CANNIBAL CORPSE
Eaten Back to Life
1990 - Metal Blade Records
ANDREA FUMAGALLI
29/01/2015
Recensione
Il 1990 segna l'uscita del debut album di uno dei gruppi più influenti ed infaticabili dell'intera scena death metal, stiamo parlando dei Cannibal Corpse e del loro "Eaten Back to Life". Il gruppo viene formato nel 1988 e vede alla batteria Paul Mazurkiewicz, Alex Webster al basso, Bob Rusay e Jack Owen alle chitarre e per finire Chris Barnes alla voce. Tutti i membri del gruppo provenivano da tre gruppi thrash metal di Buffalo, i Beyond Death (in cui Alex Webster si occupava del basso e della voce e Jack Owen delle chitarre), i Tirant Sin (Dove troviamo Paul Mazurkiewicz dietro le pelli, Bob Rusay alle chitarre e Chris Barnes alla voce) ed i Leviathan (sempre una ex band di Chris Barnes, in veste di vocalist). Tutte queste tre band ebbero vita breve e pubblicarono solo poche demo. Nel 1989 il gruppo decide di registrare una demo, l'omonima "Cannibal Corpse", ed è proprio grazie al successo di quest'ultima e ad un invidiabile colpo di fortuna (la "Metal Blade" al tempo, constatando il successo della "Earache", aveva intenzione di approcciarsi al death metal. Il caso volle che il presidente della "Metal Blade" Mike Failey conoscesse il titolare di Chris Barnes, che al tempo lavorava in un negozio di dischi, ed ebbe il demo dei cinque), che il gruppo riuscì a procacciarsi un solido contratto discografico con una delle maggiori case discografiche che si occupavano di metal. Particolarità: come possiamo osservare, la collaborazione dei nostri con la "Metal Blade" non ebbe mai fine, a differenza dei maggiori gruppi death del periodo che in seguito ebbero vari problemi con le loro case discografiche; i Cannibal Corpse non rischiarono mai il flop commerciale anzi, diventarono una delle band più famose ed amate all'interno del genere, con oltre tredici milioni di copie vendute sulle spalle. Tornando però alle origini, è bene ricordare cosa furono, i nostri, al loro inizio di carriera. La produzione del disco venne affidata al guru delle produzioni death metal anni '90 e cioè a Mr. Scott Burns ed ai suoi "Morrisound Studios". Burns fece, considerando anche il periodo ed i "fondi" del gruppo (non certo tasche pienissime), un ottimo lavoro, dando al disco incisività e potenza, attraverso un solido muro sonoro di chitarre compattissime e di una rocciosa batteria. L'artwork dell'album, che venne affidato all'artista Vincent Locke, autore poi di tutte le copertine dei nostri, risultò al tempo veramente estremo, raffigurando uno Zombie intento ad auto divorarsi. Un impatto visivo notevole, che dà già un'idea di ciò che è contenuto nelle liriche, estremamente violente, della band. Le copertine dal gusto "B-Movie" saranno poi una costante del gruppo, anzi saranno uno degli elementi con cui il gruppo verrà identificato. Vediamo anche la partecipazione di Glenn Benton dei Deicide, che proprio nello stesso anno diede, col suo gruppo, vita al loro omonimo album d'esordio. Evil Glen è chiamato ad occuparsi delle backing vocals su "Mangled", la quarta track dell'album. Passiamo ora all'analisi dei pezzi contenuti in questo esordio.
Il disco viene aperto dalla rocciosa "Shredded Humans", la cui apertura è strutturata in crescendo, un climax che culmina con l'esplosione di riff di chitarra convulsi, ben supportati dal solido drumming di Mazurkiewicz, che con la doppia cassa erige un solido muro sonoro. Strumenti forsennati che accolgono l'ascoltatore, il quale entra così nel mondo malato dei Cannibal Corpse. La partenza è affidata a tempi medi, per niente esagerati, più thrash che death a dir la verità, ma la quiete dura molto poco: dopo circa un minuto infatti il gruppo cambia tutto e con un riff essenziale, ma comunque efficace, parte a mille con ferini "tupa-tupa" sui quali si staglia il growl, ancora molto acerbo, di Chris Barnes, il quale dimostra comunque la sua propensione alla "bestialità" sin da quest'esordio. Dopo questa sfuriata ritorniamo ai convulsi mid tempo, fatti di riff facilmente memorizzabili e coinvolgenti. Dopo questi passaggi si ritorna alla primitiva violenza dopo circa metà del pezzo , il quale risulta essere, quindi, un alternarsi di tempi veloci e tempi più cadenzati. Gli assoli dei due chitarristi sono atonali e grezzissimi, ma non ci si può lamentare, siamo di fronte ad un pezzo estremamente diretto, privo di fronzoli, rugginoso a dir poco. La sezione solista porta avanti il discorso iniziato dalle parti ritmiche di chitarra, il brano mantiene costante la sua furia primitiva senza mai perdere questa caratteristica. Nota di merito per la conclusione, che riassume in pieno quanto detto: realizzata esasperando le cadenze, accompagnata da note simili ad una marcia infernale, ed in seguito "esplosiva", con il blast beat a dominare e i ritmi che, convulsamente, accelerano fino ad accompagnarci alla fine. Il testo parla di un pazzo che decide di scagliarsi contro la macchina di una tranquilla famiglia americana, distruggendo il veicolo e provocando una vera e propria strage. Il pazzo, come un predatore, "punta" la tranquilla famigliola, innocente ed ignara, inserita in un contesto quanto meno quotidiano, quello della scampagnata durante una domenica di sole. Una giornata che si tingerà di rosso sangue, a causa del maniaco omicida che non lascerà supersiti. Il gruppo, prima di abbandonarsi nella descrizione di dettagli brutali, vuole rimarcare quella che potrebbe essere stata la giornata della famiglia, una giornata serena stroncata dalla brutalità del killer. La felicità regna sovrana, il cielo è terso, il sole risplende, la famigliola torna tranquilla dalla sua scampagnata, godendosi il momento. Il padre guarda amorevolmente moglie e figli.. finché una macchina comincia a speronarli violentemente. Il panico comincia a regnare, entrambe le macchine finiscono fuori strada.. e la carneficina ha inizio. I Nostri non mancano di descriverci minuziosamente dettagli rivoltanti (la madre, a causa dell'urto, è stata sbalzata fuori dal veicolo e rimasta tragicamente impalata su un segnale stradale, il feto in lei ha subito una sorte ancor più mostruosa, il padre è stato torturato, legato con la cintura di sicurezza e tagliato in due), mettendoci dinnanzi uno scenario degno del peggior / miglior Horror B-movie mai realizzato. Sia a livello di musica sia di tematiche, cominciamo a capire qual è la "poetica" di questo gruppo, nient'altro da dire! "Edible Autopsy" si differenzia dal primo pezzo in quanto punta tutto su velocità esagerate e stilemi propri del thrash metal. Un possente blast beat viene scandito dalla batteria (un Paul sugli scudi, bravissimo a far vibrare i suoi piatti) e, ascoltando i riff principali, scanditi in maniera ancora più violenta e compulsiva, possiamo cercare immediatamente di identificare le varie influenze dei nostri Cannibal Corpse. L'ascendente esercitato del thrash bay area e da quello teutonico (più violento) è assai forte, le due scuole vengono qui fuse e assistiamo a riff sempre più nervosi e carichi di odio. Verrebbe sicuramente da far riferimento agli Slayer di "Reign in Blood" o ai Sodom di "Obsessed By Cruelty", ascoltando con calma ed attenzione, tutto mutuato secondo il gusto compositivo e l'attitudine dei Cannibal Corpse. Palm-muting di chitarra e veloci note vengono sostenute da una batteria decisamente quadrata, dritta come poche ed incredibilmente efficace. La voce di Barnes risulta ancora "incerta", ma perfettamente al posto giusto, arricchendo ed esaltando il brano tutto, sorretto da uno splendido lavoro d'asce compiuto dalla coppia Rusay / Owen. In questo brano soprattutto possiamo udire i germi di quelli che saranno i "grandi" Cannibal Corpse, quelliche scriveranno la storia del genere. Eco non troppo distanti di "Tomb of The Mutilated" sono qui già udibili, abbastanza chiaramente, soprattutto verso il minuto 1:55, ove possiamo udire un riff che sentiremo sicuramente anche nel più celebrato "Tomb..". Le sfuriate continuano, ascoltiamo un pezzo di chiara matrice Death Metal, abbellito da uno splendido effetto apportato alla voce di Barnes verso il minuto 2:37. Effetto che rende il suo urlo a dir poco demoniaco, distorto, infernale. Il brano continua sugli stessi binari, senza troppe sorprese, offrendoci un pezzo veloce ed aggressivo, massiccio e mai calante, basato su stop improvvisi e ripartenze, aggressioni musicali forsennate come poche. Finale affidato al "famoso" riff udito già al minuto 1:55, il brano può ufficialmente concludersi. Un debutto convincente, sino ad ora. Il testo parla questa volta di una banda di medici, totalmente pazzi ed in balia della brama di sangue, intenti a straziare i corpi dei loro "pazienti" i quali, nell'immaginario dei Cannibal Corpse, non sono ancora completamente morti e sono costretti a subire atroci angherie per poi essere (e qui capiamo anche la vena ironica ed esagerata dei cinque) mangiati. Notiamo anche qui, come nel precedente testo, che prima di abbandonarsi alla violenza più cieca il gruppo cerca di catapultare l'ascoltatore nella dimensione psicologica delle vittime: stese su di un lettino, in bilico fra la vita e la morte, si ritrovano in totale balia dei loro aguzzini che, a quanto sembra, hanno intrapreso la loro professione proprio perché, in questo modo, possono "uccidere gratis" senza pericolo di venire arrestati. Al solito notiamo il "meraviglioso" campionario di torture inflitte, delle quali i nostri ci fanno partecipi senza tralasciare dettagli (iniezioni varie, pancreas mangiati, carne strappata via dalle ossa). Nuovamente un testo grottesco e tipico di un b-movie, ma come già detto, questa volta più psicologico; a spaventare non è tanto la figura dei dottori pazzi e cannibali, quanto l'impotenza totale che si prova quando si è in ospedale, e si realizza di essere totalmente in balia di uno sconosciuto.. che paradossalmente, potrebbe impazzire e farci del male. "Put Them to Death" riprende musicalmente lo stesso concetto di "Edible Autopsy". La traccia viene infatti aperta da un riff coinvolgente dallo stile decisamente "Bay area" che, alternato ad un altro riff più veloce ed in tremolo picking, sorregge l'intero pezzo, della durata di due minuti scarsi. Un inizio non male, nel quale possiamo ammirare appieno il basso di Alex Webster, quattro corde martoriate che rimbombano fiere e fanno sentire la loro presenza, ed ascoltare quanto i Cannibal Corpse amino "giocare" con i climax ed i crescendo, aumentando progressivamente sia velocità sia cattiveria. Il pezzo esplode definitivamente verso il secondo 00:47, ove possiamo udire del sanissimo Death Metal senza troppi fronzoli o censure. Piccola "pausa" verso il minuto 1:18, il "fuck you" urlato da un Barnes ancora non propriamente conscio delle sue potenzialità ma comunque maledettamente concreto, dà il via ad un piccolo momento di pausa comunque destinato a non durare troppo. L'assalto riprende e giungiamo così ad una fine schietta ed improvvisa, come se un improvviso colpo d'ascia avesse tagliato malamente il pezzo. Un brano lineare, senza troppe pretese, il "tipico" assalto sonoro delle band estreme che vogliono condensare la loro potenza per poterla esprimere al meglio, facendola improvvisamente esplodere. Non stiamo però parlando di un pezzo monotono, la ridotta durata ci permette di apprezzare al meglio l'irriverenza e la sfrontatezza sonora che il gruppo vuole comunicarci, è proprio questo il bello di pezzi così essenziali e diretti. Un assalto in due minuti, rabbia concentrata in uno stretto lasso di tempo, una rabbia che deve dunque essere manifestata al meglio, proprio perché il tempo a disposizione è poco. Per quanto riguarda il testo, questa volta notiamo come esso sia sempre ricco di elementi gore e splatter, ma sicuramente più impegnato. Il gruppo, paradossalmente, condanna le "persone malvagie con menti malvagie", le quali provano piacere nel rovinare la vita altrui, uccidendo e torturando. I Cannibal Corpse propongono di usare questi criminali come strumenti di divertimento, fantocci da torturare per vendicare le vite da loro spezzate ingiustamente, facendo provare agli aguzzini lo stesso dolore provato dagli innocenti periti per causa loro. Il gruppo auspica che tutto questo possa accadere, e che i criminali possano essere arrestati, ma nel ritornello sembrano rivedere le loro posizioni. L'idea della tortura viene accantonata, molto meglio passare ad un'esecuzione definitiva, tramite iniezione o sedia elettrica. Sicuramente una presa di posizione netta e votata al giustizialismo più totale, "estrema" proprio come la musica del gruppo. Non dobbiamo quindi stupirci troppo. "Mangled", quarta traccia di questo full length, non si discosta troppo dalle track precedenti. Dopo un brevissimo riff introduttivo decisamente decadente, si parte a gran velocità con riff assassini e pesanti, macinati con precisione e monoliticità. Un assalto Death Metal in piena regola, vorace quanto una bestia riuscita a scampare alle catene. Le chitarre di Bob e Jack sono portate sino all'estremo, la coppia di chitarristi sembra aver capito appieno la lezione dei maestri Slayer e sembrano voler estremizzare quanto abbiamo già ascoltato in "Reign in Blood", donando a Barnes un contesto sonoro nel quale far valere la sua brutale ugola, accompagnata (lo ricordiamo), da un altro grande protagonista del Death Metal, Glen Benton. Splendido il modo in cui il titolo della canzone viene letteralmente urlato, cantato all'unisono. Una vera e propria esplosione di rabbia, nella quale Mazurkiewicz è bravissimo ancora una volta a malmenare sia il suo drum kit. Giunti al minuto 2:51 possiamo udire ancora una volta lo splendido lavoro di basso effettuato da Webster , che va a riempire il sound con la sua frastornante presenza. Giungiamo alla fine senza troppe novità, ancora una volta carichi ed "incattiviti" da quanto abbiamo sentito. L'ascoltatore in questo pezzo viene letteralmente soffocato, distrutto da tanta aggressività. Un pezzo del genere, nel quale troviamo un efficace chorus, va decisamente a sovrastare in brutalità pezzi molto più moderni e magari più evoluti, ma ai quali manca quel groove tritasassi del death metal old school, in "Mangled" invece splendidamente presente. Il testo è un avvicendarsi di azioni orripilanti commesse dal maniaco di turno sui corpi senza vita delle vittime. Qui siamo forse davanti ad un testo che fa della violenza fine a se stessa il suo punto di leva, non essendoci una vera e propria "vicenda" narrata. Dopo l' "impegno" della track precedente, torniamo dunque su lidi più congeniali ai nostri, i quali decidono di tornare a mostrarci una sequela di efferatezze per il puro gusto di provocarci ribrezzo. "Mangled" vuol dire "sventrato", e proprio su questo aggettivo i nostri si soffermano: corpi morti ed impilati, tripudio di interiora ammassate, vene che spuntano fuori, coprofagia (scene di ingerimento di "liquidi" presenti nei reni e nell'intestino).. il tutto compiuto da una non specificata "bestia" umana solo per metà. Un qualcosa che sembra essere creato in laboratorio ("Creato grazie alla moderna scienza, l'uomo ha commesso il suo ultimo fatale errore, una creatura così orribile") e che, molto probabilmente, è sfuggito al controllo dei suoi creatori, seminando panico e morte lungo il suo cammino. Lui, la Cosa, uccide senza nemmeno essere cosciente di fare un qualcosa di sbagliato. E' il suo istinto, sarà impossibile civilizzarlo o cercare di farlo ragionare. Con "Scattered Remains", il gruppo ci delizia con una partenza dai connotati assai "thrashy", molto cadenzata, che deve sicuramente molto ai primi Kreator. La"tranquilla" (si fa per dire) cadenza non si protrae comunque troppo a lungo: un riff tagliente è difatti in agguato, e i Cannibal Corpse scatenano tutta la loro forza distruttiva soprattutto nella parte cantata; esasperata la prova di Barnes, le chitarre sembrano poter esplodere da un momento all'altro tanta è la potenza con la quale ricamano gli splendidi riff ora più smaccatamente Death, la sezione ritmica dimostra appieno il suo valore. Altro pezzo breve, nel quale bisogna dire "tutto e subito", non v'è tempo di perdersi in chiacchiere, come si suol dire. Ritorniamo dopo circa un minuto a riff ancora cadenzati (seppur sempre veloci) ed assistiamo ad una "quasi pausa" verso il minuto 1:12. Ancora una volta non c'è troppo tempo per fermarsi, e si riparte subito alla grande. Ancora una volta influenzati dal gruppo di Mille Petrozza, subito dopo questo break centrale veniamo di nuovo travolti dai riff veloci che abbiamo in precedenza ascoltato e dopo il refrain il gruppo ci aggredisce lanciandoci una bordata di note in pieno volto, fino a condurci al termine del pezzo. Questo brano rappresenta una leggera variazione rispetto ai pezzi precedenti , infatti lascia all'ascoltatore maggior respiro, basandosi oltre che sui consueti riff veloci, anche su riff più assimilabili ed orecchiabili seppur ancora lontani dalla melodia. Per quanto riguarda il testo, torniamo alle tematiche "ospedaliere" ed assistiamo questa allo svolgersi di macabre vicende all'interno di un obitorio, nel quale regna la deviata mentalità di medici dediti a sezionare le "vittime" in modo perverso. Anche qui i Cannibal ci parlano di come una mente umana possa arrivare a concepire cose che nella vita di tutti i giorni considereremmo inumane: i "dottori", ancora una volta, si sfregano le mani al pensiero di quel che potrebbero effettivamente fare con così tanti "giocattoli" alle loro dipendenze. Cadaveri pronti per essere sezionati, sventrati, martoriati, aperti, sezionati.. il tutto in maniera legale, of course, dato che fare certe cose al di fuori della professione medica sarebbe molto più rischioso, non avendo alibi. Protetti dal loro status di medici, questi pazzi perversi possono dunque sfogare le loro pazzie sui malcapitati, che per lo meno, questa volta, hanno la fortuna di essere già morti. Festa grande per i sadici, ogni volta che vedono arrivare in sala un corpo con un cartellino legato all'alluce. "Born in a Casket" è forse il pezzo migliore del lotto. Abbiamo un'intro rocciosa, inquietante, che cresce pian piano e lascia udire, dapprima leggeri e poi sempre più insistenti e persistenti, i precisi colpi battuti da Mazurkiewicz, ben amalgamati a delle chitarre misteriose e per nulla accomodanti. Piccola accelerazione, poi si ritorna sui toni iniziali.. dopo poco, però, il contesto sfocia ancora una volta in blast beat violenti che sorreggono riff in tremolo picking, questa volta decisamente ispirati e dal gusto assolutamente death metal. Notiamo in questi riff la malvagità che il gruppo vuol far trasparire con le proprie canzoni, sarà una caratteristica che verrà sviluppata al meglio negli album successivi, quella di creare riff di chitarra in grado di catapultare l'ascoltatore nel sadico mondo che i Cannibal Corpse intendono dipingere con i loro assalti musicali. Al momento, questa è una testimonianza splendida e lampante di quel che era un glorioso presente ed, allora, un futuro più che roseo. Il Death Metal in una delle sue forme più brutali e primitive, seminale esempio di come il Metallo della Morte sia perfettamente, in questi solchi, inteso e non solo teorizzato. La batteria e le chitarre proseguono aggressive per tutta la durata del brano, al minuto 2:29 assistiamo ad una leggera decelerazione. Più cadenza ma non meno cattiveria, urla cavernose di Barnes, una nuova devastante accelerazione improvvisa con ancora una volta le chitarre monolitiche della coppia Owen/Rusay a dettare legge e si arriva al granitico stacco di batteria finale, con tanto di eco. Anche dal punto di vista lirico il gruppo non fa sconti: in particolare, in questo pezzo la band tratta un argomento che frutterà loro molte critiche, sia all'epoca sia per quel che riguarderà poi i dischi successivi, cioè il parlare apertamente di necrofilia. Pochi gruppi fino ad allora avevano parlato di un atto così perverso e riprovevole. L'ascoltatore meno abituato verrà sicuramente disgustato e turbato da un testo di questa portata, nel quale vediamo un maniaco intento a penetrare in una criptica per appagare i suoi perversi bisogni, ovvero quelli di provare piacere molestando un cadavere. Non si limiterà certo a sezionarli come i medici già incontrati, no.. egli ha bisogno di un qualcosa in più, ovvero di un rapporto carnale. Un atto riprovevole, degno nemmeno di un film di serie b, ma di un qualcosa presente solo nei nostri peggiori incubi. Il bisogno viene descritto dai nostri in maniera assai certosina, sarà bene risparmiare certe espressioni per i nostri lettori più sensibile.. vi basti sapere che, seguendo le lyrics, il "mostro" prova piacere soprattutto nell'osservare secrezioni di vario tipo, dalle proprie a quelle emesse dai corpi. "Rotting Head" parte fulminea senza lasciare all'ascoltatore il tempo di riprendersi dalla maestosità della track precedente: in questa track troviamo un Barnes intento a sputare parole sull'ascoltatore senza sosta mentre in sottofondo, sempre a folli velocità il gruppo non fa letteralmente prigionieri, catapultandoci in un mondo di riff selvaggi, sempre veloci, possenti e quanto meno malvagi. Il buon Paul percuote le sue pelli senza sosta, i chitarristi reggono il ritmo forsennato in maniera splendida, sfoderando una prestazione magistrale, senza accusare nemmeno un minimo di fatica, e dal canto suo Alex decide di far ruggire ancor di più il suo basso, mantenendolo sempre ad alti livelli. Si arriva al momento degli assoli, come sempre diretti ed essenziali ,che ci conducono ad un "rallentamento" finale che però svanisce ed esplode nel lasso di tempo circa di dieci secondi, prima della chiusura definitiva del pezzo. Anche qui le liriche, un po' come accaduto in "Mangled", non hanno un senso particolare, ci si limita a descrivere nefandezze di vario tipo, con un gusto particolare verso i film horror di serie b anni '80. Il soggetto principale è un serial killer che conserva alcuni resti delle sue vittime, resti tenuti ben al sicuro in una stanza segreta, in maniera tale che nessuno possa trovarli, neanche per sbaglio, curiosando in giro. Si fa riferimento ad alcuni esperimenti che il pazzoide ama intraprendere sulle vittime, ed in particolare si parla di un uomo, ultimo sventurato ad essergli capitato sotto mano, che rimane letteralmente senza testa. Per un caso assurdo e fantascientifico, però, il corpo rimane in vita ("la sua testa marcisce ma il suo corpo vive, come un vegetale inutile"). Il gruppo si concentra poi sulla descrizione di una testa lasciata lì a marcire per chissà quanto, mentre il sadico può dare il via a tutta una serie di torture e di atti di cannibalismo. "The Undead Will Feast" vede ancora una volta i nostri impegnati a strappare la vernice dai muri tanto è elevata la velocità raggiunta. Sembra quasi una sfida che il gruppo lancia all'ascoltatore, il quale è chiamato a sostenere tali ritmi senza perdersi d'animo e soprattutto senza "spaventarsi", in quanto una proposta del genere richiamava di netto l'attitudine del metal estremo di quegli anni, ovvero: "solo i più forti sopravvivono", coloro i quali sono disposti ad accettare il nuovo, ad abbracciare la potenza, a far proprio questo brutale assalto. Blast Beat continui, un Barnes che ringhia come un pit bull e dei grezzissimi e velocissimi riff di chitarra costituiscono l'ossatura del pezzo. Il buon Mazurkiewicz non fa sconti, la coppia Rusay / Owen lo segue alla grande, Webster non fa fatica a reggere l'impatto ed abbiamo anche una sorpresa finale: assistiamo infatti ad un refrain che riprende le caratteristiche dei primi pezzi cioè dritto ed orecchiabile, pesantemente influenzato dal thrash metal. Si alternano ancora una volta gli assoli dei due chitarristi, ed il tutto termina in un tripudio di brutalità Death / Thrash. Nel testo troviamo ancora un argomento molto inflazionato dai vari gruppi estremi dell'epoca, ossia gli Zombie. Questo tipo di creature appassionavano ( e questo ormai l'abbiamo capito) diversi gruppi, Cannibal Corpse compresi. Mostri resi popolari dai film di Gerorge. A Romero e di Lucio Fulci, non potevano assolutamente mancare nei testi del gruppo, il quale celebra l'assalto dei non morti ai danni dei civili. Gli Zombie vengono visti come degli esseri esclusivamente programmati per uccidere, con il chiaro intento di seminare il terrore e di cibarsi di esseri umani. Bevono sangue e banchettano con le interiora, godono nel provocare morte, amano smembrare le loro vittime, pezzo dopo pezzo, organo dopo organo. E' uno scenario apocalittico, il mondo è invaso dalle malsane creature e, a quanto leggiamo, l'unico modo per salvarsi è suicidarsi, proprio per assicurarsi una morte sicuramente più onorevole. Essere mangiati da quelle "cose" non è effettivamente il modo migliore per morire, poco ma sicuro. "Bloody Chunks", come le precedenti, riprende ancora una volta il concetto di canzone breve e senza fronzoli. Riff convulsi e veloci si susseguono senza sosta, la batteria di Mazurkiewicz è nuovamente il valore aggiunto del pezzo (ottimo batterista, il nostro), dato che proprio Paul è chiamato a dettare i tempi ai nostri, cesellando il sound della coppia d'asce che, ancora una volta, cerca di spingere sull'acceleratore e di regalarci una vera e propria blitzkrieg sonora. Una "guerra lampo", che in a malapena un minuto e mezzo riesce a coinvolgerci più che mai, facendoci effettivamente "dispiacere" che tutto si concluda così, improvvisamente, come se qualcuno avesse spento gli amplificatori. Chris Barnes si rende protagonista di una forsennata performance vocale, sicuramente una delle migliori del brano, e tutta la band è più che mai decisa a non sfigurare. Abbiamo una variazione centrale nel pezzo e subito dopo si riprende con il riff iniziale, e tutti i riff suonati vengono ripetuti. Il brano si conclude quindi così, improvvisamente. Il testo riguarda questa volta un uomo che scopre all'interno di un cassonetto un cadavere. Chi trova il cadavere si rivela essere a sua volta un killer e decide, invece di denunciare l'accaduto, di portare a casa il cadavere per poi mangiarlo. Situazione assai grottesca e singolare, in quanto l'uomo è visibilmente eccitato dalla vista di quel cadavere ed osservarlo attentamente, fra i rifiuti ed in una pozza di sangue, lo fa letteralmente viaggiare con la fantasia. Capiamo quanto per lui uccidere sia vitale, di quanto ne abbia bisogno, "per placare la sua mente malata" . Medita così un omicidio, proprio perché il cadavere si è rivelato "ispiratore". Quella notte stessa mangerà il corpo morto e cercherà una vittima da sacrificare alla sua pazzia. In questo testo forse cogliamo appieno l'ironia del gruppo, leggendolo capiamo la volontà dei Cannibal Corpse di non prendersi troppo sul serio dal punto di vista lirico, puntando, con una buona dose di humor nero, quasi al divertimento dell'ascoltatore. Sono in effetti scene a dir poco surreali, difficile poterle prendere sul serio, un po' come accadeva col satanismo ridanciano dei Venom. "A Skull of Maggots" è invece (parlando a posteriori) un pezzo storico del quintetto, un po' come "Born in a Casket", tanto che viene ancora proposto ancora in sede live, richiesto a gran voce dai fan. Abbiamo una bella partenza affidata alle chitarre, che sfocia in un riff decisamente ispirato, che va a sollevare l'attenzione dell'ascoltatore. Una nuova partenza "in climax", un crescendo "assassino" che subito cattura il nostro immaginario e ci rende partecipi dell'ennesima, potente cavalcata Death Metal, stavolta forse addirittura più aggressiva di prima. La prima parte risulta essere una sfuriata perpetua, in cui Barnes dà sicuramente il meglio di se, offrendo una performance validissima, ben supportato dal resto della band. Dopo questa sfuriata, arriviamo alla parte centrale del pezzo, cadenzata e "catchy" (per quanto sia possibile adottare questo aggettivo) in grado di stemperare la tensione raggiunta precedentemente. Notiamo nuovamente il titolo del brano urlato all'unisono e tutto sembra momentaneamente raggiungere uno status di "lucida follia". E' solo un momento, però: infatti , il gruppo chiude il pezzo in modo molto veloce con i precedenti riff, "mozzandolo" di netto come già accaduto in precedenza. Menzione d'onore, alla fine, per un Chris Barnes intento ad urlare nel microfono come un ossesso ed in modo davvero sgraziato, accompagnandosi perfettamente alla proposta del combo. Discreto vocalist, non c'è che dire. Per quanto riguarda il testo, il gruppo si concentra sul raccontare che cosa può accadere quando veniamo seppelliti e vari parassiti aggrediscono il nostro corpo. In particolar modo viene fatto riferimento al maggot, più comunemente noto in Italia come "bigattino", ovvero lo stato larvale della mosca. Per avviare la sua metamorfosi e raggiungere lo stadio perfetto, il parassita è solito cibarsi di carne in putrefazione, d'uomo come di animale. I Cannibal Corpse quindi, come sempre abbondando in dettagli macabri, ci descrivono cosa ci accadrà una volta sepolti, dopo la morte. Questi insetti carnivori ci sfigureranno letteralmente, andandosi ad insinuare nel nostro corpo, strisciando su e dentro di noi, riempiendo la nostra testa (da qui il titolo, "Un teschio pieno di Larve". Un immagine cruda, che stride con il concetto di "eterno riposo" e di Morte vista come "eterno sollievo", appunto. Organicamente e concretamente, è questo quel che succederà, ed i nostri vogliono informarci senza addolcirci troppo la pillola. "Buried in the Backyard" chiude il disco in maniera tutto sommato gradevole, ripresentando un minutaggio importante e risultando il brano più lungo del disco, con i suoi cinque minuti e quindici secondi di durata. Una costruzione quasi simile a quella del colosso "Reign in Blood", anch'esso composto da due brani di considerevole durata posti in cima ed in coda, con il corpo della tracklist riservato ad episodi di breve durata (due minuti e mezzo massimo). Si parte con riff molto lineari,veloci e malati, sorretti per un ultima volta dai "tupa-tupa" furenti di Paul Mazurkiewicz, ispirato, massiccio e letteralmente un "picchiatore" nato, il tutto non a scapito di una buona tecnica, comunque sia. Un inizio esclusivamente strumentale, che si protrae per due minuti abbondanti e ci fa osservare quante e quali siano state le influenze dei nostri. Il loro seminale e grossolano Death Metal si mescola, in questo inizio, con le ossessive ritmiche alle quali gruppi come Sodom e Sarcofago ci avevano largamente abituati, in questo contesto il tutto viene comunque ancora più esasperato, proprio perché ci troviamo dinnanzi ad un prodotto si leggermente acerbo, ma che già mostra spiragli interessanti, e fa ben sperare per un futuro roseo (cosa poi ampiamente dimostrata). Dopo questa parentesi strumentale subentra nuovamente Barnes con la sua voce cruda e diabolica, il ritmo cambia e diviene molto più cadenzato. Un rallentamento degno di nota, che come al solito non si protrae troppo a lungo e che sfocia in seguito in una brillante ripartenza. Si ritorna ai riff iniziali, "assalto" è la parola d'ordine, le velocità ossessive divengono nuovamente protagonista. Poi il gruppo, improvvisamente, cambia tutto verso la fine. La corsa viene arrestata da un riff lento e quadrato, che procede inarrestabile verso l'ascoltatore prima che il gruppo decida di chiudere il pezzo. Con riff taglienti e martellanti che portano poi ad un lento stacco finale, dunque, il combo di Buffalo si congeda dando il colpo di grazia all'ascoltatore. Le liriche scandagliano a fondo la mentalità disturbata del protagonista di questo pezzo, il quale crede di ottenere l'immortalità uccidendo e nutrendosi poi del corpo delle sue vittime. Stiamo parlando di un testo che viaggia notevolmente sulla scia dell'iniziale "Shredded Humans", e si occupa non solo di descrivere con crudezza gli atti del assassino ma anche la sua psicologia, per far capire cosa lo porti effettivamente a compiere atti così crudeli. Notiamo, quindi, una sua concezione quasi "sciamanica" dell'esistenza. Egli, riesumando culti antichi quanto l'uomo stesso, vive per uccidere e cibarsi delle proprie vittime proprio perché è così convinto di assorbirne l'anima, il lato spirituale e non tanto quello carnale. Il cadavere mutilato è solo un mezzo per arrivare ad un qualcosa di più ampio e potente, quasi egli si sentisse una sorta di semidio, che diverrà un "dio completo" solo quando avrà assunto abbastanza anime. Un testo singolare, certo tinto di fortissime vene splatter ma in questo caso più ricercato e distante dalla violenza fine a se stessa dei precedenti. Un po' come il "fattore ospedale", anche questo tema può sicuramente spaventare più degli zombie o altro: quante persone, in nome di non meglio precisate "vocazioni" simili, arrivano a commettere atti così efferati? La storia di Charles Manson è in questo senso una sorta di "esempio pratico".
Una volta completato l'ascolto del disco dobbiamo trarre le nostre conclusioni. Un aggettivo con cui "Eaten Back To Life" può essere descritto è: onesto. Sebbene risulti coinvolgente e ben suonato, troviamo tutte le imprecisioni tecniche di un disco d'esordio, un disco di un'epoca dove forse non esistevano ancora tutte le tecnologie moderne in grado di trasformare un disco suonato discretamente in un disco perfetto, ma la cosa forse più rilevante sono le ingenuità commesse dal combo in fase compositiva. Tutti i pezzi sono gradevoli ,tuttavia dopo una serie di ascolti ci troviamo a constatare che ogni pezzo sembra costituire una variazione sul tema del precedente. Prendiamo "Bloody Chunks", era davvero necessario inserire un pezzo che non si differenzia neanche minimamente da "Put Them to Death" così da allungare in modo insensato la durata del disco? Un'altra critica va al growl di Barnes. Siamo ancora ben lontani dai livelli dei successivi "Butchered at Birth" e "Tomb of the Mutilated", trovandoci piuttosto di fronte a dei secchi rantoli, certamente gradevolissimi nella loro bestialità, ma non ancora all'altezza di livelli importanti. Attenzione: dopo tutta questa critica sembrerebbe che "Eaten back to Life" sia un disco da buttare, ma ciò non è assolutamente vero. E' semplicemente un esordio pieno di idee ancora da svilupparsi nel modo migliore, non certo la negatività fatta album. Abbiamo vere e proprie chicche da ascoltare come "Born in a Casket" oppure "Edible Autopsy" e, preso nel suo insieme, ignorando la non proprio importante varietà compositiva, il disco è estremamente divertente e gradevole, coinvolgente quanto basta, sicuramente dispensatore di "headbanging" ed in grado di meritarsi l'acquisto. Pezzi martellanti si susseguono senza sosta e ci regalano una quarantina di minuti segnati da accelerazioni e rallentamenti su cui è impossibile riuscire a rimanere impassibili. Dobbiamo dunque assegnare un voto "medio" e non negativo ai Cannibal Corpse ,che riescono a dare alla luce un buon disco di esordio che vale la pena di essere ascoltato sia per il suo calore storico sia per il suo buon contenuto. Se siete anche voi dei cultori del "grezzo" ed affamati di brutalità, questo disco farà per voi. In generale, è sempre bello e comunque doverosissimo partire alla ricerca delle radici di una band così importante, proprio per renderci conto di come il tempo passi e di come sia affascinante osservare con i propri occhi un'evoluzione di stampo musicale.
1) Shredded Humans
2) Edible Autopsy
3) Pur Them to Death
4) Mangled
5) Scattered Remains, Splattered Brains
6) Born in a Casket
7) Rotting Head
8) The Undead Will Feast
9) Bloody Chunks
10) A Skull Full of Maggots
11) Buried in The Backyard