CANNIBAL CORPSE

Butchered at Birth

1991 - Metal Blade Records

A CURA DI
ANDREA FUMAGALLI
07/02/2017
TEMPO DI LETTURA:
8,5

Introduzione Recensione

Avevamo lasciato i Cannibal Corpse al loro disco di debutto, "Eaten Back to Life". Un buon inizio per la band di Buffalo, la quale aveva interessato l'intera audience death metal a suon di gore e brutale aggressività. Un buon primo passo, che aveva fatto indubbiamente ben sperare circa il futuro del gruppo. Il successore di "Eaten?" non tardò quindi ad arrivare, e proprio l'anno successivo (siamo quindi nel 1991) i nostri si presentarono al pubblico con un nuovo disco, dal titolo ferocissimo: "Butchered at Birth". La line-up della band rimane la medesima che abbiamo trovato su "Eaten..", ovvero la sezione ritmica composta da Paul Mazurkiewicz e Alex Webster, alle chitarre Jack Owen e Bob Rusay mentre alla voce spicca l'ormai noto Chris Barnes, un individuo poco raccomandabile che proprio su "Butchered..", oltre ad occuparsi delle liriche (veramente efferate e sfocianti in perversi deliri horror-gore, come vedremo in seguirto), intratteneva gli ascoltatori con uno dei growl più profondi e marci che la storia  abbia conosciuto; anche se, a parer di chi vi scrive, per ascoltare la sua migliore prova / espressione bisognerà attendere sino al successivo "Tomb of the Mutilated". In ogni caso, la voce di Barnes diventa su "Butchered.." ben più cavernosa e brutale rispetto a come appariva in "Eaten..", esattamente quando il suo growl era molto più "standardizzato" e sicuramente più acerbo. In verità, tutti i musicisti lasciano intravedere dei profondi miglioramenti: tutte le composizioni si fanno più compatte e il gruppo suona coeso e preciso, costruendo un solido muro di suono, il tutto grazie alla produzione / "intercessione" di un altro soggetto che ha fatto la storia del death metal a stelle e strisce, vale a dire Scott Burns; il quale, come ben sappiamo, era l'ingegnere del suono più desiderato dell'epoca. Un combo dunque d'eccezione: un grande ed esperto produttore più cinque musicisti ormai desiderosi di sfondare con una proposta che fosse quanto più personale e particolare possibile. Cornice di questa collaborazione, i prestigiosi "Morrisound Studios", tempio in cui venne forgiato il suono di numerosissimi gruppi estremi (Death, Deicide, Sepultura, Obituary.. vi bastano ?). Dulcis in fundo, ancora una volta fu la "Metal Blade" ad occuparsi dell'opera di finanziamento e distribuzione. Insomma, tutte le carte erano in regola; e grazie ad un team di produzione all'altezza della situazione, nonché alla loro intrinseca volontà di compiere un significativo balzo in avanti, i Cannibal Corpse riuscirono nella fatidica impresa. "Butchered..", infatti e come pocanzi accennato, segnò una significativa svolta nella loro carriera. Da molti considerato il primo album Brutal Death Metal della storia, esso ingloba in sé tutte le caratteristiche che di seguito avrebbero reso famosissima la band di Buffalo. Vale a dire, liriche al limite della censura, growl tetri e cavernosi più un'ottima tecnica strumentale, unita di contro alla volontà di risultare quanto più marci e brutali possibili. Anche sfruttando l'aiuto di non poche influenze Thrash, specie rifacendosi a quello più crudele e tagliente (eco degli Slayer, dei Possessed e dei primi Sodom, in tal senso, risuonano abbastanza prepotenti). Insomma, un crocevia fondamentale per l'intera carriera del Cannibale, più che un semplice disco. La prima, vera pietra miliare che i Nostri decidono di apporre sul loro percorso. Un punto dal quale iniziare seriamente ad intraprendere un discorso che, come ben sappiamo (alla luce del presente), li avrebbe portati verso il divenire una delle band Death Metal più famose e note al mondo (solo i Death sarebbero riusciti a vendere più dischi di loro). Come dimenticare, poi, in questa nostra presentazione, di menzionare la copertina del disco; anche in questo caso vi è un elemento di novità rispetto ad "Eaten..", in quanto i Corpse decidono di "varare" un altro loro trademark, quello delle shockanti provocazioni visive. Non è messo in dubbio il fatto che sicuramente le copertine abbiano contribuito a delineare l'immagine dei Cannibal Corpse come gruppo brutale e squisitamente perverso: l'idea malsana di rappresentare per filo e per segno quanto descritto nelle liriche (estreme, lo ricordiamo; nel vero senso della parola!) sarà poi copiata da centinaia di gruppi. Parlando a posteriori, potremmo forse dire che non sconvolge più nessuno trovarsi dinnanzi ad un artwork particolarmente dissacrante o violento.. tuttavia, proviamo a calarci nei panni di un ascoltatore del 1991, guardando con occhio attento quanto "Butchered.." ci presenta, inizialmente, come primo impatto. Due zombie macellai, il cadavere di una donna semi mutilato, feti morti penzolanti dal soffitto. Uno scenario apocalittico, ben diverso dallo zombie "fumettistico" e variopinto apparso su "Eaten..". Decisamente una rappresentazione raccapricciante, la quale valse alla band non pochi divieti. In Germania, ad esempio, "Butchered.." venne venduto avvolto in una carta particolare, proprio quella che i macellai adoperano per confezionare la carne che da loro acquistiamo. Sulla "busta" venne quindi inciso il logo del gruppo, in rosso. Più o meno la stessa sorte in Canada, dove la copertina non venne censurata ma sulla vendita del disco venne posto un pesantissimo limite d'età. L'acquisto di "Butchered.." venne infatti vietato ai minori di vent'anni, il massimo della "pena" per un prodotto "Rated R" nella terra delle alci. Insomma, il gruppo aveva inaugurato quel che sarebbe stato l'alone di polemiche che di fatto li accompagna ancora oggi. Le censuratissime copertine dei Cannibal Corpse ( tutte ad opera di Vincent Locke) rimarranno nella storia (assieme alla loro musica, naturalmente) proprio perché ad oggi, anche dopo più di vent'anni dalla loro uscita, rimangono ancora in grado di scioccare realmente chi per la prima vola si approccia al gruppo da "profano". Bando dunque agli indugi e tuffiamoci nel folle e perverso mondo del Cannibale.

Meat Hook Sodomy

Si comincia quindi con "Meat Hook Sodomy". Fornire una traduzione di questo titolo è pressappoco impossibile, data la particolarità del gioco di parole qui adoperato dalla band. Il testo, però, risulta macabramente esplicito: cadaveri adagiati alla bell'e meglio in uno stanzino sgangherato, ratti che corrono fra i tavoli, scarafaggi sulle pareti; un maniaco armato di mannaie ed accette, che non solo si diverte a smembrare i corpi delle sue vittime, ma anzi prova particolare piacere a violare i loro orifizi anali con acuminati ganci per la carne. Proprio quelli adoperati dai macellai nelle celle frigorifere, luoghi ove penzolano i famigerati "quarti di bue". Il pezzo, dopo una breve introduzione ad opera delle chitarre (o meglio della leva di queste ultime), viene aperto dall'intero gruppo con un riff fulmineo e dissonante ben accompagnato da un drumming martellante ed ossessivo ad opera di Mazurkiewicz. E' quindi tempo per Barnes di intervenire, recitando i primi versi del brano: facendosi portavoce del maniaco, il cantante ci narra quindi di pubi umani divorati, di carne semirancida, di "buchi" pronti ad essere violati. Il serial killer è dunque un necrofilo perverso, incarnando in persona tutti i peggiori tratti dei più famosi mostri cinematografici e non. Un po' Leatherface ("Non aprite quella porta"), un po' Ed Gein ("il macellaio di Planfield, uno dei peggiori serial killer mai esistiti), il protagonista del testo gode nel ridurre i cadaveri a pezzettoni, cibandosi di quando in quando di questa o quella parte; dulcis in fundo, tutto viene smembrato ed appeso a questi ganci.. meglio ancora se, questi "resti", risultino pendenti dall'ano. Questi i primi versi della strofa, le liriche delle canzoni colpiscono per la loro macabra malattia, Chris Barnes con il suo growl, basso e scavato va a pronunciare queste prime parole colpendo l'ascoltatore, il quale sicuramente si sarà posto qualche interrogativo sul testo. "Cosa diamine starei ascoltando?"; lecito chiederselo, lecito provare un po' di sano disgusto dinnanzi a tanta efferatezza. Con uno stacco i musicisti accedono ad una sezione veloce e richiamante il thrash metal che aveva contraddistinto gli esordi del gruppo, una bella doppia cassa ci accompagna lungo questa accelerazione fino ad arrivare ad una nuova strofa. Ecco un altro riff, più tagliente, sorretto sempre dai veloci e martellanti blast beat di Paul; le chitarre hanno un sound unico, tagliente e oscuro. Si accede poi ad un'altra sezione, più cadenzata, atmosfera tipica dei Cannibal Corpse, fatta di bicordi lunghi e dissonanti, mentre Chris Barnes continua a descrivere gli orrori che si consumano nello scantinato di qualche serial killer e, forse questa è la cosa più raccapricciante, nel mondo intero.  Si entra ancor di più nella psicologia del soggetto, un individuo disturbato ed attratto da quanto più, al mondo, appaia disgustoso. Una macabra ossessione, che lo porta a consumare i suoi crimini efferati. Il protagonista racconta di come può vivere e affrontare la sua coscienza solo uccidendo e vivendo nell'oscurità. Non a caso abbiamo fatto riferimento ad un personaggio realmente esistito, Ed Gein, per certi versi molto simile al maniaco qui descritto. Proprio Gein, che era solito trafugare cadaveri per ricavare da essi "materia prima", che il mostro tramutava in macabri vestiti e monili. Una storia non poco inverosimile, sicuramente ispirata da fatti di cronaca realmente avvenuti più un pizzico d'orrore disturbante, tipico delle pellicole Splatter, all'epoca molto in voga. I Corpse, insomma, hanno acuito la loro passione per il macabro, per il disgustoso. Una ripartenza ci riporta a velocità maggiormente elevate, i riff rimangono compatti susseguendosi senza sosta. Il gruppo è bravo nell'introdurre riff nuovi e dare modo all'ascoltatore di ricongiungersi con la restante parte del pezzo.  Ormai il testo è diventato un susseguirsi di brutalità, l'omicida racconta di come tutto ciò ce alle persone ripugna per lui ha una sorta di fascino morboso. L'ascolto fila quindi liscio fino alla conclusione, netta, del pezzo, affidata al riff al quale era stata affidata l'apertura. 

Gutted

Arriva quindi il momento di "Gutted". Anche in questo caso, una traduzione "unica" sarebbe quanto meno limitante. Il termine "Gutted" dovrebbe suonare, all'incirca, come il nostrano "sbudellato" in quanto "guts", in inglese, designa proprio le interiora umane (oltre ad indicare il coraggio in sé per sé, le cosiddette "palle", ma non è questo il caso). Un riff cadenzato, accompagnato da un basso pulsante e presente ci porta ad uno stacco di chitarra tagliente alla quale susseguono veloci blast beat, più il grugnito inumano di Barnes.  La sua voce ci aggredisce con parole forti e macabre, l'argomento non cambia: ci troviamo di fronte alla carneficina concepita dal singer, il quale in queste prime righe di testo dà vita ad una sorta di introduzione. Il soggetto descritto sarebbe uno psicopatico che ha fatto dell'uccidere la sua ragione di vita. Una vera e propria passione, atta a soddisfare i suoi piaceri più oscuri. Sembrerebbe quasi il gemello del precedente, con un'unica eccezione: questo nuovo killer non sembra interessato agli orifizi anali delle sue vittime. Tuttavia, risulta comunque presissimo nello smembrare chirurgicamente ogni cadavere gli passi sottomano. Inutile dirlo, con particolare predilezione per le viscere. Budella, stomaco ed intestini vengono quindi sviscerati con calma e cura, goduti appena caldi, se possibile addentati, accuratamente manipolati con sadica lussuria. Il pensiero va a chi, in quel momento, si ritrova disteso su di un letto, privo di vita. Mutilazioni orribili, corpi smembrati, arti separati dal tronco, teste impalate. In tutto questo, le budella fluiscono dagli squarci provocati sui ventri dei cadaveri. Tutto soddisfa quindi il piacere del mostro, ossessionato dalle interiora. Si riprende il riff di apertura, in maniera più distesa, per poi riprendere con la strofa. Il gruppo cambia completamente ritmo, si va ad una sezione più lenta e thrasheggiante. Qui iniziano a comparire parole che riescono a colpire in maniera decisa, questo per la loro brutalità. Viene descritta una vera e propria carneficina, i corpi ammassati sono smembrati e ormai irriconoscibili. La batteria non è invadente, guida gli strumenti con essenziale maestria. Si riparte a martellare e ad aggredire l'ascoltatore, le chitarre si rendono protagoniste di alcune pregevoli variazioni mentre grazie a Barnes ci troviamo ormai immersi in una elencazione di torture senza fine. Si ritorna ad un riff lineare in tremolo picking per poi tornare nuovamente alla strofa. Giungiamo quindi verso la conclusione, momento in cui si rivelano le orribili tendenze cannibali del soggetto. Una nuova variazione, le velocità calano ed emerge questo lato più oscuro del gruppo. Ecco che si riprende il riff di apertura e si ritorna poi ad aggredire l'ascoltatore con nuovi blast beat in grado di frantumare le tempie a chiunque sia, prima che il gruppo arrivi poi alla conclusione definitiva del pezzo. Siamo quindi ancora lì, sbudellati, giacenti chissà dove e ridotti in pezzi. Il tutto per placare la lussuria di un maniaco, copiosamente eccitato grazie alla visione di noi totalmente mutilati, smembrati ed ormai svuotati delle nostre interiora; quasi fossero rognoni pregiati, i nostri intestini vengono quindi gustati dal mostro, in un susseguirsi di scene che ricordano molto da vicino il capolavoro di Joe D'Amato, "Antropophagus"; film in cui il colossale George Eastman impersonava un maniaco cannibale, particolarmente amante delle budella e dei feti; da mangiarsi, ovviamente.

Living Dissection

Si prosegue con "Living Dissection (Vivisezione)". Una doppia cassa lenta e solida sostiene il riff di chitarra, composto da bicordi suonati uno dietro l'altro senza sosta; ecco che il tutto viene reso più fluente dall'attacco ferino che le chitarre operano con la tecnica del tremolo picking. Giunge imperiosa la strofa, e come di consueto la cavernosa voce di Barnes ci rende totalmente partecipi degli orrori descritti dal gruppo. Si parla in questo testo di uno psicopatico il cui obiettivo è quello di fare in modo che i morti possano ritornare a vivere. Un obiettivo perseguito con ferocia, dal momento che il soggetto va a sottrarre la vita di persone innocenti (ed ignare) con violenza, per poi effettuare i suoi orribili esperimenti. I corpi giacciono morti mentre le membra vengono assemblate alla bell'e meglio, in un tripudio di perverso fervore scientifico. Quasi come il lovecraftiano Herbert West (il rianimatore), il protagonista di queste liriche è ossessionato dalla tematica della vita oltre la morte, dell'immortalità. Non si fa scrupoli a trafugare cadaveri o a procurarsene egli stesso, uccidendo. Cerca quindi di realizzare i suoi scopi mediante l'illegalità, in quel che sembra, oltre che un racconto horror, anche una velata denuncia ad alcuni sistemi medico-ospedalieri. Una decisiva presa di posizione contro il cosiddetto "accanimento terapeutico", ovvero il voler insistere nel curare una persona ormai spacciata. Si ha una vera e propria donazione di organi tra i morti, condotta da un essere immondo, completamente pazzo che ha fatto della morte la sua ossessione. La strofa viene intesa come un susseguirsi di attacchi, ora più serrati ora meno, con delle belle ripartenze dettate dall'ottimo drumming di Mazurkiewicz.  Ecco uno stacco composto da un riff atonale e cadenzato, il gruppo continua a martellarci fino ad un assolo, anch'esso atonale, di chitarra; il quale, riprende dopo aver lasciato modo a Barnes di continuare con la strofa. Si ritorna ad uno dei riff principali del pezzo, con il gruppo impegnato ad aggredire l'ascoltatore fino alla fine. Un pezzo tiratissimo e violento, che fa delle reminiscenze thrash il suo punto forte ed al contempo mostra la brutalità alla quale i Corpse ci stanno ormai abituando. Giunti infatti al terzo pezzo, possiamo ora comprendere quale sia il trend di questo "nuovo" inizio: oscurità, compattezza e pesantezza. Ben diverso come clima, rispetto al precedente "Eaten..".

Under the Rotted Flesh

Si palesa nelle nostre orecchie "Under the Rotted Flesh (Sotto la carne rancida)": un riff dissonante e tagliente apre il pezzo, sostenendo tutta la strofa, ben accompagnato dalla sezione ritmica. Il trend lirico non cambia, ed appuriamo come anche in questa occasione non si perda tempo nell'indugiare in metafore. Si parla infatti di necrofilia con dovizia di particolari e macabra / nera ironia. Quasi come fosse un gioco, quasi come fosse una pratica normalissima, il protagonista ci narra infatti delle sue scorribande notturne, alla ricerca di cadaveri freschi da riesumare. "Giocare" con loro è la sua più grande passione, così come lo è raccontarci per filo e per segno cosa si prova a violare gli orifizi di un morto. Un tripudio di carne rancida, di turpe lussuria spiattellata dinnanzi ai nostri occhi; in maniera così grottesca da risultare quasi comica, per certi versi. Come se ci trovassimo dinnanzi ad un amico intenzionato a suscitarci "schifo", andando egli ad insistere su particolari a noi particolarmente sgraditi, e per questo ingigantiti. Il maniaco non si ferma e complice il terribile (nel senso buono) sottofondo musicale, si prodiga in crescendo di descrizioni al limite della credibilità. Il puzzo, la carne rancida, la "fragranza" di quest'ultima.. insomma, un vero e proprio amplesso cimiteriale narratoci come fosse un normalissimo rapporto sessuale, fra persone consenzienti. Dopo una prima parte di strofa, si cambia e si va ad un nuovo riff. Si torna poi al riff di partenza suonato però in modo variegato rispetto a prima, ed il tutto diventa più roccioso e solido. Branes entra nel vivo del testo, ci spiega che cosa il maniaco di turno combina ai poveri malcapitati che lo incrociano, perché il pazzo non si limita ad accontentarsi di quanto trova nei cimiteri ma va a cercare nuove vittime per soddisfare i suoi macabri appetiti, amando più i morti "freschi" che quelli stantii. Le chitarre continuano a susseguirsi e rincorrersi senza sosta, sempre precise e  compatte. Si riprende il riff di apertura ma questa volta, invece di condurlo a folle velocità, il gruppo decide di rallentarlo fino a farlo diventare asfissiante. La velocità torna poi a farla da padrona nella parte successiva del pezzo, dove possiamo trovare un altro, fulmineo assolo. Ecco quindi un altro rallentamento condotto con un altro dei riff già in precedenza utilizzati, che ci conduce ad una nuova accelerazione e ad un nuovo assolo. Si riprende il riff iniziale fino a concludere il pezzo, e con esso le scorribande del killer necrofilo. Azzannata nel buio la sua nuova vittima, egli non attende altro che trascinarla in un anfratto oscuro, luogo in cui potrà approfittare del cadavere senza timore d'essere scoperto. Le sparizioni misteriose divengono ogni giorno più numerose, la polizia brancola nel buio. Per la felicità del maniaco, che può continuare a mietere dolore e sofferenza come se non ci fosse un domani. Amplessi e cadaveri, in un macabro connubio d'inumana perversione.

Covered With Sores

Superiamo la metà dell'album con l'arrivo di "Covered With Sores (Ricoperto di piaghe)". Un riff di chitarra lento e roccioso dà il via al pezzo, il cui inizio è caratterizzato da un'atmosfera sinistra e oscura. La voce di Barnes inizia a decantare gli orrori presenti nell'immaginario dei nostri, mentre la sezione ritmica rimane ben compatta e decisa e non permettere al muro di suono eretto di cedere in qualche modo.  Si inizia anche con le liriche, le quali vanno a descrivere questa volta un altro oscuro essere: similmente a quanto mostrato anni prima dalla macabra illustrazione di Repka, realizzata per l'album "Leprosy" dei ben noti Death, abbiamo quindi un corpo malato, coperto di infezioni cutanee e piaghe purulente. Un mostro in piena regola, screziato dalla malattia, ricoperto di ferite infette. Un orrore a vedersi, ben descritto da quest'atmosfera particolarmente opprimente. Vediamo il disgusto correre sul suo corpo, sottoforma di fluidi putrescenti, di pus zampillante. Il suo viso, caratterizzato da un'espressione ferina, non ha più nulla di umano. Il suo sguardo è tetro e spento, simile a quello di un feroce predatore, deformato in smorfie indicibili. Ecco all'improvviso una potente scarica di blast e il comparire di un riff velocissimo e atonale, un vero e proprio esempio brutalità. Si continua con un passaggio aggressivo ma leggermente più lento prima di continuare con il massacro. La voce di Barnes anche qui non si risparmia, andando a configurarsi come l'elemento di maggiore riconoscibilità del combo di Buffalo. Ecco uno stacco di chitarra eccezionalmente chatchy e il macabro cantilenare di Chris, sostenuto dal drumming incalzante di Mazurkiewicz. Durante la strofa la storia di Barnes entra nel vivo, si parla di come il soggetto abbia contratto la sua malattia attraverso la pratica della necrofilia (tanto per cambiare..), la sua tentazione lo spinge a compiere disgustosi atti che chiaramente hanno delle conseguenze fisiche e che determinano il sorgere di malattie ed infezioni che hanno trasformato il suo fisico in un qualcosa di orribile e macabro. Un mostro in piena regola, che come un redivivo Freddy Krueger cerca in tutti i modi di mietere vittime, "attaccando" il suo morbo al prossimo, diffondendo peste e malattie varie. Un concentrato di infezioni che rovina la vita del prossimo per il puro piacere di farlo, senza porsi il minimo problema. Non solo un killer psicopatico ma anzi, un vero e proprio mostro calcolatore, un concentrato di crudeltà e di sadico piacere, indirizzato verso l'atto di sfigurare un corpo umano. Si riprende con il riff più veloce, schiantandosi il guppo contro l'ascoltore con ferocia e veemenza, fino alla conclusione del pezzo che nella parte finale si mantiene sempre dinamico; questo soprattutto grazie ai continui cambiamenti per quanto concerne il riffing delle chitarre. Un modo di suonare, quindi, certo "lineare" se osserviamo lo svolgersi dei brani, ma mai noioso o comunque banale. I Corpse sono cresciuti e la storia di questo mostro sfregiato non fa altro che dimostrarci quanto la loro attitudine brutale stia lì e lì per sgorgare nella perfezione definitiva.

Vomit the Soul

Il trend non cambia con l'avvicendarsi di "Vomit the Soul (Vomitare l'anima)". Ancora una volta abbiamo un attacco deciso e aggressivo, dove tuttavia è la lentezza a predominare. Barnes, con la sua cavernosa voce, è anche qui protagonista assoluto del contesto, spiccando per espressività e violenza. Similmente al precedente pezzo precedente abbiamo quindi una ripartenza fulminea dopo le battute iniziali, la quale va a sfociare però nel refrain della canzone. Ecco dunque che un ospite d'eccezione fa la sua brutale comparsa: si tratta nientemeno che del leggendario Glen Benton, il quale fa la sua comparsa sfruttando la sua classica voce da indemoniato. Il riff roccioso emeso delle chitarre è qualcosa di spettacolare, il suono è straordinario, compresso e tagliente come non mai. Si riparte a malmenare charleston e rullante per arrivare ad uno stacco di chitarra che ci conduce ad una nuova ripartenza e ad un riff più cadenzato e cathcy. La voce di Barnes anche qui è protagonista, rimane impressa da subito nella mente dell'ascoltatore e non ne esce più.  Durante le strofe del pezzo andiamo a scoprire un altro macabro racconto dell'orrore. Abbiamo qui una sorta di tributo ai film horror sugli Zombie, in particolare si descrivono le azioni di un gruppo di esseri non-morti che chiaramente spargono terrore e morte, annientando qualsiasi forma di vita, uccidendo senza provare niente perché morti sia dentro sia fuori. Esseri che portano il mondo all'apocalisse, che faranno dei cimiteri le loro cattedrali e delle nostre città le nostre tombe. Lo zombie, del resto, è un mostro privo di volontà se non quella di uccidere. Non prova emozioni di sorta, che siano esse tristezza o rabbia. Figuriamoci la pietà. Un qualcosa di inumano, di profondamente sbagliato e non inquadrabile in nessuno schema. Esseri immondi che si muovono nel buio ed avanzano strascicando, boccheggiando, emettendo versi affannosi e simili a rantoli. Quando i loro denti sono già affondati nella nostra pelle, allora capiremo che sarà troppo tardi per vincolarci dalla loro presa. Si accede ad una sezione più cadenzata, il gruppo procede come un carro armato, lentamente ma senza fermarsi sino ad una ripartenza che tuttavia ci riporta alla monoliticità tipica del pezzo. Un brano "monolitico", esattamente, a tratte strascicante come l'andatura di un non morto. Ecco un assolo veloce e atonale che ci conduce ad un nuovo refrain, suonato questa volta con l'uso dei blast beat. Un altro assolo sorretto da uno dei riff principali ci porta ad una nuova strofa che ci conduce alla conclusione della track. Il morso dello zombie è ormai impresso sulla nostra carne, non possiamo fare altro che arrenderci al nostro triste destino. La nostra carne marcirà, la nostra volontà sparirà.. resusciteremo, prendendo la forma dei nostri aguzzini.

Butchered at Birth

La title-track, "Butchered at Birth (Macellato alla nascita)" viene caratterizzata all'inizio per un botta e risposta tra le chitarre, prima che il gruppo decida di aggredire l'ascoltatore in tutta la sua potenza. Continui alternarsi tra doppia cassa e blast beat caratterizzano la prima parte della track; come conseguenza di ciò, la strofa si mantiene su velocità abbastanza elevate, graffiando ed aggredendoci di continuo. Ecco uno stacco di chitarra che ci porta ad una nuova sezione, più cadenzata e assimilabile. La voce di Barnes, imperterrita, ci descrive questa volta le vicende di questo bambino-zombie che si trova all'interno del grembo materno. Durante la gestazione il piccolo inizia a divorare dall'interno la madre, "squarciandola" e "facendola a pezzi".  Un racconto macabro e oscuro, un po' come tutti quelli presenti nel disco, il cui background non sembra comunque scevro da una sottotrama assai particolare. Il bambino non è infatti un "mostro" per il puro piacere di esserlo, tutt'altro. Leggendo bene il testo, sembra quasi che la sua violenza (fra l'altro, sembrerebbe immaginaria, nei suoi pensieri) sia in qualche modo "giustificata" dall'incapacità della madre di portare a termine la gravidanza. Suoni crudi e violenti fanno infatti da sottofondo ad un parto non andato a buon fine, risoltosi con la morte del piccolo. In gravi momenti d'agonia, le urla del nascituro si configurano con lo stridere delle chitarre. Egli maledice la madre, per non averlo dato alla luce. Pensa ad una vita che gli è stata in qualche modo sottratta, ed immagina di uscire di forza da quella pancia, squarciando il ventre materno ed uccidendo la madre, fra sofferenze e mutilazioni d'ogni tipo. Arriviamo a giungere dinnanzi al cospetto di un estremismo vocale che lascia il segno, l'ironia ed il grottesco di fondo dà a tutto il testo un atmosfera particolare, che i racconti dei Cannibal riescono a far emergere. Fra bambini zombie nemmeno nati e già con tendenze omicide, ci troviamo di fronte ad un'esagerazione così evidente che risulta quasi assurdo prendere sul serio il testo, e questo è forse proprio quella che la band vuole: scioccare l'ascoltatore pur rimanendo comunque da un certo punto di vista "innocua". Un po' come se questa veramente volesse, attraverso la musica, raccontarci una storia dell'orrore.  Ecco che si continua con il riff portante del pezzo prima di accedere ad una nuova sezione dove la batteria trascina tutti gli strumenti e ci riporta nuovamente ad una nuova strofa. Il pezzo è un continuo alternarsi dei due riff fino ad ora descritti, sino alla conclusione del pezzo. Il bambino è nato, fra intestini dilaniati e ventri squarciati. Il figlio del diavolo, il demonio, lo zombie. Egli ha ucciso quella che per lui non è una madre ma una semplice "puttana". Distrutta, ridotta in brandelli, brutalizzata senza la minima vergogna o rimorso. Ci vorrà tutt'altro che una sculacciata sul didietro, al pargolo dannato, per calmare i suoi spiriti. Questo, almeno, nella sua immaginazione: in "vero", ci troviamo dinnanzi ad un bambino ormai morto, a causa di una gravidanza dall'esito tragico. Maledicendo il mondo, dunque, la creatura esala i suoi ultimi respiri, con sommo dispiacere di madre e dottori.

Rancid Amputation

Penultimo  brano del lotto, "Rancid Amputation (Amputazione Rancida)" non le manda certo a dire, decidendo di partire in quarta, sfruttando tutta la rabbia e la brutalità possibili. Una grande velocità caratterizza infatti l'apertura del pezzo, sparato senza remore dritto nel nostro viso, a suon di riff urticanti, appuntiti.  Ecco però, successivamente agli inizi, un riff più assimilabile, sorretto dalla velocce doppia cassa di Mazurkiewicz. Ci pensa però Barnes ad aggredirci senza sosta, sbraitando ed urlando per tutta la durata della prima strofa. Si parla ancora una volta di vivisezione, senza comunque ritirare in ballo gli esperimenti del killer scienziato già protagonista di "Living Dissection". In questo caso, ci troviamo dinnanzi ad un maniaco per nulla animato da velleità sperimentali o comunque "scientifiche" in senso lato. Al contrario, si descrive l'azione del maniaco di turno che sventra la sua vittima, provando un sadico piacere in tutto questo insieme di "tagli". Proprio come le chitarre che udiamo riescono a screziare la nostra pelle, i denti della sega affondano nelle carni delle malcapitate vittime. Il sangue scorre a fiumi, ancora vivi i malcapitati urlano di dolore, aumentando l'eccitazione del vivisettore. Braccia e gambe asportate, la vittima agonizzante è ridotta ad un tronco umano, ormai indirizzato verso la morte. Dita, giunture, tutto è ormai separato dal resto del corpo. Ecco che una calda lama comincia a scivolare sul collo: è il momento che anche la testa venga trasformata in un feticcio da esposizione.  Ecco inoltre un'altra sezione del pezzo, più dinamica, dove il gruppo corre veloce e ci fa assaporare tutta la potenza che è in grado di generare. Si continua anche con la strofa, si descrive la "vivisezione" dal punto di vista della vittima che vede i suoi intestini sgorgare. Il dolore, la paura, emergono come non mai. Il sadico growl di Barnes non fa altro che acuire questa sensazione di angoscia che proviamo. Ecco una sezione più serrata, con tonnellate di blast beat. Una nuova sezione si apre, riff più complessi emergono  ma prima che il gruppo si lanci in un nuovo attacco frontale, cadenzato e a potente.  Un nuovo attacco, dove il gruppo continua anche con il testo, approfondendo per un attimo la psicologia dello psicopatico di turno il quale rivela di essere oltremodo malato, di essere incontrollabile a causa del suo cervello bruciato. condotto a velocità elevata ci porta ad un assolo di chitarra, acuto e devastante per le orecchie dell'ascoltatore. Ci si avvia alla conclusione del pezzo e lo si fa velocemente, chiudendolo di netto.

Innards Decay

Si conclude alla grande con "Innards Decay (Collasso d'Interiora)". La sezione ritmica delle chitarre ci conduce durante la prima parte  di quest'ultimo pezzo dell'album, con continui stacchi i quali si avvicendano ben accompagnati dalla batteria di Mazurkiewicz, vero e proprio eroe (alla pari di Barnes) di questo disco. Senza nulla togliere alla coppia di axemen ed al bassista, certamente. La prima strofa viene condotta a grande velocità, abbiamo il susseguirsi di due riff, uno più quadrato, l'altro in tremolo picking.  Nel testo si avvicendano ancora una volta le solite immagini gore, che sembrano estrapolate dai più crudi film di serie B a basso budget. Una summa di tutto quel che abbiamo narrato sino ad ora: un serial killer sadico e schizofrenico, il quale gode nel narrare di tutte le torture ed uccisioni inflitte alle sue malcapitate vittime. Teste impalate, tranci di carne lasciati a marcire, atti di necrofilia.. tutto è presente, in queste liriche. Sentiamo il rumore della carne strappata, sentiamo il sangue fluire, vediamo strambi impasti di carne gettati su tavoli di metallo, a mo' di macinato. I cadaveri sono lì, mutilati ed in bella vista, pronti per essere sodomizzati e violati. Percepiamo il fremere del mostro, possiamo osservare i suoi occhi sgranati nel mentre che brandelli di cervello fuoriescono dai crani che egli ha appena preso a martellate. Schegge d'ossa e pezzi di materia grigia, schizzi di sangue ovunque. Il tutto accompagnato dalla musica sempre più grezza e brutale di un gruppo vicino a raggiungere il suo apogeo compositivo. Ecco che su un susseguirsi di bicordi si pone un assolo di chitarra; successivamente uno stacco d'ascia, al quale segue l'intero ensemble di strumenti. La doppia cassa viaggia sparata, conferendo graniticità e potenza al tutto. Un nuovo stacco di chitarra anticipa un'accelerazione devastante, segno che in conclusione il gruppo vuole premere ancora di più sull'acceleratore, spaccando ogni cosa gli si paia davanti. Tutto quello che i Cannibal Corpse incontrano sulla sua strada, viene irrimediabilmente distrutto, squarciato e dilaniato come i corpi ormai ridotti a grotteschi cumuli di pelle ed interiora. Si avvicendano in seguitoi  riff maggiormente cadenzati dell'inizio, sino ad un assolo che anticipa un nuovo assalto terribilmente aggressivo il quale ci conduce ad una sezione più lenta e oscura, nella quale Barnes finisce di raccontare ancora una volta la sua macabra storia. Il tanfo di putrefazione invade l'aria, la carneficina è stata compiuta. Le larve di mosca cominciano a brulicare all'interno dei corpi morti, mentre il pezzo si chiude.

Conclusioni

Una volta terminato questo brutale e sorprendente, ascolto possiamo dunque ben tirare le nostre conclusioni. Partiamo subito dalla nota più marcata: i Cannibal Corpse hanno ampiamente dimostrato di avere raggiunto un ottimo livello tecnico, il quale si traduce in un migliore affiatamento all'interno della band e soprattutto in una volontà di perseguire una strada ben precisa. Non quella di un Death Metal troppo "classico", ma che fosse personale e dunque denso di orrore e brutalità. Se con il debutto "Eaten?" i nostri avevo dato vita ad un prodotto comunque pregevole ma che forse risentiva della sostanziale inesperienza dei componenti, con "Butchered.." i (pochi) dubbi che potevamo nutrire circa il proseguo del gruppo vengono totalmente dissipati. Ci troviamo dinnanzi a nove tracce che, senza mezzi termini, possiamo definire come (ufficialmente!) Brutal Death Metal, caratterizzato da sue specifiche peculiarità, le stesse evidenziate in fase di track by track e qui messe in pratica in maniera totale, pressappoco perfetta. Pensiamo alle chitarre così convulse e solide, in grado di erigere un imponente muro di suono; uno muro di che non potrebbe avere una tale consistenza senza il fondamentale apporto di Mazurkiewicz, con il suo stile essenziale, grezzo ma anche efficace. Senza dimenticarci poi di Alex Webster al basso, che quando serve sostiene le chitarre ma sa anche prendersi i suoi spazi in maniera sempre efficace e mai troppo invasiva. Nota davvero particolare, menzione d'onore va però e necessariamente fatta per la voce di Chris Barnes. Il quale sembra distaccarsi, per espressività e potenza, dal resto dei suoi colleghi, erigendosi davvero a dominatore incontrastato della scena. Lo abbiamo sentito con le nostre orecchie, la sua ugola sembra davvero quella di un dannato, proviene forse dall'oltretomba tanto è profonda e crudele. Anche se le sue performance migliori debbono ancora giungere, ed in tal senso ce ne accorgeremo quando arriverà il momento di  dedicare il giusto spazio a quel capolavoro che corrisponde al nome di "Tomb of the Mutilated". Parlando a livello prettamente compositivo, poi, è da segnalare come ogni pezzo faccia parte di un grande progetto: non possiamo sostanzialmente pensare ad un pezzo più bello di un altro, ogni pezzo finisce per equivalersi a livello qualitativo, e compone un tassello fondamentale nell'album, delineando un mosaico brutale e profondamente sporco di sangue. Ogni pezzo da vita a quella atmosfera malata che come accennavamo solo i Corpse sanno suscitare, ammantando i propri pezzi di squisita quanto grottesca morbosità. Il gruppo si distingueva quindi da tutti gli altri della scena. Non che fossero migliori o peggiori, semplicemente avevano un proprio trademark che ancora oggi, seppure ci siano stati innegabilmente dei cambiamenti e dei cali di tensione possiamo benissimo percepire. È quindi doveroso andare a premiare "Butchered.." in virtù di questo discorso, apprezzando e sottolineando il suo lato intrinsecamente pionieristico. Un disco che certo ancora non mostrava il meglio del meglio, ma anticipava di netto gli stilemi ai quali i fan si sarebbero così tanto affezionati. Tanto da far divenire i Cannibal Corpse delle autentiche leggende del Death Metal, alla pari di personaggi come Death e Morbid Angel. Benché "Tomb of the Mutilated" sia riconosciuto quasi all'unanimità come IL capolavoro dell'era Barnes, non possiamo comunque dimenticarci di "Butchered..". Il quale rimane un tassello fondamentale nella discografia del cinque di Buffalo e in generale nell'insieme dei dischi Death Metal più importanti della storia.

1) Meat Hook Sodomy
2) Gutted
3) Living Dissection
4) Under the Rotted Flesh
5) Covered With Sores
6) Vomit the Soul
7) Butchered at Birth
8) Rancid Amputation
9) Innards Decay
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