CELTIC FROST
Morbid Tales
1984 - Noise Records
MARCO PALMACCI
12/05/2014
Recensione
Fiat obscuritas et facta est obscuritas.
Un incipit maligno e tellurico, che scosse nei primi anni '80 il mondo dell'Heavy Metal. Un mondo che aveva ormai delineato i suoi tratti grazie allo splendido lavoro di band pionieristiche come Judas Priest, Iron Maiden e Motörhead, veri e propri alfieri dell'acciaio nel mondo e primaria fonte di ispirazione per la nuova generazione di metal kids, quella generazione che aveva ampiamente raccolto l'eredità dei propri padri e fratelli maggiori, cresciuti a loro volta con nomi del calibro di Led Zeppelin, AC/DC e KISS. Evoluzioni, cambiamenti, una storia che prosegue tutt'oggi e sembra non voler trovare pace, Restless and Wild, come direbbero i teutonici Accept. Perché, semplicemente, l'Arte non ha confini. E' parte di noi, e come tale è avvezza ai cambiamenti del nostro stato d'animo, della nostra vita, direttamente connessa alle nostre emozioni e sensazioni, inserita in questo splendido e doloroso caleidoscopio chiamato Esistenza. Un'Esistenza che incontra bei momenti e felicità, spensieratezza ed allegria, ma che molto spesso si trova faccia a faccia con la sofferenza ed il disagio, con la frustrazione, con la rabbia. La rabbia di una provincia, magari, il disagio di un nugolo di ragazzi che mal sopportano l'iter del "perfetto brav'uomo": studia, diplomati, vai in chiesa, lavora in acciaieria o in miniera, sposati, fai un figlio, assicurati che faccia esattamente ciò che hai fatto tu. Una castrazione spirituale ed intellettuale alla quale moltissime menti ed animi sensibili decisero di rinunciare, in nome della sacrosanta libertà. Nel nome delle proprie passioni, dei propri sogni ed interessi, troppo spesso discordanti con la loro realtà, fatta di perbenismo, censura e moralismo stantio e ridondante. Non dobbiamo nemmeno allontanarci troppo da dove ora ci troviamo, per avere degli esempi concreti: si pensi alla placida e tranquilla Pesaro, città natale di uno dei gruppi più incisivi, shockanti e di impatto della storia del Metal, i misteriosi Death SS, creatura del "vampiro" Steve Sylvester. Altrimenti voliamo in Inghilterra, nei sobborghi di una grigia e polverosa Newcastle, ove in un oratorio della sua periferia tre ragazzini letteralmente assatanati stavano dando vita al simbolo per antonomasia del Metal Estremo, i titanici Venom. Cronos, Mantas ed Abaddon, che proprio come i nostri Death SS decisero di far leva su un aspetto della vita sino ad allora solamente accennato o comunque trattato in maniera allusiva e "nebbiosa": l'Oscurità di cui parlavamo all'inizio, il Buio, lo spegnimento totale delle luci, la distruzione dei punti di riferimento che sino ad allora gli ascoltatori di Heavy Metal ed Hard Rock avevano avuto. Ispirati dalla pars destruens per eccellenza del Rock n Roll, il movimento Punk, più appunto ispirati dalla possenza e dalla forte iconografia di gruppi come KISS e Black Sabbath, i nostri decisero comunque di rivoluzionare totalmente il concetto di "shock rock", estremizzando in maniera esponenziale le tematiche o l'aspetto dei suddetti Maestri. La "figura nera dagli occhi rossi" tanto inquietantemente decantata da Ozzy Osbourne e Tony Iommi cominciò così ad avere un nome preciso ed un aspetto molto più grottesco e mostruoso. Divenne in poche parole il Maligno, il Diavolo, colui che non deve essere mai nominato, pena la dannazione eterna. Così calarono, sull'Europa di quegli anni, le tenebre totali. Non vi era più posto per le groupies o per le motociclette, la nuova gioventù voleva unicamente urlare ed affermare la propria libertà a suon di decibel, mostrando come la rabbia e la volontà di andare oltre determinati confini potessero portare a riscrivere in un batter d'occhio le regole del Metal tutto. Le prime demo dei Death SS (oltre ai loro furiosi e iconoclasti live show)e "Welcome To Hell" dei Venom terrorizzarono letteralmente il pubblico purista di quei tempi, che per la prima volta si trovava dinnanzi ad una sorta di lode perversa ed inquietante del Maligno, una lode accompagnata da una musica estrema che come già detto sintetizzava la potenza del Punk alla ruvidezza dell'Hard Rock/Heavy Metal made in Britain. Un sound nuovo, sconvolgente, distruttivo, per palati più che fini, per chi era avvezzo alle emozioni forti ed in cerca di un qualcosa che potesse letteralmente sconvolgere, più di quanto un super alcolico avrebbe mai potuto fare. Vexilla Regis Proderunt Inferni, dunque, un contesto in cui il capro cornuto viene visto come un portavoce, un simbolo di ribellione verso tutto ciò che era "normale" ma incredibilmente bigotto e contraddittorio, alla fin fine. Un espediente letterario che quasi richiama la portata della "rivoluzione Scapigliata", capitanata da poeti come Emilio Praga, il quale affermava nella sua celebre poesia "Preludio": "casto poeta che l'Italia adora in candide visioni assorto, tu puoi morir! Degli anticristi è l'ora!". Un rifiuto della tradizione Manzoniana e dei valori cattolici ed una conseguente adozione di un nuovo tipo di scrittura, in cui l'orrore e l'oscuro prendevano piede per fornire agli artisti un nuovo serbatoio di creatività. Esattamente ciò che accadeva nell' "Europa Metal" di quegli anni. Basta con la "normalità" e la falsa positività, c'era bisogno di uscire dal ghetto ed urlare al mondo la propria presenza. Poteva benissimo capitare (e difatti capitò) che situazioni analoghe a quelle di Pesaro e Newcastle si verificassero in modi e maniere molto simili anche in altre parti del vecchio continente. In Svizzera, magari, in un paesino di 1500 abitanti massimo, nel quale un ragazzino dalle idee "pericolose" e a dir poco rivoluzionarie era costretto giorno dopo giorno a subire angherie famigliari di una portata notevole, prepotenze che non potevano trovare sfogo in alcunché in quell'ambiente circoscritto ad un pugno scarso di anime, amanti per lo più della vita tranquilla e monotona: i pranzi domenicali, il saluto alla vicina, il ricamo, l'abito della festa. Tutte cose che evidentemente il giovanissimo Tom G. Warrior mal sopportava e non riusciva proprio a far sue, neanche dietro le imposizioni violente della sua famiglia. Una giovane tigre fiera ed indomabile, che ci mise poco ad affezionarsi a quella magica tempesta di decibel comunemente nota come Heavy Metal. La sua nuova passione gli fece incontrare odio ed astio ancor più marcati, anche fra gli abitanti della sua cittadina, i quali lo consideravano "strano", una scheggia impazzita da estirpare, un figliol che sarebbe dovuto divenir prodigo ma al quale non sacrificarono mai nessun vitello grasso. Il Nero Capro era tutto ciò di cui Tom abbisognava; e difatti, dall'amore per l'ascolto dei seminali Black Sabbath (considerati da Warrior la sua primaria ed imprescindibile fonte di ispirazione) o dei più estremi Motorhead, Venom e Raven, sino alla fondazione della sua prima band (gli Hellhammer) il passaggio fu veramente ma veramente breve. Dopo l'avvicendamento di vari musicisti (come Steve Baum al basso e Pete Stratton alla batteria), gli Hellhammer consolidarono la loro formazione (composta da Tom ribattezzatosi Satanic Slaughter alla chitarra e alla voce, da Steve "Savage Damage" Warrior al basso e da Bruce "Bloodhunter" Day alla batteria) ed arrivarono nel 1983 a pubblicare il loro esordio discografico, il seminale "Death Fiend", registrato e di seguito pubblicato/distribuito dalla "Prowling Death Records" grazie al pagamento di una cifra a dir poco irrisoria, aggiratasi intorno ai 70 dollari. Per quella somma, la qualità del sound si dimostrava incredibilmente casalinga e ruvida, molto grezza e piuttosto limitata, tant'è che uscì unicamente in musicassetta ed in pochissime copie, oggi ritenute a maggior ragione come delle reliquie da possedere gelosamente, qualora si avesse la fortuna di averne un esemplare. La scarsa qualità era comunque appannata da una rabbia ed una potenza sonora che lasciavano ben sperare per il futuro, un futuro che vide gli Hellhammer generare un seguito di quell'esordio, intitolato "Triumph of Death" (sempre per la "Prowling..") e datato ancora 1983, accompagnato dallo slogan provocatorio "i Venom uccidono la Musica, gli Hellhammer uccidono i Venom" (parodia della frase con la quale il terzetto di Newcastle "battezzò" il suo celeberrimo disco "Black Metal", ovvero: "le registrazioni casalinghe uccidono la musica. Anche i Venom"). Giudicato da metà della critica come "il peggior album mai realizzato" e dall'altra metà come un "successo", è un lavoro che sospese in un limbo non solo i giornalisti Metal, ma persino la band stessa. Dopo l'ennesimo cambio di formazione e l'entrata nella band del promettente bassista Martin Eric Ain (amico fraterno di Tom), la band affronta diversi contrasti interni, e nonostante la realizzazione di due ulteriori lavori (la Demo "Satanic Rites"; l'EP del 1984 "Apocalyptic Raids", quest'ultimo uscito per la "Noise Records") e la partecipazione alla storica compilation "Death Metal" (titolo che nulla ha a che vedere con l'omonimo genere sviluppatosi poi negli anni a seguire) assieme a nomi del calibro di Running Wild ed Helloween, gli Hellhammer decidono di interrompere lì una carriera promettente ma non esplosiva. Il salto di qualità che molti auspicavano, ascoltando quelle demo ruvide, grezze e prive di compromessi, non era ancora avvenuto. Tutto quel che rimaneva di quei tre ragazzi scalmanati erano un pugno di produzioni lo-fi, la giusta quantità di materiale per divenire un nome di culto dell'underground ma non certo una vera e propria ispirazione, in seguito, per decine e decine di gruppi. La fame di Tom era, in virtù di questo, ben lungi dall'essere placata: la sua rabbia pulsava ancora e più che mai, non poteva fare a meno della sua musica; proprio in quel momento, quando tutto sembrava ormai perduto, paradossalmente il giovane si ritrovò dinnanzi al viso una nuova, sfolgorante opportunità. Complice l'esordio discografico degli statunitensi epic metallers Cirith Ungol, il celeberrimo "Frost and Fire" (1980), Tom e l'amico di sempre Martin desumono l'ispirazione definitiva per l'invenzione / adozione del monicker che da quel momento in poi li accompagnerà per tutta la loro carriera. Il nome che tutt'oggi fa tremare le pareti di qualsiasi appassionato di Metal Estremo che si rispetti, un nome imprescindibile, storico, ispiratore, che incute timore reverenziale nelle nuove leve e rispetto nella vecchia guarda. Un nome che racchiudesse in sé un che di arcano, misterioso e spaventoso, e che al contempo suonasse letale come un inverno polare. I Celtic Frost erano ufficialmente nati, grazie ad un sodalizio fra spiriti affini uniti da tante passioni in comune, le quali sarebbero poi state riversate lungo tutta la produzione musicale del neonato complesso. Tom ed Martin erano infatti due anime incredibilmente vicine, lo stesso Warrior dichiarò che ben prima di iniziare a suonare assieme amavano passare giornate a discutere dei più disparati temi: letteratura fantasy ed horror, mitologia, occultismo, esoterismo, storia antica, storia delle religioni.. passioni intellettualmente stimolanti che non trovavano terreno fertile nei loro coetanei, il che li indusse in una sorta di "esclusivismo" che diede i frutti dei quali narriamo Proprio in virtù di questo, va detto come l'esordio dei Cirith Ungol non fu la sola causa "stimolante" che fece propendere Tom e Martin per la scelta di quel monicker. L'aggettivo "celtico" (Tom si è sempre battuto affinché la pronuncia "keltic" fosse sempre adoperata, perché ritenuta la più giusta ed attendibile) era infatti stato scelto per la smisurata ammirazione che i ragazzi provavano per la civiltà Celtica, appunto, vista da loro come un grande esempio di organizzazione e sistema di tradizioni affascinanti e mistiche al contempo. Vi era poi "Frost", il freddo totale, apocalittico.. la corrente che Warrior ed Ain volevano scatenare, con la loro musica aggressiva quanto quella dei Venom e dotata di sulfurei rallentamenti di chiaro stampo Sabbathiano. Ed una genuina dose di odio e misantropia, of course! Siamo nel giugno del 1984, ed il Gelo Celtico è pronto ad abbattersi sul mondo, partorendo la sua prima, leggendaria creatura: l'EP "Morbid Tales", un esordio col botto (targato sempre "Noise Records") che riprende a piene mani quanto fatto dapprima dagli Hellhammer, riproponendo un sound grezzo, cupo e devastante, ma al contempo segnato nei suoi solchi di una discreta maturità artistica. Un insieme di qualità che i Frost riuscirono dunque a tirar fuori in quel di Berlino, presso i "Caet Studios"; coadiuvati da Horst Muller, produttore incaricato da Ain e Warrior di assisterli durante l'opera. Riusciamo a percepire una crescita sostanziale, quasi il disco in questione si configurasse come una sorta di immenso rituale in grado di incanalare la furia distruttrice di Tom G Warrior, tramutandolo da selvaggio distruttore ad un qualcosa di ben più simile al Marchese De Sade o a Vlad Tepes: un padrone in grado di domare una belva dalla forza sovraumana e soprattutto voglioso di compiacersi dei suoi atti di distruzione. Reclutato a bordo l'ex Hellhammer Stephen Priestly dietro le pelli (il quale tuttavia svolge più un lavoro da turnista che come membro effettivo della band), il nostro Tom era pronto a dettare le coordinate di quel genere che da lì a poco sarebbe stato universalmente noto con il nome di Black Metal. non è un caso che colossi come Fenriz abbiano definito questo EP come una sorta di chiave di volta, di ispirazione massima dell'intero movimento (rincariamo la dose, era arcinoto come in origine i Mayem, ben prima di "Deathcrush", fossero quasi una cover band dei Celtic Frost). Musica ed anche una fortissima iconografia: il look del duo / trio era assai "spettrale" e volutamente esagerato (abbondante uso di borchie, pelle, elmi cornuti, un perpetuo richiamare le antiche civiltà barbariche), senza scordarsi poi della copertina di "Morbid..", essenziale quanto efficace. Un teschio posto al centro di un eptagramma, quadi a formare uno scudo, un blasone. Cinque spade trafiggono la figura assai simmetrica e precisa (tre in alto e due in basso), ideata dagli stessi Warrior ed Ain con la complicità di Urs Sprenger. E' giunto così il momento di addentrarci nuovamente nella selva oscura, anime dannate. Bisogna vedere, però, quanto e come la presenza di Virgilio riuscirà a rassicurarci, questa volta. Dopo tutto, questi "Racconti Lascivi" potranno rivelarsi ben più spaventosi di quelli contenuti nel Necronomicon. Lo stereo freme, let's play!
L'incipit di questo EP è di quelli che difficilmente si dimenticano: la disturbante "Into the Crypt of Rays" si rivela sin da subito veloce e sostenuta come il macabro cavalcare di un Nazgul, una track dall'incedere magniloquente ed in grado di suscitare in noi una sorta di ansia, dovuta molto probabilmente al tipo di sound che Tom G Warrior è stato in grado di tirare fuori dalla sua forsennata chitarra. Un brano che suona quasi claustrofobico, come se le note fossero state saldamente rinchiuse in una gabbia e si dimenassero disperate cercando di scappare dalle grinfie della loro prigione, provocando una sommossa degna delle cerimonie più empie e blasfeme della Corte di Azathoth, di Lovecraftiana memoria. Un brano che anticipa di netto l'oscurità in seguito sprigionata (ed in seguito maggiormente "concretizzata") da lavori come "Deathcrush" (1987) dei celebri e dannati Mayhem, e che si fa portavoce del nuovo, dell'avanguardia che prepotentemente avanza, senza sconti o pietà nei riguardi di niente e nessuno. Un pezzo che sembra "riposare" solo verso la metà, quando una sinistra cadenza prende il sopravvento sulla velocità, ma che è pronto a riesplodere poco dopo, tornando a sconvolgere gli animi degli ascoltatori: la voce di Tom riesce ad essere perfettamente adatta al contesto, dimostrandosi magnificamente aggressiva e caustica, degna compagna del basso di Martin, martellante ed ossessivo come il drumming di Priestly. Del resto, il tema trattato dal brano meritava un sottofondo musicale degno: parliamo difatti di una figura storica tristemente divenuta simbolo di crudeltà e perversione, il maresciallo di Francia Gilles de Rais. Divenuto dapprima famoso per la sua importante carriera militare, venne in seguito a trovarsi in guai finanziari per colpa del suo sperare irresponsabilmente tutto il denaro guadagnato tramite il suo lavoro e varie eredità. Per cercare di recuperare la fortuna andata tristemente persa, cominciò ad interessarsi di occultismo e stregoneria, convinto di poter creare, con l'aiuto del monaco occultista Francesco Prelati, la celeberrima pietra filosofale. Si narra che i rituali e gli esperimenti compiuti dal duo avessero comportato più di 140 sacrifici di bambini, torturati ed uccisi in maniere a dir poco sanguinarie e violente. Per questo, Gilles fu processato e condannato a morte. Non si sa tutt'ora quanto la storia dei sacrifici e dell'occultismo possa essere vera, tuttavia i Celtic Frost preferiscono soffermarsi su questo aspetto, considerato abbastanza macabro per l'apertura del loro disco d'esordio. Coordinate tematiche e musicali che rimangono più o meno le stesse, seppur con qualche piccola variazione, nella traccia successiva, la tetra "Visions of Mortality", introdotta da una cadenza piuttosto marcata prima di esplodere in un turbine di violenza e riff serrati. Una cadenza che, musicalmente parlando, sembra anticipare di molto quelli che poi saranno brani storici del combo svizzero, come "Oriental Masquerade", presente nel loro capolavoro "Into the Pandemonium" (1987). Elemento distintivo di una traccia che comunque è destinata ad esplodere, riproponendoci un sound dove corposità ed animosità la fanno praticamente da padroni. E dire che Martin, ai tempi degli Hellhammer, non si giudicava un bassista all'altezza del ruolo che ricopriva. Sentendo lo splendido lavoro sino ad ora compiuto e la grande personalità che le sue linee di basso sanno dare ai pezzi della band, possiamo sinceramente constatare quanto il Nostro abbia forse peccato d'eccessiva modestia. Inutile dire quanto la presenza della chitarra e della voce di Tom, sempre spavaldo e fiero delle sue doti, siano il cuore pulsante di una track che letteralmente ci catapulta all'interno di un rituale demoniaco, nel quale un uomo è alle prese con evocazioni, formule magiche e sacrifici. Il tutto inscenato per inseguire il sogno dell'Immortalità e dominare così il Mondo; un mondo che dovrà chinare il capo dinnanzi ad un uomo che presto, vendendo la sua anima, sacrificando un agnello e bevendo il vino del paradiso (sangue, molto probabilmente), si tramuterà in uno spietato demone che brandendo la sua frusta flagellerà l'umanità, divenendone l'unico signore e padrone. Una frusta nemmeno troppo simbolica, a giudicare dall'ottimo lavoro svolto da Priestly il quale dimostra nel suo campo (la batteria "estrema") di avere ben pochi rivali in grado di tenergli testa in maniera adeguata. Sin qui, un trio veramente d'eccezione, un'intesa a dir poco perfetta votata ad un'unica causa comune: sound grezzo, diretto e spacca timpani. Un sound che non deve fare prigionieri, poco ma sicuro! Come d'altro canto confermato nel terzo brano, "Procreation (of the Wicked)". Se nel precedente brano la cadenza era si un elemento importante ma non determinante, in questo pezzo assistiamo al dominio di un ossessionante 4/4 scandito con sommo gaudio da un Priestly più che mai sugli scudi, intento a fornire ai suoi compagni una base ritmica solida che possa permettere a tutti di dare vita ad un sound più lento ed "arioso". La chitarra ed il basso dilatano le loro note, decelerando ma non perdendo neanche un grammo di aggressività, e la voce di Tom assume quasi toni degni di un banditore, un predicatore intento a celebrare un'oscura messa su di un pulpito di legno nero, dinnanzi ad un pubblico di anime dannate. Quasi fosse la sfilata di un plotone demoniaco intento a marciare senza mai perdere il passo, dietro un nero vessillo condotto in testa dal loro crudele generale, il brano si configura proprio come una sorta di "passo dopo passo" in un oblio ipnotico e generante torpore in noi ascoltatori. Un pezzo che dapprima spiazza ma poi si inserisce alla perfezione in un contesto di aggressività. Del resto, non è detto che una canzone, per essere "aggressiva", debba per forza far leva sulla velocità. Anche una componente "marziale", come in questo caso, può donare al contesto un'aura malvagia e potente, in grado di catturarci e spingerci ad un headbanging forsennato. La tematica ivi trattata ha poi forti tratti filosofici. Si discute infatti sul significato dell'esistenza e di come quest'ultima sia perennemente sospesa fra bene e male, amore ed odio, vita e morte. Siamo dunque il risultato di una miscela di opposti, teoria che riprende molto da vicino la nota Dottrina dei Contrari del filosofo greco Eraclito. Vengono inoltre d'aiuto ai nostri addirittura episodi biblici, come quello di Caino e Abele. In poche parole, i Celtic Frost ci narrano appunto come sia bizzarra la nostra esistenza, un'esistenza in cui l'Amore può sfociare in morte, dove persino il bene fraterno può essere soppresso dal livore e dall'invidia, dove l'unica certezza che abbiamo, pur vivendo, è la Morte. Un ottimo excursus che dimostra quanto la band non fosse solamente chitarre distorte e ritmi spacca roccia, ma anche un vero e proprio invito a riflettere sulla realtà che ci circonda da sempre e alla quale non abbiamo mai prestato abbastanza attenzione. Proseguiamo la nostra avventura con l'imperiale "Return to the Eve", track dalla quale molti gruppi avranno sicuramente tratto ispirazione per la realizzazione di molti dei loro dischi (ed i Satyricon del periodo "Now, Diabolical" possono sicuramente confermarcelo). Ancora una volta ci troviamo dinnanzi ad un brano caratterizzato da un'andatura militare e ben scandita, che tuttavia si struttura come una sorta di crescendo rossiniano, un rombo di tuono che mano a mano diventa sempre più percettibile, prima indistinto poi nitidamente chiaro, prima eco lontana, in seguito presenza inquietante e definita nei suoi minimi tratti. La chitarra di Warrior sembra sul punto di esplodere da un momento all'altro, scandendo riff mano a mano più intensi e coinvolgenti, dettando la rotta del brano e creando una sorta di spirale entro la quale veniamo inesorabilmente risucchiati. Dal canto loro Martin e Priestly non faticano affatto a tenere botta al loro compagno, fornendogli una ritmica degna d'essere chiamata tale. E' dal ritmo che tutto nasce, i Nostri lo sanno bene, per questo la loro parte viene recitata in maniera a dir poco impeccabile. Estremi si, ma strumentisti che la sanno decisamente più lunga di un sacco di colleghi "affermati musicologi". Il testo è a dir poco criptico, recitato come in precedenza con toni salmodianti (interviene anche una voce femminile) e sembra parlare tanto di un attacco di pavor nocturnus ("terrore notturno", la comune sensazione d'essere sospesi fra sonno e veglia: quando in preda al panico cerchiamo di svegliarci, tuttavia non riuscendoci) quanto di una tematica certamente legata al sonno, in questo caso visto come una sorta di Regno delle Ombre entro il quale poter assumere caratteristiche demoniache in grado di accrescere il proprio potenziale. A quanto sembra, al nostro protagonista non dispiace affatto l'idea di perdersi per sempre in questo mondo oscuro ("Obsessed by the nightmare's sound, drifting back into realms of chaos, reality has become my dream, I'll be covered by the abyss' ground.") nel quale il Sogno diviene realtà e viceversa. Sempre rimanendo in tema di excursus onirici, il prossimo brano del lotto si presenta alle nostre orecchie in forma di satanica e disturbante ninna nanna. Lo strumentale "Danse Macabre" riprende molto da vicino la concezione del terrore molto cara al "re del brivido", l'immenso Stephen King, concezione secondo la quale il terrore vero può essere suscitato da ciò che meno lascia presagire di poterci far paura. Esempio lampante di ciò, il famosissimo romanzo "Shining", nel quale "il mostro" non è altro che un padre di famiglia. Chi diffiderebbe mai di una figura così quotidiana, rassicurante e da sempre fonte di tranquillità? Eppure, un marito che tenta di uccidere la propria moglie con un'accetta può spaventare mille volte di più di quanto una mummia o un licantropo potrebbero mai fare. In virtù di questo, i Celtic Frost comprendono che sicuramente un riff di chitarra a velocità supersonica ed un testo su diavoli e forconi possono effettivamente suscitare sgomento; ma perché cadere nel banale, se si può insinuare nella nostra mente un motivetto che nasce come innocuo ed universalmente conosciuto come simbolo dell'amore materno, tuttavia in questa sede reso sinistro ed angosciante, degno compagno delle nostre future notti insonni? Su di un inquietante e disturbante sottofondo di carrilon (giocattolo "musicale" caro a molti), i Nostri riescono a rendere spaventoso l'incedere tipico dei canti che da bambini le nostre mamme ci cantavano a ridosso delle nostre culle, per farci addormentare sereni. Proprio come avvenne nelle celebri theme di "Suspiria" e "Rosemary's Baby", anche in questo caso lo stilema tipico del dolce canto viene rivisitato in chiave a dir poco demoniaca: alla voce rilassante e dolcissima di una mamma viene sostituito il sospiro di una creatura immonda, sospiro situato a metà fra il lascivo ed il pauroso, che rimane incostante per tutta la durata della traccia. Alcune volte flebile, altre aggressivo, altre volte ancora denso di paura. Il carrilon continua a suonare, alternato da altri strumenti, fra cui un Kazoo ed un Gong, man mano che si procede si ha la sensazione di affogare in un groviglio di serpenti e vermi, dominati da una sensazione di putrido sporco. Avevate in mente di fare un buon sonno, questa notte? Penso proprio che i vostri piani siano stati irrimediabilmente rovinati dai nostri geniali Celtic Frost! Che decidono, arrivati a questo punto, di congedarsi con l'ultima track, la velocissima e tiratissima "Nocturnal Fear". Dopo le cadenze atmosferiche torniamo a respirare a pieni polmoni cattiveria sonora e velocità forsennata, riff ed assoli dal ritmo serratissimo lanciati a tutta velocità su di un rettilineo musicale nel quale ci troviamo dritti nel mezzo, pronti ad essere investiti da cotanta rocciosità. Un brano che non ha intenzione di lasciare tranquille le nostre orecchie, che godranno al suono di note così magnificamente distorte. La track che meglio rappresenta lo stile dei Celtic Frost e che meglio rappresenta le abilità "singole" dei vari componenti del gruppo: la chitarra frastornante di Tom G. Warrior, il basso corposo ed aggressivo di Martin E. Ain, la scatenata batteria di Stephen Priestly. Il tutto è unito per regalarci quest'ultimo sussulto, l'ultima terribile saetta che finirà di incenerire quel poco che era rimasto delle nostre riserve nei riguardi di un gruppo come questo. Il testo è poi un vero valore aggiunto: si tratta infatti di una sapiente fusione di occultismo pre-islamico e racconti Lovecraftiani, elementi non troppo distanti in quanto il Solitario di Providence era solito attingere alla tradizione orientale per ideare i suoi racconti (si pensi infatti alla figura di Abdul Alhazred, folle autore del "Necronomicon"). Gli elementi lovecraftiani ai quali si fa riferimento sono tratti da diverse opere, fra le quali "Le Montagne della Follia" ("From the mountains of dawn they cry, the call of the frantic god! From the womb of mother earth they scream, the wage of creation and sin!") e tutto il ciclo di racconti riguardanti gli Dei Esterni, in particolare Azathoth "il demone sultano" ("The blind phantom ragesAzag-Thoth howls", qui definito "cieco fantasma" in onore di una "cecità" alla quale Lovecraft ha sempre fatto riferimento parlando della sua creatura, descrivendola come "cieca ed idiota"). Per quanto riguarda i riferimenti ai culti ed all'occultismo pre islamico, essi sono ben evidenti nella presenza del testo di elementi rimandanti allo Yazidismo (antichissima religione praticata in Oriente da più di 4000 anni e tutt'oggi viva, la quale esalta come sovrano dei cieli un Angelo dal nome Melek Ta'us) e ai culti dell'antica Babilonia (citazione della Dea Tiamat, sovrana del cosmo e madre degli Oceani, qui vista dai Celtic Frost come una sorta di sposa -guardiana di Azathoth). Finisce così la nostra avventura nel mondo dell'Oscurità, è giunto il momento di spegnere lo stereo e di tirare le somme di questa incursione in quel di Mordor.
Possiamo senza dubbio parlare di Avanguardia, in questi casi. L'Avanguardia alternativa, il nuovo che avanza, quel nuovo che il pubblico "incapace" di cui parlavano gli Skiantos proprio non riesce a capire o ad accettare, in quanto eccessivamente fossilizzato su uno status quo in grado di fornirgli una sorta di sicurezza/tampone atti a mascherare una profonda "agorafobia". E proprio di paura degli spazi aperti parliamo, dato che la Musica non può in nessun modo essere ricondotta ad un palazzo o ad una reggia che, per quanto grandi e sfarzosi potranno mai essere, rimarranno sempre una scatola sigillata da quattro mura, una scatola che ci impedirà di vedere com'è realmente il panorama, lì fuori. Un gran bel panorama, in quanto la Musica altro non è che un'immensa distesa, una prateria sconfinata capace di estendersi per migliaia di km, impossibile da esplorare tutta ma comunque impossibile da ignorare completamente. E' bello poter contare sulla sicurezza delle mura domestiche, non lo si mette in dubbio. Ma vi è così tanto lì fuori, così tanto da scoprire che la nostra mente ed il nostro cuore bramano di apprendere, per via di un istinto insopprimibile che conduce tutti noi alla conoscenza ed alla voglia di imparare. Fatti non foste per viver come Bruti, sosteneva il Sommo Poeta. Ed ha più che ragione, dal mio punto di vista. I Celtic Frost, in questo caso, non hanno fatto altro che ricordarci quanto spazio c'è nell'immenso mondo dell'Arte, un'arte che ci permette di esprimere i nostri sentimenti a 360°, di parlare di ciò che vogliamo senza restrizioni, che riesce a far divenire opere di incommensurabile valore persino argomenti dei quali normalmente "non si dovrebbe parlare". Andare contro corrente, contro gli schemi, ribaltare le certezze, scrivere nuove regole, in una parola osare. E' questo che Tom G. Warrior è stato in grado di fare, nel corso di tutta la sua carriera, dai Frost ai Triptykon. Calatevi nei panni di un ascoltatore del 1984 e notate, constatate quanto all'epoca un disco come "Morbid Tales" potesse essere ritenuto coraggioso ed addirittura pazzo. Un viaggio a ritroso che deve essere fatto per comprendere questo disco, dato che oggi il sound estremo è stato per fortuna sdoganato ed accettato, sebbene ancora sia oggetto di scherno e diffidenza da parte dei puristi. Un'autentica scommessa vinta, quella del Gelo Celtico. Una partita a scacchi con la morte nella quale la Grande Consolatrice per questa volta è stata costretta a ritirarsi sconfitta, con l'immancabile promessa di ritornare. Il coraggio di gruppi come quello dei Celtic Frost è merce assai rara, al giorno d'oggi. E' bene non dimenticare MAI band e dischi del genere, in modo tale da tenere sempre viva ed alta la fiamma del metal. Una fiamma che si nutre di passione, coraggio e cuore. Più un pizzico di pazzia e scelleratezza, of course! Quella pazzia che ha permesso a "Morbid Tales" di divenire un autentico pilastro della storia della musica estrema, un'aggressione in musica codificata e "tesaurizzata" da decine di gruppi a seguire. Mayhem, Darkthrone, Immortal.. se il Black Metal è quel che oggi è lo dobbiamo soprattutto allo svizzero dagli occhi di ghiaccio, il quale ha più volte ammesso di "non riuscire a concepire buona musica, se felice". La vita si nutre anche di tristezza ed oscurità; non è forse meglio sfruttare queste ultime per creare qualcosa, piuttosto che dipingersi in volto un sorriso sostanzialmente farlocco, affrontando il mondo con un falso piglio ottimista? Il risultato dell'accettazione del "lato oscuro" e del suo conseguente impiego in un qualcosa che di "fisicamente" violento non ha nulla (di arte parliamo, non certo di omicidi o violenza) è proprio qui, lungo i solchi di questo EP. Una musica nuova e sconvolgente, che ha saputo cambiare la vita di tante personalità particolarmente inclini alla ricerca trascendentale.
1) Into The Crypts of Rays
2) Visions of Mortality
3) Procreation (Of the Wicked)
4) Return to The Eve
5) Danse Macabre
6) Nocturnal Fear