sua carica horror - fantascientifica sembra aver avuto una notevole influenza su questa traccia. Proviamo infatti ad accostare delle immagini a tutto ciò che sentiamo: chiudete gli occhi ed immaginate un'astronave sperduta nello spazio più profondo. Il buio domina, l'ossigeno è poco, la nave è quasi totalmente distrutta a causa di calamità non meglio precisate. Ci muoviamo a tentoni lungo i corridoi, percossi e feriti. Scintille, cavi esposti, connessioni totalmente saltate. La radio? Fuori uso. Alle nostre spalle rumori indefiniti, come di passi, ma non certo umani. I nostri compagni sono ormai un lontano ricordo. I passi aumentano, lo scricchiolio di questi ultimi diviene insopportabile, un bavoso respiro comincia ad affiancare l'avanzare di questa creatura. Proviamo a correre? per quel che servirà. Forse è un sogno, forse solo un presagio di sventura, forse tutto quel che sentiamo in questa track altro non è che il futuro al quale stiamo andando incontro. Un olocausto nucleare che distruggerà legami, certezze e tutto ciò che abbiamo così faticosamente costruito, forse è proprio questo che il profeta immagina: o parliamo di uno sventurato che in cuor suo sa che verrà divorato da una creatura immonda, o di una persona consapevole del fatto che la fine del mondo è vicina, e che presto non ci sarà più nulla da apprezzare, bere o mangiare. Tutto si annullerà. Una traccia che in molte band avranno studiato con calma e dedizione; band che hanno fatto dell'avant garde la propria bandiera e dello sperimentalismo il loro credo, tutte sono necessariamente passate per questo brano dei Celtic Frost, ed è impossibile negare quanto band come Ulver ed Acrturus siano profondamente debitrici al lato più avanguardistico della band di mr. Warrior. Da segnalare, inoltre, il preziosissimo apporto di Horst Müller e Urs Sprenger, autori degli effetti sonori così magistralmente inseriti e concepiti. Scesi dall'astronave ancora in preda all'ansia per il delirio del mondo post-atomico sfuggevolmente visionato in sogno, ci accingiamo ad affrontare l'ultimo brano di "To Mega Therion", la traccia numero 10, "Necromantical Screams". Un congedo degno di tal nome, una sorta di summa di tutto il percorso appena intrapreso. Un brano dalla lunghezza considerevole (6:02), aperto da un riff dalla velocità media, che punta più sull'ipnotismo che sulla volontà di sconvolgerci con la "solita" forsennata velocità. Tom inizia immediatamente a declamare mesto i primi versi, presto raggiunto nuovamente da Claudia, la quale può finalmente ottenere maggiore visibilità, accompagnandolo per una considerevole porzione di brano. L'andamento claustrofobico ed inquietante del brano prosegue, un andamento che riprende ancora una volta stilemi più propriamente doom metal, sconfinanti addirittura in un proto - Depressive / Funeral, quel genere che verrà poi estremizzato e portato al successo da band come Xasthur o in misura minore dai norvegesi Gehenna. C'è nuovamente spazio per il corno di Wolf Bender, il quale con la sua musica pittura nuovamente di nero un brano che già di per se non potrebbe essere più oscuro di quanto è già. Una sezione di fiati che riesce a farci sprofondare in un oblio terribile più della morte, in cui non si subisce un trapasso ma un totale annullamento dei sensi, progressivo ed aspro. A tratti la voce di Tom sembra divenire robotica e confusa, come se sopraggiungessero problemi di "interferenze"; interessante da questo punto di vista la contrapposizione alla voce celestiale e cristallina di Claudia, intenta a più riprese a declamare il titolo del brano. Dal canto suo, St. Mark dimostra ancora una volta la sua versatilità, riuscendo a tenere il brano per le redini anche quando quest'ultimo accelera impetuosamente (ma non troppo da stemperare il generale clima di claustrofobia così meravigliosamente ricamato), ed in grande spolvero è anche il basso di Steiner, che con le sue note distorte e frastornanti riesce a rendere il pezzo più vivo e corposo. Una sorta di commiato nel quale viene sintetizzato tutto ciò che ha reso questo disco particolare e sui generis. Il corno di Bender, la voce di Claudia, la nebbia nera che avvolge il sound ipnotico della chitarra di Tom, una forte carica di aggressività riscontrabile maggiormente proprio in quei pezzi che decidono in qualche modo di non puntare troppo sulla velocità. E in ultima battuta ma non per importanza, un testo / riflessione sull'effettivo ruolo che la positività possa avere in un mondo dominato dalla rassegnazione al dolore perpetuo: " Deny life, addiction to death. Procession of damnation, expulsion of light. Hazardous ways into the rush, soul is frozen and flesh is weak! Necromantical screams, only you are deaf, Intelligence is mute ..." - "Vita negata, assuefazione alla morte. Processione dannata, la Luce viene espulsa. Strade pericolose che conducono alla mischia, l'anima è congelata, la carne è debole! Urla di morte, solo tu sei sordo, l'intelligenza è muta..". E' semplicemente la fine di tutto, dei sogni, delle speranze, delle certezze. Solo la Morte è Reale, sostiene Tom, e veniamo al mondo unicamente per incamminarci lungo il sentiero che ad essa ci condurrà. Tutto ciò che troveremo sul nostro cammino prima o poi svanirà, tanto è imponente e ridondante la presenza della Mietitrice, che con la sua falce "ed il suo vestito da sera" (cit. "La Morte Puttana", di Denis Frison) è lì pronta ad aspettarci, a ghermirci. Perché alla fin fine, lei sarà l'unica e sola compagna di tutti noi. Finisce così uno dei percorsi più suggestivi ed impegnativi, è tempo di premere il tasto Stop e cercare di elaborare un'esauriente considerazione finale.

"To Mega Therion" è un disco per certi versi anomalo, un album che non capisci subito, che richiede un impegno ed uno sforzo maggiore di quello richiesto da molti altri lavori che invece suonano più diretti e per questo più facilmente classificabili. E' un album sul quale tutti sono concordi a non muovere critiche inutili ed insensate: come "Reign in Blood", come "Don't Break The Oath", come "Deathcrush", è un disco - cardine, ispiratore, e per questo un Capolavoro, con la "C" maiuscola, di quei lavori che riescono a lasciarti di sasso, stupito e sbigottito, non subito conscio dell'aver assistito, ascoltandolo, ad un qualcosa di grandioso tanta è la sua imponenza e magniloquenza. Qual è allora la peculiarità della quale accennavamo pocanzi? Sicuramente, la sua "sfuggevolezza". Proprio così, "To Mega Therion" non ci stupisce seguendo una precisa "scuola di pensiero" o una sorta di modus operandi ben definito: ora Doom, ora quasi Black Metal. Ora Thrash e Speed, ora denso di classicismo grazie ad una voce candida e ad un corno francese. Un solo ascolto di questo disco serve solamente ad una cosa, a capire la genialità del Tom Warrior musicista ma non a comprendere fino in fondo l'essenza del personaggio. Bisogna scavare, squarciare il Velo di Maya, andare oltre le apparenze ed essere pronti a rimettersi in gioco, ogni qual volta si deciderà di risentire questo disco, addentrarsi nei suoi vicoli e meandri. Oltrepassare un portale in grado di teletrasportarci in un mondo parallelo nel quale le normali leggi che regolano il mondo sono sovvertite, un mondo dominato da strane creature come quelle visibili nella copertina, un mondo in cui nessun Messia potrà salvarci, un mondo che rende reali i racconti di "Weird Tales", che ricama nelle nostre menti immagini di deserti polverosi, Troni incastonati di gioielli, condottieri, un mondo in cui l'amicizia e la fratellanza sono soggiogate alla ragion di stato, un mondo in cui a dominare sono il pessimismo, il freddo, la cupa rassegnazione. Creare un immaginario del genere non è cosa da poco, e gruppi successori ai Celtic Frost come gli Immortal lo sanno molto bene. Creare un universo nel quale proiettare noi stessi, le nostre angosce, le nostre paure, le nostre ansie e delusioni, dar voce ad un nostro alter ego in tutto somigliante a noi eppure così diverso.. così terribilmente VERO. Per una volta e definitivamente, la Musica arriva a scandagliare il profondo dell'animo umano e a mette dinnanzi agli occhi di tutti quanto la depressione e la tristezza siano alla fin fine il pane quotidiano di molta gente, che si trincera dietro le sue villette a schiera e la sua televisione proprio per non dare a vedere la tristezza scaturita da una vita vissuta seguendo regole e convenzioni. Questa, è la genialità di "To Mega Therion": l'essere assurto come un vero e proprio elemento di distruzione, un disco coraggioso che con le sue tematiche ed i suoi suoni cupi devasta totalmente il concetto di edonismo fasullo e divertimento imposto dalla società delle feste in spiaggia e degli aperitivi, che con le sue pubblicità sembra quasi volerci far credere che va veramente tutto bene, che i problemi si risolvono mangiando un gelato o bevendo Coca Cola. Cos'è la vita, se non un alternarsi di dolore e di divertimento? Orbene, comportarsi da struzzi proprio non serve.. ed è sempre buona cosa entrare in contatto con dei lati del nostro inconscio che troppo spesso vogliamo tenere mascherati. Questo album è un ottimo "esorcismo", un modo per tirare fuori da noi quella parte assopita che necessariamente, ogni tanto, deve pur vedere la luce per non tramutarsi un giorno in un mostro orrendo che poi non potremo più tirare fuori. "Non abbiate paura d'esser tristi", sembra quasi dire Tom, che grazie alla musica e alla capacità di comporre ha vinto i suoi demoni ed è diventato l'uomo che tutti oggi conosciamo. Proprio perché ha conosciuto se stesso in toto e non ha avuto paura di mostrare al mondo quel che lui era (ai tempi del disco in questione) ed è. Questa, è l'essenza di "To Mega Therion". Capirla non spaventerà di certo, tranquilli. E' proprio conoscere la tristezza che ti aiuta, in fin dei conti, a capire cosa realmente è la felicità.

1) Innocence and Wrath
(Strumentale)
2) The Usurper
3) Jewel Throne
4) Dawn of Megiddo
5) Eternal Summer
6) Circle of the Tyrants
7) (Beyond the) North Winds
8) Fainted Eyes
9) Tears in a Prophet's Dream
(Strumentale)
10) Necromantical Screams

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